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Autore: ferao    13/05/2011    14 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Odio questo capitolo. Lo odio in ogni sua singola schifosa parte. Un odio feroce e senza possibilità di replica.
Nonostante io lo odii, però, può essere così e solo così. Già.
No, basta, stavolta niente ciacole. Non ce la faccio. Solo qualche breve avvertenza, poi basta.
 
1) Hermes, nei libri, è l’allocco di Percy. (L’ho scoperto per puro caso, nemmeno me lo ricordavo!)
2) Compris (pron. Comprì ): significa “capito” in francese.
3) La parte sul ritorno di Percy e le battute che vi compaiono sono prese dai Doni della Morte, pag. 557 dell’edizione italiana. Ne ho tagliato l’ultima parte per ragioni di economia della storia, e perché non serve ripetere ciò che già la Rowla ha scritto. Sempre per motivi di rapidità ho tagliato la parte che riguarda la riunione in Sala Grande, con Voldemort che dà il suo ultimatum, la McGranitt che fa evacuare gli studenti minorenni e Kingsley che organizza la resistenza (pagine 560-563). Ho riassunto tutto in una frasetta, se non vi ricordate quella parte andate a rileggerla perché – ripeto – non credo sia necessario ripetere paro paro tutta la storia.
Altre battute sono state citate dai Doni: più esattamente dalle pagine 585-586 dell’edizione italiana. Cazzo.
(Sì, perché in norvegese suona troppo pulito, quindi dovevo dirlo in italiano. Cazzo.)
4) La canzone citata è una filastrocca popolare per bambini molto nota nel mondo anglosassone. Qui la trovate nella versione incisa da Fred Penner:
 http://www.youtube.com/watch?v=cSorJ-SMO4M
Probabilmente qualcuno di voi l’avrà già sentita: è stata usata per uno spot qualche tempo fa.
Il ritornello completo recita:
The cat came back the very next day
The cat came back, they thought he was a goner
But the cat came back, he just couldn’t stay away
(Il gatto tornò il giorno seguente
Il gatto tornò, pensavano fosse spacciato
Ma il gatto tornò, non riusciva a stare lontano)
Mi pareva calzante. E perché l’ho collegata a zio Bilius? Perché… mi sembrava una cosa da Bilius, ecco.
5) No, non mi sono scordata che Audrey è all’ottavo mese di gravidanza, tranquilli. E no, non mi sono scordata che, in quanto Anti-Sue, lei non ha capacità di resistenza sovrannaturali.
Però esistono donne che, passato il nono mese di gravidanza, riescono a fare (sempre col pancione) esercizi di aerobica (ne conosco!); inoltre, i maghi e le streghe sono più resistenti dei Babbani, visto e considerato che campano oltre i cent’anni mantenendosi in perfetta forma. Quindi, secondo me Audrey riesce a fare quello che fa (e che farà) nonostante il pancione. Ecco.
6) Ri-leggendo i vari libri della saga, ho dedotto che nel mondo magico il ruolo di padrino abbia un’importanza maggiore di quanta ne abbia nel nostro mondo. È per questo che… no, basta, tanto lo leggerete.
7) Se l’altra volta ho testato i Within Temptation, stavolta è toccato al “Ballo di san Vito” di Vinicio Capossela e a “The rocky road to Dublin” nella versione incisa dai Pogues. L’influenza di queste canzoni si nota un po’, credo, nelle parti che riguardano Audrey e Lucy.
Ascoltatele, vi tireranno su di morale.
 
Ah, mangiate tanta cioccolata. Fa bene al cuore, allo stomaco e al cervello.
Cazzo, quanto lo odio. Tanto, tanto.
E odio anche il prossimo.

Grazie a tutti quanti, sapete che vi voglio bene.
Fera






The cat came back

(Finalmente)







