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Autore: Saralasse    09/05/2011    11 recensioni
Questa storia parte dalla tragica notte in cui il Cavaliere Nero sorprende Andrè al suo posto. Cosa sarebbe successo se piuttosto che aspettarlo fra gli alberi, avesse tranciato la corda con la quale il nostro si stava calando dalla torre? Una storia diversa da quella che conosciamo, con personaggi a volte OOC. Buona lettura ^^
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I giorni seguenti videro Oscar e Andrè trascorrere più tempo lontani che insieme, ognuno rapito dai rispettivi familiari. A lei era stata concessa un’altra licenza perché potesse prepararsi a dovere al proprio matrimonio, quello stesso matrimonio che avrebbe segnato la fine della vita che conosceva; e la prospettiva piuttosto che spaventarla le mandava brividi deliziosi lungo la spina dorsale.

Sentiva che avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa finché avesse avuto Andrè accanto, così com’era sempre stato. Se aveva potuto illudersi di vivere come un uomo era stato solo grazie alla sua rassicurante presenza che non era mai venuta a mancare. Persino quando era stato lontano l’aveva sorretta, impedendo che commettesse una sciocchezza grazie all’amore che aveva scoperto per lui e che non si sentiva pronta a lasciar andare con la morte.

“Madamigella Oscar, dritta per favore!”.

La voce di madame Bertin la riscosse, riportandola coi piedi per terra. La Regina aveva insistito perché la sua modista preferita si occupasse di confezionare l’abito da sposa di Oscar, dichiarandosi certa che avrebbe saputo interpretarne alla perfezione l’animo e creare l’abito più adatto a lei.

Ormai era in piedi da ore, con le braccia divaricate, e nonostante l’addestramento militare cominciava a sentire la stanchezza di mantenere quella scomoda posizione. Nel tentativo di distrarsi, gettò uno sguardo allo specchio collocato alla sua destra e dovette suo malgrado ammettere di trovare affascinante la sua stessa figura: madame Bertin aveva perfettamente intuito il carattere della sposa, optando per un semplicissimo abito, privo dei trini e merletti che tempestavano gli indumenti delle dame di Versailles. I capelli, raccolti perché non intralciassero il lavoro delle sarte, evidenziavano il lungo collo da cigno, slanciando ulteriormente la sua figura e Oscar si scoprì ad arrossire chiedendosi cosa ne avrebbe pensato Andrè quando l’avesse vista.

“Vi troverà splendida, madamigella”.

“Come? Che cosa avete detto?”.

“Il principe Beleznay non potrà resistervi, siete un sogno”.

Oscar accennò un sorriso, chiedendosi come avesse potuto madame Bertin indovinare i suoi pensieri con tanta esattezza; intuito femminile forse, o piuttosto l’abitudine a vedere le espressioni di decine di donne giunte a un passo dall’altare.

Lei, però, non era una donna come le altre, era stata cresciuta e addestrata come un soldato e in quanto tale non avrebbe dovuto mostrare i suoi sentimenti a chicchessia; rialzò il mento con cipiglio deciso ma l’algida maschera si sciolse al sole del sorriso di Andrè che irruppe prepotentemente nei suoi pensieri. Lei era esattamente come le altre, aveva solo ricevuto un’educazione differente e come donna non poteva negare di stare andando verso il giorno più felice della sua vita, quello in cui si sarebbe affidata totalmente a un uomo, al suo cuore gentile che la sorreggeva da sempre e sarebbe stato il suo appiglio per tutta la vita.

“Abbiamo finito, madamigella Oscar”, sentenziò madame Bertin mettendo fine a quella che Oscar avrebbe definito senza esitazioni una tortura medievale.

