I giorni
seguenti videro Oscar e Andrè trascorrere più
tempo
lontani che insieme, ognuno rapito dai rispettivi familiari. A lei era
stata
concessa un’altra licenza perché potesse
prepararsi a dovere al proprio
matrimonio, quello stesso matrimonio che avrebbe segnato la fine della
vita che
conosceva; e la prospettiva piuttosto che spaventarla le mandava
brividi
deliziosi lungo la spina dorsale.
Sentiva che
avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa finché
avesse avuto Andrè accanto, così
com’era sempre stato. Se aveva potuto
illudersi di vivere come un uomo era stato solo grazie alla sua
rassicurante presenza
che non era mai venuta a mancare. Persino quando era stato lontano
l’aveva
sorretta, impedendo che commettesse una sciocchezza grazie
all’amore che aveva
scoperto per lui e che non si sentiva pronta a lasciar andare con la
morte.
“Madamigella
Oscar, dritta per favore!”.
La voce di
madame Bertin la riscosse, riportandola coi piedi
per terra. La Regina aveva insistito perché la sua modista
preferita si occupasse
di confezionare l’abito da sposa di Oscar, dichiarandosi
certa che avrebbe
saputo interpretarne alla perfezione l’animo e creare
l’abito più adatto a lei.
Ormai era in
piedi da ore, con le braccia divaricate, e
nonostante l’addestramento militare cominciava a sentire la
stanchezza di
mantenere quella scomoda posizione. Nel tentativo di distrarsi,
gettò uno
sguardo allo specchio collocato alla sua destra e dovette suo malgrado
ammettere di trovare affascinante la sua stessa figura: madame Bertin
aveva
perfettamente intuito il carattere della sposa, optando per un
semplicissimo
abito, privo dei trini e merletti che tempestavano gli indumenti delle
dame di
Versailles. I capelli, raccolti perché non intralciassero il
lavoro delle
sarte, evidenziavano il lungo collo da cigno, slanciando ulteriormente
la sua
figura e Oscar si scoprì ad arrossire chiedendosi cosa ne
avrebbe pensato Andrè
quando l’avesse vista.
“Vi
troverà splendida, madamigella”.
“Come?
Che cosa avete detto?”.
“Il
principe Beleznay non potrà resistervi, siete un
sogno”.
Oscar
accennò un sorriso, chiedendosi come avesse potuto
madame Bertin indovinare i suoi pensieri con tanta esattezza; intuito
femminile
forse, o piuttosto l’abitudine a vedere le espressioni di
decine di donne
giunte a un passo dall’altare.
Lei,
però, non era una donna come le altre, era stata
cresciuta e addestrata come un soldato e in quanto tale non avrebbe
dovuto
mostrare i suoi sentimenti a chicchessia; rialzò il mento
con cipiglio deciso
ma l’algida maschera si sciolse al sole del sorriso di
Andrè che irruppe
prepotentemente nei suoi pensieri. Lei era esattamente
come le altre, aveva solo ricevuto un’educazione differente e
come donna non
poteva negare di stare andando verso il giorno più felice
della sua vita,
quello in cui si sarebbe affidata totalmente a un uomo, al suo cuore
gentile
che la sorreggeva da sempre e sarebbe stato il suo appiglio per tutta
la vita.
“Abbiamo
finito, madamigella Oscar”, sentenziò madame
Bertin
mettendo fine a quella che Oscar avrebbe definito senza esitazioni una
tortura
medievale.
La donna e le
sue sarte la spogliarono dell’abito perché non
lo sgualcisse nel tentativo e potè finalmente scendere dallo
sgabello e
indossare una più comoda veste da camera. Quando furono
uscite, si avvicinò al
camino restando in piedi a fissare le fiamme per qualche momento. Il
rumore
della porta che si apriva, la riscosse e si voltò, certa che
si trattasse di
madame Bertin o di una delle sue sarte in cerca di qualcosa dimenticato
nella
stanza.
“Andrè!”.
