Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    11/05/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
Aspettami.



Delle urla si levarono dal cantiere, la luce rosseggiante delle prime fiamme proiettarono nella notte ombre di uomini che correvano nel vano tentativo di arginare il disastro. Ma la trappola ormai era stata innescata e non c'era modo di fermarla: una terza esplosione, segno che i barili carichi di polvere da sparo avevano preso fuoco, fece volare ovunque macerie fiammanti e chiodi roventi. Ciò che prima era stato il diversivo ora diventava l'arma, e le grida che si udivano non erano più solo di paura.
Il cantiere bruciava, e avrebbe continuato per un bel pezzo: le prossime esplosioni avrebbero portato le fiamme al capannone che sorgeva accanto, ovvero la sala del consiglio dei Mercanti. Jack distolse lo sguardo da quello spettacolo di devastazione, strizzando gli occhi per l'altissimo calore: dietro il muro che faceva angolo, lui e il giovane scagnozzo di Silehard erano al sicuro, anche se le detonazioni continuavano a sparare detriti in fiamme tutt'intorno a loro. Il giovanotto fissava il cantiere in fiamme col viso contorto in un ghigno.
- E' tutto vostro. - proferì stancamente il capitano, accennando col pollice ad un terzo edificio, quello che non sarebbe stato attaccato dall'incendio, ma che nella confusione sarebbe stato facile saccheggiare: i magazzini dei Mercanti. Il giovane corse fuori dal vicolo ed emise un fischio acuto e penetrante con due dita in bocca: subito, un'accozzaglia di uomini rimasti nascosti nella strada fino a quel momento uscì dai nascondigli, e tutti corsero a rotta di collo verso quella fornace ardente, lanciando urla di vittoria.

*

Se ci fosse stato anche solo un alito di vento a spingere cenere e scintille verso le navi ormeggiate sul molo, sarebbe stato un disastro di proporzioni mai viste, anche per Tortuga. Fu solo per fortuna -o forse per abile calcolo- che l'incendio si propagò soltanto a terra, divorandosi il cantiere e il quartier generale dei Mercanti.
In ogni caso, io e il resto del mio equipaggio lasciammo in tutta fretta la nave di Will per dirigerci alla Perla: io però superai di corsa la nave e proseguii sul pontile senza fermarmi, e Faith se ne accorse.
- Laura!- mi gridò dietro. - Dove stai andando?!-
- Vado a vedere che cosa succede!- replicai, voltandomi appena verso di lei senza neanche rallentare.
- Ma che cosa vuoi che succeda? Ci sarà la solita corsa a chi riesce ad arraffare più roba prima che crolli tutto!- gridò in risposta Ettore, ma ormai mi ero già allontanata e non sarebbero bastati i loro richiami per farmi cambiare idea. Non era un caso che fosse stato proprio il quartier generale dei Mercanti a saltare in aria, ed ora arrivare sul luogo del disastro per vedere il tutto con i miei occhi mi sembrava la cosa più importante da fare.
Come era prevedibile, per strada era una bolgia. La notizia dell'incendio si era sparsa in fretta; inoltre, un'inequivocabile colonna di denso fumo nero si innalzava da un punto ben preciso. Sapevo troppo bene il perché di tutta quella fretta: se davvero era stato appiccato un incendio voleva dire che un bel mucchio di denaro se ne stava andando in fumo, e la confusione era il diversivo perfetto per i numerosi temerari che avessero voluto arrischiarsi a fare man bassa negli edifici in fiamme prima che il fuoco divorasse tutto. Era un gioco all'ultimo sangue, ma molto diffuso a Tortuga in caso di incendio.
Facendomi largo tra gente che correva e altra che scappava, superai rapidamente la zona del porto e raggiunsi il cantiere: quella che conoscevo come la sede dei Mercanti era un alto edificio dal tetto spiovente, che ora sputava lingue di fiamme dalla finestre, illuminando tutto di un macabro bagliore arancione, e la cortina di fumo nero oscurava completamente il cielo. La costruzione accanto, quello che era stato il cantiere navale, era stato quasi raso al suolo dalle esplosioni che avevamo udito poco prima: il fuoco era divampato in fretta, alimentato da tutto l'esplosivo dell'artiglieria, e aveva attaccato in un attimo la casa a fianco.
Una massa di gente si affollava intorno, gridando, spintonandosi, e vidi alcuni uomini correre come dei dannati verso le finestre a pianterreno che erano già state sfondate da temerari saccheggiatori. E, in mezzo alla folla, ecco apparire loro: i capi della gilda dei Mercanti. Erano sei o sette uomini riccamente vestiti, e anche in mezzo a quella gente in tumulto sembravano i più agitati di tutti: forse l'attentato li aveva colti durante una delle loro riunioni, per questo si trovavano tutti assieme. Non riconobbi nessuno di loro: anche buona parte dei bottini che io e la mia ciurma avevamo speso a Tortuga era di certo passata sotto le loro mani, al momento non mi sembravano niente di più che signorotti indignati, indegni di qualsiasi interesse. Urlavano e imprecavano, additando frenetici le loro sedi in fiamme, mentre malandrini bruciacchiati fuggivano di corsa, con le braccia cariche di ogni cosa di valore fossero riusciti a trovare all'interno.