Per quanto un gufo possa essere veloce, e Hermes fortunatamente lo era, per arrivare al paese di Audrey partendo da Londra gli ci vorrà di sicuro almeno una mezz’ora.
La signora Bennet, quindi, trovò l’allocco alla sua finestra all’incirca trenta minuti dopo che Percy si era Smaterializzato alla Testa di Porco. Non capì subito a chi appartenesse, per un momento pensò a una lettera da parte di uno dei Bennet.
- Aud, puoi aprire la busta mentre penso al gufo? - domandò, iniziando poi a servire del mangime all’allocco affamato.
Aspettò poi che la figlia le dicesse qualcosa sul contenuto, o almeno sul mittente. Invece no: silenzio.
- Audrey?
Niente. Audrey aveva aperto la lettera e la fissava, pietrificata.
- Audrey, cosa…
- Oh, cazzo…
- Non dire queste parole! Di chi è?
La signora Bennet si avvicinò e prese la lettera, mentre Audrey, sbiancata in volto, si copriva la bocca con le mani.
- Oh, cazzo!
- Aud, santo cielo, non essere volgare! Cosa sarà… Oh, cazzo!
- Quel… quel cretino è impazzito! È impazzito!
La signora Bennet boccheggiò, rileggendo le poche righe. - Porca vacca. Sta… sta andando a Hogwarts! In battaglia! A rischiare la vi…
- Ma chi se ne frega! - strillò Audrey. - Ci ha mandato un gufo! Non fa altro che dire che la sua posta è controllata… E ci manda un gufo?!
Si guardarono, spaventate. Rimasero in silenzio per una decina di secondi, come aspettando un suono, un rumore, qualcosa.
- Magari… - sussurrò la signora Bennet. - Magari non l’hanno seguito. Magari sono tutti… tutti alla scuola…
Un battere improvviso alla porta le fece sobbalzare entrambe.
- Signora Saknussem, apra la porta - ordinò seccamente una voce maschile.
Audrey rimase paralizzata, ma Lucy reagì con molta freddezza: fece cenno alla figlia di stare in silenzio, poi estrasse la bacchetta dalla veste.
- Dobbiamo solo farle qualche domanda, apra.
La signora Bennet si avvicinò alla porta, quatta quatta. Audrey, invece, non cercava nemmeno di muoversi.
Quell’imbecille le aveva messe in pericolo. Per cosa, poi? Per scriverle una lettera prima di andare al suicidio!
Proprio adesso doveva venirti in mente di fare il romantico?!
- Sappiamo che è lì, signora Saknussem. Apra o lo faremo noi.
- Solo un secondo - rispose Lucy. Lanciò un’occhiata a Audrey, facendole rabbiosamente cenno di spostarsi da lì.
- Sta solo peggiorando la sua situazione. Apra immediatamente!.
- Ma non sono presentabile… - La signora Bennet si spostò, mettendosi in posizione di guardia a cinque passi di distanza dalla porta.
- Adesso basta, Ulf, butta giù questa porta e facciamola finita!
Un secondo dopo la porta cadde a terra con fragore, e due secondi dopo entrambi gli uomini si ritrovarono Schiantati contro l’uscio della dirimpettaia Babbana di Lucy.
La signora Bennet si precipitò verso la soglia, e guardò ansiosamente a destra e a sinistra del corridoio del pianerottolo: non c’era nessuno. Cercò di captare eventuali rumori di pericolo, ma non ce n’erano: i due erano venuti da soli, il pianerottolo era deserto.
- Tutto qui? - esclamò, quasi delusa. Osservò i due uomini a terra: erano svenuti subito, senza nemmeno cercare di reagire.
- Bah. Mammolette - commentò la signora Bennet, disgustata da tanta debolezza. - Hanno mandato il peggio del peggio, a quanto vedo… Sono i due che spiano Percy, vero?
Audrey avrebbe risposto volentieri, ma era troppo sbalordita per farlo. Lucy non ci fece caso, e si avvicinò ai due uomini privi di sensi.
- Che è successo? - strillò la vicina, aprendo la porta. - Che cosa… oh!
- Mi dispiace, signora Lombard - fece prontamente Lucy, nascondendo la bacchetta dietro la schiena. - Sono amici di mia figlia, hanno alzato un po’ troppo il gomito… Sa, i giovani…
- Oh. - La signora Lombard non riusciva a staccare gli occhi da quei due sconosciuti riversi sul pianerottolo. - Oh, ca-capisco…
- Le consiglio comunque di chiamare la polizia, ritengo siano pericolosi anche da svenuti.
- Ce-certo, faccio su-subito…
La Babbana chiuse al volo la porta. Lucy tirò un sospiro di sollievo, e si chinò sui due.
- Meglio se queste le tengo io, non si sa mai… - borbottò prendendo le bacchette. - Muoviti, Aud, fai un Incantesimo di Memoria a questo qui, io penso all’altro.
- I-io, veramente… non… non lo so fare….
- Lo sapevo; sei sempre la solita. Devo pensare a tutto io - sbuffò Lucy; puntò la bacchetta prima contro uno, poi contro l’altro dei due aggressori. - Non sarai mai una buona madre se non impari le cose basilari della vita, tesoro mio… sta’ giù, tu! - e Schiantò di nuovo uno dei due.
Caspita. Audrey era shockata: non aveva mai visto sua madre esibire tutto quel sangue freddo. In effetti, non aveva mai visto sua madre alle prese con dei nemici: sembrava uno di quegli agenti segreti che si vedono nei film Babbani, così calma e padrona della situazione…
Caspita. Insomma, aveva lanciato uno Schiantesimo tremendo! In genere quello era la specialità di Audrey, l’unico incantesimo che le riuscisse davvero alla perfezione: pensava di aver ereditato quella capacità da Klaus, e invece… quella piccoletta di sua madre era un titano!
Caspita!
- Bene, ora dovrebbero stare tranquilli per un po’. - La signora Bennet tornò in fretta nell’appartamento e prese il telefono. - Meglio se chiami io la polizia, quella cretina della Lombard di sicuro sarà troppo spaventata per farlo… Ti immagini la scena? Due maghi confusi e senza memoria nelle mani dei poliziotti Babbani, vorrei essere lì per…
- Mamma, - la interruppe Audrey, ancora a bocca aperta, - ma… Li hai… Sei… sei riuscita a Schiantarli entrambi da sola? Davvero sei… sei così… così figa?
La signora Bennet parve sorpresa da quella domanda. - Aud, tuo padre era un Auror: secondo te come ho fatto a conquistarlo?
 
 
 
 
Circa mezz’ora prima di tutto ciò, Percy si stava sentendo veramente stupido.
È la sensazione che provereste anche voi, amici miei, se vi trovaste di fronte ad una decina di persone che vi fissano ad occhi sgranati senza parlare. Soprattutto nel caso in cui aveste la certezza matematica che quelle persone non vorrebbero affatto vedervi.
Deglutì.
E adesso? Che faccio?
Bisogna ammetterlo, la sua era stata un’entrata in scena ad effetto. Nell’aria aleggiava ancora l’eco del fracasso che aveva fatto trascinandosi dietro una sedia, nel vano tentativo di non rovinare a terra.
Cavolo. C’erano tutti, o quasi. E nessuno si aspettava di vederlo lì, ora.
E… adesso?
La prima a reagire fu la francesina del torneo Tremaghi, che ebbe la felice idea di cambiare argomento.
- Alors… come va il piccolo Teddì?
Tentativo vano: il silenzio esterrefatto seguitava, anzi si fece, se possibile, ancora più pesante.
Percy ebbe la vaga sensazione di dover dire, o fare, qualcosa. Ma cosa?
E se avesse aspettato? Magari uno dei gemelli gli avrebbe tirato un pugno, ma sarebbe stato già un buon punto di partenza…
Sicuramente migliore di quel silenzio.
Lupin nel frattempo aveva risposto qualcosa alla francesina, che – Percy ricordò all’improvviso – era la moglie di Bill adesso. Cavolo, era sua cognata!
Ma piantala di divagare, idiota. Sei qui per loro.
Era lì per loro, che lo fissavano con espressioni indecifrabili. Rabbia? Odio? Delusione? Sorpresa?
Per favore, iniziate voi a parlare, che io non ci riesco…
Niente. Quel silenzio sarebbe potuto andare avanti nei millenni a venire.
Quanto, quanto, quanto sei idiota. Sei venuto fin qui, e non fai nemmeno il primo passo?
Sei tu in torto, non loro.
Chiuse gli occhi, smise di pensare. Basta.
- Ecco, ho una foto! - gridò Lupin a un tratto.
- Sono stato uno scemo! - gridò più forte Percy, facendo sobbalzare tutti quanti.
Niente più silenzio, finalmente. Com’era facile, adesso, parlare.
Anche se le parole non erano quelle che aveva pensato centinaia di volte; anche se quello che stava dicendo lo stava improvvisando lì per lì - e per questo motivo era davvero sincero.
- Sono stato uno scemo! Un idiota, un imbecille tronfio…
Era violaceo; stava urlando, e urlando, e non se ne rendeva neanche conto.
- …sono stato un… un…
- Un deficiente schiavo del Ministero, rinnegato e avido di potere.
Percy si fermò e prese fiato. Ad averlo interrotto era stato Fred.
Suo fratello lo stava guardando in modo strano, una metà strada tra il serio e l’incredulo. Deglutì di nuovo.
- Sì! - gridò.
La serietà scomparve dal viso di Fred. Era… un sorriso, quello?
Fred gli stava sorridendo?
- Beh, - disse, avvicinandosi - non potevi dirlo meglio di così.
E poi gli tese la mano.
 
Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui, all’improvviso, il tempo si ferma.
Non sembra che si fermi, badate bene: si ferma davvero.
Può essere l’istante in cui per la prima volta si guarda negli occhi la persona amata, l’attimo prima della morte di un amico, il momento in cui arriva una notizia che cambierà del tutto la nostra esistenza.
Per Percy il tempo si fermò quando Fred gli tese la mano. Fu un istante lungo, lunghissimo, come non ce n’erano mai stati prima d’ora nella sua vita; come non ce ne sarebbero stati più nella sua vita, ad eccezione di un altro solamente.
Percy se n’era andato, anni prima, gridando contro tutti loro, gridando che li odiava, che non voleva più vederli. Aveva trattato la sua famiglia come non si trattano nemmeno i peggiori nemici, con arroganza e presunzione. Era stato sordo all’amore di sua madre, alla rabbia di suo padre. Non meritava altro che disprezzo e odio.
E lo sapeva, e si disprezzava, e si odiava.
Eppure suo fratello gli tendeva la mano, con un sorriso; un sorriso infinito, come quell’istante.
Una mano, un sorriso.
Percy non lo meritava. Non lo meritava minimamente; e lo sapeva. Eppure…
Eppure quel sorriso e quella mano tesa durarono secoli, millenni; durarono il tempo di un istante immenso, lunghissimo, infinito.
Interrotto solo da Molly Weasley, che, da brava donna coi piedi per terra, non sapeva che farsene degli istanti infiniti in cui era lontana da uno dei suoi figli.
Fred fu spinto via, e al suo posto comparve Molly, comparvero il suo viso e le sue braccia.
Non fu un abbraccio come quello di due Natali prima; fu un abbraccio vero, caldo, vivo, finalmente.
Molly pianse, stringendosi contro di lui che rispondeva alla stretta con lo stesso amore. Anche a Percy iniziavano a pizzicare gli occhi, ma prima di lasciarsi andare c’era un’altra cosa, molto più urgente, che doveva fare.
Guardò suo padre dritto negli occhi. Come due Natali prima, ma con più coraggio.
- Mi spiace, papà.
L’aveva detto, finalmente; e Arthur non aspettava altro.
Ora che suo figlio era tornato. Ora sì che la sua famiglia c’era tutta.
Finalmente.
 
 
 
 
 
Diamine, quanto riusciva ad essere fredda sua madre. Audrey si sentiva ancora spaventata per l’arrivo improvviso dei due sconosciuti, mentre Lucy già si era ripresa e ragionava con una velocità impressionante.
- Questi sono solo i due che seguivano il gufo, è molto probabile che abbiano avvisato qualcuno del fatto che sarebbero venuti qui, - stava dicendo, camminando avanti e indietro con le tre bacchette strette nel pugno - quindi, se non tornano al Ministero, verrà qualcuno qui a controllare. Audrey, dobbiamo andarcene, e anche di corsa.
- Ma… dove?
- E che ne so! Non posso mica pensare a tutto io! È escluso che andiamo dai tuoi cugini, questo è certo. Tu non conosci un posto sicuro, uno qualsiasi…?
Un posto sicuro… Figuriamoci se riusciva a pensare a quello. Tutto ciò che passava per la testa a Audrey in quel momento riguardava Percy Weasley e i modi possibili per fargli pagare la sua “distrazione”.
Diamine! Che rabbia… sì, lo sapeva che arrabbiarsi faceva male al Coso – sentilo, come scalciava! – ma non poteva farne a meno.
Cretino, cretino, cretino…
Un calcio un po’ più forte la fece sobbalzare.
L’hai capito anche tu, che tuo padre è un cretino, eh Coso?
Ma ti pare! Potevano farci del male! A me, a te e alla nonna!
E oltre alla rabbia c’era la paura.
Se Audrey aveva ben capito, il cretino stava andando a difendere Hogwarts contro i Mangiamorte, assieme agli altri. A rischiare di morire, santa miseria.
Senza salutarla, senza dirle nulla, aspettandosi forse che lei si accontentasse di due parole in croce su una pergamena.
E certo! Lui va a fare l’eroe, e io rimango qui come un’idiota ad aspettarlo, a lui che forse non torna. Certo, come no?
Cosa crede, di potermi lasciare sola? Di lasciar solo il Coso?
Se Percy aveva avuto un’idea pessima, inviandole il gufo, l’idea che venne a Audrey fu persino peggiore. Una completa idiozia.
(Ma, d’altra parte, Merlino li fa e poi li accoppia…)
- Sì, mamma, conosco un posto sicuro.
Tieniti forte, Coso! Si parte!
Prese la madre per mano e si Smaterializzò.
 