La donna e le sue sarte la spogliarono dell’abito perché non lo sgualcisse nel tentativo e potè finalmente scendere dallo sgabello e indossare una più comoda veste da camera. Quando furono uscite, si avvicinò al camino restando in piedi a fissare le fiamme per qualche momento. Il rumore della porta che si apriva, la riscosse e si voltò, certa che si trattasse di madame Bertin o di una delle sue sarte in cerca di qualcosa dimenticato nella stanza.

“Andrè!”.

Andrè tacque, prendendosi del tempo per osservare la donna che aveva davanti, perché per un attimo credette di trovarsi davanti all’incarnazione di Afrodite. Oscar era bella, più di qualsiasi altra donna avesse mai visto e quella bellezza così pura e semplice, priva di ornamenti, lui la vedeva anche sotto gli abiti maschili e gli atteggiamenti militareschi che da sempre erano parte di lei; eppure così, con indosso solo una vestaglia che poco o niente lasciava all’immaginazione, quel suo splendore etereo non poteva che essere accresciuto.

La vide compiere qualche passo verso di lui e si mosse a sua volta, raggiungendola in poche falcate; le posò le mani intorno alla vita, stringendosela contro, e si chinò a baciarle il viso.

“Mi stavi aspettando?”.

Oscar rise accarezzandogli il volto con entrambe le mani. “Sì, stavo proprio aspettando te.  Però, non dovresti entrare senza bussare nella stanza della tua futura moglie”.

“Proprio perché sarai mia moglie, non vedo il motivo di tanta etichetta”.

Gli sorrise, sfiorandogli le labbra con i pollici e si tese a baciarlo, spostando le mani sulle spalle dove alcune ciocche ribelli si lasciarono catturare fra le sue dita; Andrè portò le mani verso il basso fino al fondoschiena, e la sollevò leggermente.

“Oscar… mi fai perdere il controllo di me stesso così”, sospirò staccandosi da lei.

“Sarai mio marito, non vedo il motivo di tanta etichetta”.

Oscar rise di nuovo, rigirandogli ciò che le aveva appena detto e Andrè ridacchiò anche lui, piegandosi a darle un bacio sul collo.

“I Beleznay hanno finalmente ricevuto i documenti dall’Ungheria. Oggi hanno adottato Andrè Grandier e András Hrovat non esiste più”.

“Perciò, posso chiamarti Andrè anche quando siamo qui a Versailles?”.

Andrè annuì baciando il nasino di Oscar. “Certo. Sono di nuovo e per sempre Andrè”.

Il mio Andrè”.

 

Ophélie si trovava nella propria stanza a rimuginare su ciò che era accaduto; non tollerava che quello scherzo della natura chiamato Oscar François de Jarjayes le avesse infine ritorto contro il suo stesso piano. E meno ancora sopportava lo sdegno con il quale il suo attendente ammantato di nuova nobiltà l’aveva respinta.

“A che cosa stai pensando?”.

La voce di Tibor la fece voltare verso il letto, sul quale giaceva il duca ungherese, fra le lenzuola sfatte. Lo raggiunse sedendo sul bordo e stese una mano a disegnare i muscoli del suo torace.

“Non accetto quello che è successo. Detesto perdere”.

Tibor si sollevò, mettendosi seduto sul letto e le prese la mano, portandola alle labbra. “Non è finita”.

“Tibor… cosa possiamo fare ancora, fra due giorni si sposeranno e partiranno per l’Ungheria, hanno vinto”.

Lui sollevò Ophélie fra le braccia, stringendola a sé e le tirò su il viso, prendendo possesso delle sue labbra mentre lei lasciava scivolare le mani fra i suoi capelli biondi. Lo spinse all’indietro sul letto, suscitandogli una risata che sentì con la pelle quando lui se la strinse contro, premendole le mani sulla schiena. Lasciò le sue labbra per baciargli il collo, la mano di Tibor fra i suoi boccoli.

“Non li lascerò tranquilli, mia cara”.

Ophélie alzò lo sguardo e lo abbracciò, stendendosi al suo fianco. “Dici davvero?”.

