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Autore: Dira_    05/05/2011    16 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXIX
 



 
Ho avuto tanti coltelli bloccati dentro di me, quando mi danno in mano un fiore,
non riesco a capire di cosa si tratta. Ci vuole tempo.
(Charles Bukowski, Urla dal balcone)  
 
You know that I could use somebody, someone like you¹.
(Kings of Leon)
 
 
25 Novembre 2023
Scozia, Hogwarts. Infermeria della scuola.
Mattino.


Sören si svegliò con un dolore atroce alla testa. Come se una lama gli stesse trapassando il cervello da parte a parte.
Era nell’infermeria di Hogwarts.
È già la seconda volta…
Batté le palpebre, mettendo a fuoco il mondo. Era una mattina luminosa, e pulviscolo dorato dovuto alla luce che riempiva la stanza rendeva palese la bella giornata.
Quanto ho dormito…?
Si passò una mano sulla fronte, trovandola fasciata. Era una fasciatura che correva lungo tutta la testa, ispessendosi sulla tempia sinistra. Era lì, la ferita. La sentiva pulsare tenacemente.

Si alzò a sedere sul letto, ma dovette fermarsi a metà strada perché la stanza cominciò a girargli attorno e un conato di vomito quasi gli tolse il fiato.
Maledizione.
Non ricordava come si fosse ferito. L’ultima cosa di cui aveva memoria era l’arrivo dei Dissennatori nella tenda e la conseguente difesa con i patronus. Sapeva che c’era qualcos’altro però…
Lilian.
Il ricordo lo assalì con la potenza di un maremoto: Lily gli aveva salvato la vita. No, non solo. Gli aveva salvato l’anima.
Sentì il peso di quella rivelazione schiacciarlo. La ragazza che si supponeva avrebbe dovuto sorvegliare per la Thule gli aveva dato un debito che non sarebbe mai riuscito ad estinguere.
Lo stesso debito che aveva con Hohenheim. Un debito di vita.
Sentì le tende scostarsi, ed entrò la giovane aiuto-infermiera. “Oh, ti sei svegliato… come ti senti?”
“Cosa… cosa mi è accaduto?” Doveva concentrare i suoi pensieri su altro. Sul capire come si era ridotto in quelle condizioni, ad esempio.  
“Hai ricevuto una brutta ferita alla testa. Dopo averti curato ti è stata somministrata una pozione soporifera per aiutare il tuo corpo a riparare il danno naturalmente.” Gli venne spiegato.
“Mi sento ancora debole…”
“È normale.” Lo rassicurò l’infermiera. “Hai perso molto sangue durante la medicazione, hai bisogno di rimetterti in forze.” Lo aiutò poi a sistemare i cuscini di modo che fosse seduto senza tuttavia sentir fastidio alla testa. “Adesso devi pensare a riposare. Entro un paio di giorni sarai come nuovo.” Gli assicurò. “Vuoi fare colazione?”
“No, la ringrazio. Magari dopo.” Sorrise con cortesia. Non doveva mostrarsi nervoso o scostante o probabilmente avrebbe capito quanto volesse andarsene. Lasciò quindi che facesse i controlli di rito. Mentre gli passava la bacchetta accesa da un tenue lumos davanti alle pupille per controllargli i riflessi, Sören non poté fare a meno di chiedersi dove diavolo fosse finito Poliakoff.

Quell’idiota è il mio unico aiuto e contatto con mio zio. Sarà stato lui a riferirgli della riuscita dell’operazione. Ne sarà stato estasiato.
“Qualcuno è venuto a trovarmi?” Si informò neutro. La ragazza fece un sorriso, come se sapesse a chi lui si stesse riferendo.
“Se intendi Lily Potter è stata qui fino alla fine dell’orario di visita…”
Questo non lo fece sentire meglio. Ignorò forzosamente l’istinto di chiedere se la grifondoro avesse riportato danni di alcun genere.
Dopotutto ha affrontato un Dissennatore…   
Non era quello che gli interessava. Se lo ripeté più volte prima di convincersi. “No, intendo qualcun altro. Qualcuno della mia scuola.”
L’infermiera sembrò delusa dalla sua reazione fredda. “No, nessuno mi sembra…”

Non era una risposta definitiva, ma comunque ebbe il potere di inquietarlo: perché Poliakoff non era lì? Dov’era?
Devo sapere se ci sono stati problemi.
Devo parlare con zio. Devo sapere cosa devo fare adesso.   
Aveva bisogno di risposte, perché senza di esse sarebbe probabilmente impazzito. 
“Quando potrò lasciare l’infermeria?”
“Non lo so. Non sta a me deciderlo, mi dispiace…” La donna ripose la bacchetta e gli riempì un bicchiere d’acqua. Lo bevve avidamente. Fino a quel momento non si era accorto di quanta sete avesse. Perché non era importante. “Madama Chips verrà a visitarti tra poco. È lei che firmerà eventualmente il tuo foglio di dimissioni.”
“Sto bene. E posso riposarmi anche nel mio vascello.” Insistette. “Contatti il mio Preside, le dirà la stessa cosa.”

Sono uno studente adesso… non ho alcun potere di impormi, maledizione.
“Credo ci sia già stata una disputa su questo…” Replicò quella. “Tutti gli studenti che si fanno male ad Hogwarts, sono curati nell’infermeria della scuola. Sono le regole.” Gli mise una mano sulla spalla e lo spinse nuovamente contro i cuscini, con ferma gentilezza. “Pensa solo a riposarti. Sei al sicuro qui.”
Sören trovò irritante quella rassicurazione. Non era certo spaventato o in pericolo.

Io faccio parte del pericolo…
Ma lasciò che l’infermiera gli sistemasse le coperte e sprimacciasse una seconda volta i cuscini.
Ho davvero un aspetto così miserabile, che giustifico tutte queste premure?
Quando se ne fu andata, fissò gli occhi al soffitto e si impose di ragionare senza farsi divorare dall’ansia: quello stato mentale non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Fai il punto della situazione. Adesso.
Il piano era riuscito, per quanto gli era stato dato di vedere.
… e sperimentare sulla mia pelle…
A quel punto avrebbe dovuto avere nuovi ordini. Senza Poliakoff o il fuoco portatile nella sua cabina però era in una situazione di stallo.
Aveva molte domande che gli si avvicendavano in testa, e ben poche risposte.
Perché Lily era lì? Come ha fatto a trovarmi?
E la peggiore di tutte.
Cosa dovrò fare del debito che ho contratto nei suoi confronti?
Sören si riteneva molte cose. Un soldato, uno studioso, un servitore e uno strumento nelle mani di fini più grandi di lui. Ma aveva una cosa che talvolta lo faceva sentire migliore di gente come Kirill o John Doe: un codice morale.
Opinabile, forse. Ma mio.
Era stato suo padre a tramandarglielo, se questa era la parola giusta: Elias Prince era stato un uomo freddo e chiuso, un mago che aveva votato la vita alla ricerca, ma anche se era stato sterile nell’affetto, gli aveva tramandato dei valori. Quelli ed un anello, era tutto quello che gli era rimasto di lui.  
 
“Ricordati Sören che dovere la vita ad una persona porta al massimo grado di rispetto che puoi provare per un altro mago. È ciò che provo per tuo zio Alberich. È una consegna che non si dimentica mai.”
 
