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Autore: Yvaine0    13/05/2011    2 recensioni
A Margareth è stato affidato un compito difficile, spregevole; un compito che non vuole.
Figlia del boss di un' organizzazione criminale, si ritrova a dover sfruttare le sue doti artistiche e informatiche per contraffare opere d'arte.
E' l'anello debole della catena, quello con una coscenza, e suo padre ha trovato un modo per incastrarla ed impedirle di tradire la 'famiglia'.
La mia anima era ancora vergine, così dicevano gli altri.
Non avevo mai ucciso un uomo in vita mia, mai prima di allora.

(Saranno due capitoli; raiting giallo per la presenza di linguaggio scurrile).
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crime.
2
 

 

Non sono un burattino nelle sue mani.
Non macchierò la mia innocenza per nessun motivo.
 

 
 
 
Margareth si era asciugata gli occhi con stizza e ora attraversava l'enorme abitazione con passo deciso. 
Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa. Avrebbe combattuto per non farsi sottomettere. Lei non era un burattino nelle mani di quell'uomo.
Gli sguardi degli scagnozzi di suo padre la colpivano e si riflettevano sulla sua figura eternamente irraggiungibile e così dannatamente sbagliata per quel luogo. Lei era la figlia del capo. Lei aveva una coscienza. Lei li odiava tutti. Lei passava il suo tempo chiusa da qualche parte con quel tizio strambo e quello inquietante. Lei era dannatamente incazzata e questo significava imminenti guai per chiunque non avesse svolto adeguatamente il suo lavoro. O questo almeno era ciò che pensavano gli uomini di Paul. Paul, il padre di Meg. Paul, l'uomo che lei più odiava al mondo. Paul, il capo di tutta quella dannata organizzazione che le stava distruggendo la vita. Paul, colui che le aveva donato la vita e colui che la stava sfruttando a suo piacimento.
Checché ne pensassero le canaglie di Paul, ciò che pensava Meg non importava al loro capo. Lei era l'anello debole della catena, un punto debole da celare ai nemici.
Oltrepassò un uomo pigramente steso su una poltrona davanti alla porta dell' ufficio di Paul e spalancò la porta con stizza.
Una bionda che avrà avuto un paio di anni più di lei stava a cavalcioni sulle ginocchia di un uomo dai capelli color topo. 
- Meg! -
- Margareth - la corresse lei, fredda. -Esci, Francis- ringhiò. 
La bionda si spostò leggermente per permettere all'uomo di incrociare lo sguardo della figlia. -Margareth, porta rispetto per tua madre-.
-Non è mia madre, è la puttana del momento-.
L'espressione ferita che sformò il volto apparentemente innocente della bionda rivelò le sue reali speranze. -Mi dispiace che tu la veda così, Margareth- disse.
-A me no, Francis. Vattene, avanti-.
