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Autore: Shona    10/05/2011    11 recensioni
Sarah, Alan e Leo non hanno niente in comune, ma la vita li ha resi partecipe di uno strano triangolo di amore e amicizia.
Dalla Storia:
Non ho mai avuto un sogno particolare da voler realizzare, non ho mai avuto progetti che andassero oltre l’anno, non ho mai avuto delle vere amicizie di quelle che durano tutta la vita.
Semplicemente mi limitavo a vivere alla giornata.
Una ragazza normale, forse anche troppo.
Non avrei mai potuto pensare che la mia noiosa vita potesse essere stravolta da due bellissimi cicloni.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Fuori Strada

Capitolo 9 – First Date
 
Alan mi piaceva. Anche tanto.
Ma non fino al punto di voler far assomigliare la mia camera alla sua.
Leo, questo concetto, ancora non lo aveva capito.
<< Devi essere provocante, ma non sexy. Una cosa alla “sbattimi al muro, ma con dolcezza”! >> Con la testa infilata nel mio armadio continuava a buttare vestiti dietro di sé.
<< Sì Leo. >> Mai contraddire un pazzo. È così che si dice, no?
<< Cercate almeno un vicoletto appartato o vi arresteranno per atti osceni in luogo pubblico. >> Prese fra le mani una mini gonna che avevo comprato per un carnevale di qualche anno prima. Oltre ad essere ridicolmente corta, era anche cosparsa di stras multicolor.
<< Ah-ah. >> Era stato inutile dirgli che ero già pronta.
Da quando si era precipitato nella mia stanza avevo fatto in tempo a farmi la doccia, sistemarmi i capelli e vestirmi. Era un normale appuntamento; non dovevamo mica giurarci amore eterno davanti alla Regina.
Intanto che aspettavo le quattro, mi ero decisa a mettermi lo smalto.
La checca isterica non mi dava retta e io avevo ancora qualche minuto per dare un’altra passata.
<<… e poi preso dalla passione ti strapperà le mutande e ti farà sua dietro un cassonetto! >> Era così convinto delle sue parole, tanto che gli brillavano gli occhi.
Io, invece, non sapevo se mettermi a ridere o a piangere dei suoi deliri.
Per fortuna il campanello suonò poco dopo, quando ero già rimasta incinta di un paio di gemelli e vivevo in una villetta a schiera con cinque cani, due gatti e una vasca piena di pesci rossi.
Leo non parve accorgersene e continuò il suo soliloquio.
Ormai aveva finito i vestiti da buttare all’aria e si rimirava nello specchio attaccato ad una delle ante dell’armadio.
<< Poe, io vado. Se vuoi ci sono i biscotti nella credenza e Moulin Rouge nel lettore dvd. >> Cercai di attirare la sua attenzione, ma nemmeno due delle sue cose preferite lo staccarono dal suo riflesso.
Buttai gli occhi al cielo e corsi giù per le scale.
Se fosse stato per Leo avrei dovuto mettere un tacco dodici che mi avrebbe fatto ammazzare dopo il primo scalino. Per fortuna ero ancora abbastanza sana di mente da optare per un comodo paio di converse.
Ci mancò poco che mi spalmassi contro il portone per guardare dallo spioncino.
Dall’altra parte Alan mi aspettava un po’ nervoso.
Presi un respiro per calmarmi. Ero riuscita a stare calma fino a quel momento, ma ora tutto stava per diventare reale.
Il non pensare che avrei avuto un vero appuntamento con Alan mi aveva aiutato e Leo con tutte le sue cazzate era riuscito a distrarmi, ma ora…
Aprii il portone e il sorriso di Alan mi abbagliò. Se fossimo stati in uno dei racconti di Hell probabilmente non avrebbe fatto in tempo a dirmi << Ciao! >> che le fantasie perverse di Leo si sarebbero avverate.
<< Ehi. >> Balbettai un po’.
Lui alzò una mano per salutarmi e continuò a sorridere.
<< Dove ti va di andare? >> Non si era avvicinato, era rimasto fermo sugli scalini davanti alla porta.
Stava prendendo un po’ troppo alla lettera il fatto di andare con calma. Non gli avevo mica consegnato un ordine restrittivo nei miei confronti!
