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Autore: IoNarrante    06/05/2011    9 recensioni
Cosa vi aspettereste da una vacanza in un villaggio? Sole, mare, magari qualche flirt estivo.. niente di più! Questo è ciò cui pensava Francesco, quando, con i suoi amici dell'università, è partito per la Puglia, per una vacanza post-laurea. Ma è bene fare attenzione a scegliersi le compagnie con cui passare quattordici giorni della propria vita.. altrimenti si può incappare in una scommessuccia, dapprima innocente, ma che costringe il nostro povero protagonista, sciupafemmine e perennemente single, ad imbarcarsi in un'avventura con una ragazza.. come dire.. non proprio della sua 'taglia'..
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5

  ~A distanza di un bacio~    
betato da Pepita

La caccia al tesoro fu più divertente di quanto mi sarei mai aspettata all’inizio. Francesco ci aveva preso gusto dopo che insieme avevamo scovato il primo animale della lista e ogni volta che incontrava qualcosa che si muovesse appena, mi faceva degli strani cenni per attirare la mia attenzione.

 «È la tana di un tasso» sospirai per la decima volta.
 Ero felice che avesse preso tanto a cuore la sfida ma stava cominciando a diventare davvero snervante stargli dietro. Per ogni nonnulla gridava ‘Sole, Sole! È qui, è qui!’ fino a quando non scoprivamo che si trattava di un semplice gatto selvatico o, addirittura, delle sue stesse impronte lasciate poco prima nel fango.
 Quando facemmo la sosta per il pranzo, però, avevamo totalizzato ben sette specie su un totale di dieci e ci potevamo ritenere più che soddisfatti.
 «Pensate che riusciremo a vincere la sfida?» domandò l’amico di Francesco sedendosi di peso sul suo zaino e trangugiando uno dei panini al tonno.
 «Fertafenfe!» farfugliò Polpo, senza nemmeno finire di masticare il suo panino al prosciutto. «La nosfra Fole è una in gamfa!».
 Sorrisi a mala pena, piuttosto imbarazzata da tutta quella considerazione, soprattutto perché non avrei potuto chiedere di meglio per come si stava evolvendo quella giornata. Prima di partire avevo messo in conto di passare quasi tutte le escursioni in compagnia di me stessa, invece mi ritrovavo insieme a due ragazzi piuttosto carini e ad una tipa all’apparenza un po’ inquietante.
Quella Sara aveva un’aria familiare, ma non ricordavo proprio dove l’avevo vista prima di allora.
 «Allora, Sole, dicci qualcosa di te» se ne uscì Giorgio, facendomi subito avvampare.
 Nonostante cercassi di articolare qualche parola di senso compiuto, il mio sguardo non riusciva ad evitare di scontrarsi con quello di Francescoche sembrava piuttosto interessato a quella domanda.
 «C-cosa devo dire?» balbettai maledicendomi per essere una completa idiota nelle relazioni sociali.
 «Non lo so, potresti raccontarci cosa fai nella vita, quali sono i tuoi interessi..» suggerì sempre Giorgio.
 «..oppure quando deciderai di metterti a dieta» commentò improvvisamente Sara usando un tono ironico ma pur sempre offensivo.
 L’avevo inquadrata bene quella e non mi piaceva affatto. Sin da quando eravamo partiti per Bosco Umbro avevo notato che la sua attenzione non era rivolta ad altri se non a Francesco, come se nutrisse qualcosa per lui. Ovviamente quel suo comportamento mi ferì, ma passò in secondo piano visto che mi ero già messa in guardia su Polpo e su tutta la sua combriccola.
«Falla finita, Sara, e tu smettila con queste domande, Giò. Non siamo mica nell’Inquisizione» lo udii borbottare, rimettendo le cose nello zaino e facendo fagotto.
 «Ehi, amico, che c’è di male se le faccio qualche domanda, sempre che non lei non si offenda» si giustificò quello, non capendo dove il comportamento di Francesco volesse andare a parare.
 C’era una certa complicità fra quei due, perciò dedussi che fossero piuttosto amici ma gli sguardi partecipi che si lanciavano di tanto in tanto, coinvolgendo anche quella Sara, non mi piacquero affatto e mi dissi di stare all’erta.
 «Non mi dispiace rispondere a qualche domanda» sorrisi, cercando di sembrare il più normale possibile.
 «Hai visto?» gli fece Giorgio, con un sorriso a trentadue denti.
 «Hai visto, gne, gne!» e Francesco gli fece il verso, sfottendolo un po’.
 Giorgio rimase sulle sue e arrossì quasi impercettibilmente, ma io, da vera intenditrice, lo scorsi subito.
 «Vado a fare due passi mentre voi due vi scambiate i pettegolezzi come delle comari» borbottò, infilandosi le mani in tasca e incamminandosi verso Ovest.
Lo guardai allontanarsi senza riuscire a deviare lo sguardo dal suo fondoschiena perfetto, fasciato da un paio di pantaloni a tre quarti piuttosto larghi. Non appena mi accorsi dei miei pensieri poco casti, per poco il mio viso non fu arso dalle fiamme e cercai di darmi qualche contegno altrimenti sarei sembrata una perfetta idiota davanti ai suoi amici.
 «Lo accompagno» ci comunicò Sara, alzandosi in piedi e sistemandosi i capelli castani corti e sbarazzini.
 Non potei fare a meno di notare come Giorgio puntasse le sue iridi nocciola verso di lei e mi sembrò lo stesso sguardo venereo e non ricambiato che io stessa avevo sfoderato poco prima con Francesco. Se qualcuno ci avesse osservati da fuori, avrebbe visto due poveracci completamente persi di due persone irraggiungibili per i nostri standard.
 Tutto sommato, Giorgio non era del tutto da buttare via. Non possedeva il sorriso di Francesco, quello era certo, perché senza le fossette nessuno avrebbe mai preso il suo posto, però quegli occhi espressivi e quei capelli neri, piuttosto spettinati, gli davano un’aria serena e piacente e, per certi versi, eravamo più simili di quanto avessi mai potuto pensare.
 