Andrè
tacque, prendendosi del tempo per osservare la donna
che aveva davanti, perché per un attimo credette di trovarsi
davanti
all’incarnazione di Afrodite. Oscar era bella, più
di qualsiasi altra donna
avesse mai visto e quella bellezza così pura e semplice,
priva di ornamenti,
lui la vedeva anche sotto gli abiti maschili e gli atteggiamenti
militareschi
che da sempre erano parte di lei; eppure così, con indosso
solo una vestaglia
che poco o niente lasciava all’immaginazione, quel suo
splendore etereo non
poteva che essere accresciuto.
La vide compiere
qualche passo verso di lui e si mosse a sua
volta, raggiungendola in poche falcate; le posò le mani
intorno alla vita,
stringendosela contro, e si chinò a baciarle il viso.
“Mi
stavi aspettando?”.
Oscar rise
accarezzandogli il volto con entrambe le mani.
“Sì,
stavo proprio aspettando te. Però,
non
dovresti entrare senza bussare nella stanza della tua futura
moglie”.
“Proprio
perché sarai mia moglie, non vedo il motivo di tanta
etichetta”.
Gli sorrise,
sfiorandogli le labbra con i pollici e si tese a
baciarlo, spostando le mani sulle spalle dove alcune ciocche ribelli si
lasciarono catturare fra le sue dita; Andrè portò
le mani verso il basso fino
al fondoschiena, e la sollevò leggermente.
“Oscar…
mi fai perdere il controllo di me stesso così”,
sospirò
staccandosi da lei.
“Sarai
mio marito, non vedo il motivo di tanta etichetta”.
Oscar rise di
nuovo, rigirandogli ciò che le aveva appena
detto e Andrè ridacchiò anche lui, piegandosi a
darle un bacio sul collo.
“I
Beleznay hanno finalmente ricevuto i documenti
dall’Ungheria. Oggi hanno adottato Andrè Grandier
e András Hrovat non
esiste più”.
“Perciò,
posso chiamarti Andrè anche quando siamo qui a
Versailles?”.
Andrè
annuì baciando il nasino di Oscar. “Certo. Sono di
nuovo e per sempre Andrè”.
“Il mio Andrè”.
Ophélie
si trovava nella propria stanza a rimuginare su ciò
che era accaduto; non tollerava che quello scherzo della natura
chiamato Oscar
François de Jarjayes le avesse infine ritorto contro il suo
stesso piano. E
meno ancora sopportava lo sdegno con il quale il suo attendente
ammantato di nuova
nobiltà l’aveva respinta.
“A che
cosa stai pensando?”.
La voce di Tibor
la fece voltare verso il letto, sul quale
giaceva il duca ungherese, fra le lenzuola sfatte. Lo raggiunse sedendo
sul
bordo e stese una mano a disegnare i muscoli del suo torace.
“Non
accetto quello che è successo. Detesto perdere”.
Tibor si
sollevò, mettendosi seduto sul letto e le prese la
mano, portandola alle labbra. “Non è
finita”.
“Tibor…
cosa possiamo fare ancora, fra due giorni si
sposeranno e partiranno per l’Ungheria, hanno
vinto”.
Lui
sollevò Ophélie fra le braccia, stringendola a
sé e le
tirò su il viso, prendendo possesso delle sue labbra mentre
lei lasciava
scivolare le mani fra i suoi capelli biondi. Lo spinse
all’indietro sul letto,
suscitandogli una risata che sentì con la pelle quando lui
se la strinse
contro, premendole le mani sulla schiena. Lasciò le sue
labbra per baciargli il
collo, la mano di Tibor fra i suoi boccoli.
“Non
li lascerò tranquilli, mia cara”.
Ophélie
alzò lo sguardo e lo abbracciò, stendendosi al
suo
fianco. “Dici davvero?”.
Tibor
annuì stringendola fra le braccia, la guancia
appoggiata sulla sua testa. Le carezzava pigramente la schiena,
scostando i
capelli dalla pelle di porcellana della donna, fin quando la vide
addormentarsi
e le baciò la fronte. Aveva in mente ancora un tiro mancino
all’odiato cugino
ma doveva attendere.