C’è un problema padre. Io provo tutto questo per la mia… vittima?
Cos’è Lily poi?
Non in generale. Perché in generale Lilian Potter era solo una strega quindicenne: con capacità spesso nascoste e interessanti e dotati di un dono singolare, ma nient’altro.
Ma per me. Cos’è per me?
Per Luzhin, l’identità che si era costruito, era un’amica. Ma per lui?
Si passò una mano sul viso: era maledettamente confuso.
Doveva parlare con suo zio, a qualunque costo. L’ansia gli stava rodendo lo stomaco come un parassita con la sua pianta ospite. Non avrebbe retto a lungo quei lenzuoli inamidati e quell’immobilità.
Sbirciò oltre le tende: l’infermeria era deserta. Probabilmente chi era stato ferito il giorno prima si era rimesso a sufficienza per poter tornare a casa.
Scostò le coperte e mise i piedi a terra. Il capogiro lo aggredì di nuovo ferocemente, ma dopo qualche attimo per fortuna si calmò, lasciandolo solo un po’ stordito.
Devo tornare al Vascello. Adesso.
Trovò i propri vestiti piegati ordinatamente dentro l’armadietto a fianco del letto, come l’ultima volta. Erano quelli con cui aveva disputato la Prova, ma erano stati lavati e ripuliti dalla terra e dal sangue. Li indossò, sentendo che ogni movimento gli strappava un po’ dell’energia che aveva recuperato. Infilò poi la bacchetta nei passanti e calzò l’anello dei Luzhin.
Gli sembrò che gli stringesse l’anulare come un nodo di corda grezza.
Osservò l’aiuto-infermiera rifare un letto, e quando gli diede le spalle sgusciò via dalla sua posizione e in pochi attimi raggiunse il portone.
Quando si trovò nel corridoio però sentì la nausea esplodere e la vista gli si offuscò. Si appoggiò ad un muro, inspirando lentamente.
Quanto forte ho battuto la testa per ridurmi così?
Sempre che l’avesse battuta.
Il dubbio si insinuò con la velocità di un serpente. Era strano che si fosse causato un danno simile, persino in una situazione di caos e panico come quella che aveva vissuto.
Anche se qualcuno mi avesse spinto… non ricordo di aver perso il controllo della situazione. Stavo uscendo assieme agli altri, affrettandomi come gli altri… ma non ricordo nessuna spinta, né che qualcuno mi sia venuto addosso. Erano quasi tutti davanti a me.
Chiuse un attimo gli occhi. La cosa gli diede sollievo. Non sentiva voci o rumori attorno a sé: probabilmente gli studenti a quell’ora dormivano ancora o stavano facendo colazione in Sala Grande, quindi ben lontano da dove si trovava.
Meglio così. 
Non aveva voglia di vedere nessuno. Solo Poliakoff e suo zio via fuoco magico. Non voleva vedere Lily.
 
“Se posso permettermi un consiglio, avrebbe dovuto ascoltare Milly, Signor Luzhin.”

La voce lo colse completamente di sorpresa. Sören si voltò, cercando l’origine di quelle parole, ma non la trovò.

Non in una persona in carne ossa perlomeno.
 
“Sono qui, si volti, ma faccia con calma… ha davvero una brutta cera, ragazzo mio.”

Sören obbedì, sentendo che le sopracciglia rischiavano di scomparirgli oltre l’attaccatura dei capelli.

Era stato uno dei dipinti alle pareti a parlare. Uno dei famosi quadri magici di Hogwarts, con cui peraltro aveva già avuto più di una surreale conversazione.
Quella con di fronte all’entrata della Torre di Grifondoro. Quella nell’ufficio del Preside.
La tela in questione era dietro alle sue spalle ed era occupata da una sedia e uno scrittoio dall’aria vetusta. E c’era seduto dietro nientemeno che l’ex-preside di Hogwarts, nonché celeberrimo mago Albus Silente.
“Salve.” Disse. “Le andrebbe di scambiare quattro parole con un vecchio quadro?”   
 
****
 
Hogwarts, Sotterranei.
Dormitorio Serpeverde, Mattina.
 
Tom si annodò con attenzione la cravatta. Non era facile farlo in pieno buio.
Lanciò un’occhiata al letto, dove Al dormiva. Era un sollievo persino sentirlo respirare rumorosamente con il naso. Un po’ meno rischiare di rompersi l’osso del collo perché il signorino non voleva che accendesse la luce, visto che quel giorno non sarebbe andato a lezione, causa infortunio.
Dormire con lui comunque era stato più facile del solito: semi-infermo si era limitato a restare disteso, invece che tirargli calci alle caviglie o al peggio gomitate nello stomaco.
Ad ogni buon conto lui era pronto per una nuova giornata ad Hogwarts.
Ma se provano a far sembrare come se non fosse accaduto nulla…
Che poi era probabilmente l’atteggiamento che avrebbe adottato il corpo scolastico. Ma sarebbe stata solo superficie.
È successo qualcosa di grosso. Forse fermeranno addirittura il Torneo.
Non poteva saperlo finché non fosse stato in mezzo a tutti i pettegolezzi del giorno: cioè, prosaicamente, doveva andare in Sala Grande per sapere qualcosa.
Lanciò un’occhiata allo specchio, inutilmente. Probabilmente sarebbe dovuto uscire a tentoni. Allora si chinò su Albus.
“Se avrò la cravatta storta sappi che te la farò pagare.” Lo avvertì chinandosi al suo orecchio per amplificare l’effetto.
Per tutta risposta l’altro arricciò il naso e borbottò qualcosa nel sonno.
Tom sorrise e gli diede un bacio a fior di labbra. Dovette anche arruffargli i capelli, perché era una tentazione irresistibile. “Non metterti nei guai mentre non ci sono…” Lo ammonì.
Sarebbe stato capace di farlo, ne era certo. Lo faceva sempre dopotutto.
Gli infilò con cura Jenkins Il Prezioso Boccino di Peluche sottobraccio e uscì, prima di essere nominato fidanzatino svenevole dell’anno.
Gli stretti corridoi del dormitorio Serpeverde erano già pieni di insonnoliti residenti, che si trascinavano verso la Sala Comune più o meno vestiti. Tom salutò con un cenno della testa un paio di ragazzi che gli augurarono il buongiorno. Nonostante tutto, si sentiva bene quando vedeva quel mare di divise verdi-argento.
Forse ha ragione Lily… forse gli altri esseri umani non sono così tremendi.
Sono solo noiosi.
Quel pensiero lo riportò al giorno prima. Al siparietto assurdo a cui aveva assistito – e partecipato – accanto al letto di Sören Luzhin. L’aveva fatto per Lily; quell’incosciente sarebbe stata capace di causare un incidente inter-scolastico solo per un punto di principio. Ma questo gli aveva anche dato modo di notare delle cose.
Luzhin aveva un peculiare rapporto con la propria scuola. Sembrava che tutti lo considerassero meno di zero, a partire dal Preside per finire con il suo assistente.
Com’è possibile, visto che è il Campione, lo stendardo stesso di Durmstrang?
Era come se lo mal tollerassero. Come se fosse…
Un estraneo. Ecco la parola giusta. Sembrano considerarlo un estraneo.
Naturalmente teneva quei ragionamenti per sé. Ma li sviluppava e ampliava fino a inquietanti conclusioni.
Qualcuno ha portato qui i Dissennatori ed ha creato quella cortina di nebbia.
Che lui c’entri qualcosa?
Era un tarlo che non gli dava tregua da un po’. Naturalmente non ne aveva fatto parola con nessuno. Non aveva nessuna prova che potesse collegarlo all’organizzazione di suo padre: solo suoi ragionamenti e qualche speculazione.
Sembra troppo esperto per essere ancora uno studente. Troppo controllato.
Tutti i suoi compagni lo ignorano o lo evitano apertamente.
L’ho beccato un po’ troppe volte a fissarmi. E mi ha fatto delle strane domande quel pomeriggio ai Tre Manici.
Sospirò, entrando nella Sala Comune ed afferrando un numero della Gazzetta, uno dei tanti ordinatamente impilati sui tavolini.
Ovviamente quelle sue osservazioni potevano essere falsificate facilmente.