 
***
 
 
«Ehi, vuoi aspettarmi?».
 La voce di Sara alle mie spalle mi tampinava peggio del rumore assordante che faceva il Picchio dorsobianco mentre incideva sul legno dei faggi. Dannazione! A forza di frequentare Sole mi stavo trasformando in uno di quei naturalisti falliti che si vedono su Discovery Channel.
«Che vuoi?» le chiesi esasperato e lei mi guardò sorpresa.
 Non sapevo nemmeno io perché fossi così su di giri, ma quando Giorgio aveva cominciato a riempire Sole di domande era come se qualcosa di sopito si fosse improvvisamente risvegliato dentro di me.
Io non sapevo nulla di lei e non volevo conoscerne niente. Avrei rovinato per sempre la vita di quella ragazza per colpa di Sara e degli altri miei amici ma la cosa che mi faceva veramente incazzare era la consapevolezza che, alla fine di tutto, la colpa sarebbe stata unicamente miae di nessun altro.
 «Volevo soltanto tenerti compagnia» mormorò Sara e mi sorprese vederla, per la prima volta, così vulnerabile.
 Rimasi indeciso sul da farsi per qualche istante, poi continuai a camminare dritto per dritto, senza fermarmi a guardare indietro. Mi serviva un attimo di pausa, un momento per staccare da quella giornata che era iniziata con la finzione e aveva tutte le carte in regola per finire allo stesso modo.
Sentivo i passi di Sara che echeggiavano dietro i miei e mi sentii braccato. In tutta la mia vita non mi ero mai voluto legare a qualcuna proprio per non sentirmi come un animale in gabbia, invece mi ritrovavo invischiato in un rapporto a tre che nemmeno avevo mai desiderato. Da una parte c’era Sole, vittima innocente della mia codardia, e dall’altra c’era Sara, la cui unica colpa era stata quella di invaghirsi del sottoscritto. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quello? Era forse la legge del contrappasso? Visto che in tutta la vita non avevo mai avuto un rapporto duraturo ora ne avrei pagato le conseguenze vivendone uno completamente finto?
 «Ti prego, fermati, vorrei parlarti» ci riprovò Sara e quando constatai che eravamo abbastanza lontani da Giorgio e Sole decisi di concederle una possibilità.
 «Parla» la incitai, utilizzando un tono non troppo accondiscendente.
 Sara si avvicinò, forse un po’ troppo, e tentò di stabilire un contatto sfiorandomi la mano. D’istinto indietreggiai ma soltanto in seguito compresi di averla offesa reagendo in quel modo. Cos’altro potevo fare? Mi aveva ingannato e aveva cercato di rovinare la mia amicizia con Giorgio per sempre!
 «Scusa» disse mortificata e cominciò a torturarsi il labbro inferiore.
 «No, scusami tu.. è che sono un po’ sotto pressione in questi giorni» le risposi alludendo, ovviamente, alla scommessa.
 «Stai andando bene, comunque» mi fece notare offrendomi una sorta di tregua.
 «Non certo per merito tuo. Grazie per prima..» sibilai riferendomi al commento poco gradito che aveva rivolto a Sole.
 Il sorriso simile ad un ghigno tornò sul suo volto facendo trasparire anche quel velo di malizia che tentava di tenere inutilmente nascosto dietro un’espressione timida.
 «Mi è sfuggito» si giustificò poi, avvicinandosi. «Devi ammettere che le farebbe bene perdere qualche chiletto, almeno non sembrerebbe la cugina dell’attrice che interpreta Hairspray. Suvvia, non fare quella faccia, lo sappiamo entrambi che se non ti avessi costretto ad accettare quella scommessa non te la saresti cagata di striscio una così..».
 «Sei proprio una stronza» le dissi senza mezzi termini. Non me ne fregava una ceppa offenderla, se lo meritava. In fondo, anche se ciò che aveva detto corrispondeva alla realtà, utilizzava sempre dei termini che mi facevano sentire un vero pezzo di merda e gliela dovevo far pagare in qualche modo.
«Vaffanculo» mi rispose senza abbandonare quel sorriso sadico. Era come se quelle offese che ci scambiavamo fossero una sorta di complimenti per lei, anche perché giurai che mi stesse mangiato con gli occhi in quel momento. «Lo so che lo vuoi anche tu» mi disse leccandosi le labbra. «Non vedi l’ora di farti una sana scopata, ho indovinato?».
 Andava dritta al punto, non c’è che dire. Se si fosse trattata di qualsiasi altra ragazza un pensierino ce l’avrei pure fatto, ma Sara era zona proibita ed era stata soltanto colpa sua se ora mi ritrovavo invischiato in quel casino, perciò dovevo limitare il più possibile i danni collaterali.
 «Non ti avvicinare» le intimai indietreggiando di qualche passo.
 Lei non mi ascoltò affatto e continuò ad avanzare, imperterrita. Avevo il cuore che mi batteva a mille e non per l’attesa di qualcosa che sarebbe potuto succedere tra di noi, ma per il timore di essere visto da Giorgio.
«No, Sara. Ho detto di no!» le urlai spingendola via e facendola barcollare all’indietro.
 Col suo sguardo per poco non m’incenerì ma mi ero sentito in dovere di fare qualcosa, anche se si era trattato di un’azione piuttosto drastica. Eravamo l’uno di fronte all’altra e ci osservavamo come cacciatori in attesa di un passo falso.
«Dove siete, ragazzi?» si udì la voce di Giorgio da lontano.
 Il sudore mi si gelò addosso mentre decisi di tagliare corto con Sara e riprendere da dove avevamo iniziato due giorni prima.
 «Lasciamoci questa storia alle spalle» le dissi sperando non peggiorasse la situazione.
 «Tu pensa a scoparti Moby, io vedrò di saldare il conto» mi ricordò lei ringhiando.
 Dopo pochi minuti vedemmo Sole e Giorgio che spuntavano dagli alberi con i nostri zaini in mano. Tirai un sospiro di sollievo e ringraziai il mio autocontrollo per non aver mandato a farsi fottere tutto ciò per cui avevo lavorato in quelle quarantotto ore.
 «Dove cazzo eravate finiti?» ci domandò Giorgio, lievemente sospettoso.
 «Abbiamo camminato per un po’, poi ci siamo persi» tagliò corto Sara riprendendosi il suo zaino.
 Non seppi se lo fece volontariamente oppure no ma passando accanto a Sole la urtò di proposito, facendola sbilanciare e cadere a terra.
 «Attento a non finire nella voragine creata dal suo culo, stellina» mi suggerì sorridendomi.
 Il suo sorriso diabolico mi fece rabbrividire e non sapevo davvero come Giorgio, un tipo così semplice e solare, potesse provare attrazione per una strega di quel calibro. Vallo a capire!
 «Ti aiuto, vieni» mormorò Giorgio porgendo la mano a Sole e aiutandola ad alzarsi.
Per tutta la durata della scenetta rimasi imbambolato come uno stoccafisso, senza riuscire a muovere un muscolo. Mi ero proprio rincitrullito, dovevo ammetterlo. Non solo avrei dovuto conquistare la fiducia di Sole facendola innamorare di me e portandomela a letto ma, durante tutto questo, dovevo sfuggire alle grinfie di Sara e mentire a più non posso al mio migliore amico. Peggio di così..
 