 
 
 
 
Disagio.
Non riusciva a liberarsi da quella pressante sensazione di disagio.
Si sentiva… fuori posto. Tagliato fuori dalla complicità degli sguardi che i suoi fratelli si stavano scambiando, intendendosi al volo circa il da farsi.
Che ti aspettavi? Sei stato via per troppo tempo…
- Meglio se ci dividiamo, per difendere i passaggi - stava dicendo Fred. Dopo il discorso che Kingsley aveva tenuto in Sala Grande e l’ultimatum di Voi-Sapete-Chi, i gemelli si erano assunti l’incarico di guidare il gruppo che avrebbe protetto i passaggi tra Hogwarts e il paese. Una strana eccitazione brillava negli occhi di entrambi, come se aspettassero quella notte da anni.
- Siamo pochi, meglio andare in coppie o a gruppi di tre, così il grosso rimane nelle retrovie nel caso i cattivi riuscissero ad entrare. Restate uniti finché potete, dopodiché… beh, vendete cara la pelle, ragazzi.
Quella stessa eccitazione era passata a tutti quelli che avevano ascoltato il breve discorso di Fred. Eccitazione unita a una specie di folle incoscienza del pericolo che stavano per correre.
- Forza, il Gran Pelato non aspetta certo che ci mettiamo comodi. Ognuno al suo posto! Perce, tu vieni con me, preferisco controllarti di persona: potresti combinare qualche danno!
… Certe cose, però, non cambiano mai.
 
 
 
 
Alla Testa di Porco la situazione si stava facendo piuttosto critica.
- Audrey, ma che… che diamine… dove mi hai portata?!
La signora Bennet si guardò attorno, confusa e sbalordita: sua figlia l’aveva portata in una specie di stalla dall’odore indefinibile, con bottiglie di alcoolici e centinaia di ragazzini che l’affollavano.
- Ci risiamo! - tuonò una voce irosa. - Altri pazzi suicidi nel mio pub!
- Aber! - esclamò Audrey, facendosi largo tra gli studenti per raggiungere il barista.
Aberforth non si mosse: guardò prima il pancione, poi la ragazza. - Cos’è, devo aprire anche una nursery adesso? Non bastava che… oh, porca puttana zoccola! Altri mocciosi! - gridò mentre da un’apertura nella parete sbucavano fuori tre piccole teste. - Per di più Serpeverde! Ma cos’hanno in testa quelli lassù?!
Rivolse un’occhiata spaventosa ai tre ragazzini, e poi tornò a volgersi verso Audrey e sua madre. - Voi cosa siete, la cavalleria? Mandano in guerra anche le vecchie e le gravide, adesso?
- Aber, non ti ricordi di me? Sono io, Bennet! - esclamò Audrey a voce un po’ alta, per sovrastare il vocio degli studenti. Cavolo, ma quanti sono? Che ci fanno tutti qui?
Aber l’osservò un po’ meglio, poi parve ricordarsi di lei. - Bennet. Già. A scuola eri una cliente abituale, se non sbaglio.
- Un momento! - boccheggiò Lucy. - Cliente abituale?! Perché santo Merlino eri una cliente abituale della Testa di Porco, tu?! Scommetto che venivi a bere alcoolici di nascosto, testa bacata che non sei altro!
- Andiamoci piano, signora - la fermò Aber. - Io non servo alcoolici ai minorenni. Mi ricordo di questa qui perché non comprava mai niente, veniva solo per pomiciare con i ragazzi più grandi -. Indicò minaccioso il pancione di Audrey. - E quello non lo ha fatto di certo qui, quindi veda di non dare la colpa a me!
- So benissimo di chi è la colpa per quello, grazie! - ruggì Lucy, sempre più battagliera. - La colpa è dello stesso idiota che ha rischiato di farci ammazzare!
- Mamma, piantala, ti prego - la interruppe Audrey, esasperata da quella discussione. Ciò che doveva fare era urgente, e andava fatto subito.
- Aber, mi serve il tuo aiuto. Conosci Percy Weasley?
L’espressione del viso di Aber era già truce al sommo grado, eppure lui riuscì a renderla ancora più truce.
- Se lo conosco?! Purtroppo sì! È salito su un’ora fa, ma di lui non posso proprio dire che mi dispiaccia se…
- Salito? Dove?
- Che ti frega? Non vorrai mica andarlo a cercare, con quello lì! - e indicò nuovamente il pancione di otto mesi di Audrey, che, sebbene fosse molto più piccolo del normale, faceva comunque la sua figura.
- Un momento! - strillò Lucy. - Siamo venute in questo posto perché tu vuoi cercare l’idiota?! Ma dico, Aud, sei impazzita tutta insieme?!
- Un momento! Ferme un attimo! Non ditemi che… Non sarà mica stato quel tizio a… oh, porca troia frigida!
Nonostante la discussione si stesse facendo interessante, Aberforth dovette allontanarsi dalle due donne, perché un’altra decina di studenti erano piombati nel pub.
- Tu non sei mia figlia! - ululò la signora Bennet. - Mia figlia non può essere così scema da venire fin qui con quello - e indicò il pancione - per cercare il coglione!
- Mamma, se non lo vado a fermare, il coglione si farà ammazzare! Non capisci?
- No! Capisco che tu ti farai ammazzare, testa di rapa! Figuriamoci poi se sei in grado di badare a te stessa, con le tue superiori abilità magiche…
- Allora, - si inserì Aber, tornato indietro in tutta fretta, - il rosso ti ha messa nei guai, ragazzina? È per questo che lo cerchi? A saperlo lo avrei avvelenato davvero la prima volta che l’ho visto! Ma come diamine hai fatto a…
- Oh, piantatela, tutti e due! - sbottò Audrey, facendo girare gli studenti più vicini a lei. - Nessuno mi ha messo nei guai, e no, non sto andando a farmi ammazzare. Voglio solo evitare che Percy faccia una brutta fine, santo cielo!
- Aud, non dire idiozie! Tu non puoi…
- Infatti devo!
- No! Non devi farlo! Tu…
- E perché non dovrei?
- Perché no! Ha scelto lui di andare, tu non…
- Quando papà è morto, non avresti voluto fermarlo?
La signora Bennet sgranò gli occhi. - Ma che… che cosa…
- Rispondimi!
- Non… non c’entra niente, questo! Tuo padre non c’entra con…
- Sì che c’entra! Mio padre ha scelto di andare a farsi ammazzare, e qual è stato il risultato? Due donne sole!
La signora Bennet tacque, interdetta e stupita. Sua figlia stava praticamente esplodendo di rabbia repressa; non pensava che potesse averne accumulata così tanta in quegli anni.
- Una moglie sola e una figlia sola, ecco il risultato! - urlò ancora Audrey. - Tutto perché lui ha voluto fare l’eroe! Non ho intenzione di far subire una cosa simile anche a mio figlio!
Alla signora Bennet si stavano riempiendo gli occhi di lacrime. Non ci voleva, in quel momento, il ricordo di Klaus, della notte in cui non era ritornato a casa. Una notte concitata, simile a quella che stavano vivendo in quel preciso istante.
E , avrebbe tanto voluto correre da lui quella notte, correre e fermarlo, riportarlo a casa sano e salvo… proprio come sua figlia voleva fare con Percy.
Ricacciò indietro le lacrime.
- Audrey, - rispose, con una voce dura e fredda che non le apparteneva - so cosa provi. Lo so. Ma non puoi andare da lui. Non in queste condizioni.
- Mamma, tu non…
- Ho detto di no. Ragiona: sei libera di mettere in pericolo te stessa, ma non tuo figlio.
- Non lo sto mettendo in pericolo! Voglio solo…
- Invece sì che lo stai facendo, e non te ne rendi nemmeno conto. Ragiona.
Colpita dall’insolita durezza di sua madre, Audrey smise di parlare, ma proprio non riusciva a ragionare come Lucy voleva.
In quel momento, poi, una scarica di calci la scosse: il Coso era decisamente agitato, proprio come lei.
Già, il Coso. Ernie o Molly. Il suo unico pensiero razionale, in quel momento, riguardava il Coso.
Non poteva lasciarlo senza un padre. Non poteva farlo vivere come aveva vissuto lei.
E, soprattutto, lei non poteva restare senza Percy. Mai. L’aveva trovato, l’aveva scelto, ormai era suo, con tutto il bene e il male che ciò comportava; niente e nessuno poteva portarglielo via, tantomeno un improvviso attacco di “voglia di fare l’eroe”.
- Mamma - sillabò, mettendo insieme faticosamente le parole - lasciami andare. Ti prego. Non voglio rimanere lì, voglio solo… trovarlo e convincerlo a venir via, poi tornerò qui. Te lo prometto. Se davvero sai cosa provo… Per favore…
La signora Bennet taceva, sentendosi d’un tratto esitante. Aber era ancora lì, vicino alle due donne; si sfregò il naso con una mano, poi parlò.
- Signora, credo che non riuscirà a fermare questa gravida sciroccata. Comunque - e rivolse uno sguardo d’intesa alla signora Bennet - che provi pure a salire per il tunnel, se ci riesce. È l’unico modo per raggiungere Hogwarts, se non ci arriva da lì… non esistono altre vie.
La signora Bennet lo guardò prima senza capire, poi intese. - Sì, si può fare -. Guardò la figlia. - Avanti, Aud, prova a salire per il tunnel, se ci riesci.
 
