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Autore: Dira_    14/05/2011    22 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXX
 
 


I let it fall, my heart
… and as it fell you also claim it.
It was dark and I was all right, until you kissed my lips and saved me.
My hands they’re strong, but my knees were far too weak,
stand in your arms without fall into your feet.
(Set the fire to the rain, Adele¹)
 
 
26 Novembre 2023
Sotterranei di Serpeverde. Mattina.
 
“Guarda che sono capace di portare una borsa a tracolla da solo.”
“No.”
“Non è una risposta! Ridammela.”
“Lo è. No.”
Tom alzò il braccio di modo ché un appena riabilitato Albus non potesse raggiungerla: la borsa infatti era ormai a due teste dalla sua portata. Al guardò con falso astio il proprio ragazzo, che di contrario sfoggiava uno di quei suoi sogghigni da Gran Bastardo.

“… se cerchi di essere carino, sappi che non sta funzionando.” Borbottò, capitolando.
Tom scrollò le spalle, mettendosi l’oggetto della discordia sottobraccio. “La Chips ti avrà pure dato il via libera, ma hai ancora il braccio al collo e fai fatica a salire le scale. Non sono carino, evito che tu ti rompa una gamba.”
Al per tutta risposta gli rifilò una gomitata, fiacca rispetto ai suoi soliti standard. Tom infatti gli lanciò un breve sguardo attento. E preoccupato.
“Smettila di fare la chioccia.” Lo rintuzzò. A quel punto l’altro, indispettito dall’appellativo, lo lasciò finalmente stare.
Erano passate quarantotto ore da quando era stato morso dall’acromantula: stava bene, era perfettamente capace di andare a lezione. Cosa che aveva un disperato bisogno di fare, perché stare steso un giorno intero l’aveva gettato in uno stato di malumore profondo.
Non sono fatto per l’immobilità.
Oltretutto, fuori stava succedendo il finimondo.
Il Torneo Tremaghi era stato sospeso. Le due delegazioni erano rimaste, ma quelli di Durmstrang si erano rinchiusi nella propria nave dal giorno della Prova.
A quanto sembrava c’erano in ballo grosse decisioni per quel giorno. In primis si sarebbero decise le sorti del Tremaghi.
In secundis, non avendo di meglio da fare a parte fissare il soffitto, il giorno prima si era divorato le pagine del Profeta che Tom gli aveva portato: aveva così letto un’intervista ad Hestia Jones, Direttrice del Dipartimento di Difesa. In quei giorni si sarebbe stabilito a chi assegnare le indagini sul caso dei Dissennatori.
Ufficio auror vince su tutti. Papà non si farà scappare l’opportunità di lavorare al caso della Thule, se gliene sarà data l’occasione. Lui scoprirà cos’è successo.

Lanciò uno sguardo a Tom, che era come al solito perso nei suoi pensieri. Sembrava piuttosto tranquillo e questo lo rasserenava.  
“Uno zellino… anzi, un penny per i tuoi pensieri.” Recitò, ricordando l’appunto che l’altro gli aveva fatto più di un anno prima. Sembravano passati decenni.
Tom scrollò le spalle. “Pensavo a Luzhin.”
“… e non è la prima volta. Devi dirmi qualcosa?”
Tom fece una smorfia seccata. “Non essere ridicolo.”
Al intuì che non era aria per fare battute, anche se non capì perché. “Ho saputo che si è ferito…” Disse invece, indagando per vie traverse “Come sta?”
“Non ne ho idea. So solo che ieri sera tua sorella era sul piede di guerra perché aveva lasciato l’infermeria senza dirlo a nessuno. Soprattutto a lei, suppongo.”
“Pensi che stiano assieme?” Chiese incerto. Non sapeva bene cosa pensare del tedesco; gli sembrava un tipo a posto, un po’ troppo serio ma cortese.

Ma non è che si capisca granché di quello che pensa…
Ed è proprio questo il punto… dopotutto si sta parlando della mia sorellina…
Tom si strinse nelle spalle. “Ciò che è certo, è che Lily si è attaccato a lui in modo … singolarmente repentino.”
“È suo amico di piuma da tre anni!”
“Di piuma, appunto. In questo genere di cose, non si parla di vera amicizia, perché manca l’elemento visivo, vedersi tutti i giorni…”
“E quindi?”
Tom fece un mezzo sorriso. Quando aveva quel piglio brillante e stronzo Al era combattuto: se tirarlo giù per un bacio o tirargli un calcio alla caviglia.