Erano le quattro e mezza del pomeriggio e alla nostra lista mancava unicamente la specie di Ophrys apulica, un’orchidea lilla che cresceva nel cuore del Bosco Umbro. Ero ad un passo dalla cena che mi ero ripromesso di soffiare a quella specie di bellimbusto tatuato ma dell’orchidea non se ne vedeva nemmeno l’ombra.
 «Stiamo girando a vuoto da ore, non dovremmo tornare indietro?» domandò Sara, esausta.
 «In effetti abbiamo collezionato nove specie su dieci, non è male..» si aggiunse Giorgio.
 Le loro lamentele cominciarono davvero ad infastidirmi, soprattutto perché avevo come l’impressione che se non avessi trovato tutte le specie della scheda avrei perso Sole. La guardai con la coda dell’occhio mentre mi stava di fianco ricontrollando le foto dalla sua Reflex.
 Era ignara di tutto ciò che le accadeva attorno, anche se non ero sicuro che fosse particolarmente in pericolo con quelle specie di amiche che si ritrovava. Sentii come un istinto protettivo nei suoi confronti ma lo repressi subito per non risultare un perfetto imbecille. Da quando era cominciata quella storia mi sentivo sempre più rammollito e non era un bene per la mia immagine.
 Ero pur sempre Francesco Russo, il laureato più sexy della Luiss!
 Se solo i miei compagni di corso mi avessero visto vestito in quella maniera ridicola, accanto ad una ragazza altrettanto ridicola, sarei calato al penultimo posto nella classifica dei fighi ma sarei svettato al primo in quella degli sfigati. Povero me.