Per un istante, osservandoli, provai una specie di cruda soddisfazione: chissà quale di quegli uomini dalle marsine sgargianti aveva dato l'ordine di appiccare fuoco alla Perla Nera? Ma l'attimo dopo ogni senso di vendetta sparì, e mi trovai faccia a faccia con la verità: quelli non erano i nostri nemici, e le loro beghe non ci avevano mai toccati prima di allora. Erano così insignificanti. Non si meritavano un attentato così devastante e plateale.
C'era un edificio che non stava bruciando, ma era quello maggiormente preso d'assalto: i magazzini dei Mercanti. Davanti alle sue porte si stava consumando una vera e propria rissa: le fiamme dell'incendio illuminarono almeno una ventina di uomini a terra, avvinghiati l'uno all'altro, che si tempestavano di calci e pugni. Altri avevano scavalcato agilmente i lottatori ed erano andati a sfondare le finestre del magazzino, tuffandosi dentro indisturbati. Sospirai, non appena ebbi avuto la conferma di chi doveva esserci dietro a tutto ciò.
La folla premeva alle mie spalle, intorno a me. Qualcuno mi tirò una gomitata per passare, e finii sballottata in mezzo ai ladri e ai curiosi. Cominciai a cercare un modo per sfuggire alla massa di gente che premeva da ogni parte, ma, proprio quando mi stavo guardando freneticamente attorno, qualcos'altro catturò la mia attenzione. Il guizzo di una bandana rossa, e un cappello a tricorno infilato storto.
Jack emerse dalla folla solo pochi passi davanti a me, e rimase fermo per un istante, roteando lo sguardo attorno a sé con aria svagata, senza vedermi. Poi sgusciò rapidamente in mezzo alla gente, per svignarsela alla chetichella.
- Ehi!- tolsi di mezzo con uno spintone un uomo corpulento che stava sghignazzando come un matto, e corsi avanti alla massima velocità consentita dalla massa di gente che mi circondava. - Jack! Jack! JACK SPARROW!- gridai più forte che potei, saltellando per non perderlo di vista in mezzo a quel caos.
Scavalcai, spintonai, tirai spallate per farmi largo tra la folla impazzita: non vedevo più Jack. Frustrata, presi a girarmi da ogni parte nel tentativo di ritrovarlo, e improvvisamente sentii una schiena cozzare violentemente contro la mia, levandomi quasi il fiato. Mi sfuggì un'imprecazione di sorpresa, mi voltai di scatto e mi trovai faccia a faccia proprio con Jack, colto alla sprovvista quanto me.
- Jack!- quasi subito lo agguantai per una manica della giacca, per impedire che la folla ci separasse di nuovo.
- E tu cosa ci fai qui?!- esclamò lui, continuando a spostarsi di lato nel tentativo di districarsi dalla folla. Mi agguantò a sua volta per le braccia, e finimmo per strattonarci come a volerci impedire a vicenda di scappare.
- Potrei farti la stessa domanda!- replicai, quasi gridando per farmi sentire. In quel momento il tetto della casa dei Mercanti crollò con un frastuono assordante, facendo piovere mattoni e legno sulle teste di coloro che si erano avvicinati troppo. Istintivamente, Jack mi agguantò per le spalle e mi tirò indietro, mentre entrambi contemplavamo ad occhi sbarrati il disastro che si stava consumando davanti a noi.
Mi concessi più o meno cinque secondi di sgomento, artigliando convulsamente le maniche della sua giacca, poi mi scostai un po' da lui per guardarlo in faccia. - Anzi, direi che non ho nemmeno bisogno di chiedertelo. - mi corressi, sardonica. - Immagino che non sia un caso che i magazzini non siano stati toccati dall'incendio, vero?-
Lui abbassò lo sguardo, incupendosi, mentre continuava a trascinarmi con sé per allontanarci dall'incendio. - No, non è un caso. Effettivamente, soltanto un cieco potrebbe definire tutto questo “un caso”... - il cantiere navale era interamente devastato, mentre le fiamme stavano divorando quello che restava del tetto crollato del quartier generale.
- Quali parole avevo usato? “Non lasciamoci invischiare troppo negli affari della gilda”? E' commovente come riesci a mantenerle tu, le promesse!- sbottai, affrettando il passo. Senza rispondere, Jack mi diede uno strattone e mi condusse con sé vero il porto, lontano dagli edifici in fiamme che innalzavano verso il cielo pennacchi di fumo.

*

Anche al porto c'era una certa agitazione: la ciurma di entrambe le nostre navi si era radunata sul molo e sulla banchina, tutti vociavano e additavano la colonna di fumo. Nell'ombra della sera si distingueva ancora nitidamente il bagliore rosso del fuoco in lontananza.
Quando arrivammo sulla banchina tirai un sospiro di sollievo, e mi rassicurò ancora di più individuare a colpo d'occhio i visi che più mi premeva di rivedere: Faith, Ettore, Gibbs e Valerie erano in testa al gruppo, fermi ad attenderci; a quanto pareva, i tumulti nelle strade non erano arrivati fino a lì. Will ed Elizabeth erano a pochi passi, con David in mezzo a loro e Trentacolpi che ristabiliva l'ordine a modo suo, ovvero sbraitando insulti e sparando un colpo in aria quando lo riteneva necessario: se non altro, riuscì ad ottenere il silenzio assoluto in pochi istanti non appena io e Jack raggiungemmo la Perla Nera e la Sputafuoco.