 
 
Dove diamine si trovavano? Percy non ricordava affatto quella parte di Hogwarts; eppure avrebbe dovuto conoscere bene il castello, era stato Prefetto e Caposcuola… ma forse, per orientarsi in quel posto era meglio essere un combinaguai come Fred.
- Va bene, ci siamo: di là si esce verso Hogsmeade.
Com’era tranquillo, Fred… Percy invece non era ancora riuscito a spiccicare parola. Si sentiva così a disagio, vicino a lui; così… imbarazzato.
Oltre a ciò era teso, tesissimo. Stava pensando a Audrey, che di sicuro aveva ricevuto la lettera; chissà cosa pensava, chissà se era arrabbiata, o preoccupata, o…
Qualcosa interruppe il flusso di quei pensieri. Vicino a lui, Fred stava facendo qualcosa di assolutamente anomalo.
Ma che diamine…
Stava canticchiando. Per la precisione, canticchiava una vecchia filastrocca che lui e Percy conoscevano benissimo: era una delle preferite di zio Bilius, il quale l’aveva insegnata ai suoi nipoti quando erano ancora tutti piuttosto piccoli.
- The cat came back the very next day, the cat came back…
- … he just couldn’t stay away - completò Percy automaticamente, stonando di brutto sull’ultima nota.
- Azz… - esclamò Fred, portandosi un mignolo nell’orecchio e sfregando forte. - Anche i miei timpani ti hanno riconosciuto, Perce: sei davvero tu.
- Perché, scusa? Avevi dubbi?
- Non si sa mai. Vigilanza costante!
Percy non aveva conosciuto Malocchio Moody come lo avevano conosciuto gli altri Weasley, quindi non colse la citazione; quel breve dialogo però lo rasserenò un po’.
- E comunque, - continuò Fred - se ci fai caso, quella canzone è perfetta per te. Alla fin fine sei tornato, nonostante ti dessimo ormai per spacciato; proprio come il gatto.
Percy fece una smorfia e chinò il capo.
- Lo so… Io… mi dispiace, io sono davvero…
- Alt.
- Cosa?
- Taci.
- Ma…
- No. Zitto. Non cominciare.
Fred mise su un’aria di rimprovero che ricordava paurosamente quella di Percy; anche il tono con cui parlò era molto simile.
- So benissimo che adesso tutti i tuoi pensieri girano attorno a “oh, sono un verme, sono pentito, imploro perdono, merito calci nelle terga”; non posso negare di essere estremamente felice di ciò, soprattutto per la parte che riguarda i calci; tuttavia sono costretto a dirti di mettere da parte queste idee autolesioniste, perché non è proprio il momento.
- Però…
- Taci e ascolta, stavolta sono serio.
Si fermarono, e Percy tacque. Fred aveva ragione: era serio. Non lo aveva mai visto così serio in vita sua.
- Sia chiaro: ce l’ho ancora con te. A morte. Okay? Non pensare che io e gli altri ci dimenticheremo tanto facilmente di quello che hai fatto. Però non è il momento, adesso, di stare a pensare agli errori e alle cazzate che hai combinato. Non lo è né per me né per te. Va bene? Sì, sei un verme, un coglione, un imbecille, ti detesto e probabilmente ti detesterò ancora per un po’ di tempo… ma stanotte pensiamo solo a sopravvivere. Solo a questo. Dopodiché, tu avrai tutta la vita per fustigarti, e io avrò tutta la vita per ricordarti il motivo per cui ti fustighi. Capito, Perce?
Percy deglutì, incerto. - Io…
- È una questione di concentrazione. Non devi pensare ad altro: concentrati sui Mangiamorte, poi penseremo a tutto il resto.
- Lo so, ma… io… io… mi dispiace, io…
Fred sbuffò. - Dannazione, Perce: per una volta che sono serio, dovresti darmi retta! Va bene, vediamo se riesco a farti capire quello che voglio dire: tu vuoi farti perdonare?
Eh?
Ma che domanda è?
- C-cosa…
- Allora? Dai, che non abbiamo molto tempo.
- Io… C-certo, io…
- Allora sopravvivi. Stanotte devi sopravvivere. Se sopravvivi ti abbuono tutti i calci e le fustigazioni, e pure qualche insulto. D’accordo? Ma per sopravvivere devi essere concentrato; se seguiti a sentirti in colpa e a ripensare al passato, è sicuro come le mutande che porti che non sopravvivrai. Compris?
Quel discorso lo stava mandando in confusione, come al solito. Percy deglutì.
- Cr… Credo di sì, ho capito…
- Eccellente. Adesso chiappe in spalla, Prefetto, ci siamo quasi.
Ripresero a camminare, in fretta. Stavano attraversando un passaggio che, a detta di Fred, collegava la scuola a Hogsmeade.
Concentrato. Doveva stare concentrato. Fred aveva ragione: non era il momento di pensare alla sua famiglia, a Audrey, al bambino… non era il momento. Doveva pensare ai Mangiamorte, e basta. Dopo avrebbero avuto tutta la vita, lui e tutti gli altri.