Francis fece per alzarsi, ma lo sguardo dell'uomo glielo impedì.
Batté le mani per due volte, per poi accarezzare la schiena della bionda con poca più cura di quando avrebbe fatto con un animaletto domestico. -Molto divertente, Meg. Tuttavia dovresti portare più rispetto. Qual buon vento ti porta?-
La mora strinse i pugni. La stava prendendo in giro. 
Osservò il volto tristemente pacifico di sua madre che sorrideva da un'opaca foto in bianco e nero. -Puoi evitare di scoparti la puttana davanti alla mamma- ringhiò, sentendo di nuovo gli occhi pizzicare.
Paul fece scendere la ragazza dalle sue gambe e si raddrizzò sulla poltroncina da ufficio su cui era adagiato. -Ci stavamo solo facendo un po' di coccole- sorrise melenso alla ragazza che arrossì sulle orecchie. 
-Che schifo- commentò, acida, stringendo più forte i pugni.
-Che schifo?- l'uomo rise.-Solo una persona che non ha mai provato può dire una cosa del genere! Ma cos'è che fate tu e quei due, sempre chiusi in quella stanza? Vi guardate negli occhi?!- rise di nuovo, timidamente imitato da Francis. -Dovresti farti una sana scopata, Meg. Tua madre ti aveva già partorito alla tua età-.
Margareth serrò i denti. La stava umiliando per puro divertimento. Bastardo, viscido, schifoso. -E tu avevi già i capelli bianchi quando lei stava partorendo- replicò acida, facendolo ridere di nuovo. -Non sono affari tuoi le mie scelte, ecco perché sono qui. Ucciditelo da solo quell'uomo!- sbottò.
Il silenzio cadde gelido nella stanza.
La rabbia ribolliva nelle vene di Margareth e lo scherno scintillava negli occhi di suo padre.
-E' un compito che ho affidato a te-.
-Non è un compito che mi riguarda-.
-Tutto ciò che faccio ti riguarda: siamo una famiglia-
-Tu non sei la mia famiglia-.
L'uomo rise sprezzante. -E qual è la tua famiglia?-
Margareth boccheggiò. Lei non ce l'aveva una famiglia. Lei era sola. 
Il groppo in gola che si era sforzata di reprimere fino a quel momento tornò a farsi sentire, più forte che mai. 
Paul rise di fronte allo smarrimento momentaneo della figlia, mentre il volto della bionda si contorceva in un'espressione sinceramente dispiaciuta.
-Io non lo ucciderò- ripeté Meg, non sapeva cos'altro dire. Si sentiva come quando da piccola si chiudeva nella sua stanza per sfuggire alla prese in giro di Phil e Charlie. Solo che questa volta non aveva nessun luogo in cui nascondersi. La sua camera non era che una prigione, la casa in cui abitava non la faceva sentire a suo agio e la famiglia che avrebbe dovuto farla sentire al sicuro era il pericolo da cui avrebbe voluto scappare.
-Io dico di sì-.
-No- ripeté lei, scuotendo il capo, incredibilmente fragile. -No- tratteneva a stento le lacrime.
Che aveva fatto di male per meritarsi tutta quella situazione?
 