Elizabeth ci venne incontro. - State bene!- esclamò in tono concitato; il suo viso era scuro. - Abbiamo visto bruciare i quartieri dei Mercanti per tutto il tempo. Jack, ma dove diavolo eri?!-
- E' stata un'azione della gilda?- domandò Will con improvvisa durezza, puntando gli occhi sul capitano. Alle sue parole tutti, me compresa, voltammo lo sguardo verso di lui in attesa di spiegazioni.
- Che c'è?- fece lui in tono infastidito, allargando le braccia in un gesto di esasperazione. - Sì, è stata un'azione della gilda... ma la cosa mi pareva piuttosto palese. -
- Sei rimasto alla gilda per tutto il giorno. - continuò Will in tono piatto, facendosi avanti di qualche passo per fronteggiare Jack: ad un tratto su tutta la ciurma era calato un silenzio di gelo, e i pirati stavano osservando con estrema attenzione i due capitani, tra i quali cominciava decisamente a tirare una brutta aria. - Non dirmi che non avevi direttamente a che fare con questo piano. Ne sei stato tu l'artefice?-
Jack lo ricambiò con un'occhiata di disgusto. - Ti importa tanto ciò che faccio o non faccio, capitano Turner?-
- Credevo che avessi imparato la lezione anni fa!- Will scattò verso di lui, alzando improvvisamente la voce: per la prima volta sembrava veramente arrabbiato. - Gioca con la tua, di vita!-
- Oh, scusami davvero. Non hai fatto tanto lo schizzinoso quando la vita te l'ho salvata... - ribatté Jack a tono, puntando imperiosamente l'indice contro lo sterno di Will. Prima che potessero andare avanti, Elizabeth si mise bruscamente tra di loro, separandoli.
- Adesso basta così!- intimò, scoccando ad entrambi un'occhiata di biasimo. - Non è litigando che risolveremo la cosa!-
- Non è restando qui che risolveremo la cosa. - la corresse Will, fissando Jack con astio al di sopra della spalla di Elizabeth: il suo tono era più calmo, ma non meno carico di rimprovero. - Pensaci, Jack. Facendo l'interesse della gilda metti a rischio non solo te, ma anche la tua ciurma e tutti noi. Io ho preso la mia decisione: se le cose qui a Tortuga stanno così, io e la mia ciurma salpiamo domattina. La mia nave prende congedo, capitano. -
- Vai pure. - rispose Jack in tono antipatico, agitando le mani come ad intimargli di sparire.
Will lo guardò con aria di sufficienza e fece una smorfia. - Stavo parlando al capitano al quale importa della sua ciurma. - spostò gli occhi su di me. - Laura, noi salperemo con la Sputafuoco domani all'alba. Non staremo via a lungo, ma non abbiamo più nessun motivo di rimanere a Tortuga. -
Jack si voltò repentinamente verso di me e poi verso di lui con espressione a dir poco oltraggiata: sapevo che questo era stato uno smacco personale; era piuttosto suscettibile quando si trattava di difendere il suo grado di capitano. Lo ignorai e risposi: - Sei libero di scegliere dove andare, Will. -
Lui fece un cenno di assenso col capo, quindi ci voltò le spalle e tornò a bordo della Sputafuoco, seguito poco dopo da Elizabeth e David. Quando mi accorsi che gli uomini della ciurma erano ancora tutti impietriti a guardarci, mi riscossi e intimai ad alta voce: - Su avanti, lo spettacolo è finito, gente! Ritornate tutti a bordo e poche chiacchiere!-
Mentre i pirati toglievano il disturbo attorno a noi, mi voltai furtiva a guardare Jack: era rimasto impalato, con un'espressione di oltraggio misto a disgusto stampata in faccia. Proprio in quel momento, uno degli uomini invece di tornare verso la nave si diresse verso di lui: era niente meno che Donovan, che si accostò a Jack e prese tranquillamente la parola come se fino a quel momento i capitani non avessero fatto che conversare amabilmente, invece di accapigliarsi l'un l'altro. - Ebbene, capitano... temo di dovervi informare che mi avete messo in una posizione imbarazzante. -
Jack si riscosse e fissò Connor se possibile con ancora più disprezzo. - Quale accidenti di posizione, di grazia?!?-
- Be', non è un mistero per nessuno che io abbia avuto problemi con i miei vecchi datori di lavoro, che erano appunto i Mercanti. Come potrò mantenere buoni rapporti con loro, quando sono arruolato nella vostra ciurma, che, ecco... al momento è dichiaratamente nemica dei Mercanti? Temo di non potere più onorare il nostro accordo. - disse tutto questo nel consueto tono sottomesso e con aria innocente, ma fui quasi certa di sentire una certa aria di scherno nelle sue parole: la cosa irritò tanto me quanto Jack, che fece un gesto esasperato e alzò gli occhi al cielo.
- E allora consideratevi libero dal vostro impegno e, per pietà, levatevi dai piedi!- sibilò tra i denti.