Il giorno del
tanto sospirato matrimonio era giunto infine, e
la cappella di Versailles era piena fino all’inverosimile
degli invitati alla
cerimonia ma soprattutto delle decine di cortigiani incuriositi
dall’evento.
Vedere il comandante Oscar François de Jarjayes contrarre
matrimonio era già
abbastanza strano; se poi il fortunato era niente meno che un principe
giunto
dai lontani boschi della Transilvania, la rarità
dell’avvenimento ne risultava
moltiplicata. Persino Tibor e Ophélie sedevano fra i
congiunti, come se niente
fosse accaduto fra loro e le famiglie degli sposi.
Quando la sposa
fece il suo ingresso al braccio di suo padre,
le esclamazioni di sorpresa non furono lesinate e se non fosse stato
per la
prevedibile tensione che l’aveva afferrata, Oscar avrebbe
trovato assolutamente
comiche le facce dei presenti. Era convinzione diffusa che si sarebbe
presentata in alta uniforme, come ogni volta che presenziava ad eventi
di
particolare importanza; e vederla fasciata in quel semplice ed elegante
abito
color avorio, con i lunghi capelli biondi raccolti sul capo,
stupì non poco
l’intera Versailles. Per un attimo fugace, Oscar
pensò che forse qualcuno
avrebbe ricordato la misteriosa contessa straniera che aveva danzato
fra le
braccia del conte di Fersen oltre un anno prima; stranamente, si rese
conto che
non le importava affatto che la riconoscessero, non ora che la stava
aspettando
l’unico uomo che meritasse di vederla in quelle vesti.
Andrè
era a dir poco folgorato da quella vista. Osservava
Oscar percorrere la navata a passo lento, il braccio stretto attorno a
quello
del generale Jarjayes, e credette quasi di essersi definitivamente
smarrito in
uno dei suoi sogni più belli. La donna che amava da tutta la
vita stava per
diventare sua moglie, lo amava e solo per lui aveva accettato di
dismettere le
sue abitudini e per un giorno, calarsi interamente nel ruolo di sposa.
Era così
bella che guardarla faceva male ma avrebbe rinunciato per sempre alla
vista se
avesse potuto dedicare a lei il suo ultimo sguardo. Si riscosse in
parte quando
il generale gli lasciò sua figlia, posando la mano di lei
sulla sua e si piegò
leggermente per poterle parlare.
“Sei
una visione”, disse, avendo il piacere di vederla
arrossire e distogliere pudicamente lo sguardo.
Non poteva
immaginare quanto e in quale maniera avesse
provocato il rossore di Oscar; le sue parole certamente avevano avuto
il loro
effetto ma lui stesso, la sua presenza in quel luogo e ciò
che significava
erano un misto di emozioni fortissime.
Si guardarono
negli occhi tutto il tempo, le mani strette che
intrecciarono le dita quando finalmente il celebrante sancì
la loro unione agli
occhi di Dio e degli uomini.
Semplicemente
Andrè e Oscar, semplicemente un uomo e una
donna liberi finalmente di amarsi senza ostacoli.
Durante il
ricevimento, che si tenne ancora a Versailles,
Andrè e Oscar trovarono il modo di allontanarsi, non visti,
da tutte quelle
luci e quegli sfarzi che nessuno dei due amava particolarmente. Si
rifugiarono
su una terrazza abbastanza isolata perché potessero stare
tranquilli per
qualche momento; la musica e il vociare delle persone giungevano
ovattati,
dando loro l’impressione di potersi isolare da tutto il
mondo. Andrè abbracciò
Oscar da dietro, le braccia strette attorno alla sua vita e il mento
sulla sua
spalla. Nessuno dei due parlava per non interrompere la magia di quegli
istanti
di cui unici testimoni erano gli astri del firmamento.
“E
così”, disse infine Oscar posando la mano sinistra
su
quella di Andrè, “siamo sposati. Chi lo avrebbe
mai detto?”.
“Io.