Tibor annuì stringendola fra le braccia, la guancia appoggiata sulla sua testa. Le carezzava pigramente la schiena, scostando i capelli dalla pelle di porcellana della donna, fin quando la vide addormentarsi e le baciò la fronte. Aveva in mente ancora un tiro mancino all’odiato cugino ma doveva attendere.

 

Il giorno del tanto sospirato matrimonio era giunto infine, e la cappella di Versailles era piena fino all’inverosimile degli invitati alla cerimonia ma soprattutto delle decine di cortigiani incuriositi dall’evento. Vedere il comandante Oscar François de Jarjayes contrarre matrimonio era già abbastanza strano; se poi il fortunato era niente meno che un principe giunto dai lontani boschi della Transilvania, la rarità dell’avvenimento ne risultava moltiplicata. Persino Tibor e Ophélie sedevano fra i congiunti, come se niente fosse accaduto fra loro e le famiglie degli sposi.

Quando la sposa fece il suo ingresso al braccio di suo padre, le esclamazioni di sorpresa non furono lesinate e se non fosse stato per la prevedibile tensione che l’aveva afferrata, Oscar avrebbe trovato assolutamente comiche le facce dei presenti. Era convinzione diffusa che si sarebbe presentata in alta uniforme, come ogni volta che presenziava ad eventi di particolare importanza; e vederla fasciata in quel semplice ed elegante abito color avorio, con i lunghi capelli biondi raccolti sul capo, stupì non poco l’intera Versailles. Per un attimo fugace, Oscar pensò che forse qualcuno avrebbe ricordato la misteriosa contessa straniera che aveva danzato fra le braccia del conte di Fersen oltre un anno prima; stranamente, si rese conto che non le importava affatto che la riconoscessero, non ora che la stava aspettando l’unico uomo che meritasse di vederla in quelle vesti.

Andrè era a dir poco folgorato da quella vista. Osservava Oscar percorrere la navata a passo lento, il braccio stretto attorno a quello del generale Jarjayes, e credette quasi di essersi definitivamente smarrito in uno dei suoi sogni più belli. La donna che amava da tutta la vita stava per diventare sua moglie, lo amava e solo per lui aveva accettato di dismettere le sue abitudini e per un giorno, calarsi interamente nel ruolo di sposa. Era così bella che guardarla faceva male ma avrebbe rinunciato per sempre alla vista se avesse potuto dedicare a lei il suo ultimo sguardo. Si riscosse in parte quando il generale gli lasciò sua figlia, posando la mano di lei sulla sua e si piegò leggermente per poterle parlare.

“Sei una visione”, disse, avendo il piacere di vederla arrossire e distogliere pudicamente lo sguardo.

Non poteva immaginare quanto e in quale maniera avesse provocato il rossore di Oscar; le sue parole certamente avevano avuto il loro effetto ma lui stesso, la sua presenza in quel luogo e ciò che significava erano un misto di emozioni fortissime.

Si guardarono negli occhi tutto il tempo, le mani strette che intrecciarono le dita quando finalmente il celebrante sancì la loro unione agli occhi di Dio e degli uomini.

Semplicemente Andrè e Oscar, semplicemente un uomo e una donna liberi finalmente di amarsi senza ostacoli.

 

Durante il ricevimento, che si tenne ancora a Versailles, Andrè e Oscar trovarono il modo di allontanarsi, non visti, da tutte quelle luci e quegli sfarzi che nessuno dei due amava particolarmente. Si rifugiarono su una terrazza abbastanza isolata perché potessero stare tranquilli per qualche momento; la musica e il vociare delle persone giungevano ovattati, dando loro l’impressione di potersi isolare da tutto il mondo. Andrè abbracciò Oscar da dietro, le braccia strette attorno alla sua vita e il mento sulla sua spalla. Nessuno dei due parlava per non interrompere la magia di quegli istanti di cui unici testimoni erano gli astri del firmamento.