È esperto sì, ma forse è per questo che l’hanno designato come Campione. Perché è superiore alla media, ed è inoltre universalmente risaputo che a Durmstrang i migliori lo sono davvero.
I compagni potrebbero evitarlo per invidia. Pare che ci sia un grosso anelito competitivo tra di loro.
Mi fissa perché Lily gli avrà raccontato delle mie… avventure… dell’anno scorso. Potrebbe essere semplicemente curioso.
La faccenda dell’anello, l’anello col blasone che non sembrava il suo, invece non trovava spiegazioni. Ma anche quella poteva essere solo una sua elucubrazione mentale.
Si infilò il giornale sottobraccio. Lo avrebbe letto con calma, a colazione. Fece per varcare l’arco di pietra dell’entrata quando sentì una risatina e un mormorio. In una lingua che non conosceva, ma che gli sembrò francese.
Si voltò incuriosito e trovò uno spettacolo quantomeno… sorprendente.
Michel era sulla porta che conduceva al dormitorio maschile e con lui c’era un biondino che vestiva l’uniforme di Beaux-Batons. Si stavano baciando o, come prosaicamente avrebbe detto Hugo, si stavano esplorando vicendevolmente la trachea.
Tom non poté fare a meno di essere parimenti in imbarazzo e soddisfatto: se Michel tornava a caccia, perlomeno avrebbe avuto meno tempo da dedicare ad Albus.

Ad una seconda occhiata notò che il biondino era nientemeno che l’assistente di Dominique, quel Mael.
La terza occhiata non volle darla, ma la coppia la diede a lui.
“Ah, Dursley.” Disse Michel, perfettamente a suo agio, a differenza del compagno che lo guardò con una divertente espressione ostile. “Buongiorno.”  
“Altrettanto a voi…” Replicò con un sorrisetto. “Non sono più un prefetto, ma credo di essere piuttosto certo che la presenza di altri studenti nella nostra Sala Comune non sia autorizzata…”
“Vero.” Replicò l’altro senza scomporsi. “Mael, vas-y. Nous nous verrons plus tard².” Disse baciando distratto le labbra del ragazzino. Che a Tom sembrò al massimo avere quindici anni.

Il che è improbabile visto che è un Assistente, quindi per forza maggiorenne.
Comunque era del genere minuto e pieno d’energia. Carino.
A quanto pare condividiamo la stessa tipologia di ragazzo…
“Non mi ricordavo sapessi il francese…” Osservò dopo che il biondino fu scappato via.
Sapeva di dovere delle scuse a Zabini o perlomeno di doverci parlare. Meglio quindi iniziare da un argomento neutro.
“Mio padre è di origini congolesi³. Almeno per parte di madre…” Specificò con aperta supponenza. “Inoltre, è una lingua gradevole al palato e mi piace rispolverarla di tanto in tanto…” Concluse scrutandolo. Era diffidente, poteva leggerglielo chiaramente in faccia.
Considerando che l’ho coinvolto in un duello magico e in una volgare rissa babbana…
“La rispolveri nel vero senso della parola, vedo…” Se gli avesse semplicemente chiesto scusa, Michel ne avrebbe approfittato per assumere una posizione di superiorità. Cosa che non poteva permettergli. Doveva girare a largo.
“Mael è delizioso. La sua parte Veela è stata un’affascinante scoperta.” Non gli sorrise, ma Tom poté vedergli una scintilla di divertimento nello sguardo.
Adora parlare di quant’è bravo a portarsi a letto qualcuno…
Quello se lo ricordava bene. E l’avrebbe anche considerata una nota di colore della sua persona, tutto sommato.
Se non avesse tentato di portarsi a letto Al.
“Sai qualcosa degli sviluppi della situazione? Il Torneo è stato sospeso?” Chiese, perché non l’avrebbe mai ammesso, ma chiedere scusa ad una persona di cui era geloso era difficilissimo. Quindi era meglio tergiversare.
Zabini inarcò un sopracciglio. “Da quando ci parliamo di nuovo, Dursley?”
Colpito e affondato.
Tom a quel punto dovette deporre le armi. “Da quando suppongo di doverti delle scuse.” Vedendo che l’altro restava in silenzio sbigottito, continuò. “Ho saputo che hai trovato Al. Che l’hai salvato e ti sei occupato di lui… grazie.”
“Delle scuse e un ringraziamento. Francamente shockante.” Motteggiò, ma con meno acrimonia di quanto ne avesse messa in tutte le loro ultime conversazioni. Era troppo vanitoso per non apprezzare il valore dell’umiliazione altrui. “Ma non l’ho fatto per te.”
“Precisazione inutile.” Ribatté. Gli sembrava di essere in un’arena. Quello era persino più difficile che prenderlo a pugni. “So che tieni ad Al. In modi che non mi piacciono affatto… ma gli vuoi bene e ti preoccupi per lui.”
“È vero.” Confermò lentamente il moro. Fortuna voleva che la Sala Comune in quel momento fosse deserta, o Tom era certo che qualcuno avrebbe cominciato a piazzare scommesse sull’esito di quella loro conversazione.

Loki, probabilmente.
“Per questo motivo… non ostacolerò la vostra amicizia.” Non sarebbero mai tornati in buoni rapporti, quello lo sapevano entrambi. Erano corse troppe parole, troppe azioni perché accadesse. Ma potevano convivere.
Del resto, siamo Serpeverde. Non tignosi grifondoro.
Michel fece una smorfia ironica. “Vuol dire che non tenterai più di affatturarmi o picchiarmi se mi vedrai vicino a lui?”
“Esatto.” Confermò serio. “Al soffre di questa situazione… e non voglio che sia per causa mia. Voglio che sia felice. Ed è felice di averti come amico e di passare del tempo con te … quindi la cosa va da sé. Non darò più problemi.”  

Dire quelle cose gli costava, molto. Una parte di sé stava premendo perché non lo facesse, perché tenesse lontano Zabini da Al. Tutti, da Al.
La stessa parte che vorrebbe che lo rinchiudessi in una torre e buttassi via la chiave.
E non metaforicamente.
Michel lo squadrò a lungo, poi annuì semplicemente. “Va bene … apprezzo che tu ti sia sforzato di ragionare nuovamente come un essere umano normale. Più o meno.” Stirò un mezzo sorrisetto. “C’è di che rallegrarsene. Un giorno potresti anche diventare un bambino vero.”
“Va’ al diavolo, Zabini.” Replicò, e gli uscì di tutto cuore. 

L’altro per non parve adontarsene, limitandosi ad un ghignetto. “Dovremo stringerci la mano a questo punto, Tom…” Suggerì invece. “Come vecchi nemici che smettono di odiarsi.”
“Non ho smesso di odiarti.” Replicò sullo stesso tono. Era un equilibrio labile tra faceto e verità. Probabilmente significava questo essere rivali. “Ti sopporto, perché altrimenti Al diventa fastidioso.” Gli uscì fin troppo sinceramente, e se ne pentì quando Michel lo guardò con aria esilarata, facendo poi una breve risata.