- Proprio quello che intendevo fare, capitano, troppo gentile. - rispose Connor, sorridendo innocentemente. - Per non venire meno alla mia parola, visti i recenti sviluppi, penso che chiederò il permesso di imbarcarmi col capitano Turner. -
- Fatelo e sparite!-
- Grazie, signore!- con un saluto da marinaio rivolto a Jack e il guizzo di un sorriso rivolto a me, Connor ci voltò le spalle e seguì la ciurma di Will a bordo della Sputafuoco. Forse realizzai appieno solo in quel momento che domattina i miei amici se ne sarebbero andati, avrebbero mollato gli ormeggi lasciandosi alle spalle quel porto claustrofobico e caotico, e avrebbero ripreso il mare: rimuginando su tutto questo, non riuscii a non provare il morso doloroso dell'invidia, e una divorante sensazione di nostalgia. Come avrei fatto senza di loro? Per qualche istante né io né Jack proferimmo parola, poi lui sentì su di sé il mio sguardo; si riscosse, mi ricambiò con un'occhiata appena, e se ne andò in fretta su per il ponte della Perla.
Non me la sentii subito di seguire il resto della mia ciurma e tornare a bordo, ma restai ancora per un po' a camminare avanti e indietro sul molo, mentre la folla si diradava e l'incendio ancora sputava fumo e fiamme danzanti sull'acqua. La puzza di bruciato aleggiava su di noi come una cappa di nebbia. Quando infine mi decisi ad alzare gli occhi dai miei stivali, vidi che Elizabeth si era fermata in cima alla passerella della Sputafuoco e mi stava guardando in silenzio; le rivolsi un debole sorriso e un cenno del capo, che lei ricambiò: in quel momento pensai che dovevo avere un'espressione tesa e preoccupata almeno quanto la sua.
- Lo sai che non è niente di personale. - fece lei, quando si decise a parlare.
Quasi risi, alzando le spalle. - Certo che lo so. Figurati, non sarò io a fermarvi: state facendo la scelta migliore. Almeno voi che potete, andatevene da qui. -
- Dovreste farlo anche voi. - scattò lei, con veemenza improvvisa. - Fallo ragionare! Andiamo via da qui, e Silehard non ci ritroverà mai. O, anche se ci ritroverà, non riuscirà mai a rimetterci le mani addosso. Ma non possiamo restare qui... lo vedi anche tu che siamo tutti in pericolo, che lo vogliamo o no. -
- Credi che non lo farei?- replicai in tono amaro. - Ho già provato a farlo ragionare, e non ha funzionato. Lui da qui non si muove, e la Perla Nera neanche. Tu non sai quanto vorrei... - mi interruppi, tirando un sospiro profondo. La nostalgia mi attanagliava lo stomaco, e il pensiero di vedere i miei amici allontanarsi a bordo della Sputafuoco entro l'alba mi sembrò ancora più insopportabile. La mia stessa nave, casa mia, stava diventando la mia prigione senza sbarre.
- ...Liz?- mormorai ad un tratto, in tono quasi supplichevole.
- Cosa c'è?-
- Posso venire con voi?-
Ormai l'avevo detto, e niente, nemmeno l'espressione sconcertata di Elizabeth, poteva farmi rimangiare le mie stesse parole. La mia amica aprì la bocca, sul punto di replicare, poi sembrò cambiare idea, perché ci pensò per qualche istante e poi mi chiese, esitante: - Dici sul serio?-
Annuii, e lei fece un rumore simile ad uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo. - Oh, di bene in meglio... Ascolta, lo sai che per me sei la benvenuta. Ma... come la prenderà Jack? E soprattutto, quanti altri danni potrebbe causare mentre tu non ci sei?-
- Sa cavarsela da solo. - sbottai, improvvisamente acida: il mio sguardo indugiò su quel che restava del cantiere navale, dove le fiamme si consumavano sotto il cielo notturno oscurato dal fumo. - Sa cavarsela egregiamente da solo. -

*

Quando entrai in cabina trovai Jack steso di traverso sul letto, a pancia in giù, col mento appoggiato sulle braccia conserte. C'era una sola lampada accesa nella stanza, e lui fissava il vuoto con aria corrucciata finché non mi sentì entrare: solo allora alzò gli occhi e mi rivolse il guizzo di un sorriso.
- Ciao. - mi salutò a voce bassa, come se fosse incerto su che cosa dire.