Invece passano tutto il tempo in cui lui non è impegnato incollati. Perlomeno uno dei due ha una cotta per l’altro.” Fece una pausa, prima di guardarlo con ovvi sottointesi. “Sai… dev’essere una cosa tipica dei Potter, appiccicarsi.”
Il calcio alla caviglia fu secco e preciso. Al si rallegrò di aver ripreso una certa fluidità, mentre guardava Tom impallidire e stringere un’imprecazione trai denti.
“Vedo che siete di ottimo umore stamattina.” Li sorprese una voce familiare.
Al si voltò. Era Michel, accompagnato dall’immancabile quanto imperscrutabile Loki.
“Mike!” Esclamò sorpreso. Lanciò un’occhiata d’avvertimento a Tom, ma rimase di sorpreso quando vide che l’altro non aveva né la bacchetta in pugno né tantomeno l’aria ostile.
Sembrava solo un po’ seccato.
“Buongiorno Zabini… Nott.” Scandì quest’ultimo con incredibile garbo.
Loki, minimamente turbato dall’evento epocale, si dedicò ad appuntare qualcosa sul taccuino che aveva tra le mani. Alzò appena lo sguardo, quasi li avesse notati in quel momento. “Buongiorno a voi.” Lanciò un sorriso obliquo a Tom. “Mio buon Dursley… ho già ottime puntate sulla Seconda Prova. Danno vincente la Weasley francese 2 a 1 col tedesco. Interessato?”
“No.”

“Sei così bacchettone…”
“Se provi a piazzare una scommessa a mio nome ti uccido.”

Al guardò sbigottito lo spontaneo formarsi di qualcosa che aveva creduto ormai perso per sempre.
Il nostro vecchio quartetto…
Tom era ancora un po’ rigido, e Michel aveva scelto di mettersi il più lontano possibile dall’altro, ma comunque…
“Che sta succedendo?” Chiese, perché doveva sapere se qualcuno aveva usato una Giratempo.
“Siamo serpeverde, pulcino.” Sorrise Michel, dandogli una pacca sulla spalla. “Possiamo fingere benissimo armonia pur detestandoci cordialmente.”
“Esatto.” Replicò pacatamente Tom. Comunque si premurò di prenderlo per mano, e stritolargli un po’ le dita. Al ricambiò la stretta. 

“Sì, ma…” Tentò.
“Bene.” Lo interruppe Michel. “Come ti senti Al? Pronto a tornare nell’occhio del ciclone?”
“Credo di sì…” Mormorò, imponendosi di riprendersi dallo stupore e dalla voglia, imbarazzante, di abbracciare forte quei due cretini. Dovevano essersi chiariti. Ovviamente ora si comportavano come se nulla fosse accaduto. Perché erano, appunto, due cretini che vestivano verde-argento.
Salazar insegna. Negare fino allo sfinimento di avere dei sentimenti.
 
“La scuola è in fermento…” Disse Michel, quando entrarono in Sala Grande. “Si parla del Torneo. Forse lo fermeranno definitivamente.”
“Per Morgana, speriamo di no.” Replicò con una smorfia infelice Loki. “Tutto il mio banco scommesse… perduto per sempre? Potrei morirne.”

“E dovresti ridare indietro i soldi delle scommesse. Come pensi di fronteggiare i creditori?” Osservò con calma Tom, lanciando un’occhiata ad un tavolo già occupato. Un attimo dopo i due che vi erano seduti erano già seduti ad un altro. Al si giudicò troppo contento per indignarsi.  
“Scappando nel mondo babbano. Ho saputo che hanno una cosa ingegnosa chiamata paradiso fiscale…” Motteggiò Loki. “Comunque non fermeranno proprio un bel niente. C’è un giro di galeoni niente male dietro, oltre al prestigio del Ministero. Sarebbe più probabile vedere il Primo Ministro a chiappe all’aria…”