“Temo proprio che nella coppia non sia tu a portare i pantaloni, Dursley…”
“In camera da letto, regolarmente, nessuno di noi due li porta.” Gli rispose, lasciandolo spiazzato. Gli augurò poi una buona colazione, uscendo dalla sala prima che si riprendesse dalla sorpresa.
Ho una buona memoria. E le battute di Lily ti si stampano a fuoco in mente, purtroppo.
Fece un sorrisetto, solo per sé stesso, arrotolando il giornale sotto il braccio.
Poteva scusarsi e ringraziare Michel, certo.
Ma questo non significava che gli avrebbe mai lasciato l’ultima parola.
 
****
 
Corridoio davanti all’infermeria.
 
“Lei… vuole parlare con me?”
La cosa gli sembrava talmente assurda da rasentare il ridicolo.

Sören non aveva la minima idea di come comportarsi. Del resto era la prima volta che veniva apostrofato dal quadro di un mago leggendario.
Non era Silente, naturalmente. Ma era pur sempre…
Un dipinto. È il suo dipinto, idiota.
Per Agrippa, che diavolo stai facendo? Stai solamente perdendo tempo.
“… mi perdoni, ma ho una certa fretta. Magari un’altra volta.” Tentò di svicolare. Allora il mago gli sorrise, senza dire nulla.
Sören si sentì strano. C’era tanta di quella bontà e comprensione in quel sorriso che saltò agli occhi persino a lui, ben poco abituato a quel genere di manifestazioni di simpatia.
“Penso che perlomeno dovrebbe riprendere fiato, sembra averne un gran bisogno. Posso assicurarle che non verrà scoperto nel poco tempo che passeremo assieme. A quest’ora questi corridoi, salvo emergenze, sono deserti.”
Ha capito che non sono stato dimesso regolarmente…
Sören rifletté velocemente: Lily gli aveva più volte ripetuto come i quadri di quella scuola fossero chiacchieroni. Avrebbe potuto denunciare la sua scomparsa.
Meglio evitare.
“E sia.” Si appoggiò al muro opposto, tirando un sospiro di sollievo. Ne traeva giovamento, il giramento di testa si era affievolito. “Di cosa desidera parlarmi?”  
“Veramente ho avuto voce che sia stato lei, a chiedere di me.” Fu la risposta. Le lenti a mezzaluna di quel mago brillavano come se fossero vetro vero. Il pittore aveva avuto una mano particolarmente abile nel dipingere quelle e gli occhi.
“Io?” Chiese comunque, non avendone immediato ricordo.
… ah, quando sono stato chiamato nell’ufficio del Preside. La faccenda di Severus Piton. Della madre di Piton.
Ricordò tutto di colpo. Fece quindi un lieve cenno della testa. “Sì, ma non è importante, non si preoccupi… era semplice curiosità.”
“Sarei felice di soddisfarla. La curiosità è un pregio delle menti giovani.” Replicò il mago con bonomia. “Mi è stato dato da intendere che si fosse interessato a Severus.”

“Piton, sì.” Confermò. A quel punto poteva pur togliersi quel sassolino dalla scarpa. Una pietruzza di poco conto, ma visto che non poteva andarsene senza mancar di rispetto al quadro…
“Gli somiglia.”
L’asserzione dell’anziano stregone lo lasciò confuso. “… gli assomiglio?”
“Gli occhi.” Spiegò agitando una mano davanti al viso. “Avete lo stesso sguardo penetrante. È forse un lontano parente?”
Quel ritratto, sebbene fosse carta e colore, doveva evidentemente contenere tracce dell’antica, brillante intelligenza dell’uomo che vi era raffigurato.

Sören fece un breve calcolo mentale: rivelare alcune informazioni sulla sua vera famiglia ad un quadro non gli sembrava particolarmente pericoloso. Dopotutto suo padre non era mai comparso nei complessi arazzi familiari degli Hohenheim e lui stesso era conosciuto con il cognome di suo zio, dato che era stato da lui formalmente adottato.
Inoltre, quel sassolino proprio non voleva saperne di togliersi dalla sua scarpa.
Certo, sarebbe quantomeno… peculiare… che proprio io fossi parente di uno dei celebri salvatori del Mondo Magico.
“… La madre del Preside Piton era una strega purosangue?” Chiese, invece di rispondere.
“Sì, apparteneva ad una Casata ora estinta, ma al tempo piuttosto influente. Sono stato suo professore di Trasfigurazione.” Gli fu confermato. “Eileen Prince… ragazza molto introversa. Solitaria. Ahimè… per quanto mi sembra di ricordare, letteralmente schiacciata dalle pressioni della sua famiglia.”

Prince.
Non poteva essere solo una coincidenza. La madre di Severus Piton era una Prince, come lo era stato suo padre.
E come, dopotutto, lo sei tu.
“Ha avuto… altri Prince nel tempo in cui ha insegnato?”
“Credo un fratello minore, sempre che la mia limitata memoria non mi inganni…” Si toccò la tempia con un sorriso leggero. “Purtroppo non ne ricordo il nome. È passato molto tempo e dopotutto, sono solo un quadro.”

… Mio padre era suo fratello. Io e uno dei Salvatori di Hogwarts siamo cugini di primo grado.
La cosa ebbe il potere di lasciarlo stordito: suo zio non gli aveva mai parlato di quella parte della storia della sua famiglia. Né tantomeno lo aveva fatto suo padre.
Perché? Cosa c’è da nascondere? È stato un eroe.
Forse è meno importante del fatto che fosse un mezzosangue?
Probabilmente era quello: suo padre aveva sempre sposato le idee sul sangue puro di suo zio.
Naturale, tutti i purosangue della passata generazione lo facevano.
Solo dopo la seconda guerra magica le cose erano cambiata, ma per gente come lui, era più saggio continuare a professare le idee dei genitori.
Non ci aveva mai riflettuto, ma i grandi maghi della storia contemporanea erano quasi tutti di sangue impuro.
Harry Potter, i suoi compagni… Severus Piton.
“Era questo che voleva sapere, Signor Luzhin?” Il mago lo strappò alle sue riflessioni.
Si umettò le labbra, indeciso su cosa rispondere. Optò poi per un sorriso cortese. “Sì, era questo. Mi è stato di grande aiuto, Signore. Le sono grato.”
“È una ben magra fatica la mia… si tratta solo di ricordare.” Fu la risposta cordiale. Non aveva mai smesso di sorridergli. Lo metteva a disagio. “Posso quindi azzardare l’ipotesi che lei sia un parente?”
Non demorde.
“Alla lontana.” Confermò guardingo. “Come ho detto, ero curioso. Ho visto il ritratto, ed ho notato delle somiglianze con alcuni… miei familiari.” Il capogiro era scomparso e stava riprendendo lentamente le forze. Era ora di congedarsi. “Ma non so molto di quel ramo della mia famiglia. Mi era stato detto fosse del tutto estinto.”
“Infatti è così. Purtroppo il matrimonio della povera Eileen con un babbano minò la credibilità dei Prince agli occhi delle altre famiglie della nobiltà magica. Allora una cosa simile era equiparabile ad una condanna a morte, quantomeno sociale.”
“Nessuno desiderò più imparentarsi con loro e dunque contrarre matrimoni…” Lo anticipò.