- Ciao. - gli risposi nello stesso tono, poi andai a sedermi sul letto nel poco spazio libero che mi aveva lasciato. Mi ero appena appoggiata con la schiena alla testiera, quando Jack si alzò e rotolò sul fianco per appoggiare la testa sulle mie gambe. Per qualche momento rimase a fissarmi di sottecchi come se fosse in attesa di qualcosa, poi si decise a rompere il silenzio. - Non hai anche tu la sensazione che a questo quadretto manchi qualcosa?-
Alzai gli occhi al cielo. - E che cosa, sentiamo?-
Mi scoccò un'occhiata obliqua, col capo rovesciato sulle mie gambe. - Non sento la tua raffica di domande. Nessun “che diavolo hai fatto tutto il giorno, Jack”, né un ancora più plausibile “cosa accidenti ti è saltato in testa, Jack”. Tutte domande che, intendiamoci, avresti tutto il sacrosanto diritto di porre, comprendi?-
Mi spostai in avanti, chinandomi su di lui perché potesse guardarmi negli occhi. - Comprendo. Magari mi sono semplicemente stancata di farti domande. -
- Peccato. - con una mano sfiorò scherzosamente i miei capelli, che gli ricadevano sulla faccia. - Proprio adesso che avrei avuto qualche risposta da darti. -
- Allora potresti limitarti a darmi quelle?-
- Farò del mio meglio. - rispose col suo familiare sorrisetto. - Ho visto la strega, oggi. -
A quelle parole mi raddrizzai bruscamente, sentendo un brivido lungo la schiena: se voleva attirare la mia attenzione, c'era riuscito. - ...Esiste davvero?- sibilai a mezza voce.
- Eccome se esiste. - anche lui si fece più serio e abbassò il tono, con fare cospiratore. - È una sacerdotessa di Calypso, forse l'ultima della congrega di tredici donne che molti anni fa si radunavano a Santo Domingo. E non scherzavano troppo riguardo i suoi poteri: credo che sia grazie a lei che Silehard tiene d'occhio tutta Tortuga... ma che io sia dannato se so come ci riesce. -
- Oh mio Dio... - mormorai, prendendo a tormentarmi i capelli con le mani. Questo significava che tutte le voci che avevo sentito erano vere. Più che vere. Quindi Jack aveva infine visto con i suoi occhi quella donna in grado di turbargli il sonno? L'aveva incontrata, le aveva parlato? Dovevo considerarlo un bene o un male? - ...le hai parlato? Ti ha detto qualcosa?-
- Non molto. - evitò il mio sguardo mentre lo diceva, e la cosa non mi sfuggì. - Non sono ancora del tutto sicuro di cosa voglia da me... ma puoi stare tranquilla. Non è altro che una donna, dopotutto, strega o non strega. - mi scrutò, con un sorriso un po' più dolce di prima. - Con degli strani poteri, forse, ma una donna. Fidati, ho affrontato di peggio. -
- Hai scoperto quello che volevi, allora?- lo interruppi con una certa urgenza. Se mi avesse detto di sì, forse avremmo ancora fatto in tempo a lasciarci alle spalle Silehard, la gilda e tutto il resto... Ma, naturalmente, sperare di sentirgli dire che si riteneva soddisfatto era una cosa fin troppo ottimista.
- Be'... non ancora. Non del tutto. - ammise, in tono quasi colpevole anche se nel suo sguardo vidi brillare una scintilla di eccitazione che mi confermava tutto il contrario. - C'è qualcosa di molto più grosso sotto, e poi mi ha fatto domande sull'Isla de Muerta e sulla fonte della giovinezza, e... insomma, la cosa mi interessa. Puzza decisamente troppo per non interessarmi, comprendi? Per questo temo di non poter lasciare tanto presto la gilda, né Silehard. Lui mi serve. -
Repressi un sospiro tra i denti, anche se in fondo me lo aspettavo. Dovetti resistere a malincuore alla tentazione di infilare le dita tra i suoi capelli sparsi sulle mie gambe, mentre in silenzio mi decidevo a confessargli la mia decisione. - Jack... io voglio salpare con Elizabeth e Will, domani. Ne ho già parlato con loro. -
Il suo silenzio improvviso fu una risposta più che eloquente. Dopo essere rimasto a fissare il soffitto per un po', spostò la testa dalle mie gambe e si rizzò a sedere, voltandosi a guardarmi.
- Perché?- sembrava sinceramente sorpreso. - Che cosa c'è che non va, qui?-
- Qui non c'è niente per noi, Jack, e te lo avevo già spiegato!- scattai. - Tu potrai avere i tuoi segreti da svelare, ma io mi annoio, la ciurma si annoia, e se non ti sbrighi a trovare un rimedio ti troverai con la metà degli uomini. Non ti sei accorto che alcuni hanno già tagliato la corda e si sono imbarcati su altre navi? O non ti rendi nemmeno conto di chi viene e di chi va?-
- Si assomigliano tutti, non è che possa ricordarmeli uno per uno... - commentò, con una scrollata di spalle.
- Ecco, appunto. Siamo a terra da troppo tempo, e... io semplicemente non posso stare ad aspettare che tu abbia finito di fare i tuoi comodi. Mi dispiace. -
Per qualche attimo ancora ce ne restammo semplicemente in silenzio a guardarci, senza altro da aggiungere: vidi Jack storcere le labbra in diverse espressioni corrucciate come se stesse cercando di digerire le mie parole, e la cosa non gli riuscisse in nessun modo. Alzò gli occhi su di me, li riabbassò, li alzò di nuovo.
- Quindi vuoi salpare. - borbottò, mogio. Annuii, con un altro piccolo sospiro. - Sì. -
- Con Connor?- la buttò lì con una semplicità disarmante, ma il tono con cui pronunciò il suo nome aveva la stessa carica di un cannone al quale avessero appena acceso la miccia. Dal canto mio, io rimasi letteralmente a bocca aperta: di tutte le rimostranze che avrebbe potuto farmi, quella non me la aspettavo affatto. Restai a fissarlo interdetta per qualche secondo prima di capire che stava dicendo sul serio.