“Forse sposteranno il Torneo in un’altra scuola…” Suggerì Zabini distrattamente.
“Forse…” Convenne Al.  
Era uno spettacolo così rinfrancante, fare di nuovo colazione con Loki e Michel, che ci mise un po’ a ricordarsi che quella mattina si era svegliato con un pensiero verso tutt’altra persona in testa.
Rosie!
Si guardò immediatamente attorno, e non la vide. Doveva già essere lì. Era sempre una delle prime ad arrivare in Sala Grande.  
Troppo strano.
“Rose?” Indovinò Tom. “Ieri non era a lezione. Una delle sue compagne di stanza mi ha detto che non si sentiva bene…” Poi esitò. E Al capì che c’era qualcosa che gli stava nascondendo.
Cosa?” Scandì lentamente. “Cos’ha Rosie?”
Tom fissò lo sguardo sullo scone che stava imburrando. “Ieri non avevi bisogno di partire per una delle vostre crociate Potter-Weasley …” Replicò secco, per nascondere  un’espressione colpevole.
“Che diavolo le è successo?” Sbottò, facendo voltare un paio di ragazzi accanto a loro.

Fu Michel a rispondere. “Scorpius è tornato a casa. Si è preso una pausa. E a quanto si dice in giro, l’ha presa anche da tua cugina.”
Al batté le palpebre, sentendosi confuso. “Pausa… cosa? No, aspetta. Tu come fai a sapere che loro due…”
“Lo sa tutta la scuola, Albus.” Replicò con un cenno annoiato il Capitano di Serpeverde. “Tra queste mura di gente stupida ce n’è molta. Stupidi, ma non ciechi. Scorpius e la Weasley erano palesi fin dalla festa di Halloween dell’anno scorso. Il fatto che non sentissero pettegolezzi su di loro, non vuol dire che non ci fossero.”

Ah.” Fece una pausa per raccogliere le idee. “… quindi… Malfoy ha lasciato Rosie?”
Oh, cavolo. Cavolo. Cavolo!
“Beh. Mettiamola così.” Staccò un morso da un tortino alla menta. “Quel che è certo, è che Scorpius è tornato a casa sua, e che tua cugina non scende dalla Torre di Grifondoro da ieri mattina.” Si strinse nelle spalle. “Fa’ i tuoi calcoli.”
“Devo andare da lei.” Proferì, alzandosi in piedi con piglio deciso. Crollò a sedere subito dopo, visto che le gambe decisero proprio quel momento per non collaborare.

Tom alzò gli occhi al cielo, e gli mise una pila di focaccine davanti. “Fai colazione. Poi va’ a salvarla. Priorità. Sembri un Grifondoro quando non ne hai…”
“Veramente ce l’hanno anche loro…” Borbottò, sentendo che doveva almeno un po’ difendere la categoria familiare, mentre Michel e Loki sogghignavano come due iene.
“Difatti solitamente sono noti per scegliere priorità che li fanno ammazzare.” Replicò crudelmente Tom, che sapeva di essere attraente proprio quando faceva lo stronzo. Lo sapeva. “Mangia.” 
Al spazzolò tutto, perché in effetti aveva una fame da lupi. Quando l’ultima briciola fu consumata, Tom scostò la sedia per farlo passare e gli consegnò la sua tracolla.
“Vedi di non tardare a lezione…” Lo ammonì, anche se sapevano entrambi che  l’avrebbe fatto, e tragicamente.
“Ci vediamo a pranzo pulcino.” Lo apostrofò infatti Michel, dedicandogli un mezzo sorriso.
Il nomignolo era del tutto gratuito e giusto per infastidire Thomas. Ma era nello stile Zabini, quindi per Al fu il benvenuto. Come era nello stile di Loki un cenno della testa e un motteggio distratto.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti, affatto babbei… 
Gli venne proprio da canticchiarla. Ma nella sua testa, perché un po’ di dignità doveva pur mantenerla.
 