“Ed essendo Eileen e suo fratello gli ultimi eredi… non ci volle molto prima che l’intera famiglia finisse nell’oblio, esattamente.” Confermò grave. “A volte l’onore, da trofeo diventa un’ancora che ti trascina a fondo…”
Sören fece una smorfia. “L’unica colpevole fu Eileen.”
“Lei crede?” L’uomo inarcò leggermente le sopracciglia, cosa che gli diede un’aria di fanciullesco stupore, nonostante le rughe che gli solcavano il viso. “Eileen fece una scelta. Scelse per amore, e al di là delle future conseguenze, scelse in base a ciò che il cuore le comandava.”
“Senza nessun riguardo per la sua famiglia.” Sbottò e si stupì lui stesso dell’acrimonia che trovò nella sua voce. Dopotutto era un fatto vecchio di decadi. “Una famiglia che l’aveva creata e cresciuta.”
Creata… interessante scelta di termini, Signor Luzhin. Lei crede che ad una famiglia si debba sempre cieca e insindacabile lealtà?”
“Non capisco cosa intende.” E davvero, non lo capiva. Era come se non stessero parlando di Eileen Prince, ma di qualcun altro. E temeva di chiedere delucidazioni.

È impossibile che sappia. Eppure… perché ne ha l’aria?
Ed era solo un maledetto quadro: quanto di Hogwarts aveva sottovalutato?
“Intendo dire che purtroppo posso portare esempi di persone la cui cieca lealtà ha portato non pochi guai…” Gli fu spiegato.
“Lei mi fraintende.” Lo bloccò, perché quel discorso stava diventando inquietante. “Non ho alcun rancore verso quella povera donna. Spero anzi che il suo spirito abbia trovato la pace e che si sia ricongiunto al resto della famiglia, oltre.
L’ex-preside congiunse le dita tra di loro, appoggiandovi il mento in una posa pensierosa. “Lei è un ragazzo interessante, Signor Luzhin.” Affermò senza veli, tanto da farlo arrossire. “Ho massima stima e affetto per i miei compagni di tela… ma tra vecchi ricordi e glorie passate a volte ci si annoia un po’. È sicuramente piacevole avere altri tipi di conversazione…”
“Lieto di averle dato questo piacere, allora.” Tagliò corto. Aveva bisogno di andarsene, anche più di prima. “È il caso che vada…”
“Certo, naturalmente.” Replicò l’anziano mago. “Si riguardi, caro ragazzo. E se ha altre domande, chieda pure di me… Sono disponibile su ogni tela. ”

Certo, come no.  
Ma non lo disse, limitandosi ad un inchino formale, alla maniera di Durmstrang, prima di incamminarsi con una certa fretta  verso l’uscita.
Quella conversazione, purché breve e con un essere non vivo, aveva avuto il potere di mettergli ancora più agitazione addosso.
Perché zio non mi ha mai detto che sono imparentato con Severus Piton?
Perché mi ha mentito, dicendomi che ero l’unico Prince rimasto? Certo, quell’uomo è morto vent’anni fa, ma comunque…
Sapere che qualcun altro, oltre suo padre, aveva condiviso con lui quel cognome… qualcuno di reale, non un nome privo di volto in un albero genealogico. …
E che è così strettamente legato alla storia di Harry Potter, peraltro.
Gli lasciava una strana sensazione addosso, come se improvvisamente qualcuno gli avesse indicato un’altra strada, quando era certo che ve ne fosse solo una.  
Non c’era stato solo un Prince, suo padre. Ce n’era stato un altro, benché con un cognome diverso.
Un eroe.   
Sciocchezze prive di senso. Devo avere la febbre.
E devo tornare al vascello.
Non fu facile arrivarci. Non tanto perché fu fermato, quanto piuttosto perché dovette fermarsi più volte per riposare. Quando finalmente arrivò, l’espressione dei due studenti di guardia la diceva lunga sulle sue condizioni.
“… Ehi, ti senti bene?” Chiese il più giovane, immediatamente tacitato da un’occhiata dello studente più anziano. Ovvero Radescu.
“Passa pure.” Replicò quest’ultimo con un tono di avversione così palese che probabilmente non era neppure sua intenzione mascherarlo.
Sören strinse i pugni, sentendo rabbia e umiliazione investirlo. Per quei ragazzi lui era un infiltrato, una spia. Mangiava con loro, dormiva a pochi passi da loro e li rappresentava.
Ma sono solo una farsa… e mi odiano per questo. Per loro il Tremaghi è una cosa seria.
Per me è solo un modo per avvicinarmi ai Potter.
Dopotutto, non poteva dire di non capire la repulsione che Radescu provava per lui.
“Poliakoff è dentro?” Chiese sforzandosi di dominare il tremore che gli aveva assalito le gambe. Era il momento di coricarsi. A lungo. Di spegnere il cervello, soprattutto. Stava pensando troppo, e a troppe cose a cui non avrebbe dovuto.
“Sì Luzhin, è nella vostra cabina.”
Entrò dentro. Salì le scale sentendo la nausea assalirlo di nuovo e quando giunse al ponte, sarebbe crollato in ginocchio se due braccia robuste non lo avessero sostenuto.
Le braccia di Dionis Radescu.
Mi ha seguito?
Lo guardò stupefatto. L’atro non disse nulla, limitandosi ad aiutarlo a tirarsi in piedi.
“Grazie…” 
Radescu gli lanciò un’occhiata penetrante. “Ti ho visto nell’arena, alla Prova. Ti sei battuto come un guerriero.” Disse scandendo ogni frase in un tedesco fortemente stirato su suoni slavi. “Non capisco perché servi gente del genere.”
Sören avrebbe voluto dirgli di non impicciarsi e di tenere a freno la lingua, ma non lo fece. Era troppo debole persino per quello.
Il ragazzo del resto non aggiunse altro. Si limitò a un inchino di commiato e a ridiscendere dal boccaporto.
Sören poi sentì la porta della sua cabina aprirsi e la voce di Poliakoff chiamare stupefatta il suo nome.
Sono tornato dove devo essere.
Non era una bella sensazione.
 
****
 
Appartamenti del Direttore di Tassorosso.
Sera.
 
“… è stato  un vero e proprio scontro tra titani. Sinceramente, pensavo che alla fine avrebbero cominciato a tirarsi addosso incantesimi.”
Harry rise, o meglio la testa di Harry che danzava nel fuoco magico del suo camino rise. Ma era una risata forzata, e Teddy se ne accorse.

“Sono davvero preoccupato.” Gli confessò, seduto a terra davanti alle braci. “I Presidi di Durmstrang e Beaux-Batons vogliono spostare il Tremaghi nelle proprie scuole. L’unico punto in cui convergono è che se non si farà così, ritireranno le proprie scuole dalla competizione.”
Che poi non sarebbe una cosa così stupida, visto quel che è successo. Feriti, gente traumatizzata e Hogwarts di nuovo assediata.
Quei pensieri però se li era tenuti per sé nell’ufficio dei professori, dove era avvenuto il brainstorming tra Presidi. Lui vi era rimasto incastrato in mezzo perché era uno degli organizzatori.
Aveva preferito appunto rimanere in secondo piano ed ascoltare tutto, per poi riferire al padrino.
Harry sospirò. “Il Ministero non ha fatto una bella figura l’anno scorso con la faccenda dei Naga, e così Hogwarts. Non credo vorrà permettersi cattiva pubblicità, e premerà perché il Torneo non venga chiuso.”
“Sì, ma ha le mani legate. Se due delle scuole competitrici si ritirano…”
“Non lo faranno davvero. Stanno solo minacciando.” Replicò l’uomo meditabondo. “Teddy, il Tremaghi non è una semplice competizione inter-scolastica.” Scosse la testa . “No, il Tremaghi è una dimostrazione di forza della gioventù magica di stati che posseggono le tre scuole più influenti d’Europa. È troppo importante, a livelli ben più alti.”