Mi persi un momento a guardarlo dai miei due gradini di vantaggio.
Anche lui si era vestito normalmente: maglietta, bermuda di jeans e converse.
Avanzai di un passo, chiudendomi la porta alle spalle.
<< Non so… hai niente in mente? >> Cercai di sorridere, anche se l’ansia stava prendendo il sopravvento.
<< No, beh… oddio dovevo progettare qualcosa?! No, perché non c’ho proprio pensato e magari poi non ti andava bene e… e… >> Iniziò a gesticolare e ad impanicarsi, tanto che per poco non mi misi a ridere.
Se qui c’era qualcuno nervoso era decisamente lui.
Io avevo già avuto dei normali appuntamenti, mentre lui non sapeva proprio da che parte iniziare.
<< Alan, tranquillo! Non ti ucciderò per questo! >> Gli poggiai una mano sul braccio per farlo fermare e lui mi guardò col suo sguardo da cucciolo abbandonato.
<< Non abbiamo fatto nemmeno due passi che sto già combinando un disastro… >> Se non si fosse tolto quell’espressione dalla faccia avrei passato il resto del pomeriggio a coccolarlo e a ripetergli che era un bravo cucciolo.
Decisi che era meglio muoverci da davanti alla porta. Magari Leo sarebbe potuto uscire e avrebbe potuto narrare le sue idiozie ai quattro venti.
Gli sorrisi cercando di rassicurarlo e lo presi per mano.
<< Non essere così pessimista. Hai tutto il pomeriggio per rifarti. >> Scesi i gradini tirandomelo dietro.
 
Passeggiammo per un po’ in silenzio.
Non gli avevo ancora lasciato la mano e anche lui sembrava non averne intenzione.
Grazie a quello però riuscii a capire che si stava calmando un po’.
All’inizio aveva i palmi sudati per il troppo nervosismo, in quel momento invece era tranquillo.
Lo guardai di sottecchi e più di una volta lo beccai mentre stava per dire qualcosa.
Non avrei mai pensato che potesse essere così impacciato. Di solito parlava anche troppo e rideva sempre.
<< Ti va di andare a bere qualcosa? >> Ruppi il silenzio e Alan tirò quasi un sospiro di sollievo dato che gli avevo tolto quell’incombenza che gli gravava sulla testa da quando avevamo lasciato le scale di casa mia.
<< Andiamo allo Star? >> Chiese decisamente più rilassato.
 Il più vicino Starbucks si trovava esattamente davanti al British Museum. Avremmo potuto approfittarne per fare un giro al museo se non ci veniva altro in mente.
Alan mi sorrise allegro quando annuii.
<< Per caso Leonard era da te? Ho provato a chiamarlo e non mi ha risposto. >> A quelle parole quasi mi strozzai con la saliva.
Mi erano tornati in mente tutti i discorsi deliranti di quella cosa che chiamavo migliore amico.
<< S-sì. Mi stava distruggendo la camera poco prima che arrivassi. >> Mi sentii andare a fuoco le guance.
Presto avrei ucciso Poe. Accidenti a lui e le sue stupide idee di mutande, vicoli e cassonetti.
Ero tranquilla, serena, riposata. Fino a che quell’essere di dubbia moralità non mi ha condizionato coi suoi discorsi. Condizionamento postumo. Solo lui poteva riuscirci.
Fece una faccia buffissima, a metà tra l’incredulo e il rassegnato.
<< A me ha riordinato camera stamani… Avrà problemi di personalità multipla? >>
Provai ad immaginare un eventuale motivo a questo attacco da mogliettina premurosa e l’unica cosa che mi venne in mente fu che volesse vestire Alan come un Ken a grandezza naturale come voleva fare con me.
<< Che non era normale l’avevo capito da un pezzo. >> Rabbrividii al pensiero di come avrei trovato la mia camera una volta tornata a casa.
Sperai che non mi avesse lasciato minacce di morte scritte col sangue sul muro per averlo lasciato a parlare da solo.
<< E’ da molto che vi conoscete? >> Domandai curiosa.