Non ho mai avuto dubbi che noi due fossimo gli unici
capaci di dare felicità l’uno
all’altra”.
“Ah
si?”.
“Si”.
Andrè
voltò il capo baciando delicatamente sul collo Oscar
che chiuse gli occhi, intrecciando più strette le loro mani.
“Ti
amo Andrè, lo sai?”.
Lui sorrise
sulla sua pelle e le posò una mano sul viso,
costringendola gentilmente a voltarsi incontrando le sue labbra;
l’altra mano
vagava sul suo corpo, infastidita dalla seta del vestito che impediva
alle loro
pelli di sentirsi. Andrè la fece voltare e poggiò
la fronte contro la sua,
accarezzandole delicatamente il viso.
“Anch’io
ti amo Oscar”, le sussurrò sulle labbra.
“Ti ho già
detto che sei bellissima?”.
Oscar
arrossì di nuovo, come ogni volta che lui le rivolgeva
parole tanto lusinghiere. “In effetti, credo che tu non me lo
abbia ancora
detto abbastanza”.
Andrè
rise abbracciandola e le accarezzò la schiena mentre
lei si rifugiava sul suo petto, sospirando tranquilla; ancora pochi
giorni e
sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe avuto di nuovo lui accanto.
Un anno
prima, il sopraggiungere di quel giorno era stato l’ennesimo
colpo al suo cuore
ferito, un altro momento in cui avrebbe voluto Andrè e non
poteva. Questa
volta, sarebbe stato un nuovo passo verso la felicità
più grande che avesse mai
provato; alzò lo sguardo incrociando il suo, tanto intenso
da farla
rabbrividire.
“Senti
freddo?”.
“No,
sto bene. Voglio solo stare con te”.
Andrè
guardò Oscar negli occhi, intuendo cosa in realtà
gli
stesse chiedendo con quelle parole, apparentemente innocenti.
“Ci
cercheranno”.
“Non
siamo il Re e la Regina, i cortigiani possono anche
restare a danzare tutta la notte, invece di controllare cosa facciamo
nella
nostra camera”.
Lui rise
stringendole la mano e tornò all’interno della
reggia, imboccando il corridoio che conduceva agli appartamenti.
Ridevano come
ragazzini mentre correvano tentando di non farsi scoprire e non smisero
nemmeno
quando raggiunsero la stanza di Andrè; lui la
sollevò fra le braccia e giunto vicino
al letto, la adagiò sul materasso, stendendosi accanto a lei.
Si
voltò supino, trascinandola su di sè e le
sfiorò leggero
il corpo, imparandone ogni segreto con le dita; tornò ai
suoi capelli dai quali
cominciò a sfilare i fermagli che li tenevano raccolti sul
capo. Le ciocche gli
ricadevano sul viso, inebriandolo del profumo di Oscar mentre lei gli
slacciava
lo jabot per avere libero accesso
al
suo collo che si chinò a baciare. Andrè si
sollevò, sedendosi sul letto e
tenendo Oscar a cavalcioni sulle gambe la baciò
voluttuosamente, sfilandosi la
giacca e il gilet che gettò lontano sul pavimento.
Oscar
liberò i capelli di Andrè dal nastro che li
tratteneva,
sfilando con mani febbrili i bottoni della sua camicia dalle asole,
ansiosa di
poter risentire quella pelle virile sotto la sua; finalmente
riuscì a toglierla
e la mandò a raggiungere gli indumenti già tolti.
Lui sciolse i lacci che
tenevano chiuso il suo vestito e glielo sfilò lentamente
dalla testa, baciando
ogni porzione di pelle che scopriva al suo passaggio.
Pochi altri
ansiosi movimenti e i loro corpi poterono
risentirsi nuovamente privi di inutili barriere di stoffa fra loro.
Oscar,
ancora adagiata sul corpo di Andrè, si mosse accogliendolo
dentro di sé, senza
ulteriori indugi, spinta da un’urgenza che le era diventata
familiare; lui le
posò le mani sui fianchi, imponendole un ritmo
più lento e si abbassò a
baciarle il collo, scendendo lentamente verso il seno. Si
scoprì a rabbrividire
sentendo le mani di Oscar intrecciarsi fra i suoi capelli scuri,
sorpreso di
quanto un gesto così innocente potesse aumentare tanto la
sua eccitazione.