Lui, i Weasley, e Audrey. E il bambino, il suo bambino.
Sì, sarebbe sopravvissuto, sarebbero sopravvissuti. Lui stava per avere un bambino, doveva sopravvivere, doveva farlo per Ernie o Molly che fosse.
- Mi raccomando, eh? - ripeté Fred, con un tono fintamente apprensivo. - Non cercare di immolarti per espiare i tuoi peccati: cerca solo di sopravvivere.
- Devo sopravvivere - si lasciò sfuggire Percy. - Sto per avere un figlio.
Continuò a camminare, ma dopo un po’ si accorse di essere solo. - Fred?
Si voltò. Suo fratello era rimasto indietro, la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. Sembrava – e mi si perdoni il paragone poco originale, ma è l’unico davvero calzante – un pesce rosso.
- Fred, cosa…
- T-tu… - e lo indicò - Tu stai… stai…
Fred appariva davvero sconvolto per la rivelazione: tutto si sarebbe aspettato, tranne che quella notizia in quel momento.
Boccheggiò, mentre Percy arrossiva, imbarazzato.
- Tu… Tu… Tu…
- Occupato…
- Cosa?!
- Niente, scusa… un déjà-vu.
- Perce - rantolò Fred - ma… ma… ma tu… io… ma… ma è vero?! O stai scherzando?
- Ti pare che io possa scherzare?! - sbottò Percy, sempre più rosso.
- Giusto. Oh, cavolo… ma… aspetta. Aspetta un attimo.
Fred appoggiò le mani sulle gambe e si piegò in avanti, inspirando forte; espirò e guardò Percy.
- Stai per avere un figlio.
- Sì. - Ci pensò su. - O una figlia. Grace dice che sarà femmina.
- E Grace è…
- No, è una cugina. Lei si chiama Audrey.
Nessuno dei due Weasley si rendeva conto che parlare in quel momento di quelle cose era quanto di più surreale potesse succedere loro. Se se ne fossero resi conto, di certo avrebbero smesso: ma Fred era troppo sconvolto da quella notizia, e Percy… beh, ormai lo conoscete.
- Ma… ti sei sposato?
- Non ancora.
Fred fischiò. - Alla mamma non piacerà, lo sai: è tradizionalista.
- Lo so. Vorrà dire che diventerà nonna un po’ prima del previsto.
- Cavolo… cioè, ma tu… insomma, io pensavo che tu non… insomma, che tu non…
- Che io non cosa, scusa? - chiese Percy, sentendo odore di presa in giro. - Che non potessi avere una ragazza?
- Veramente la parola che stavo cercando era “scopassi”, ma sì, il senso è quello. Wow. Insomma. Cavolo.
Per qualche secondo non parlarono. Era difficilissimo prendere Fred in contropiede e lasciarlo senza parole: Percy ci era riuscito. Si poteva sentire il rumore del cervello di Fred che assimilava faticosamente la notizia della paternità di Percy.
- Per quella porca vacca di Circe e tutte le sue consunte sottovesti… - ansimò Fred alla fine, dopo qualche secondo di riflessione - Questo… Questo vuol dire… che sarò zio!- gridò, illuminandosi. - Diamine, Perce, sarò zio! Fammi le congratulazioni!
A quella frase neanche Percy riuscì a trattenere una risata. Si avvicinò al fratello e l’abbracciò.
- Cavolo… sono proprio contento, sul serio, contentissimo. - Fred gli diede qualche pacca sulla schiena e poi si staccò dall’abbraccio, raggiante. - Allora che devi sopravvivere, vecchio mio!
- Beh, anche tu devi sopravvivere. Non vorrai mica che mio figlio cresca senza un padrino, no?
- Scherzi? Vuoi che mi perda lo spettacolo di un piccolo Perce che conquista il mondo? Mai e poi mai! - rispose Fred. Poi aggrottò le sopracciglia. - Aspetta, hai detto…
- Sì. Vorrei che tu fossi il padrino. Se vuoi.
Per la terza volta in poche ore Fred restò senza parole. - Io? Ma… ma sei sicuro?
Che domande. Certo che Percy ne era sicuro.
Fred gli era venuto incontro. Gli aveva teso la mano. Gli aveva sorriso, e parlato senza rancore.
E forse – forse – stava anche iniziando a perdonarlo.
A chi altri poteva chiedere una cosa del genere?
- Ne sono certo, Fred. Sei l’unico a cui posso chiederlo.
- Davvero? Niente Bill? Charlie? George? Ron? Martin? Bob? Walt? Steven?
- No. Nessuno di loro. A dir la verità, alcuni non so nemmeno chi siano...
Fred rise, una risata larga, di cuore. - Sì, credo proprio che dovrò occuparmi io di mini-Perce; almeno imparerà qualcosa sulla sottile arte dell’ironia.
Un rumore improvviso li fece tornare coi piedi per terra. C’era una guerra, oltre quel cunicolo.
- Meglio andare. E ricordati di sopravvivere.
- Sopravvivi anche tu, mi raccomando.
Era come un mantra, quella parola. Sopravvivere. Lo ripeterono ancora, molte e molte volte, prima che la battaglia iniziasse.
- Sopravvivi.
- Anche tu.
 