Stranamente Leo non mi aveva raccontato di come si erano conosciuti, ma aveva abbondato sui particolari delle sue varie amichette.
<< Ehm… dunque… >> Si passò una mano fra i capelli, facendo la faccia da pensatore.
<< Se non sbaglio si è trasferito in casa verso questo periodo dell’anno. Perciò ci conosciamo da un anno se la matematica non è un’opinione! >>
Iniziammo a parlare del loro primo periodo di convivenza.
Alan viveva nel suo mondo e Leo si era praticamente impossessato di tutta la casa.
Fosse stato per me l’avrei avvolto in una coperta e fatto ciondolare giù dal balcone, ma Alan, per fortuna di Leo, non era me. Per la mia sanità mentale Hell era sì disordinata, ma anche molto equa per quanto riguardava le cose di casa.
Ci eravamo divise gli armadietti in bagno e la dispensa in cucina… poi si era creato il caos e ormai tutto era di tutte e due. Andava bene così, riuscivamo ad avere un’ottima convivenza.
Convivenza che negli ultimi tempi si era ridotta a “Buongiorno”, “Caffè” e “Buonasera”.
Stava lavorando come una matta e dubitai che fosse tutta colpa di Trevor. Non riusciva più a scrivere perciò si era buttata anima e corpo in quello che riusciva a fare.
Da quello che mi disse Alan in casa loro regnava l’anarchia più totale. Non me ne stupii affatto ricordando il salottino governato da vestiti da stirare e i mobili della cucina praticamente vuoti.
Quelle poche volte che ero stata a casa loro, avevamo sempre dovuta fare la spesa prima di poter mangiare.
Lasciare due maschi semi adolescenti a vivere da soli non è mai cosa saggia. Strano che non avessero ancora dato fuoco o allagato quella povera casa.
Arrivammo allo Starbucks senza nemmeno accorgercene.
Da quando avevamo preso a parlare non c’eravamo più fermati e avevamo riso fino alle lacrime a raccontarci vari aneddoti di quello che succedeva nelle nostre rispettive case.
<< Tu non hai idea di quanto Hell possa urlare forte! Quando ha visto quello scarafaggio pensavo si sarebbe buttata dalla finestra pur di stargli lontana! >>
Alan rabbrividì quando gli raccontai dell’incursione notturna di quel maledetto insetto che mi fece passare la notte in bianco per cercare di buttarlo fuori casa.
<< Penso che avrei fatto compagnia a Heléna sul marciapiede. Quelle cosine nere, con tutte quelle zampette… brrr! >>
<< Ma dai è solo uno scarafaggio. >> Gli sfiorai appena il braccio con la punta delle dita facendogli fare un salto degno di un gatto.
Non potei fare a meno di sghignazzare mentre gli muovevo le dita davanti agli occhi.
Prendemmo i nostri caffè e ci rimettemmo in strada per continuare la nostra passeggiata.
Dentro c’era troppa gente, altrimenti ci saremmo messi a sedere per continuare a parlare ancora.
<< Si è rannuvolato. Speriamo non si metta a piovere. >> Mi portai il bicchiere di carta alle labbra, assaporando il buon sapore del caffè.
<< Potremmo andare a chiuderci da qualche parte. >> Alan mi copiò, alzando poi gli occhi al cielo quando una goccia di pioggia gli cadde sul naso.
In compenso io quasi mi strozzai a sentirgli chiedere una cosa del genere.
Maledissi Leo e i pensieri che mi erano venuti in mente. E anche Alan. Non poteva uscirsene con frasi del genere. Io… Lui… chiusi da qualche parte… Decisamente passava da un estremo all’altro.
Mi batté la mano sulla schiena, preoccupato che gli stessi per morire davanti.
<< Tutto bene? >> Continuò ad accarezzarmi la schiena, mentre io tornavo a respirare aria e non caffeina.
Mi limitai ad annuire e a prendere un gran respiro.
Cercai di parlare, ma dovetti schiarirmi la voce un paio di volte per riuscirci.
<< Ti va di andare al museo? >> Indicai il Museum dell’altra parte della strada.
<< Ehm… ecco… perché non andiamo al cinema? >> Alan era completamente arrossito.