- Connor?- ripetei, incredula, davanti al suo sguardo eloquente. - Che cosa diavolo c'entra Donovan adesso?-
- Anche lui si imbarca con Will, o no?- ora Jack si stava sforzando di guardare altrove, ma il fastidio nella sua voce era più che riconoscibile. Non riuscivo a credere che quella conversazione avesse davvero potuto prendere quella piega.
- E con questo? Che lui si imbarchi o no sulla Sputafuoco non mi importa affatto!-
- Cionondimeno, lui ci sarà. -
Mi irrigidii, stringendo i pugni; non riuscii in nessun modo ad evitare che l'irritazione che sentivo crescermi dentro vibrasse nella mia voce, minacciosa. - Se la cosa non preoccupa me, perché dovrebbe preoccupare te? Da quando ti sei fatto queste idee, e come?-
Lui mi fissò intensamente e si sporse verso di me, appoggiandosi su di un braccio. - Si dice il peccato, non il peccatore... - sussurrò con un mezzo sorriso, sfiorandomi il viso col suo.
- Gibbs?- sbottai, ad un soffio dalla sua bocca.
- Va bene, l'hai detto tu e non io... -
- Non ho fatto niente di male, e sinceramente sono sorpresa che tu possa pensarlo. Da quando sei geloso?-
- So ballare anch'io, eh?- sibilò lui, sogghignando: per un attimo sfiorò le mie labbra con le sue, poi si tirò indietro quasi per dispetto, e lo sentii ridacchiare sommessamente tra sé.
Adesso non capivo neanche più se davvero l'avevo fatto ingelosire, o se si trattava soltanto della sua ennesima presa in giro. - Tutto qui? Te la sei presa solo per questo?- ribattei, piccata, senza condividere il suo divertimento. - Non vuole dire niente, e lo sai benissimo. E poi, cosa pretendi? Al momento tu eri in giro a fare esplodere cantiere navali, se non sbaglio... -
- Un'altra volta chiedi, e sarai accontentata. - replicò, facendo scintillare un dente d'oro. Alzai gli occhi al cielo, anche se dentro di me non potei che sentirmi sollevata vedendo che scherzava: il pensiero di saperlo veramente geloso di Connor Donovan era... non avrei saputo spiegarlo; disarmante, in un certo senso. Donovan non era niente. A malapena sapevo chi fosse, e non avevamo avuto più che qualche breve scambio di vedute. Aveva una personalità magnetica, questo non si poteva negare, ma chi mai avrebbe potuto accusare me di avere un qualsiasi tipo di intrigo con lui dopo averlo visto con Valerie? O, peggio ancora, con Faith? Era questo ciò che mi preoccupava sul serio.
- D'accordo. E, comunque, secondo me chi dovrebbe davvero preoccuparsi di Connor è Jonathan. E forse anche Ettore. -
Al contrario di quanto mi sarei aspettata, Jack ridacchiò di nuovo. - Che amiche libertine. - scherzò, carezzandomi il mento con due dita. - E tu sei sicura di avere superato indenne questi nubifragi sentimentali?-
- Più che sicura. - replicai, quasi offesa. Jack mi alzò delicatamente il mento con le dita, chinandosi piano su di me, e mi fece un sorriso incoraggiante. - Sentirlo dire è confortante. - mi diede un bacio morbido e rapido, facendomi esitare per un attimo a labbra ancora protese, come a desiderare che si fosse fermato un po' di più.
- Bene. - mormorai, con la voce un po' più roca. - E comunque... le cose stanno come ho detto prima. Io domani salpo con la Sputafuoco. Non staremo via a lungo... - sentii quasi il dovere di giustificarmi, o forse di rassicurarlo. - Una decina di giorni al massimo. Elizabeth e Will vogliono fermarsi in qualche porto qui nel golfo per smerciare un po' della merce che hanno comprato in città, ma mi hanno assicurato che rifaremo presto tappa a Tortuga per vedere come vanno le cose. Non me ne andrò per molto. -
Jack si raddrizzò e si fece ad un tratto più serio. - Puoi fare quello che vuoi. - mi disse con fare quasi sorpreso, come se mi stesse ricordando una cosa ovvia. - Puoi andare e venire da questa cabina, e da questa nave, come e quando vuoi. Non ho messo i lucchetti alla porta. -
Eppure, nonostante sapessi che era sincero, nonostante avessimo fatto un discorso simile un'altra volta, tempo prima, non potei fare a meno di notare una nota di tristezza nella sua voce: lievissima, nascosta, ma -per me che avevo imparato a riconoscere ogni sfumatura nella voce di Jack- inequivocabile. Si scostò da me e si girò, per poi stendersi di fianco sul materasso, dandomi le spalle. Io indugiai per un bel pezzo, in silenzio assoluto, senza sapere che altro dire: per una volta non sentivo dentro di me il peso delle parole non dette, quelle che covavano come braci sotto la cenere e non perdevano mai l'occasione per fare sentire quanto potevano bruciare. Avevo detto quello che volevo, tutto quanto. Jack aveva accettato la mia decisione come speravo: di certo non ne era contento, ma non la ero nemmeno io. Tuttavia, era andata bene. E allora perché continuavo a sentire che qualcosa non andava?