 «Secondo la cartina, se ci dirigiamo oltre quel ponte di legno, dovremmo trovare l’orchidea» disse Sole soddisfatta indicando davanti a noi due tronchi traballanti e un paio di assi orizzontali dall’aspetto piuttosto marcio.
 «E quello sarebbe un ponte?» osservò Giorgio. «Non ci reggerà mai tutti quanti».
 «Di sicuro non sopporterà il peso di Moby» ridacchiò Sara.
 «Finiscila!» la ammonii ma Sole aveva sentito tutto.
 Con uno sguardo di sfida si assicurò per bene la Canon e lo zainetto, stringendo le cinghie, e si mise in tasca la cartina. «Io vado» annunciò e salì su una delle travi.
 «No, aspetta!» le dissi preventivamente, ma non perché avessi paura che il suo peso sfondasse le travi. Evidentemente lei lo recepì come un’offesa e proseguì senza ascoltarmi.
«Guarda cosa hai fatto» ringhiai in direzione di Sara e lei, in risposta, mi sorrise angelicamente.
 Senza altra alternativa davanti, mi rimboccai le maniche e montai sopra quel trabiccolo, attraversandolo in precario equilibrio. Mossi appena due passi che le travi si misero a ballare, mentre vedevo Sole, davanti a me, che procedeva con la medesima cautela.
 «Fai attenzione!» le urlai temendo che potesse farsi male.
 «Fatti gli affaracci tuoi» mi rispose voltandosi e facendomi la linguaccia come una bambina di cinque anni.
 Nessuno mi aveva mai fatto la linguaccia.. Sole era davvero una creatura stranissima.
 «Cercate di non cadere» ci suggerì Giorgio ed io, per poco, non tornai indietro per strozzarlo.
 «Grazie, genio!».
 Ci mancavano solo i suoi consigli insulsi per completare questa già disastrosa giornataccia. Ora rischiavo anche la vita, cos’altro mi sarebbe dovuto capitare ancora?
 Poco dopo Sole riuscì a raggiungere l’altra sponda del crepaccio, mentre io accelerai il passo per finire al più presto quella tortura.
 Quando fummo entrambi dall’altra parte ci guardammo indietro e, personalmente, ringraziai tutti i santi in paradiso per avermi fatto attraversare quel ponte completamente incolume.
 «Voi non venite?» domandai più a Giorgio che a Sara.
 «Preferiamo rimanere da questa parte, in salvo!» mi rispose Giorgio sorridendomi e passando un braccio attorno alle spalle di Sara.
 Se soltanto avesse aperto gli occhi e si fosse accorto di quanto quella ragazza potesse essere infima e subdola, a quest’ora si sarebbe gettato dal dirupo pur di non abbracciarla. Poveretto.
 Mi voltai per incontrare lo sguardo di Sole ma accanto a me non c’era nessuno. Girai la testa di qualche grado per vederla incamminarsi, veloce e decisa, più a Nord tenendo la mappa ben salda in entrambe le mani. Quella ragazza mi avrebbe mandato ai matti, lo sapevo!
 «Tornate al più presto, manca poco al crepuscolo» mi ricordò Sara, assicurandosi che non passassi troppo tempo in compagnia di Moby.. ma che premurosa!
 Le feci un cenno con la mano e mi lanciai all’inseguimento di Sole che era partita in quarta ed ebbi come l’impressione che volesse evitarmi a tutti i costi. Che ce l’avesse con me per quell’incomprensione sul peso? Dalle ragazze ci si poteva aspettare di tutto, era meglio non parlare con loro.
 «Ehi, Sole, aspettami!» le urlai dietro sentendo la milza che cominciava a pulsarmi.
Dannazione, ero proprio un rudere! Da quando avevo smesso di giocare a calcio e avevo cominciato a trastullarmi sui libri ogni due passi che facevo in più del normale mi sentivo senza fiato. Invece Sole, per quanto non fosse proprio un grissino, macinava chilometri peggio di un maratoneta!
 Riuscii a raggiungerla per miracolo e le posai una mano sulla spalla, pregandola di fermarsi. Lei si voltò e mi rivolse uno sguardo misto tra un inceneritore e una scarica di fulmini divini. Crollai a terra come un sacco di patate mentre lei continuava a guardarsi intorno per riconoscere il luogo dove avremmo dovuto trovare le orchidee.
 «Sono morto» sospirai senza fiato.
 «I morti non parlano» osservò lei, cinica.
 Mi ero scavato la tomba da solo quel giorno e tutti i progressi che avevo fatto con lei si erano ritirati non appena avevo aperto bocca. Tutta colpa di Sara e della sua linguaccia biforcuta.
 Il profilo di Sole dal basso era niente male. Avevo la vista un po’ annebbiata dal sole e dalla stanchezza, ma dalla cintura degli short panna spuntava fuori una canottierina bianca, molto attillata, con sopra una camicia a scacchi piuttosto larga. Spalmato a terra com’ero notai che solo da quella prospettiva si potevano distinguere bene le sue forme.
Dovevo pensare ad altro oppure mi sarei sentito un tantino pervertito.
 «Da questa parte» disse all’improvviso, distraendomi dai miei pensieri.
 «Dove stai andando?» le chiesi alzandomi a fatica e continuando la maratona.
Ovviamente non mi rispose e continuò a camminare spiaccicando la faccia su quella stramaledetta cartina. Avrei voluto strappargliela di mano e costringerla a guardarmi, ma m’infilai le mani in tasca e continuai a seguirla, muto come un pesce.
 Erano le 16.45 ormai, non saremmo mai riusciti a tornare in tempo per concludere la gara. L’immagine di Tarzan che riceveva in premio la cena a Peschici mi faceva ribollire il sangue nelle vene, soprattutto sapendo che avrebbe invitato Sole con lui. Avrei dovuto vincere io quella stramaledettissima sfida! Cazzo.. quel bastardo avrebbe mandato tutto a monte.
 «Senti, Sole.. non vorrei metterti fretta ma..» a quel punto si girò e mi zittì, posandomi una mano sulla bocca.
I suoi occhi grigi erano uno specchio lucente dove potevo vedervi riflessa l’emozione di quel momento. Le lentiggini risplendevano su quella pelle color caramello, mentre la mia mente non riusciva a mettere un pensiero lucido dietro l’altro.
 Spostò la testa leggermente, indicandomi una radura poco distante da noi, e seguendo le sue indicazioni mi ritrovai faccia a faccia con un cervo, o almeno era quello che credevo. Brucava l’erbetta attorno a dei fiori bellissimi, dal color lavanda, che riconobbi come le orchidee che tanto cercavamo. Sembrava non essersi affatto accorto della nostra presenza e continuava beato senza interrompere il suo rituale.
 Sole lo guardava rapita, come mai avesse visto una creatura tanto bella in tutta la sua vita. Quell’emozione, quel rispetto e quel trasporto che ogni volta vedevo riflesso nei suoi occhi era così raro da trovare in una persona e significava soltanto una cosa: passione.
 «Fai piano» mi disse lasciandomi andare e imbracciando la macchina fotografica.
 Obbedii senza soprattutto perché in quel silenzio irreale che si era creato il cervo sembrava una figura eterea, apparsa ai nostri occhi per puro caso. Mi limitai a seguirla e a guardarmi intorno, avvertendo come la sensazione che quello non fosse altro che un preludio di un brutto presagio.
 