Ed io con lui. Voleva attentare alla mia perduta virtù in un luogo pubblico? Almeno l’altra volta mi aveva portato in quel bel cortiletto sconosciuto.
Per fortuna che non mi ero rimessa a bere il caffè o sarei finita affogata.
<< A-al cinema? >> Balbettai scacciando il pensiero di quello che poteva succedere in una sala buia con comode poltroncine imbottite.
Il mio cuore stava per scoppiare. Era passato dal rivolgermi a malapena la parola, a tenermi tranquillamente per mano, a volerci chiudere al cinema a fare chissà cosa.
<< E’ che… è uscito Toy Story 3 l’altra settimana… e volevo vederlo. >> Si portò una mano sulla nuca, distogliendo lo sguardo dal mio.
Vuole vedere un film e non saltarmi addosso nel buio della sala? Il ragazzo sta decisamente guadagnando un sacco di punti.
<< Oh! >> Fu la mia eloquente risposta.
<< Però se vuoi andi… >>
<< Va bene. >> Dissi, senza lasciargli il tempo di finire quello che stava dicendo.
<< Davvero? >> Era fin troppo sorpreso della mia risposta, ma io non ci vedevo niente di male… adesso.
<< Sì, certo. Adoro i film della Disney. Justin mi ha fatto vedere Toy Story almeno un miliardo di volte, è uno dei suoi film preferiti. >> Sorrisi ripensando al mio fratellino che correva per il salotto col suo capello da cowboy.
Un meraviglioso sorriso gli aprì le labbra, facendomi perdere per qualche secondo.
<< Andiamo? >> Mi chiese allungando una mano verso di me.
Non ci fu bisogno di rispondergli.
Gli presi semplicemente la mano.
 
Eravamo seduti l’uno accanto l’altra da almeno trenta minuti. I giocattoli sullo schermo erano impegnati a salvarsi i pezzi dai bambini pestiferi dell’asilo in cui erano stati scaricati e noi avevamo già finito la nostra porzione maxi di pop corn.
La sala era mezza vuota. Forse per l’ora o per il fatto che era un giorno infrasettimanale, a farci compagnia c’era qualche nonna col nipotino che non la smetteva un attimo di parlare, qualche gruppetto di ragazzini e qualche coppietta che aveva scelto il cinema per sbaciucchiarsi furiosamente. Sperai solo quello.
<< Ehi… >> Mi sentii tirare l’orlo della maglietta dal buco sotto al bracciolo.
<< Cosa? >> Gli risposi sussurrando.
Mi girai verso di lui che indicava una coppia di ragazzi che stavano cercando di riproporre una scena vietata ai minori qualche sedili dopo i nostri.
Sgranai gli occhi, raggiungendo in poco tempo la temperatura di un vulcano in eruzione.
Stava scherzando, vero? Si era già dimenticato tutto il bel discorso che c’eravamo fatti il giorno prima?
Va bene che era quasi un discorso idiota – togliamo anche il quasi – ma pensavo che avesse capito l’antifona.
<< Lo vorrei anche io… >> Piagnucolò come un bimbo.
Se sperava che mi incollassi come una ventosa alle sue labbra… beh in realtà potevo anche farci un pensierino se continuava a guardarmi con i suoi occhioni da cucciolo.
<< A-Alan, io non credo che… >>
<< Ma io ho ancora fame. >> Che c’entrava con i due tipi che si stavano mangiando la faccia a vicenda?
<< Eh? >> In sua presenza ero sempre molto eloquente.
<< Dici che se ne accorgono se gli frego i pop corn? >> Domandò iniziando già ad alzarsi.
<< Alan! >> Cercai di richiamarlo, ma ormai era già lanciato nella sua impresa alla Mission Impossible.
Seguii i suoi movimenti col fiato sospeso.
Si avvicinò guardingo al sedile vicino a quello del ragazzo, dove stava comodamente appoggiata una ciotola enorme di pop corn.
Aspettò un paio di minuti seduto nel posto vicino alla sua preda e, una volta appurato che i due erano troppo occupati, prese i pop corn e tornò velocemente al suo posto accanto a me.
<< Missione compiuta! >> Trionfante infilò la ciotola dentro la nostra che era vuota, forse per mascherare il misfatto.