Mi alzai in punta di piedi, anche se era ovvio che non stesse ancora dormendo: spensi l'ultima lampada con un soffio, e poi mi arrampicai di nuovo sul letto accanto a Jack, scivolando silenziosamente al suo fianco. Mi appoggiai contro la sua schiena e gli cinsi la vita in un abbraccio lieve, quasi a chiedere il permesso di farlo. Un attimo dopo le sue dita si infilarono tra le mie, ci stringemmo forte la mano e ci addormentammo così.

*

Quella mattina si era alzato un vento forte e piacevole, che aveva spazzato via ogni traccia di nuvole, lasciando un cielo limpido e pulito. Sotto quel cielo scintillante, sul ponte della Perla Nera, Faith mi corse incontro come una furia e mi stritolò in un abbraccio.
- Non è giusto!- protestò, senza lasciarmi andare. - Deve essere la prima volta nella storia della pirateria che il capitano si ammutina!-
- Approfittatene, no? Legate Jack all'albero maestro e prendete il comando della nave. - replicai, mentre ricambiavo di slancio l'abbraccio della mia amica. Ora mi sentivo quasi sleale a partire così, di punto in bianco, lasciandomeli tutti alle spalle, eppure era qualcosa di cui sentivo profondamente il bisogno. La Sputafuoco era pronta a salpare, ed era stata allungata una passerella tra le due navi: la ciurma di Elizabeth e Will era all'erta e ogni uomo era al suo posto; aspettavano solo che li raggiungessi.
Mentre io e Faith ci separavamo, Ettore ci raggiunse per unirsi ai saluti. - Ho la sensazione che staremo qui proprio per evitare che succeda una cosa del genere. - disse, con un tono tale che non capii se stesse scherzando o dicesse sul serio: posò una mano sulla mia spalla e mi diede una lieve stretta, guardandomi per un momento negli occhi con aria seria. - Ti prometto che terremo gli occhi aperti. -
- Grazie. Davvero. - Mi voltai: tra me e la passerella si era radunato quello che avrei potuto definire “lo squadrone dei saluti”. Oltre a Faith ed Ettore, ad aspettarmi c'erano Valerie, Gibbs e Jack; quest'ultimo, al momento, se ne stava appoggiato al parapetto e guardava altrove. Passai davanti a Valerie, e le diedi un buffetto sulla spalla.
- Cerca di schiarirti le idee, mentre sono via. -
- Cosa?- fece lei, come se non sapesse di cosa stessi parlando.
- Ne parliamo quando torno. Signor Gibbs? Non ho dubbi che riuscirete a cavarvela egregiamente durante la mia assenza. Siete d'accordo?-
- Certamente, capitano!- rispose il nostromo in tono orgoglioso, tutto impettito. Lo salutai con un sorriso, poi mi ritrovai finalmente faccia a faccia col capitano. - Jack?-
Solo in quel momento Jack alzò gli occhi per incontrare i miei, poi, all'unisono, ci voltammo a guardare significativamente il signor Gibbs. Quest'ultimo colse in fretta il messaggio e si voltò rapido verso il ponte, gridando ai pirati che vi gironzolavano: - E allora, non le abbiamo ancora stivate quelle scorte di rum? Essere ancora in porto non vi dà il diritto di oziare! Scattare, subito, forza!- Anche le mie amiche ed Ettore si trovarono improvvisamente qualcos'altro da fare, perdendo apparentemente ogni interesse per noi due.
- Allora, non vai? La nave sta aspettando. - mi fece lui, col suo immancabile sorrisetto dai denti d'oro.
- Può aspettare ancora un attimo: devo fare una cosa. - lo acciuffai per le treccine della barba e lo tirai gentilmente verso di me; dovetti prenderlo alla sprovvista quando lo baciai, perché barcollò per un momento, poi ricambiò il bacio senza però decidersi ad abbracciarmi.
Indugiai ancora per qualche attimo contro le sue labbra, poi gli bisbigliai: - Torno presto. -
- Lo so. - rispose lui, senza aprire gli occhi, la fronte ancora premuta contro la mia. Era imbarazzante constatare come, al momento, una decina di giorni mi sembrassero improvvisamente un'eternità. Ma sapevo anche che se non fossi partita in quel momento, poi me ne sarei pentita. Avevo bisogno d'aria. Dovevo andare via, e subito.
- Devo aspettarmi l'Apocalisse, quando ritorno?-
Jack ridacchiò e si fece un po' più indietro per potermi guardare in faccia. - Non rientra nei miei piani, per ora... tuttavia non posso prometterti niente, comprendi?-
- Comprendo eccome. - replicai, ricambiando di malavoglia il sorriso. - Io invece ti prometto che torno. Aspettami, per favore. -
E senza aggiungere altro, senza dire niente che avessimo bisogno di esprimere a parole, mi separai da lui per dirigermi verso la passerella: per un attimo ci sfiorammo la mano e ce la trattenemmo solo per un momento, poi mi lasciò andare ed io attraversai la passerella, sussultando quando la sentii ondeggiare sotto i miei piedi. Arrivai sul ponte della Sputafuoco senza danni, e alle mie spalle due pirati ritirarono l'asse: appena fui a bordo, Will si rivolse alla ciurma dalla cima del cassero di poppa, dove stava con Elizabeth.