Il buon’umore non gli si guastò finché non si trovò di fronte al ritratto della Signora Grassa.
Se Rosie salta le lezioni, allora è grave.
Riuscì a passare con un paio di lusinghe riguardanti il suo nuovo scialle di mussola azzurra della vanitosa dama.
Nella Sala Comune c’era ancora qualche studente, che lo fissò perplesso, ma non troppo. Dopotutto non era la prima volta che entrava ed usciva impunemente dalla Torre di Grifondoro. Non essendo comunque autorizzato, si premurò di tenere la spilla da Capocasa in vista.
Sospirò di fronte alle scale a chiocciola del Dormitorio delle ragazze. Odiava quella parte.
Mise un piede sul primo scalino, e si ritirò velocemente quando la scalinata divenne un ripidissimo scivolo.

Immagino non serva a niente dire che le grazie femminili non mi interessano, eh?
Si puntò la bacchetta ai piedi, e un attimo dopo scalava la salita grazie ad un incantesimo aderente.
Sul serio… i fondatori non ci hanno pensato? James e gli Scamandro hanno cominciato ad usarlo al Secondo Anno. E non penso che fosse farina del loro sacco.
Il Dormitorio era vuoto e dalla stanza di sua cugina proveniva della musica soffusa. Somigliava terribilmente a una struggente ballata babbana.
Mmh… mi sa che è l’orario degli Ascolti di Martin Miggs.
Aprì la porta lentamente. La camera profumava di smalto per unghie, svariate essenze e crema per le mani.
Lo ammetto, mi piace l’odore che c’è in camera di una ragazza. Ho passato metà della mia vita a sentire odore di calzini sporchi, tra Jamie e Hugo… e non parliamo degli allenamenti di Quidditch.
La sua ex-camerata, la sua stanza e quella di Tom a casa dei suoi genitori erano gli unici luoghi non funestati da quei maschi afrori.
Altro motivi per essere un Serpeverde. L’orrore per la sporcizia che hanno tutti i purosangue.
Individuò subito Rose. Era a letto, avvolta in un chilo buono di coperte. La bacchetta giaceva triste sul comodino, assieme ad una pila di libri e un piccolo vasetto contenente…
“Rosie, hai bagnato il tuo cactus?” Le chiese con il migliore tono da cugino affezionato.
La ragazza non si mosse, ma fu certo che fosse ben sveglia.
“Vuoi che gliela dia io?” Si offrì.
“… è una pianta desertica, non ne ha bisogno.”  Poco più di un brontolio. 
Si poteva fare di meglio.
“Sai…” Soggiunse, sedendosi sul letto. “… non è sano ascoltare musica struggente. E non andare a lezione? Sul serio Rosie? È l’anno dei MAGO.”
“… va’ via. Lasciami soffrire in pace.” Fu il borbottio che giunse da sotto il cuscino. Ma era un pochino più intelligibile, e Al se ne rallegrò.
“Lo sai che non posso.” Si puntellò sul materasso con le mani, prima di spegnere la radio con un gesto della bacchetta. “Come hai fatto a non farti venir a prendere di peso da zio Nev?”
“Ho detto che avevo le mie cose e che i dolori mi stavano uccidendo.”
“E ti ha creduta?”
“Non sembra saperne molto di problemi femminili. È arrossito ed è scappato via come se avesse i Dissennatori alle calcagna…” Fece una pausa dolorosa. “Pessimo paragone.”
“Ehi, Scorpius tornerà.” Le mise una mano sulla schiena, o perlomeno dove pensava fosse la schiena. “… non è il tipo che abbandona la nave…”
“… che affonda?” Sussurrò Rose, e Al si diede dell’idiota.

“Mi è uscita male. Intendo dire… andiamo, è Malfoy! Ti adora ed è il Campione della scuola. Non rinuncerà né a te né alla gloria eterna.”
“Vorrei che all’ultima rinunciasse…” Rose si tolse il cuscino dalla faccia. Aveva gli occhi rossi e l’aria della sposa piantata sull’altare. Il che addizionato al suo pigiama coi coniglietti la rendeva estremamente fragile. Albus le porse il suo fazzoletto con aria compartecipe e composta.

Rose si asciugò le lacrime, stropicciando poi il fazzoletto tra le dita. “La sai la cosa peggiore?” Fissò con furia il copriletto. “Lo sapevano tutti. Dico, a scuola… sapevano tutti che stavamo assieme!”
Al saggiamente decise di rimanere in silenzio.