<< Tu sei tutto matto! >> Non riuscii a trattenermi dal ridere e una vecchietta sotto di noi si girò a guardarmi male.
<< Tanto loro non li avrebbero mangiati. >> Ne prese uno e se lo tirò in bocca.
Continuai a ridere, soprattutto per la scena di Ken e Barbie nel film.
Ken era inquietantemente simile a Leo.
Avrei comprato un foulard anche a lui da mettersi intorno al collo. E poi ce lo avrei strozzato.
Mi scappò una risata più forte delle altre e la signora sotto di noi si girò un’altra volta sibilando uno “Shss”.
Forse non si rendeva conto che il suo adorabile nipotino non si era zittito un secondo dall’inizio del film.
<< Vecchia strega. >> M’imbronciai e incrociai le braccia sul petto, sprofondando nella poltroncina.
<< Scatta la vendetta! >> Alan era tutto un fremito.
Si sistemò meglio a sedere e affondò la mano nei pop corn. Me ne porse un po’ e poi cominciò a tirarli nella fila di sotto.
<< Dieci punti se le prendi il cappello, venti se gli rimane sulla parrucca! >>
 
Ci mancò poco che ci buttassero fuori dal cinema, ma riuscimmo comunque a finire di vedere il film, con un risultato finale di 90 a 110. Vittoria schiacciante di Alan.
<< Appena arrivo a casa butto tutti gli orsetti di peluche nel tritarifiuti! >>
Alan aveva gli occhi rossi. Non era normale a vent’anni mettersi quasi a piangere per un film per bambini, eppure sia io che lui non ci eravamo saputi trattenere.
<< Ma no poverini! Loro non ti hanno fatto niente. Trita solo quelli rosa! >>
Nessuno di noi due era più nervoso. Lui perché era riuscito nel suo intento di avere un vero appuntamento con e me ed io perché non mi era saltato addosso in uno dei mille modi che mi erano venuti in mente da Leo a quella parte.
Nonostante fossero quasi le otto il cielo era ancora chiaro e gruppi di ragazzi di ogni genere ridevano e scherzavano per le strade.
Non avevo idea di quanto ancora Alan volesse stare con me, so solo che io ancora non volevo tornare a casa.
<< Sarah… >> Mi chiamò serio, facendomi fermare ad un semaforo che era appena diventato rosso.
<< D-dimmi. >> Era successo qualcosa da quando eravamo usciti dal cinema e non me ne ero accorta?
Avevo detto o fatto qualcosa di male? Se non avesse aperto bocca entro due secondi mi sarebbe venuta la tachicardia.
<< Ho fame. >> Mani affondate nelle tasche e sguardo basso.
Scoppiai a ridere senza nemmeno rendermene conto.
<< Sei un pozzo senza fondo! >> Mi guardò colpevole, come un cucciolo che aveva appena divorato le ciabatte del proprio padrone.
<< Voglio un doppio cheeseburger con patatine e una coca gigantesca! E ovviamente offri tu! >> E tanti saluti alla linea che non ero mai riuscita a mantenere. Cara la mia pancetta, anche quest’anno non ci separeremo!
<< Signorsì Signora! >> Il semaforo scattò sul verde, sorrise, mi prese per mano e iniziammo a correre come due scemi verso il primo fast food.
 
<< Non puoi avere ancora posto per un gelato! >> Stavamo tornando verso casa mia, dopo più di un’ora passata a ridere e scherzare seduti al tavolo. A dividerci solo le carte della nostra cena e uno dei giochi da bambini stampati sul retro di una tovaglietta.
<< C’è sempre posto per un gelato! E poi sono in piena crescita, devo diventare grande. >> Lo disse con aria solenne, come se quella fosse l’unica verità concepibile al mondo.
Non gli sarebbero stati male altri cinque o dieci centimetri in altezza, ma in evenienza avrei dovuto usare uno scaleo anche solo per abbracciarlo.
<< Povero piccolo… la prossima volta la Zia Sarah ti comprerà anche lo zucchero filato! >> Gli diedi un buffetto sulla guancia e saltellai in avanti verso il cancelletto di casa.