 
 
Dannazione!
Lo sapeva. C’era l’inganno, ovviamente.
Cavolo!
Aber l’aveva imbrogliata; non sarebbe mai riuscita a salire per quel maledetto tunnel con quel maledetto pancione che si ritrovava; era troppo ripido, non poteva arrampicarsi…
Porca zozza!
Imprecò mentalmente, mentre con cautela si appoggiava alla parete. Non aveva percorso che pochi metri dall’entrata del tunnel, e già si sentiva affaticata.
Inutile. Non ce l’avrebbe mai fatta; meglio rinunciare.
Si accasciò contro la parete, le gambe doloranti. Sua madre aveva ragione: era una pazza, a voler mettere in pericolo a quel modo due vite. Una pazza.
Ma non poteva fare a meno di pensare che Percy era lassù, senza di lei. Cavolo.
Se solo ci fosse una scala, santo cielo…
Inutile, meglio rinunciare. Lacrime di rabbia le sfuggirono, e non si curò di asciugarle.
Ci vorrebbe una scala, qui, una scala…
Meglio tornare indietro. Meglio lasciar stare, meglio starsene al sicuro e sperare che Percy non si facesse ammazzare… sperare che avrebbe potuto rivedere Percy vivo, almeno un’altra volta… una sola… per favore, una volta sola, per favore…
Voglio una scala, porca miseria!
Un fragore improvviso la fece sobbalzare: il pavimento ripido su cui aveva cercato inutilmente di arrampicarsi si stava lentamente trasformando sotto i suoi occhi in una comoda gradinata di pietra.
… Wow.
Avrebbe tanto voluto stupirsi, ma non c’era tempo. Tornò all’imbocco del tunnel, e vide sua madre e Aber affaccendati con gli studenti impauriti; decise che quella distrazione era un segno, e corse a capofitto su per le scale.
 
Arrivò che era ormai senza fiato.
Quanto pesi, Coso!
Si appoggiò all’uscita del tunnel, cercando di respirare. Le faceva male tutto, tutto, ma non importava.
Chissà dove diamine era finita: non ricordava esistesse una stanza simile, a Hogwarts. Si portò una mano al fianco dolorante.
Odio essere incinta.
Giuro che tu sei l’ultimo, Coso. Sarai felicemente figlio unico, oh sì.
Finalmente riuscì a respirare normalmente. Si guardò meglio attorno, e notò dinanzi a sé una figura che la fissava.
O meglio, fissava il suo pancione. Piccolo, ma sempre pancione.
Uffa! Sì, sono incinta, ma non è solo colpa mia!
La figura era una ragazza, piuttosto carina in verità; aveva però qualcosa di stranamente familiare.
E la fissava.
- Scusami, ma non ho tempo per i convenevoli - sbottò Audrey, vagamente irritata da quello sguardo inquisitorio. - Sto cercando una persona, si chiama Weasley. L’hai visto?
- Weasley? - chiese la ragazza, che sembrava sempre più sconcertata. - Weasley quale?
Oddio, è vero, se c’è tutta la famiglia saranno come minimo in sette! O erano otto fratelli?
- Percy - specificò Audrey. - Sto cercando Percy.
A sentire quel nome la ragazzina rimase completamente basita. Tornò a fissare alternatamente Audrey e il pancione, probabilmente cercando di capire il nesso tra Percy Weasley e quello.
E che palle, però!
Audrey roteò gli occhi, esasperata. - Sì, sono incinta di Percy Weasley, va bene?! Ora dimmi dove porca vacca è andato quel cretino!
La ragazza – ecco cos’ha di familiare! I capelli! – spalancò la bocca, poi indicò l’apertura della stanza.
- È andato di là?
- S-Sì… - pigolò l’altra.
- Grazie.
Audrey si avviò verso le scale – ancora! Basta scale! – che conducevano all’apertura, ben decisa a non perdere altro tempo.
- Aspetta!-
E ora che diavolo vuoi, rossa?!
La ragazza la fissava ancora. Audrey sbuffò.
- Senti, lo so che sono all’ottavo mese, non serve che qualcun altro mi dica che non dovrei…
- Mi stai dicendo - la interruppe la ragazza, ignorandola - che… sarò zia? Grazie a Percy?!
- Mi piacerebbe approfondire, ma ne riparliamo quando lo trovo, okay?
- Ma… Aspetta! - strillò ancora la ragazza rossa, ma Audrey si rifiutò di sentirla. Salì gli ultimi gradini e finalmente entrò a Hogwarts.
 