Beh, a pensarci, Mike non aveva tutti i torti… gli indizi c’erano. Scorpius ha smesso di pomiciare con le galline del suo “serraglio”, e tu hai cominciato a portare i capelli sciolti.
Lui non ci aveva mai fatto caso solo perché nei mesi in cui si era sviluppata la loro storia era preso a scoprire e poi rimpiangere la sua.  
“La Finnigan è venuta, ieri sera…” Continuò Rose. “Mi ha detto quanto le dispiaceva che le cose tra me e Malfoy fossero finite così…”
Al guardò con clinico interesse il suo fazzoletto ridursi ad un brandello di stoffa. 
“E tu che hai fatto?”
“Le ho detto di andare a farsi una nuotata nel Lago Nero.” Sbuffò, facendolo sorridere. “… Merlino, quasi mi manca la Haggins. Perlomeno lei non avrebbe finto che le dispiaceva. Mi avrebbe ghignato in faccia.”

“Onesta.” Concordò quieto, accarezzandole un polso. “Ascolta… te l’ho già detto, Malfoy tornerà.” Le sorrise incoraggiante. “Sai, sembra che a volte tornino…”
“Non è come te e Thomas, Al…” Ribatté l’altra. E poi cominciò a raccontare per filo e per segno quello che era successo. Al alla fine del racconto ebbe voglia di appendere suo zio per gli alluci nel punto più alto della Torre di Astronomia.

Anche se poi, a conti fatti, neppure ha fatto granchè…
“Scorpius se n’è andato perché io l’ho deluso.” Concluse Rose tetra.
“Ma non è vero!” Protestò, perché qualcuno doveva riattivarle l’amor proprio. “Gli sei stata vicina per tutti questi mesi, seguendo i suoi deliri da Uno contro Tutti! E per il resto… non l’ho mai sentito lamentarsi!”
“Fingeva! Perché non voleva costringermi a fare qualcosa che non volevo! E per questo lo prenderei a calci… perché avrebbe dovuto dirmelo, dannazione.” Sbottò, mentre le lacrime si affacciavano nuovamente. Al con orrore realizzò che non sarebbe bastato il suo fazzoletto. “Anche se tornerà… non so se tornerà da me.”

“E tu fallo tornare!” Adorava sua cugina, ma a volte si perdeva in un mestolo da calderone. Le prese una mano e la strinse forte. “Le principesse che aspettano nella torre esistono solo nelle fiabe, no?” Le strizzò l’occhio, riuscendo nell’intento di farla sorridere. “Ragazze così sono di una noia mortale.”
“… concordo.” Ammise. Fece una breve pausa. “Sai, l’ho detto a mamma.” Sorrise mesta alla sua faccia sorpresa. “Sì, anch’io pensavo sarebbe stata la fine del mondo… ma credo che mi fossi fatta troppi film mentali.” Tirò un sospiro. “Il problema resta sempre papà. Non so se mamma glielo abbia detto, ma ormai ha capito. Ho mandato un gufo a casa per sondare il terreno, ma non mi ha risposto. Brutto segno…” Aggiunse mordicchiandosi un labbro. 
“Zio Ron se ne farà una ragione… prima o poi.” Aggiunse. “È tuo padre,  vuole solo vederti felice.” Si strinse nelle spalle. “E pazienza se sarà con un Malfoy.”

Rose lisciò le lenzuola in un paio di pieghe ordinate. Non ribatté alla sua frase. “Scorpius è un tale testone…” Disse invece. “Non sarà facile riguadagnarmi la sua fiducia.”
“Fa parte dei nostri geni. Quando mai una cosa è semplice per noi?”
Rose annuì e gli sfiorò il braccio fasciato con le dita. “Tu stai bene? Sono venuta a trovarti quando eri in  infermeria… ma dormivi, e Tom mi ha guardato come se volesse staccarmi la testa quando mi sono avvicinata.”
“Ha la sindrome della chioccia.” Sospirò facendola ridere apertamente stavolta. “Comunque me la cavo… anche se credo che approfitterò della tua ospitalità per riposarmi un po’.” Si tolse le scarpe per sottolineare l’intenzione.  

“Al… non preoccuparti per me.” Tentò l’altra con il tipico sguardo grato di chi sperava che lui facesse tutto il contrario. “E poi non dovresti stare qui, sei un ragazzo.”
“Tu per me ci sei stata quando ne avevo bisogno. È la legge del karma.” Le assicurò con tono autorevole. “E poi sono gay. Ho un dispaccio speciale per consolare streghette affrante.”