La
afferrò per la vita, invertendo le posizioni con un colpo
di reni e facendola distendere sulla schiena, si sollevò sui
gomiti per non
pesarle addosso; Oscar era ancora più bella così
scarmigliata, le labbra tumide
e rosse per i baci e il viso disteso, illuminato dai suoi splendidi
occhi
azzurri, lucidi di piacere. Le posò le mani sulle gote,
baciandola dolcemente,
senza fretta.
“Ti
amo così tanto Oscar”.
Oscar sorrise,
accarezzandogli la schiena. “Ti amo anch’io
Andrè”. Gli percorse il dorso con le mani fino a
posarle sulle anche e lo tirò
contro di sé, spingendolo a muoversi; Andrè
sorrise di quell’iniziativa e la
accontentò, stringendola fra le braccia mentre lei gli
cingeva i fianchi con le
gambe.
Chiuse gli
occhi, desiderosa di sentire solo il dialogo fra i
loro corpi che parlavano una lingua antica quanto il mondo, fin quando
tutto
perse di significato e potè percepire solo vagamente
Andrè stringerle la mano
mentre giungeva al culmine a sua volta.
Qualche ora
dopo, Oscar fu svegliata dalla fastidiosa
sensazione che ci fosse qualcuno nella stanza; socchiuse gli occhi,
strusciando
il viso contro il petto di Andrè sul quale stava riposando.
Dormiva ancora
tranquillo e lei voltò il viso a posargli un delicato bacio
sul torace.
“Ben
svegliata madamigella”.
Una voce del
tutto fuori luogo la fece sobbalzare e il
movimento repentino svegliò Andrè; non appena
aprì gli occhi, vide una
spaventata Oscar seduta contro la testiera del letto, le lenzuola
strette
addosso, e si voltò nella stessa direzione in cui stava
guardando.
“Tibor!
Dannazione, che fai qui?!”, esclamò vedendo il
duca tranquillamente
seduto su una poltrona che si trovava di fronte al letto, una pistola
stretta
in pugno.
“Ah
devi scusarmi cugino sai… non avrei voluto ammazzarti
proprio la prima notte di nozze ma tu non ne hai voluto sapere di
toglierti dai
piedi prima”.
Oscar nel
frattempo aveva recuperato tutto il suo sangue
freddo e si guardava intorno, sperando di scorgere qualcosa che potesse
essere
usato come arma; trattenne uno sbuffo rendendosi conto di quante cose
inutili
potessero trovarsi in un comune appartamento della reggia.
“Tibor,
è il caso che tu te ne vada, credimi”, disse
Andrè
alzandosi in piedi, un lenzuolo a cingergli i fianchi. “Se
esci adesso,
dimenticheremo ciò che è accaduto”.
Tibor rise
sadicamente, scuotendo la testa e volse gli occhi
verso Oscar; le aveva dedicato una lunga occhiata prima che si svegliasse
e
dovette ammettere che suo cugino aveva avuto buon gusto. Lei ricambiava
il suo
sguardo, tenendolo d’occhio, e le fece cenno di raggiungerlo.
“Avvicinatevi
madamigella. Sono certo che da bravo cugino
vostro marito non avrà nulla da obiettare se vi dedicate un
po’ anche a me”.
Andrè
strinse i pugni, muovendo qualche passo verso di lui.
“Non osare nemmeno pensarci schifoso bastardo!”.
Tibor
tirò indietro il cane, puntandogli contro la pistola.
“Hai proprio fretta di morire”.
Oscar,
terrorizzata all’idea che premesse il grilletto, si
alzò coprendosi meglio che potè con le coperte e
fece per avvicinarsi a lui.
“No!
Tibor vi prego, mettete giù quella pistola, farò
ciò che
volete!”.