 
***
 
 
Eccolo, davanti ai miei occhi. Lo avevo studiato per anni sui libri, sentendo le più svariate leggende sulla sua origine e sulla sua rarità, ma non avevo mai avuto occasione di vederne uno allo stato brado.
Il capriolo garganico si nutriva dei germogli delle orchidee, alzando di tanto in tanto la testa e muovendo le orecchie in direzione di qualche rumore che avrebbe potuto metterlo in guardia. Sapevo che quella specie era in grave pericolo di estinzione per via della riduzione del loro habitat e del bracconaggio e, infatti, non avrei mai sperato di vederne uno dal vivo.. invece era lì, davanti ai miei occhi.
Era un maschio, lo potevo riconoscere dai palchi che spuntavano sopra la sua testa, quasi del tutto privi di quella cuticola pelosa che ne contraddistingue l’inizio della stagione degli amori e del combattimento. Gli occhi neri guizzavano irrequieti, guidati dal movimento delle lunghe orecchie che percepivano anche il minimo movimento all’interno della foresta di agrifogli e il muso, bianco e nero, veniva inumidito saltuariamente dalla lingua rosa che piluccava delle ghiande o le prime castagne della stagione dal terreno.
Francesco era al mio fianco mentre mi preparavo a scattare un’istantanea che non avrebbe mai reso quello che stavo provando in quel preciso istante. Imbracciai la Reflex, aggiustai l’obiettivo e misi a fuoco la figura, sostando qualche istante sul pulsante dello scatto. Non sapevo cosa stessi aspettando, magari il momento in cui i suoi occhi avrebbero incontrato i miei, ma non potevo mandare a monte tutto.
 Mentre ero sovraffollata da tutti quegli inutili pensieri, il capriolo si voltò e ci vide cominciando ad indietreggiare spaventato.
«No..» sospirai amareggiata, capendo che l’occasione di immortalarlo mi stava sfuggendo dalle mani, poi vidi Francesco che si avvicinava e sapevo che avrebbe mandato all’aria tutto quanto.
 Già m’immaginavo il capriolo che fuggiva terrorizzato sulle sue esili zampe posteriori e la mia stupidità che mi aveva indotta a temporeggiare, invece di agire immediatamente, quando rimasi sorpresa da ciò che Francesco teneva in mano.
 Un mazzo di quelle che sembravano cime di carpini o di pruni, non ne ero tanto sicura, che aveva strappato da chissà dove e il capriolo, prima spaventato, tentava di raccogliere le ultime dosi di coraggio per avvicinarsi e assaggiare quella prelibatezza.

 Diedi un’occhiata alla scheda e vidi che il capriolo garganico era proprio ghiotto di quelle piante, ma per lui erano quasi sempre difficili da raggiungere. Per una volta Francesco aveva avuto un’idea geniale e mi sentii particolarmente idiota a non averci pensato io stessa.
 Imbracciai nuovamente la Reflex e stavolta ero più che decisa ad immortalare il capriolo, con o senza Francesco nell’inquadratura. Mosse qualche passo in avanti, aspettando che il cervide facesse altrettanto, fino a quando la lingua dell’animale non strappò via qualche foglia di quella ghiottoneria.
 Non appena Francesco realizzò di essere a così pochi passi da quell’animale così raro e allo stesso tempo meraviglioso, si girò verso di me e mi sorrise, mozzandomi il respiro. Rividi quelle fossette e quei suoi occhi azzurri come il mare dopo la tempesta attraverso l’occhio della fotocamera, e cliccai senza accorgermi veramente di cosa la mia fotografia avrebbe ritratto. Poco m’importava in quel frangente, nulla avrebbe catturato di più la mia attenzione.
 Sentii il mio cuore cominciare a pompare più sangue del previsto e le mie guance arrossarsi all’improvviso. Ero proprio una sciocca a provare certi sentimenti per uno che mi avrebbe usata soltanto per quella vacanza e mi avrebbe scaricata dopo nemmeno essere partiti per il ritorno.
Sole, ti innamori troppo facilmente.
 La voce della mia coscienza era stata chiara, così come lo erano le mie innumerevoli cotte che avevano popolato tutta la mia vita, dall’infanzia fino ad oggi. Avevo avuto qualche flirt, questo era logico, ma non mi ero mai innamorata veramente perché non ce n’era stata occasione. Mi ritrovavo ancora a credere, all’età di ventitré anni, che un qualsiasi batticuore potesse significare l’arrivo del principe azzurro e invece si trattava di una semplice tachicardia.
«Sole, dai, avvicinati» mi sussurrò lui quando ancora il capriolo mangiava i germogli.
Come quando lo avevo conosciuto, al ristorante dell’albergo, mi porse una delle sue grandi mani e attese che io la stringessi senza fiatare. Non capiva che con quelle sue gentilezze e con quei suoi comportamenti ambigui mi avrebbe mandato fuori di testa? Anche se era bello da mozzare il fiato, per non parlare delle sue spalle larghe e della sua vita sottile, quello che mi mandava letteralmente in fiamme erano quei suoi gesti innati e spontanei.
 Deglutendo a fatica e cercando di abbassare di almeno dieci gradi la temperatura del mio corpo, gli presi la mano e annullai la distanza dal capriolo garganico che ora ci fissava entrambi, continuando a masticare.
 «È bellissimo» sospirai incredula. Avrei voluto allungare una mano per accarezzarlo e per concretizzare quella che sembrava ancora una semplice visione, eppure avevo paura di rovinare tutto quanto.
 «Guarda, sta perdendo un corno» mi fece notare lui indicando uno dei palchi che si stava staccando.
 «Non sono corna» gli spiegai non riuscendo a trattenere la mia voglia di condividere il mio mondo con lui. «Sono soltanto escrescenze ossee ricoperte da velluto e sono presenti solamente durante la stagione dell’accoppiamento per poi essere riassorbite. Infatti, si sta riassorbendo» gli feci notare.
«Allora è un unicorno» scherzò lui, prendendomi di sorpresa, come faceva sempre.
 