Rose non disse niente, ma quando si stese accanto a lei lo abbracciò stretto, posandogli la testa sulla spalla.
“Sono contenta che tu lo sia allora…”
Al la strinse, baciandole i capelli. Guardò il disastro che era quel letto e la marea di fazzoletti in cui navigavano.
Non sarò mai la causa di una deriva di sentimenti simile… Beh.
“Credimi Rosie. Anch’io.”
 
****
 
Torre Ovest, Guferia.
Poco dopo pranzo.
 
Tom legò con particolare cura una lettera alla zampa di Kafka: aveva passato buona parte del post-pranzo a scriverla e non voleva venisse persa nel tragitto per Durmstrang.
Era per Meike. Di solito preferiva firmare quelle di Albus  - certo, dopo averle approvate - ma questa volta l’altro ragazzo glielo aveva proibito. Gli aveva messo il necessario davanti e gli aveva intimato di scrivere alla sua piccola amica.
Tom aveva passato due ore a cercare di far sembrare la lettera più cordiale possibile. Probabilmente aveva fallito.
Beh, non le importerà che la riempa di faccette buffe come fa Al.  

Sapeva che Meike non si trovava bene a Durmstrang, ma non era ancora riuscito a parlare ad Harry di un suo trasferimento ad Hogwarts. Prima avrebbe dovuto parlare con Cordula, visto che era lei la sua tutrice legale.  
Solo che non ha mai risposto alle lettere che le ho mandato. Dannata corrispondenza inter-stato.
Diede una razione di carne secca in più alla cornacchia per poter affrontare il lungo viaggio e la osservò spiccare il volo. Se il tempo era buono, sarebbe arrivata all’Istituto in una manciata di giorni.
Il vento umido che saliva dal Lago Nero gli fece storcere le labbra. Non era tempo per rimanere fuori. Lanciò uno sguardo verso il Vascello, moloch nero e silente stagliato sulle acque appena mosse.
Luzhin era lì, con i suoi segreti.
Perché sapeva che quel tipo nascondeva qualcosa. In infermeria era riuscito ad avvicinarglisi a sufficienza per studiarlo, ma non aveva concluso niente.
Pensavo …
Si infilò le mani nel cappotto per scaldarle e scese le scale. Cedette il passo ad un paio di ragazze di Grifondoro piuttosto querule, e riprese a camminare.
Pensavo che nascondesse qualcosa nel braccio.
Il che, lo sapeva da solo, era ridicolo: anche volendo, non sarebbe riuscito a nascondere una bacchetta nella manica durante la Prova. Tutti i campioni venivano perquisiti prima di entrare nell’arena. Dovevano avere con sé solo la propria bacchetta. Una.  
Eppure quando l’acromantula l’ha attaccato era disarmato…
Lì per lì aveva pensato ad un incantesimo senza bacchetta, ma adesso non ne era convinto
La magia senza bacchetta è instabile, imprevedibile. E se usata corpo a corpo ti si ritorce contro, è matematico. Non è un idiota, non avrebbe mai usato una strategia così pericolosa.
Luzhin aveva usato qualcos’altro per sconfiggere l’acromantula. Solo non sapeva cosa.
Il problema continuava ad essere uno solo: c’erano tante cose che lo impensierivano di quel tipo, ma nessuna abbastanza grave da avvertire i professori, o il padrino.
Dovrei proprio scambiarci quattro chiacchiere…
Certo, se non si fosse barricato nella loro nave da guerra.
Stava per infilarsi nello stretto arco che dava ingresso nel corpo principale del castello, quando un gufo lo raggiunse. Lo conosceva bene: era Edwig, il gufo della famiglia Potter.
Gli prese la lettera dal becco. Era da parte di Harry, riconobbe subito la scrittura.
 
Non mi sono dimenticato della nostra promessa.
Venerdì prossimo ai Tre Manici ti andrebbe bene?
Fammi sapere tramite Ed.