Ted si umettò le labbra. “A questo non avevo pensato…”
“E sono felice che tu non l’abbia fatto. Tutta questa politica mi dà il voltastomaco a volte, davvero.” Replicò il padrino con una smorfia. “Comunque sia, il vero obbiettivo che i Presidi vogliono raggiungere è far spostare la competizione nella propria scuola. Per prestigio, anche se avranno detto che è per motivi di sicurezza…”

“Quello di Durmstrang sembrava il più agguerrito.” Confermò Ted, ricordando il volto duro e sprizzante arroganza del Direttore Jagland. Mentre Madame Maxime aveva cercato di mantenere toni morbidi, proprio per l’antica amicizia che la legava alla scuola britannica, il mago nordico non si era fatto il minimo scrupolo.
Ad un certo punto sembrava che Vitious l’avrebbe steso con uno schiantesimo… di certo, ne aveva una gran voglia.
“Il Direttore Jagland. Già…” Harry sbuffò, palesando la sua antipatia per l’altro mago. “Si dice che sia stato calato sul suo posto, come un burattino. Dovrà compensare in qualche modo.”
Teddy sorrise alla frecciatina. A volte Harry aveva atteggiamenti che lo accomunavano molto al figlio di mezzo, Serpeverde ben fiero di esserlo.

Le mele non cadono mai lontano dall’albero, no?
“Al Ministero com’è la situazione?” Chiese, perché se lui dava informazioni a Harry, si aspettava quantomeno di averne in contraccambio.
Voglio sapere se i miei studenti e la mia scuola rischiano qualcosa.
“In attesa di ordini.” Rispose l’uomo con una scrollata impaziente di spalle. “La Direttrice sta aspettando un gufo dal Ministro per sapere a chi verranno affidate le indagini.”
“Tiratori o Auror? È questo il dilemma?”
“Proprio così.” Gli fu confermato. “Anche se è quasi certo che l’onore spetterà a noi. È stato appurato, anche dagli Indicibili, quella nebbia era opera di un mago oscuro. Il Ministro sicuramente aspetta il loro rapporto, e poi prenderà una decisione. Pazientare, quindi. La cosa in cui sono più bravo…” Scherzò.
“Bene!” Sorrise Ted: era sinceramente contento, e di pari sollevato: se Harry avrebbe preso in mano l’indagine con una delle sue squadre, avrebbero assicurato il colpevole alla giustizia prima di Natale.

Lui perlomeno ci credeva ciecamente.
“La decisione finale sul Tremaghi comunque spetta alle scuole, il Ministero può entrare solo nell’aspetto organizzativo, ma non decisionale.” Aggiunse Harry. “Sono arrivati a qualche decisione stasera?”
“No, nessuna. Domani ci sarà un nuovo incontro, si spera conclusivo. Per il momento è tutto congelato. Madame Maxime e Herr Jagland sono momentaneamente tornati alle rispettive scuole…”
“… per organizzare un contrattacco, ci scommetto la bacchetta.” Replicò ironico il padrino. “A volte mi chiedo chi abbia più influenza nel Mondo Magico. Se il Ministro, o un preside.”

Teddy rise di rimando. “È una domanda interessante… Penso che avremo presto una risposta. Comunque ti terrò informato.”
“Tom come sta?”
“Bene, oggi l’ho visto a lezione, ed è stato polemico come suo solito.” Rispose, sapendo bene quanto Harry fosse continuamente preoccupato per il secondo figlioccio. “Ha anche tentato di fermarmi per chiedermi se ti avevo parlato… a quanto pare sa che sono il tuo informatore.”  

Harry fece un mezzo sorriso. “Non gli sfugge nulla… sarebbe un eccellente auror, se solo ascoltasse qualcos’altro oltre la tua testaccia dura. Dovrò parlargli. Questa storia lo sta rendendo molto nervoso.”
“Come biasimarlo…” Ribatté. Poteva non stargli particolarmente simpatico – sapeva di dover essere imparziale come docente, ma a volte Thomas era davvero insopportabile – però poteva capire come si sentiva.

Sapere che la tua scuola è stata attaccata. Intuire che è stato tuo padre. E nient’altro.
Io sarei già impazzito.  
“Verrò nei prossimi giorni, se finalmente la burocrazia ministeriale deciderà di darsi una mossa e affidarci le indagini. Intanto cerca di tenerlo tranquillo.”
“Sai bene che non mi darebbe retta neanche se ne andasse della sua salute…” Replicò, neppure del tutto scherzoso. “Dirò ad Albus di tenerlo d’occhio.”
“Già, lui lo ascolta.” Confermò il padrino con un sorriso più rilassato. “È una fortuna che almeno uno dei due abbia un po’ di buonsenso in queste situazioni. Io e Ron non ci compensavamo affatto su questo.”
“Meno male che c’era Hermione, allora.” Rispose cortesemente, evitando di dirgli che non c’era niente di amichevole e fraterno ormai, nel rapporto tra quei due.

Non sarò certo io a dirglielo. Già ho fatto del mio a baciare James davanti ai suoi occhi.
Merlino, se ci ripenso… che imbarazzo.
A proposito di quello…
Lanciò un’occhiata all’orologio da taschino di suo nonno – caro e grato regalo per la sua nomina a Capocasa di Tassorosso.
Era quasi ora di andare da James. Se fosse arrivato tardi alla tanto rimandata visita della sua casa a lo avrebbe ucciso. Piuttosto ferocemente.
“Harry, ti devo lasciare… ho… degli impegni.” Andò sul vago, perché da quel punto di vista, era sempre meglio se parlavano non parlando. Harry aveva accettato la loro relazione, ma non era ancora pronto a disquisirne in perfetta serenità.
“Certo.” Disse infatti piuttosto frettolosamente. “Salutami Jamie.” Dopotutto era un auror pluridecorato, le sue doti investigative non erano facciata per articoli di stampa. “Ci sentiamo nei prossimi giorni.”
“Naturalmente.” Convenne, prima che il viso tra le fiamme sparisse. A quel punto si sbrigò a prepararsi.

È che gli dispiaceva. In quei mesi era stato così maledettamente occupato, ogni singolo giorno, da non potersi assentare neppure per una notte. I suoi doveri da Direttore di Tassorosso glielo avevano sempre categoricamente proibito.
Senza contare quelli derivato dall’organizzazione del torneo.
Ma finalmente era riuscito ad avere l’agognata sostituzione, supplicando la professoressa di Babbanologia – ex-tassorosso come lui – di dare un occhio ai suoi ragazzi per quella sera.
Infondo, non sono mica grifondoro.
Quando fu finalmente pronto – era riuscito a legarsi male le stringhe e sedersi sulla bacchetta - spense le fiamme del camino e vi entrò.
Quello era un suo piccolo segreto: l’anno prima quegli appartamenti erano appartenuti alla Prynn, e da essi era scappato John Doe, aprendo un collegamento via camino.
Ed io… beh. Mi sono dimenticato di fare richiesta di chiudere il collegamento.
Dopotutto non era una vera e propria infrazione: se era proibito aprire un camino, non era proibito invece mantenerlo tale.
 