 
Ma l’unicorno è una menzogna?
 È un animale dolcissimo e altamente simbolico.
 Figura di Cristo e della sua castità,
esso può essere catturato solo ponendo una vergine nel bosco,
 in modo che l’animale, sentendone l’odore castissimo,
 vada ad adagiarle il capo in grembo
 offrendosi preda ai cacciatori.
 
Non è detto che non esista,
 forse è diverso da come lo rappresentano i libri.
 [Il nome della rosa, U. Eco]
 
 
Un unicorno.. una vergine in un bosco..
Cominciai ad arrossire violentemente e cercai di fare di tutto per nascondermi all’occhio curioso e indagatore di Francesco. Come avrei potuto spiegargli che credevo in quelle assurdità? L’unicorno era una creatura fantastica, bianca e pura, e noi ci trovavamo di fronte ad un capriolo garganico che stava perdendo un corno.. era solo una pura coincidenza.
«Non dici niente?» mi esortò lui, sorridendomi ancora.
Cosa dovevo dire? Cosa avrei dovuto fare, in realtà? Mi sentivo talmente confusa e scombussolata in quella vasta marea di emozioni che parevo un’incapace.
 Ma quando pensavo di aver finalmente stabilizzato i battiti accelerati del mio cuore, avvenne l’inevitabile. Non sapevo se fosse premeditato o accadde tutto a causa di quel capriolo.
 Francesco allungò la mano per togliermi una foglia secca dai capelli e gettarla a terra, ma d’improvviso il suo sorriso si spense. Con il pollice sospeso a mezz’aria cominciò ad accarezzarmi il viso mentre riuscivo a mala pena a respirare. I miei occhi erano sbarrati, un po’ per la paura di ciò che sarebbe accaduto e un po’ per la mia incapacità di reagire.
 Già una volta aveva provato a baciarmi, in mezzo alla pista da ballo, ma adesso era diverso. Eravamo soltanto io e lui, senza nessun’altro. Quel silenzio era così inquietante e, allo stesso tempo, meraviglioso.
 La mano si aprì a coppa e continuò ad esplorare il mio viso. L’indice si soffermò sulle lentiggini, cerchiandone una per una e non riuscii a fare a meno di arrossire. Avevo notato un cambiamento nel suo sguardo ogni volta che mi lasciavo trasportare dal mio imbarazzo, come se fosse sorpreso da quelle mie reazioni alle sue carezze. Forse non era quel donnaiolo che tanto voleva far credere.
 Ebbi poco tempo per soffermarmi su quei pensieri perché il suo pollice scese in basso sino alle mie labbra, screpolate dal sole. Le sfiorò, provocandomi una scia di brividi intensi, e le dischiuse mentre io gli lasciai fare tutto ciò che voleva.
 Ero come una bambola nelle sue mani in quel momento, senza cervello né muscoli per reagire. Quei suoi occhi verde-acqua avevano indotto i miei neuroni ad appendere un cartello con su scritto ‘torno subito’ dietro la mia nuca ed ora mi sentivo in balia di quelle mani grandi e dolcissime.
 Francesco lasciò cadere i germogli a terra, mentre il capriolo concludeva il suo pasto guardandoci sospettoso. Con una mano mi avvicinò a sé, carezzandomi la schiena, mentre con l’altra non la smetteva di giocare prima col mio labbro inferiore, poi con quello superiore, in un esplorazione dannatamente erotica.
Gli avrei volentieri urlato ‘baciami, imbecille’, altrimenti rischiavo di sciogliermi come neve al sole, ma allo stesso tempo ero terrorizzata da cosa quel bacio avrebbe potuto significare. L’ultimo che avevo dato, ad un mio compagno di classe, si era rivelata una burla architettata soltanto per ferirmi ed io non avevo la forza per ricaderci un’altra volta. Betta e Sere, da allora, erano diventate iperprotettive con me ma ora mi trovavo a chilometri di distanza da loro, senza nessuno che potesse fermarmi.