“E così”, disse infine Oscar posando la mano sinistra su quella di Andrè, “siamo sposati. Chi lo avrebbe mai detto?”.

“Io. Non ho mai avuto dubbi che noi due fossimo gli unici capaci di dare felicità l’uno all’altra”.

“Ah si?”.

“Si”.

Andrè voltò il capo baciando delicatamente sul collo Oscar che chiuse gli occhi, intrecciando più strette le loro mani.

“Ti amo Andrè, lo sai?”.

Lui sorrise sulla sua pelle e le posò una mano sul viso, costringendola gentilmente a voltarsi incontrando le sue labbra; l’altra mano vagava sul suo corpo, infastidita dalla seta del vestito che impediva alle loro pelli di sentirsi. Andrè la fece voltare e poggiò la fronte contro la sua, accarezzandole delicatamente il viso.

“Anch’io ti amo Oscar”, le sussurrò sulle labbra. “Ti ho già detto che sei bellissima?”.

Oscar arrossì di nuovo, come ogni volta che lui le rivolgeva parole tanto lusinghiere. “In effetti, credo che tu non me lo abbia ancora detto abbastanza”.

Andrè rise abbracciandola e le accarezzò la schiena mentre lei si rifugiava sul suo petto, sospirando tranquilla; ancora pochi giorni e sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe avuto di nuovo lui accanto. Un anno prima, il sopraggiungere di quel giorno era stato l’ennesimo colpo al suo cuore ferito, un altro momento in cui avrebbe voluto Andrè e non poteva. Questa volta, sarebbe stato un nuovo passo verso la felicità più grande che avesse mai provato; alzò lo sguardo incrociando il suo, tanto intenso da farla rabbrividire.

“Senti freddo?”.

“No, sto bene. Voglio solo stare con te”.

Andrè guardò Oscar negli occhi, intuendo cosa in realtà gli stesse chiedendo con quelle parole, apparentemente innocenti.

“Ci cercheranno”.

“Non siamo il Re e la Regina, i cortigiani possono anche restare a danzare tutta la notte, invece di controllare cosa facciamo nella nostra camera”.

Lui rise stringendole la mano e tornò all’interno della reggia, imboccando il corridoio che conduceva agli appartamenti. Ridevano come ragazzini mentre correvano tentando di non farsi scoprire e non smisero nemmeno quando raggiunsero la stanza di Andrè; lui la sollevò fra le braccia e giunto vicino al letto, la adagiò sul materasso, stendendosi accanto a lei.

Si voltò supino, trascinandola su di sè e le sfiorò leggero il corpo, imparandone ogni segreto con le dita; tornò ai suoi capelli dai quali cominciò a sfilare i fermagli che li tenevano raccolti sul capo. Le ciocche gli ricadevano sul viso, inebriandolo del profumo di Oscar mentre lei gli slacciava lo jabot per avere libero accesso al suo collo che si chinò a baciare. Andrè si sollevò, sedendosi sul letto e tenendo Oscar a cavalcioni sulle gambe la baciò voluttuosamente, sfilandosi la giacca e il gilet che gettò lontano sul pavimento.

Oscar liberò i capelli di Andrè dal nastro che li tratteneva, sfilando con mani febbrili i bottoni della sua camicia dalle asole, ansiosa di poter risentire quella pelle virile sotto la sua; finalmente riuscì a toglierla e la mandò a raggiungere gli indumenti già tolti. Lui sciolse i lacci che tenevano chiuso il suo vestito e glielo sfilò lentamente dalla testa, baciando ogni porzione di pelle che scopriva al suo passaggio.