Cinque minuti dopo camminava a passo spedito per le vie di Diagon Alley che si stavano accendendo delle luci tenui della sera. Si fermò a prendere la torta che aveva ordinato via Gufo il giorno prima. James l’avrebbe preso in giro a morte, per quelle sue pensate da perfetto fidanzato, ma a lui piaceva vedere come arrossiva sulle orecchie e divorava quei gesti da fidanzatino idiota.
Tanto, si sa, l’ho sempre viziato.
Notturn Alley era sinistra e  sporca come se la ricordava e decisamente non gli fece una bella impressione. Ad un certo punto dovette persino nascondere la busta con la torta, a rischio di essere assalito da figuri che sembravano aver perso caratteristiche civili molto tempo prima.
L’appartamento di James però era in un palazzo meno orribile e fatiscente di quanto avesse pensato. Il classico palazzo i cui affitti giustificavano la presenza di inquilini giovani, semplicemente.
Salì le scale e finì per bussare al grosso battente. Quello aprì gli occhi – era una chimera piuttosto brutta – e lo fissò con aria beffarda.
“Che ci fa un precisino come te nella tana della perdizione?” Lo apostrofò con accento dell’East End.
… tana della perdizione?
“Ehm.” Disse, non sapendo bene come rispondere. “Vengo a trovare il mio ragazzo?”
“Oh, sei un altro di quelli!” Sghignazzò il battente con insolenza.
Un altro?!
La porta improvvisamente si aprì di scatto e Ted si trovò di fronte James, arruffato e leggermente ansimante, come se avesse fatto uno scatto per venire alla porta. “Oddio, Teddy!” Sbottò, prima di aprirsi in uno dei suoi sorrisi da una trentina di denti. “Non badare a Peter, è un fottuto coglione.”
“Peter?”  

“Il battente.” Spiegò conciso, afferrandolo e tirandolo dentro. “Lenny l’ha incantato perché tenga fuori… uh.” Si bloccò. “È un discorso lungo… comunque io non c’entro niente!”
Teddy sorrise, perché non c’era molto altro da fare. James aveva l’aria di chi era appena uscito dalla doccia, capelli umidicci inclusi. Indossava una maglietta arancione dei Chudley’s e dei vecchi denim sdruciti.
Avrebbe dovuto chiedergli delucidazioni sullo stato pietoso del salotto che vedeva dietro di loro, ma…
Al diavolo.
Posò la torta a caso e se lo tirò contro, per un bacio al sapore di dentifricio e bagnoschiuma.
Si staccò trattenendo una risata. “Ti mangi ancora la schiuma da bagno?”
No!” Sbottò James avvampando e così affermando il contrario. “… è che sembra sempre così gustosa. Stupida schiuma magica.”

“Grazie al cielo non è nociva. Sarà meglio che mangi la torta che ti ho portato però…”
“Cazzo, Teddy, non sono mica una fidanzatina rompicoglioni! Non dovevi portarmi nie…”
“È alle noci e melassa, la tua preferita mi sembra, no?”
“Ti amo.” Stavolta fu Teddy a beccarsi in bacio con lappata alle labbra inclusa. Dopo tale dimostrazione di gratitudine, si sentì autorizzato a passargli le mani lungo il basso schiena.

Merlino, se gli era mancato.   
James lo afferrò per la camicia e lo trascinò a tentoni verso qualcosa. Teddy finse di non notare i rimasugli di un evidente party sparsi ovunque, da piatti a bottiglie di birra vuote. Era chiaro che aveva provato a far ordine, ma lì dentro c’era un classico esempio di caos studentesco.
Normalmente avrebbe tentato di riordinare, ma al momento era troppo concentrato sulla pelle liscia della schiena di James e su come sentiva contrarsi i muscoli sotto il suo tocco.
Impattarono su un divano, con un orribile rumore di molle cigolanti. Teddy si staccò dalla gola dell’altro per alzare la testa, temendo che si schiantasse sotto il loro peso congiunto.
“Jamie, ma questo divano…”
“Quinta o sesta mano. Ma tranquillo. È comodo se ignori il rumore raccapricciante…” Ghignò l’altro mordicchiandogli il mento. “Teddy, ho voglia.” Mormorò poi, mentre quei liquidi occhi nocciola sembravano spogliarlo con lo sguardo.
James era così. Era caos, e riduceva la sua tanto declamata ragione a pensieri da primate.

Era riposante ed eccitante assieme.
Gli sfilò via la maglietta, che finì in un cumulo arancione sul pavimento. Sentì le dita di James infilarglisi trai capelli e scivolare fino alle spalle.

“Sono proprio blu adesso…” Sussurrò il ragazzo più giovane, prima di ispirare appena quando gli prese un capezzolo tra le labbra. “Teddy…” Mugolò, cercando al tempo stesso di strappargli via la camicia, o sfilargliela, non aveva capito quale delle due fosse l’intenzione.
Poi si sentì un crack! vivace. Teddy saltò in piedi immediatamente. Quel rumore l’avrebbe riconosciuto ovunque: era una materializzazione.
“Oh, ops!” Disse infatti una voce, che apparteneva conseguentemente ad un marcantonio di colore, con lunghi dreads fino al sedere. “Mi dispiace ragazzi, non sapevo la casa fosse occupata!” Alzò le mani in segno di resa. Aveva un sacco di anelli alle dita e una maglietta scomodamente aderente sui pettorali tesi.
Teddy lesse la scritta in toni sgargianti.
Lanciatore?
Ma non esiste un ruolo simile nel Quidditch. Forse nel baseball americano, ma …
Il ragazzo incrociò il suo sguardo e fece un ghignetto. “No, non è riferito a quel gioco babbano e americano, amico. Allusione gay?”
Dopo lo sghignazzetto di James alle sue spalle, gli giunse l’illuminazione.
… Ah. Oh.
Per l’amore di Merlino.
James a quel punto si tirò in piedi, minimamente turbato dal fatto di essere a petto nudo e con i jeans slacciati. “Ehi Len… arrivi proprio a cazzo.” Lo apostrofò con un cenno scocciato. “Pensavo tornassi tardi.”
“Al San Mungo mi hanno dato il benservito in quattro e quattr’otto. Ormai siamo alle visite di routine, per fortuna.” Rispose quello con un affabilità che non gli piacque. Specie per come rimirò i pettorali del suo ragazzo. “Comunque Jimmy, prossima volta che ti porti qualcuno… Il segnale, eh? Un bel calzino alla porta.”

“Vero. Di solito sono io quello che deve ammirare i tuoi attaccati al povero Petey.” Ghignò, ricordandosi poi della buone maniere. “Ah! Len, lui non è uno…” E lanciò un’occhiataccia al tizio. “È Ted, il mio ragazzo. Teddy, lui è Lionel, il mio favoloso coinquilino.” Li presentò con un cenno svagato della mano, prima di infilarsi malamente la maglietta su per la testa.
Lionel andò subito a stringergli la mano cordiale, e Ted ce la mise tutta per sembrare felice di fare la sua conoscenza. “Teddy…” Disse quello, scandendo lentamente il nome. “Ted Lupin? Ma sì!” Esclamò improvvisamente. “Tu sei Biblioteca Lupin!” E fece una mezza risata.  
… Sì, anch’io mi ricordo di te. La McGrannit ti beccò con una borsa piena di erba e ti diede centonovanta punti di detenzione. Eri a Grifondoro al mio stesso anno, vero?
Si spalmò un sorriso cortese in faccia, fingendo di non notare che James gli stava scrutando preoccupato i capelli. “Io in persona… è passato molto tempo Lionel. Come stai?”
“Bene, maledizione in corso a parte.” Scrollò le spalle. “Sai, lavorare alla Gringott è eccitante, ma prima o poi ti becchi qualche spirito di faraone incacchiato e bam! Tocca tornare e farti mettere a posto al buon vecchio Mungo.”
“Lenny lavora come Spezza-Incantesimi. Come zio Bill. Non è figo?” Esclamò James, guardandolo con palesissima ammirazione.