 Francesco mi spostò un riccio ribelle che si era impossessato del mio viso e, come in una scena al rallenty, chiuse gli occhi umettandosi le labbra, pronto per fare ciò che sarebbe dovuto succedere la prima sera. Avrei dovuto attendere il momento, isolarmi dal resto del mondo e godermi il mio principe azzurro ma non ci riuscii. Ero completamente pietrificata dalla scarica di emozioni che stavo provando, senza riuscire a dare un senso a tutto ciò.
 Provavo eccitazione, paura, ansia.. tutte emozioni che si annullavano fra di loro, lasciandomi come vuota.
 Al diavolo tutto! Pensai all’improvviso e chiusi gli occhi, attendendo il momento fatidico. Non m’importava più niente, ormai, e per una volta mi sarei lasciata andare senza dar troppo peso a tutti gli ammonimenti che, sia mia madre che le mie due migliori amiche, mi avevano dispensato in quei giorni.
Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altro, potevo sentire i suoi sospiri aleggiare sulle mie labbra e i brividi intensi che le sue mani lasciavano sulla mia pelle. Oh Signore.. non mi sentivo così da.. da mai, in verità.
 Anche se sapevo che Francesco aveva avuto chissà quante ragazze nella sua vita, non m’importava. Mi sentivo una scema a credere di essere speciale per lui, magari perché per me era quasi tutto nuovo, ma non aveva idea che la sottoscritta era ancora inesperta in tutto ciò che riguardasse il sesso. Ancora arrossivo come una scolaretta, porca miseria!
 Il momento tanto atteso stava arrivando, perciò decisi di spegnere il cervello per qualche secondo e godermi Francesco in tutta la sua passionalità.
Senza rendermene conto, però, aprii un occhio e guardai il capriolo. Le sue orecchie erano tese e il suo sguardo puntava ad Est, mentre le sue zampe fremevano agitate. Aveva sentito un rumore.. c’era qualcosa oltre quegli alberi.
 Fu una questione di un attimo, ma a me parve eterno.
 Il rombo di uno sparo risuonò per tutta la radura, facendo fuggire il capriolo terrorizzato e spaventando anche me.
 «I bracconieri!» gridai mentre Francesco mi stringeva al suo petto nel tentativo di proteggermi da qualcosa che nemmeno riuscivamo a vedere.
 A quel punto ci gettammo a terra e cominciammo a strisciare sul terreno, cercando di ritornare indietro e attraversare quella specie di ponte traballante. Quella non era stagione di caccia e chiunque si fosse nascosto tra gli alberi avrebbe dovuto sapere che cacciare un capriolo garganico era reato.
Quando fummo sufficientemente lontani, mi alzai in piedi e cominciai a correre ritrovando poco dopo la strada per il ponte. Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto troppo tardi che il sole stava calando e che non avremmo mai trovato la strada del ritorno col buio.
«Dobbiamo fare in fretta!» dissi pensierosa rivolgendomi a Francesco, ma dietro di me non c’era nessuno.
Preoccupata, tornai sui miei passi e feci il percorso all’indietro.
Superai un faggio e vi trovai adagiato sul tronco Francesco che si teneva un fazzoletto premuto sulla gamba. Il mio cuore mancò di un battito quando vidi tutto quel sangue che aveva insozzato i suoi pantaloni color cachi e mi precipitai in ginocchio, accanto a lui.
 «Mi hanno preso, quegli stronzi. Non hanno nemmeno una cazzo di mira decente!» si lamentò, stringendo i denti.
 Premetto che avendo fatto anatomia comparata ero abituata a vedere un bel po’ di sangue, ma quando spostai il fazzoletto che aveva usato come tampone per poco non svenni. Fortunatamente i neuroni che prima mi avevano abbandonata erano tornati con largo anticipo e mi aiutarono a mantenere il sangue freddo.
 Okay, Sole, ricordati le puntate di Grey’s Anatomy e non fare la fifona, non è il momento!
 Mi tolsi lo zaino e afferrai la bottiglia d’acqua svitandone il tappo con mani tremanti. La svuotai del tutto sulla ferita, vedendo finalmente l’entità del danno.
 Non c’era foro d’entrata, ma solo un lungo taglio piuttosto profondo, non troppo grave. Non avevano reciso l’arteria femorale, grazie a Dio.
 «Tranquillo, ti hanno preso di striscio» gli dissi e lui mi guardava come se non mi avesse mai vista prima di allora.
 Quell’avventura sarebbe rimasta impressa nella nostra mente come marchiata a fuoco ed era la prima volta che un quasi-bacio si fosse trasformato in una quasi-tragedia.
 