Pochi altri ansiosi movimenti e i loro corpi poterono risentirsi nuovamente privi di inutili barriere di stoffa fra loro. Oscar, ancora adagiata sul corpo di Andrè, si mosse accogliendolo dentro di sé, senza ulteriori indugi, spinta da un’urgenza che le era diventata familiare; lui le posò le mani sui fianchi, imponendole un ritmo più lento e si abbassò a baciarle il collo, scendendo lentamente verso il seno. Si scoprì a rabbrividire sentendo le mani di Oscar intrecciarsi fra i suoi capelli scuri, sorpreso di quanto un gesto così innocente potesse aumentare tanto la sua eccitazione.

La afferrò per la vita, invertendo le posizioni con un colpo di reni e facendola distendere sulla schiena, si sollevò sui gomiti per non pesarle addosso; Oscar era ancora più bella così scarmigliata, le labbra tumide e rosse per i baci e il viso disteso, illuminato dai suoi splendidi occhi azzurri, lucidi di piacere. Le posò le mani sulle gote, baciandola dolcemente, senza fretta.

“Ti amo così tanto Oscar”.

Oscar sorrise, accarezzandogli la schiena. “Ti amo anch’io Andrè”. Gli percorse il dorso con le mani fino a posarle sulle anche e lo tirò contro di sé, spingendolo a muoversi; Andrè sorrise di quell’iniziativa e la accontentò, stringendola fra le braccia mentre lei gli cingeva i fianchi con le gambe.

Chiuse gli occhi, desiderosa di sentire solo il dialogo fra i loro corpi che parlavano una lingua antica quanto il mondo, fin quando tutto perse di significato e potè percepire solo vagamente Andrè stringerle la mano mentre giungeva al culmine a sua volta.

 

Qualche ora dopo, Oscar fu svegliata dalla fastidiosa sensazione che ci fosse qualcuno nella stanza; socchiuse gli occhi, strusciando il viso contro il petto di Andrè sul quale stava riposando. Dormiva ancora tranquillo e lei voltò il viso a posargli un delicato bacio sul torace.

“Ben svegliata madamigella”.

Una voce del tutto fuori luogo la fece sobbalzare e il movimento repentino svegliò Andrè; non appena aprì gli occhi, vide una spaventata Oscar seduta contro la testiera del letto, le lenzuola strette addosso, e si voltò nella stessa direzione in cui stava guardando.

“Tibor! Dannazione, che fai qui?!”, esclamò vedendo il duca tranquillamente seduto su una poltrona che si trovava di fronte al letto, una pistola stretta in pugno.

“Ah devi scusarmi cugino sai… non avrei voluto ammazzarti proprio la prima notte di nozze ma tu non ne hai voluto sapere di toglierti dai piedi prima”.

Oscar nel frattempo aveva recuperato tutto il suo sangue freddo e si guardava intorno, sperando di scorgere qualcosa che potesse essere usato come arma; trattenne uno sbuffo rendendosi conto di quante cose inutili potessero trovarsi in un comune appartamento della reggia.

“Tibor, è il caso che tu te ne vada, credimi”, disse Andrè alzandosi in piedi, un lenzuolo a cingergli i fianchi. “Se esci adesso, dimenticheremo ciò che è accaduto”.

Tibor rise sadicamente, scuotendo la testa e volse gli occhi verso Oscar; le aveva dedicato una lunga occhiata prima che si svegliasse e dovette ammettere che suo cugino aveva avuto buon gusto. Lei ricambiava il suo sguardo, tenendolo d’occhio, e le fece cenno di raggiungerlo.

“Avvicinatevi madamigella. Sono certo che da bravo cugino vostro marito non avrà nulla da obiettare se vi dedicate un po’ anche a me”.

Andrè strinse i pugni, muovendo qualche passo verso di lui. “Non osare nemmeno pensarci schifoso bastardo!”.

Tibor tirò indietro il cane, puntandogli contro la pistola. “Hai proprio fretta di morire”.

Oscar, terrorizzata all’idea che premesse il grilletto, si alzò coprendosi meglio che potè con le coperte e fece per avvicinarsi a lui.