<< La… la prossima volta? >> Mi girai a guardarlo.
Avevo detto una cosa così strana? Era sinceramente sorpreso.
Tornai indietro, fermandomi davanti a lui.
<< E-era così per dire. >> Mi ero divertita quel giorno in sua compagnia, ma forse per lui non era lo stesso.
<< Ah. >> Il silenzio imbarazzante era tornato.
<< I-io… mi sono divertita. Oggi. Con… te. >> Le parole mi uscivano a fatica di bocca.
<< Sì, anch’io. >> Ma forse non era abbastanza. Forse preferiva i suoi appuntamenti “pizza&sesso”.
<< I-io…>>
<< Senti… >>
Parlammo nello stesso momento, zittendoci subito dopo la prima parola.
<< Sarah! >> Sussultai per il tono di voce alto e per il mezzo passo che aveva mosso verso di me.
Ci manco poco che rispondessi “Sono io!”, ma mi limitai ad un cenno della testa per farlo continuare.
Se avessi preso una delle sue mani, ero pronta a scommettere che le avrei trovate sudate come quando era venuto a prendermi.
<< Vuoi… >> Aprì la bocca per continuare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.
Si schiarì la voce e riprovò.
<< Vuoi uscire ancora con me? >> Non ero sicura di aver sentito bene.
Voleva uscire con me… ancora. Di nuovo. Un’altra volta.
<< Io non so se oggi ho fatto tutto giusto oppure no, però… è stato bello passare il tempo con te e parlare e stare anche solo seduti vicino al cinema e… >>
<< Sì. >> Non so perché ci misi così tanto a rispondere. Non so perché continuai a farlo parlare intanto che il mio cervello ingranava la marcia giusta per far arrivare la risposta alla mia bocca. So, però, che le sue parole erano state quelle giuste per farmi scaldare un po’ il cuore.
<< Eh? >> Forse lo stavo contagiando con le mie risposte monosillabiche.
<< Anch’io vorrei uscire ancora con te… ma ricordati: niente sesso fino al terzo appuntamento! >> Cercai di sdrammatizzare. Infondo quello era uno dei nostri accordi base.
Mi ritrovai stretta nel suo abbraccio, con le sue mani premute sulla schiena e le mie affondate nella sua maglietta.
<< Vuol dire che potrò uscire con te ancora, e ancora, e ancora, e… >>
<< Vediamo come va. Non sono abituata a fare progetti a lungo termine. >>
<< E io che avevo già pensato ad una casetta in campagna con lo steccato bianco e un paio di cani! >> Il neurone di Leo doveva essersi impadronito del cervello di Alan per qualche secondo.
Rimanemmo abbracciati qualche minuto, ridacchiando sul fatto che avrei voluto le tende colorate in salotto.
<< Ehi Alan, posso dirti un segreto? >> Gli sussurrai vicino all’orecchio.
<< Tutti quelli che vuoi. >> Mi strinse un po’ di più, facendomi sollevare in punta di piedi.
<< Credo che sia arrivato quel momento. >> Non ci fu bisogno di specificare di che momento intendessi. Lui lo capì benissimo.
Mi staccai da lui quel tanto che bastò per far unire le nostre labbra.
Ricordando i due baci che Alan mi aveva rubato a tradimento, non avrei mai pensato che potesse essere così dolce.
Mi sfiorò appena la bocca con la sua, accarezzandomi una guancia e spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Non era come me lo ricordavo. Era molto più bello, perché stavolta c’ero anche io in gioco.
Strinsi la sua maglietta tra le mani, mi alzai di un altro centimetro sulle punte e affondai la bocca nella sua.
Ci separammo lentamente, gustandoci ogni millimetro di pelle umida di bacio.
Mi sorrise dolce e io ricambiai non sapendo che altro fare se non tornare a baciarlo subito dopo.
Un bacio.
Un altro.
Un altro ancora.
Buona notte.


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Angolo della Pazza:
Non sono sparita... in realtà i miei personaggi hanno chiesto un ordine restrittivo nei miei confronti!
Non ho altro da aggiungere... non rilascerò nessuna dichiarazione se non in presenza di un avvocato estremamente sexy! XD

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