 
***
 
 
Senza tanti complimenti, Sole strappò i miei pantaloncini fino a raggiungere il taglio che si era nuovamente riempito di sangue. Sulle prime mi era sembrata terrorizzata da quello che mi era successo, ma le erano bastati pochi secondi per riacquistare una certa calma.
 La ferita mi pulsava e mi faceva un male cane, ma tentai di non lamentarmi troppo per non sembrare una dannata checca.
«Hai dell’acqua?» mi chiese lei, asciugandosi il sudore sulla fronte e spargendo un po’ del mio sangue sulla sua pelle color caramello.
 Mi tolsi lo zaino e tirai fuori la bottiglia da un litro e mezzo, piena per metà. Lei l’afferrò con foga e ne versò una parte sulla ferita.
«Sopravvivrò?» le chiesi scherzando ma lei, per poco, non m’incenerì con lo sguardo.
 «Smettila di dire cazzate e tampona qui» mi ordinò, poi si tolse la camicetta a scacchi e rimase soltanto con quella misera canottierina bianca che tanto aveva alimentato le mie fantasie.
 Sapevo che non era il momento giusto per avere quel genere di pensieri, ma quella sua pelle leggermente scura, in contrasto con il panna della T-shirt, mi fece venire una voglia di assaggiarla e feci fatica a reprimere i miei istinti primordiali.
Sole, dal canto suo, non si accorse minimamente di quel mio sguardo famelico e cominciò a fare a brandelli quell’indumento a scacchi legandone una parte all’inizio della mia coscia.
 «È troppo stretto!» mi lamentai.
 Il suo sguardo grigio-perla ora era un pozzo di petrolio, tanto che non aggiunsi nemmeno una parola.
 «Devo fermare l’emorragia in qualche modo, no? Almeno ho il tempo per vedere se posso fare qualcosa per rimediare al danno» rispose togliendosi un altro ciuffo di capelli e insozzandosi nuovamente il viso.
 Dopo poco il sangue cominciò a diminuire e potei vedere la ferita che qualche stronzo mi aveva inferto, credendomi un capriolo. Ciecati del cazzo!
 «Non serve ricucirla» disse sollevata. «Ora te la fascio stretta e poi dobbiamo letteralmente correre al punto di raccolta così potrai andare a farti curare al centro medico del villaggio».
 Annuii senza nemmeno aver capito cosa avesse appena detto, poi si chinò nuovamente e passò un altro lembo della sua camicia, ormai lacerata, sulla mia ferita. La fasciatura venne piuttosto bene e il sangue smise di uscire copiosamente. Avevo il pantalone strappato fino all’inguine, ma poco importava.
 Sole si alzò in piedi e mi aiutò, caricandosi anche il peso del mio zaino sulle sue spalle. Prese le ultime gocce d’acqua e si ripulì le mani, completamente rosse, ma rimase tutto pressoché uguale a prima. Notai che le tremavano e che anche lei era piuttosto scossa da tutto l’accaduto.
 Qualche minuto fa ero sul punto di baciarla ed ora si ritrovava sporca di sangue quasi fino ai gomiti. Era evidente che Qualcuno lassù ce l’avesse col sottoscritto e stava utilizzando tutti i metodi a sua disposizione per farmelo capire. Certo avrei preferito un fulmine che mi avesse sfiorato oppure un qualche segno celeste, ma addirittura farmi sparare? Stava esagerando..
 «Ce la fai a camminare?» mi chiese Sole con il viso più sporco delle sue stesse mani.
 Mossi qualche passo ma per poco non caddi a terra, così fui costretto ad appoggiarmi a lei. Insieme percorremmo il più velocemente possibile la strada per il ritorno fino a quando non arrivammo al ponticello.
 Quelle teste di cavolo di Sara e Giorgio non c’erano. Evidentemente avevano pensato bene di tornarsene al punto di raccolta ed ora ci ritrovavamo soltanto io e Sole, con il buio che avanzava alle nostre spalle e cinque chilometri da percorrere nel minor tempo possibile.
 «Chiama la guida con il cellulare» suggerii a Sole e lei lo afferrò, sempre con mani tremanti, ma imprecò quando si accorse che non c’era campo.
 «Cazzo, peggio di così non può andare!» ringhiò, poi continuò a camminare.
 Ormai eravamo spacciati, ne ero più che sicuro. L’oscurità prendeva lentamente il posto del giorno, amalgamando il terreno in una miriade di ombre indistinguibili che rischiavano di farci inciampare.
 Senza fermarsi, con una forza degna di una leonessa, Sole estrasse una torcia dalla tasca e continuò ad avanzare.
L’orologio segnava le 18.15 e ormai era tutto buio.
 Feci qualche altro passo ma misi il piede in fallo e ruzzolai per terra, trascinandomi dietro anche la povera Sole. Rotolammo per qualche metro fino a che non ci ritrovammo l’uno vicino all’altra, con lo sguardo rivolto ad un cielo quasi stellato.
 «È finita» sospirai credendo di morire assiderato o, almeno, dissanguato.
 «Vaffanculo!» mi rispose assestandomi un calcio nel costato. «È finita solo quando noi decidiamo che lo sia».
 A quel punto si rialzò in piedi, mossa dalla forza di volontà di dieci uomini, e si caricò nuovamente i due zaini sulle spalle aiutandomi ad alzarmi. Anche nella semi oscurità della torcia riuscivo a scorgere i suoi occhi grigi attraversati da una grande determinazione, ma invasi anche dalla paura.
Non voleva ammetterlo ma era addirittura più terrorizzata di me nel constatare che ci fossimo persi nel bosco. Il suo comportamento era ammirevole e non avevo mai incontrato una persona con la sua fermezza. Sole non si sarebbe arresa per niente al mondo.
 Facemmo qualche altro passo ma poco dopo crollammo nuovamente a terra, completamente svuotati delle nostre energie. Mi trascinai fino al tronco di un albero, dove anche Sole si era accasciata, e le passai un braccio attorno alle spalle.
 Con la torcia puntata su di noi presi l’ultimo goccio d’acqua e cominciai a lavarle il viso dal mio stesso sangue, mentre lei chiuse gli occhi e posò il viso sulla mia spalla.
Condividere lo stesso destino unisce profondamente due persone ben più a fondo che nell’anima. In quel momento mi sentii legato a Sole da un doppio filo mentre lei si accoccolava contro il mio corpo e la torcia cominciava a lampeggiare segnalando che si stava esaurendo. Non avrei mai creduto di potermi smarrire in un bosco un giorno, che la mia vita finisse così miseramente, ma in quel preciso istante desiderai con tutto me stesso che qualcuno giungesse, almeno per salvare lei.
 Sole non aveva condiviso nulla con me, né un bacio, né un segreto, ma sentivo che non avrei mai più potuto lasciarla andare dopo quello che ci era successo.
 Ormai stavo perdendo i sensi ma non volevo lasciarla da sola. In lontananza udii delle voci soffuse e delle luci che parevano fantasmi nell’oscurità, poi il resto fu soltanto buio.


Spazietto autrice:
Volevo solo comunicarvi che siamo arrivati a ben 202 visite! (vi adoro *-*), ma ancora a solo 4 commentini.. sigh! Vabbè, accontentiamoci. Non riuscivo davvero a vedere la fine di questo capitolo per quanto mi aveva coinvolta emotivamente... Sole e Frà c'erano quasi, eh? Poveraccio, Francesco mi fa una pena... gli sto facendo capitare i peggio incidenti, se prendesse vita mi ucciderebbe! Uhuh...
Ringrazio sempre chi mi ha commentato: l'insostituibile Clithia, poi Caline, Nes_sie e Elly4ever e le 18 persone che seguono la mia storia. Ringrazio inoltre i lettori silenziosi!
Bacini, Marty

Per chi volesse dare un'occhiata al rarissimo Capriolo garganico, clicchi qui. E per chi invece volesse spoiler, foto e tanto altro ancora sui protagonisti di questa storia, può aggiungermi tramite facebook (contatto: IoNarrante Efp).

   
 
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