“No! Tibor vi prego, mettete giù quella pistola, farò ciò che volete!”.

“Oscar fermati!”, la pregò Andrè, immaginando le intenzioni perverse di suo cugino.

Il duca tese la mano a Oscar e lei ignorò le sue suppliche avvicinandosi ancora; posò timidamente la mano sulla sua, mentre l’altra stringeva i drappi sul corpo nudo e lui la afferrò, tirandosela contro, la pistola pericolosamente diretta al petto di Andrè. Le mise la mano fra i capelli, sulla nuca, e si appropriò della sua bocca, baciandola con violenza.

Andrè fremeva come una bestia in gabbia e mosse cautamente un passo, fermandosi quando vide Tibor spiarlo con un occhio e sistemare il tiro dell’arma; Oscar si rilassò contro di lui che si permise di abbassare la guardia, seguendo con lo sguardo la linea del suo collo fino alla stoffa stretta sul seno. Andrè approfittò di quell’attimo di distrazione e si scagliò contro Tibor, disarmandolo dopo una breve colluttazione; afferrò Oscar per la vita e arretrò di qualche passo, puntandogli la pistola contro. Posando le mani sul braccio allacciato in vita, lei potè nettamente sentire che tremava per lo sforzo di trattenersi dal premere il grilletto.

“Vuoi spararmi Andrè? Fallo, che aspetti!”.

“Lo sa Iddio quanto vorrei vederti con un buco in fronte per ciò che hai appena fatto”.

Oscar alzò lo sguardo, vedendo la mascella contratta dalla tensione e minuscole gocce di sudore imperlargli la fronte aggrottata; gli occhi ridotti a due fessure erano segno evidente di quanto fosse combattuto ma lei sperava che avesse il sangue freddo di non macchiarsi di un tale crimine.

“Andrè…”.

Andrè rafforzò la presa attorno alla pistola e sparò un colpo che si conficcò nella poltrona alle spalle di Tibor, senza sfiorarlo. Lasciò cadere l’arma e, voltandola verso di sé, abbracciò Oscar, stringendosela al petto. Andrè tremava ancora e lei si avvinghiò al suo corpo, sperando di calmarlo con quel contatto così forte.

“Tibor vattene. Esci da questa stanza e fa’ in modo di uscire anche dalle nostre vite. Non sono sicuro che mi tratterrei ancora”.

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Eccomi, eccomi, eccomi qua ^-^ Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo, mio cugino che vive lontano ha fatto un’improvvisata e mi ha rapita negli ultimi tre giorni XD.

Tornando al capitolo, è decisamente più lungo rispetto al mio solito ma non sapevo proprio dove tagliarlo :P

Una precisazione, riguardo il vestito di Oscar: forse qualcuno/a di voi si aspettava, come i nobili di Versailles, che effettivamente la nostra bionda si sposasse in uniforme. Personalmente, la spiegazione che Oscar da a sé stessa mentre posa per madame Bertin, è niente di meno che la mia personale idea; inoltre, è pur vero che si sente a suo agio in abiti maschili data l’educazione ricevuta ma sono convinta che se mai avesse sposato Andrè, lo avrebbe fatto in abito da sposa. Lui ha sempre visto la femminilità nascosta sotto l’uniforme ed è l’unico che le abbia fatto capire fino in fondo quanto fosse donna; indossare un abito femminile nello stesso giorno che li avrebbe visti finalmente marito e moglie sarebbe stato un ottimo modo per accettare in pieno questa nuova consapevolezza e renderne partecipe lui.

Bene, concluso il tema, ci sto prendendo gusto a scrivere le scene hot, anche se preferisco la prima X///P

Detto questo, la storia è ormai conclusa, manca solo l’epilogo; ancora una volta, grazie per il sostegno e fatemi sapere cosa pensate anche di questo capitolo, sempre se vi va ;)

A presto (_ _)

  
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