Ted ebbe voglia di strangolare il favoloso Len con una delle collanine etniche che sfoggiava sul collo abbronzato.
“Molto.” Sentiva che la mascella rischiava di fossilizzarsi in un sorriso perenne. “Vedo che vi trovate bene assieme.”
Lionel ne approfittò per passa un braccio attorno alle spalle di James. “Beh, il buon Jimmy è il coinquilino ideale. Fa la spesa, paga le bollette ed è un discreto animale da party. Vero ragazzino?” E gli arruffò i capelli.

Ted ebbe la netta sensazione i suoi, di capelli, avessero appena cambiato colore da una nuance fredda – il suo amato blu – ad una molto calda.
Rosso lava, da quel che posso vedere.
James per fortuna se ne accorse – beh, era un po’ difficile non farlo del resto. Allora si schiarì rumorosamente la voce. “Ohi, Len… senti. Ti dispiace…?”
“Farmi quattro passi? Nessun problema fratellino. Ci becchiamo dopo.” Si infilò il mantello, per quanto fosse piuttosto bizzarro abbinato a quella maglietta allucinante. “Piacere di averti rivisto Lupin. E per Circe, lasciatelo dire… ho sempre saputo che eri gay fino al midollo!”
“Tutto mio.” Si scollò dal palato, perché l’educazione per lui era una funzione di default.
Quando il tipo se ne fu finalmente andato, si sentì un po’ sciocco e parecchio incazzato.
James si chiuse la porta alle spalle, con cura. Gli lanciò poi un’occhiata valutativa. “Teddy, sembri un vulcano pronto ad eruttare…” Osservò.
“Sto benissimo.”
“Col cazzo, eh. Se permetti.”
“Non usare quelle parole, James…” Borbottò mentre i capelli cominciavano ad assumere una simpatica sfumatura rosata.  

“Infatti ho detto se permetti.” Rispose l’altro raggiungendolo. “Perché ti sei arrabbiato?”
Teddy ci rifletté.
“…  non lo so.” Concluse. Cioè, lo sapeva. Ma era davvero troppo ridicolo.  
James fece un sorriso. Niente sogghigni o preludi a risate roboanti. Era uno di quei suoi sorrisi timidi, che personalmente adorava. “Era perché t’ha chiamato Biblioteca Lupin? Me lo ricordavo anche io quel nomignolo… non è così tremendo, dai!”
“No, non è per quello, anche se non è stato tanto carino a ricordarmi di come la mia vita sociale ad Hogwarts fosse inesistente.” Sospirò sedendosi sul divano che lanciò un cigolio agghiacciante. James lo imitò subito, sedendoglisi accanto.

“Sei sempre stato un secchione stupendo.” Gli assicurò passandogli un braccio attorno alle spalle. “E non devi essere geloso. Lenny non è il mio tipo!”
… colpito e affondato.
“Non sono…” Si bloccò, sentendosi un cretino, mentre James ridacchiava contro la sua spalla. “Va bene, forse. Dopotutto Lionel è uno fighissimo coinquilino.” Imitò i suoi toni entusiasti.
Non era mai stato geloso di Victoire. Certo, magari a volte era stato infastidito dalle torme di spasimanti in adorazione, ma non aveva mai provato quel desiderio violento di torcere il collo a nessuno di loro.
A quel bellimbusto invece sì.
Nessuno arruffa i capelli a Jamie. Non davanti a me. E neanche dietro.
James gli tirò una testata sulla spalla, metodo tutto suo per dimostrargli affetto.
“Preferisco un topo di biblioteca ad un avventuriero. Sono io l’uomo d’azione… tu sei quello che prende la sua tazza di the alle cinque.” Gli sorrise dolcemente.
Teddy sospirò, ricevendo grato il bacio che James gli stampò sulle labbra. “Scusa.” Mormorò. “Penso di aver reagito come uno stupido, perché mi sento in colpa. In questo periodo ti ho trascurato parecchio.”
“Ehi, sei un Direttore di Casa durante il Torneo Tremaghi. Che peraltro ha simpatiche sorpresine tipo i Dissennatori.” Snocciolò serio. “Lo so che non puoi lasciare torme di mocciosetti bisognosi… specie perché sono di Tassorosso.” Ghignò, scansando lo scappellotto. “Non sono più un bambino che strilla per avere la tua attenzione, Teddy. Posso cavarmela.”

Ted si sentì un pochino peggio se possibile. James si stava dimostrando maturo, e di questo era felice e sollevato. Ma dall’altra parte sapeva che aveva bisogno di lui, e tutto quello che poteva offrirgli era di venire a dormire ad Hogwarts.
Perché non hai ancora deciso di prendere una casa tua… e rimandi, rimandi. Procrastinatore!
La sua voce interiore aveva il tono di nonna Andromeda.
“Comunque sono contento che tu stia meglio adesso.” Disse dopo qualche attimo.  
“Oh, sì! Va meglio, è vero.” Confermò l’altro con un sorriso. “Da quando c’è Lenny… beh, stare a casa è meno deprimente. Usciamo spesso assieme, con Bobby e altra gente …”
Mh.  

“E questi party folli?” Chiese fingendosi assolutamente deliziato all’idea che il suo ragazzo fosse un animale da party.
“Non sono tanto folli… cioè, nella norma della scala della follia.” Borbottò James, arrossendo. “Lionel sa organizzare delle gran feste, è tutto qui.” Si illuminò d’improvviso, segno di un’idea repentina. “Ah, la prossima settimana ne facciamo uno! Magari potresti venire!”
Ma anche no. Mi conosco. Sarei la tappezzeria multicolore della serata.

… certo. Allora lasciamo pure Jamie con Lenny-il-Lanciatore-barra-Datore.
La sua anima da pensionato urlava dilaniata, ma la sua gelosia la soffocò prontamente a badilate.
E poi quello era anche un modo per James di coinvolgerlo nella sua nuova vita. Non poteva tirarsi indietro.
“Certo, perché no. Vedrò di liberarmi.”
Il suo ragazzino esplose allora in un sorriso tutto denti, e a Teddy non restò che sperare che il Preside avrebbe accettato una sua improvvisa malattia per quel venerdì.
 
 
****
 
 
Note:
Capitolo di passaggio. E poi vi avevo promesso un po’ di Teddy/James.


1. Qui la canzone.
2 . “Mael vai, ci vediamo dopo.” Si ringrazia Narcissa per la traduzione.
3. Nel Congo francese (aka Repubblica del Congo) il francese è la lingua ufficiale. Ovviamente mi sono immaginata del tutto che la madre di Blaise Zabini venisse da quel posto. Come l’ho sempre immaginata una panterona alla Naomi Campbell. :D

4. Tributo a Queer As Folk e a Brian. Nello slang inglese, ‘Pitcher’ è letteralmente l’attivo della coppia. Qui la prova e qui la maglietta.
  
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