- Coraggio, uomini, issate la gabbia e alla via così!-
I pirati non aspettavano altro: in pochi istanti la nave aveva spiegato al vento tutte le sue vele, gli uomini andavano e venivano su e già per le sartie come scimmie sui rami, gridandosi istruzioni da un capo all'altro della nave. Trentacolpi attraversò il ponte di corsa, gridando: - Avanti, mezze calzette, vediamo di mettere un po' di pepe in culo a questa bella signora!-
Mentre la nave si muoveva e prendeva il largo mi sentii contagiare dall'euforia generale e raggiunsi i miei amici sul cassero di poppa: Will aveva preso il timone, mentre Elizabeth era appoggiata al parapetto con David in braccio, in modo che potesse assistere alla nostra uscita dalla baia. Mi avvicinai a lei e mi fermai al suo fianco, incrociando le braccia sulla liscia superficie di legno: la Sputafuoco aveva preso velocità, incalzata dal vento mattutino, e ci stavamo già allontanando dal porto. David si sbracciò per salutare gli altri, a loro volta affacciati al parapetto della Perla: mi unii a lui, facendo un cenno di saluto con la mano, quindi sorrisi ad Elizabeth.
- Ti manca già, non è vero?- disse lei, indovinando i miei pensieri col sorriso di chi la sa lunga. Oltre a capirmi al volo, aveva ancora una spiccata propensione per le domande scomode. Non potei fare altro che alzare le spalle ed annuire. - Non avrei voluto dirlo. - aggiunsi, ridacchiando tra me. - Posso dare una mano in qualche modo? Sono stata un mozzo, per un po', sono abituata a fare quasi tutto. -
Elizabeth si strinse nelle spalle, gettandosi una ciocca di capelli biondi dietro la spalla. - Con questo vento ce ne andremo tranquilli per un bel pezzo, non c'è bisogno che tu faccia niente. O forse... per ora l'unico posto vuoto è quello della vedetta. -
Probabilmente Elizabeth dovette vedere i miei occhi illuminarsi all'idea: era troppo tempo che non lo facevo più, e se me l'avesse permesso... - Posso?- domandai, col tono di una bambina a cui hanno promesso un intero vaso di caramelle. La mia amica scoppiò a ridere e sfilò dalla propria cintura un cannocchiale, passandolo a me. - Vai pure. -
Presi il cannocchiale e mi dileguai in un baleno, correndo in coperta: le sartie erano lì ad aspettarmi, una strada fatta di corde e di nodi che si inerpicava verso l'alto. Salii sul parapetto, mi girai dal lato della nave che prendeva il vento e cominciai ad arrampicarmi, stringendomi forte alle cime. La scalata fu faticosissima: per di più ero fuori allenamento, e i palmi delle mani mi si fecero rossi dopo poco tempo, ma non importava; col sudore spremetti fuori da me ogni preoccupazione, e il mio unico pensiero per un po' divenne quello di appoggiare bene i piedi e di badare al vento che sentivo soffiarmi impetuoso sulla schiena, schiacciandomi contro le sartie. Era una lunga strada fino al pennone di velaccio, e mi ritrovai col fiatone e col cuore in gola. Ma ero contenta.
Quando raggiunsi lo stretto quadrato di legno che costituiva la coffa, mi sentivo talmente euforica che avrei potuto gridare: il vento lassù era ancora più forte, lo sentivo tirarmi i capelli e i vestiti come un esercito di mani invisibili. Scivolai sotto l'esiguo parapetto e finalmente posai i piedi su qualcosa di più solido, badando di tenere la schiena contro l'albero maestro; lassù il rollare delle onde era ancora più intenso, e guardando in basse potevo vedere ogni angolo della nave, da prua a poppa. Reggendomi all'albero, liberai il cannocchiale dalla cintura e lo usai per scrutare l'orizzonte: la nave aveva già superato i bracci della baia di Tortuga e si stava avviando a tutta velocità verso il mare aperto; non c'era nessun ostacolo davanti a noi.
Addossai la schiena al legno, e per un bel pezzo non ascoltai altro se non l'urlo del vento.




Note dell'autrice:


E con questo capitolo, saluto il Capitano con il mio personale "arrivederci", in attesa di rincontrarlo nelle sale casualmente il giorno del mio compleanno. Non so, era qualcosa che mi sentivo di fare e in un certo senso mi sembra giusto fermarmi adesso con questo capitolo. Con l'attesa.
Sproloqui filosofici a parte, tanti saluti e tanti ringraziamenti alle mie irriducibili recensitrici, eltanin e Fannysparrow. Tra l'altro, come rispondere alle tue domande senza fare spoiler, eltanin? Ti definisci una sostenitrice della Fratellanza (coffcoff e qui ti stringo la mano coff), speri in un arrivo di Barbossa (coffcoffcoffCOFF!), e chissà, magari anche in quello di un'eminente personalità come Capitan Teague (COFFCOFFCOFF *l'autrice sta soffocando a forza di tosse simulata*)... Niente da dichiarare, se non, restate sintonizzati!
  
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