“Oscar
fermati!”, la pregò Andrè, immaginando
le intenzioni
perverse di suo cugino.
Il duca tese la
mano a Oscar e lei ignorò le sue suppliche
avvicinandosi ancora; posò timidamente la mano sulla sua,
mentre l’altra
stringeva i drappi sul corpo nudo e lui la afferrò,
tirandosela contro, la
pistola pericolosamente diretta al petto di Andrè. Le mise
la mano fra i
capelli, sulla nuca, e si appropriò della sua bocca,
baciandola con violenza.
Andrè
fremeva come una bestia in gabbia e mosse cautamente un
passo, fermandosi quando vide Tibor spiarlo con un occhio e sistemare
il tiro
dell’arma; Oscar si rilassò contro di lui che si
permise di abbassare la
guardia, seguendo con lo sguardo la linea del suo collo fino alla
stoffa
stretta sul seno. Andrè approfittò di
quell’attimo di distrazione e si scagliò
contro Tibor, disarmandolo dopo una breve colluttazione;
afferrò Oscar per la
vita e arretrò di qualche passo, puntandogli la pistola
contro. Posando le mani
sul braccio allacciato in vita, lei potè nettamente sentire
che tremava per lo
sforzo di trattenersi dal premere il grilletto.
“Vuoi
spararmi Andrè? Fallo, che aspetti!”.
“Lo sa
Iddio quanto vorrei vederti con un buco in fronte per
ciò che hai appena fatto”.
Oscar
alzò lo sguardo, vedendo la mascella contratta
dalla tensione e minuscole gocce di sudore imperlargli la fronte
aggrottata;
gli occhi ridotti a due fessure erano segno evidente di quanto fosse
combattuto
ma lei sperava che avesse il sangue freddo di non macchiarsi di un tale
crimine.
“Andrè…”.
Andrè
rafforzò la presa attorno alla pistola e sparò un
colpo
che si conficcò nella poltrona alle spalle di Tibor, senza
sfiorarlo. Lasciò cadere
l’arma e, voltandola verso di sé,
abbracciò Oscar, stringendosela al petto. Andrè
tremava ancora e lei si avvinghiò al suo corpo, sperando di
calmarlo con quel
contatto così forte.
“Tibor
vattene. Esci da questa stanza e fa’ in modo di uscire
anche dalle nostre vite. Non sono sicuro che mi tratterrei
ancora”.
************************************************************************************************
Eccomi, eccomi,
eccomi qua ^-^ Vi chiedo umilmente perdono
per il ritardo, mio cugino che vive lontano ha fatto
un’improvvisata e mi ha
rapita negli ultimi tre giorni XD.
Tornando al
capitolo, è decisamente più lungo rispetto al mio
solito ma non sapevo proprio dove tagliarlo :P
Una
precisazione, riguardo il vestito di Oscar: forse
qualcuno/a di voi si aspettava, come i nobili di Versailles, che
effettivamente
la nostra bionda si sposasse in uniforme. Personalmente, la spiegazione
che
Oscar da a sé stessa mentre posa per madame Bertin,
è niente di meno che la mia
personale idea; inoltre, è pur vero che si sente a suo agio
in abiti maschili
data l’educazione ricevuta ma sono convinta che se mai avesse
sposato Andrè, lo
avrebbe fatto in abito da sposa. Lui ha sempre visto la
femminilità nascosta
sotto l’uniforme ed è l’unico che le
abbia fatto capire fino in fondo quanto
fosse donna; indossare un abito femminile nello stesso giorno che li
avrebbe
visti finalmente marito e moglie sarebbe stato un ottimo modo per
accettare in
pieno questa nuova consapevolezza e renderne partecipe lui.
Bene, concluso
il tema, ci sto prendendo gusto a scrivere le
scene hot, anche se preferisco la prima X///P
Detto questo, la
storia è ormai conclusa, manca solo l’epilogo;
ancora una volta, grazie per il sostegno e fatemi sapere cosa pensate
anche di
questo capitolo, sempre se vi va ;)
A presto (_ _)