Uno degli scagnozzi di Paul aprì con un calcio la porta dell'ambulatorio vuoto di Anthony Brians. 
Dalle finestre entrava il buio della sera, l'uomo era rimasto alla scrivania dopo la fine del turno per riordinare alcune cartelle.
-Salve, Anthony- lo salutò, serafico, una luce terrificante negli occhi.
L'uomo alzò lo sguardo e le pupille si dilatarono di paura alla vista di Thomas, Phil e Margareth.
-No!-
-Oh, sì!-
-Vi prego! Ho una famiglia!-
-Ti avevamo avvisato!-
Ogni parola pronunciata dall'uomo era pugnalata al cuore di Margareth, già segnato profondamente da numerosi solchi. 
-Non c'è un altro modo?- sussurrò pianissimo a Phil, il cui sguardo freddo era equivalente ad un perentorio "no".
-Avanti, Meggie - la spronò Thomas.
Margareth non ebbe la forza di rimproverarlo, nonostante odiasse quel soprannome. Tutti i problemi che si era sempre fatta fino a quel momento le sembravano stupidi in confronto a quello che stava per fare. Erano stupidi.
Tutto era insignificante.
Alzò la pistola, meccanicamente. Doveva farlo.
Che diavolo stava dicendo? Le avevano fatto il lavaggio del cervello!
No. Voleva essere libera. Gliel'aveva promesso, Paul le aveva promesso che se l'avesse fatto avrebbe potuto tornare alla sua vita, sarebbe potuta tornare a scuola e far finta di essere una ragazza normale, avrebbe potuto farsi un'altra vita.
Sentiva gli occhi bruciarle.
Lo sguardo di Anthony Brians era stracolmo di consapevole terrore. Sarebbe morto, lo sapeva. Non avrebbe potuto più aiutare la gente, curare vite umane, vedere i suoi figli, sua moglie, la donna con cui aveva scelto di trascorrere l'intera vita. Avrebbe segnato indelebilmente tutti i suoi familiari. Non avrebbe potuto più parlare con suo padre, con il quale si era riappacificato da poco dopo tante piccole e stupide incomprensioni che li avevano portati ad odiarsi a lungo.
L'uomo piangeva, pregando il Signore che quella ragazza lo risparmiasse.
-Margareth!- la spronò Thomas. -Muoviti!-
Le lacrime iniziarono a rigarle il viso. -Mi dispiace- implorò il perdono dell' uomo.
- Thomas, vai a controllare se arriva qualcuno- sbottò Phil, secco. 
Lui obbedì, ansioso. Se quella puttanella non si sbrigava sarebbero finiti in un mare di guai!
-Meg, avanti.- Phil. Le sembrava così irreale la sua presenza. Ogni cosa lì dentro le sembrava irreale. Un incubo. Forse era tutto un incubo. Voleva svegliarsi. Voleva svegliarsi a vedere sua madre che la abbracciava dicendole che andava tutto bene. Ma sua madre era morta e non ci sarebbe stata mai più, proprio come il dottor Brians, sul punto di essere ucciso. Tutto era dannatamente reale.
Tutto ciò che Meg sentiva era il dolore incessante, la disperazione.
-La prego, mi perdoni- sussurrò, singhiozzando. Strinse gli occhi, piangendo. Non voleva vedere quell' uomo morire.
Strinse la pistola tra le mani, piangendo. -Mi perdoni- singhiozzò.
I sussulti, i singhiozzi.
Lo sparo.
Niente più suoni.
Margareth trattenne il fiato poi iniziò a singhiozzare più forte. Non l'aveva fatto.
Aprì gli occhi. 
Phil fissava l'uomo accasciato a terra con fredda severità. Spostò lo sguardo su di lei, serio. -Vieni qua- sbuffò, abbracciandola.
Era stato lui. Non gliel'aveva lasciato fare.
Perché?
Phil rinfoderò l'arma, mentre Thomas rientrava nella stanza. Aveva sentito lo sparo. Margareth singhiozzava tra le braccia di Phil. -Finalmente- sbuffò. -Andiamocene prima che arrivi qualcuno-.
Il ragazzo annuì. -Andiamo- rispose, apatico.
Margareth si sciolse dall'abbraccio, ma rimase stretta all'amico, terrorizzata all'idea di vedere l'uomo a terra.
Thomas sbuffò. - Muovetevi!-
Phil fece andare avanti Meg e la guidò tenendo le mani sulle sue spalle.
In macchina li aspettava un altro uomo. -Fatto?-
-E' stata più brava di quanto mi aspettassi- commentò Thomas, dando a Margareth una pacca sulla spalla. -Brava bambina-.
Lei si ritrasse, gli occhi gonfi e il cuore grosso. Non capiva più niente. Non aveva ucciso proprio nessuno, ma non si sentiva sollevata per questo. Un uomo era comunque morto e lei non aveva fatto niente per impedirlo.
Guardò Phil, che fissava la strada davanti a sé, serio e impassibile come al solito. -Tutto bene?- le chiese.
Lei non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo.
No, niente andava bene.
La sua testa lavorava frenetica, sembrava stesse andando in tilt. Lavorava troppo e non raggiungeva nessuna risposta. Come si sentiva? Non lo sapeva. Voleva dormire. Voleva perdere coscienza.
Voleva svegliarsi da quell' incubo.
 


Eccoci qua. Questo è il secondo e ultimo capitolo.
Mi auguro che vi sia piaciuto, io ne sono abbastanza soddisfatta. (L’ispirazione fa miracoli!)
Non elemosinerò recensioni, ma è chiaro che mi farebbe piacere qualche parere.
Un saluto,

Yvaine0
  
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