 
 
E così, la battaglia.
Chi c’è stato la ricorderà alla perfezione; ricorderà ogni viso, ogni grido, ogni movimento di quella notte.
O forse ricorderà solo una grande, immensa confusione, un’esplosione continua di suoni e immagini.
Forse la sua mente ha registrato ogni singolo dettaglio, o forse non ha trattenuto quasi nulla.
Forse risente di continuo le grida, forse le sogna soltanto e al risveglio non ricorda nulla.
Ad ogni modo, non c’è modo di dimenticarsela.
Nemmeno Percy l’ha mai dimenticata. Per lui è rimasta impressa nella mente come una serie di momenti di tremenda lucidità, momenti in cui riusciva a pensare solo ad una cosa.
Sopravviviamo.
Fred aveva ragione: doveva restare lucido. Concentrato.
Non era affatto facile, visto che molti studenti attorno a lui si lasciavano prendere dal panico. Aveva perso di vista tutti i suoi fratelli, dal momento in cui i Mangiamorte erano riusciti ad entrare abbattendo alcuni ragazzi.
Non avete pietà nemmeno per i ragazzini, stronzi.
Attorno a lui era il caos più totale. Grida ovunque, esplosioni colorate e schianti. Pensare era sempre più difficile, in mezzo a quella battaglia.
Sopravviviamo.
Parò una maledizione diretta contro due studenti alla sua sinistra, e rispose Schiantando lontano il Mangiamorte.
- È tutta una questione di movimento del polso, potete riuscirci anche voi! - gridò rivolto agli studenti, poi corse verso un altro Mangiamorte incappucciato.
Ma quanti erano, santo Merlino? Ne spuntavano fuori da tutte le parti… sembravano così tanti rispetto a loro…
Atterrò il Mangiamorte e schivò di poco una fattura.
- Perce!
Alle sue spalle era comparso Bill. - Hai visto qualcuno dei nostri? - domandò, mentre un suo colpo prendeva in pieno un uomo alto.
- Tu sei il primo che incrocio - rispose Percy. - Aspetta, eccolo!
Una chioma rossa ballonzolava davanti a loro, schivando le maledizioni di due Mangiamorte dal volto coperto.
- Dagli una mano, io cerco Fleur! - gridò Bill, lanciandosi giù per le scale lì vicine. Non serviva dirlo: Percy era già corso al fianco di Fred.
- Com’è piccolo il mondo!
- Perce! Da quanto tempo!
I due Mangiamorte volarono lontano contemporaneamente.
- Occhio, ne arrivano altri!
Altri due Mangiamorte li avevano puntati e si avvicinavano, minacciosi.
- Uno per uno, da bravi fratelli? - propose Fred, una luce selvaggia nello sguardo.
- Perché no?- ghignò Percy in risposta, con la stessa identica luce negli occhi.
Mai prima di allora Percy e Fred si erano assomigliati tanto. Per una volta, sembravano davvero fratelli.
 
 
Confusione, confusione. Audrey realizzò che non avrebbe mai ritrovato Percy in quella confusione.
Scansò un banco che, correndo come un bufalo, andò a travolgere tre Mangiamorte; vicino a lei una ragazza stava cercando inutilmente di tener testa a un altro tizio, che fu prontamente Schiantato da Audrey.
Cavolo, quanta gente c’era. Hogwarts sembrava persino piccola, troppo piccola per tutte quelle persone.
Se è così piccola, perché non lo trovo?
Dannazione, poteva essere ovunque, lì in mezzo! Lanciò d’istinto un Sortilegio Scudo su un ragazzino poco lontano da lei, poi si voltò e si trovò faccia a faccia con Aberforth.
- Gravida! - gridò lui.
- Aber! Dov’è mia madre?
- L’ho lasciata giù al pub con gli studenti. Perché non sei tornata? Quella vecchia mi stava facendo impazzire, con le sue urla…
- Non ho ancora trovato Percy! - Si abbassarono per evitare una maledizione che si andò a schiantare sulla parete.
- Comunque è tardi, non si può più tornare al pub: un’altra vecchia pazza ha chiuso il passaggio. Buon divertimento, gravida! - ruggì Aberforth, prima di lanciarsi su un Mangiamorte che inseguiva una donna coi capelli rosa.
Ha chiuso il passaggio?
Ha chiuso il passaggio?!
Ecco, adesso sì che siamo nei guai, Coso.
Faen!
 
 
- Occhio!
Schivò appena in tempo un incantesimo che gli passò vicinissimo ad un orecchio. Rispose, e il suo colpo fu più preciso: il Mangiamorte perse il cappuccio, restando a volto scoperto.
Percy non si stupì minimamente, vedendo che si trattava di O’Tusoe. Sorrise feroce, in preda a un’ispirazione improvvisa.
- Ah, Ministro! - sibilò, lanciandogli una fattura insolitamente ben riuscita - Le ho detto che do le dimissioni?
Quella era la sera delle sorprese, per Fred Weasley. Stavolta però non perse tempo a rimanere senza parole.
- Hai fatto una battuta, Perce! - gridò, mentre a sua volta atterrava l’altro Mangiamorte con l’aiuto di non si sa bene chi, apparso in quel momento.
Già, una battuta. Questa era follia pura, da parte di Percy.
Non era mai stato tanto simile a Fred come in quel momento. I due fratelli si guardarono: uno era allegro e assolutamente sbalordito, l’altro non si era mai sentito tanto pazzo in vita sua. Pazzo e felice di esserlo.
- Hai davvero fatto una battuta, Perce! - esclamò di nuovo Fred. Dietro di lui Potter, Ron e Hermione si stavano avvicinando.
Già. Una battuta.
Non era proprio il genere di cosa che Percy sapesse fare, men che mai nel bel mezzo di una battaglia. Però l’aveva fatta; e ne valeva la pena, per il sorriso che Fred gli stava rivolgendo.
Un sorriso che diceva tutto. Che diceva una sola cosa: perdono.
Percy si sentì perdonato, finalmente perdonato. Sorrise a sua volta, pieno di gratitudine, senza badare a quello che Fred gli stava dicendo.
- L’ultima che ti avevo sentito fare era…
 
 
 
 




E poi?
E poi rumore. E silenzio.
Percy amava il silenzio. Percy odiò il silenzio, da quel momento in poi.

   
 
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