Un abbraccio, Zio Harry
 
Sorrise soddisfatto: non erano immediate, ma avrebbe avuto delle spiegazioni.
Girò la lettera e frugando nella borsa trovò agevolmente una penna a sfera. Non iniziava mai l’anno senza averne un grosso pacco.
 
Ci sarò. Grazie.
Thomas.
 
Imbustò di nuovo la lettera e la consegnò al volatile, che ligio al dovere spiccò il volo. 
Entrò nel corridoio del settimo piano. A quell’ora, quell’area del castello era deserta e quindi potè continuare a pensare in santa pace.
Era convinto che il Tremaghi fosse il mezzo tramite cui la Thule voleva avvicinarsi. Glielo aveva velatamente confermato quell’americano, quello Scott.  
Ma che senso aveva l’attacco? Hohenheim deve sapere che i Dissennatori sono storia passata e digerita qui. Li abbiamo usati per anni.
Aveva voluto fermare il Torneo? Poco probabile. Se aveva infiltrato i suoi uomini grazie ad esso, perché mai fare in modo che tutti se ne tornassero a casa?
Spostarlo.
L’illuminazione gli arrivò sulle scale mobili, e solo la sua prontezza di riflessi gli impedì di inciampare poco decorosamente nel passaggio dal terzo al secondo piano.
Vuole che venga spostato.
Le scuole straniere si impunteranno dopo quello che è successo, ed Hogwarts è attualmente in una posizione di sfavore. Lo confermano gli articoli sul Profeta.
In caso mettessero un aut aut non potrebbe rifiutarsi di lasciare lo scettro…
Sentì lo stomaco strizzarsi in una mossa. Era spaventato, sì, ma anche eccitato. Aveva capito. Suo padre non era quel genio del male insondabile che gli americani pensavano fosse.
Vuole spostare il Torneo dove la sicurezza sarà minore. Del resto, cosa potrebbe importare ai francesi o a quelli del Nord, della mia incolumità?
Però non tornava. Scese la scalinata che portavano al piano terra, sperando che Albus e gli altri fossero ancora in Sala Grande a fare i compiti.
Anche se venisse spostato… come può avere l’assicurazione che io farei parte della delegazione di Hogwarts? Non sono un Prefetto, né un Caposcuola. Non sarei obbligato se mi sorteggiassero.
Fece una smorfia delusa: forse il suo costrutto razionale non era poi così brillante.
Quando varcò il grosso portone della sala, percepì un netto cambio di atmosfera. C’erano mormorii eccitati, capannelli di studenti che chiacchieravano e in generale libri e pergamene erano stati lasciati a loro stessi.
Cercò di individuare qualche viso noto tra la folla, e vide Lily. Era dove doveva essere: al centro della nube di chiacchiericci. 
Quando intercettò il suo sguardo, però gli trotterellò incontro in un turbinio di mantello e capelli rossi. Ultimamente li portava spesso sciolti, notò. “Ehi Tommy! Hai sentito la notizia?”
“Thomas, Tom. Hai due scelte. Non una terza.”
Lily sbuffò. “Sì, come vuoi. Comunque. Il Tremaghi sarà spostato! L’hanno deciso un’ora fa, in conferenza dei Presidi riunita o qualcosa del genere. Hanno affisso un avviso in bacheca, all’entrata! Non l’hai visto?” 

“No.” Quindi era davvero successo. Ma continuava a non avere senso. “Immagino ti spiacerà… dovrai salutare Luzhin.”
“Ma neanche per sogno!” Replicò quella con un sorriso furbo. “Ti ricordi che faccio parte del coro della scuola, no? Ci esibiremo per Durmstrang e per Beaux-Batons. Un mese al nord e poi un mese in Francia! Praticamente due mesi di vacanza…” Sorrise beata. “Però le due delegazioni rimarranno qui, almeno fino al Ballo del Ceppo di sicuro. Credo sia una specie di contentino per salvare la faccia ad Hogwarts.”

Tom la stava ascoltando solo a metà. 
Era questo il suo obbiettivo? Spostarlo? Ma perché? Non può sapere se farò parte della delegazione. Non può essere così sicuro da costruirci sopra un piano…
“Mi sa che sarai tu a sentirti solo!” Continuò Lily. “Perché…”
Tom non ebbe bisogno di sentire il resto della frase. Con orrore, improvvisamente, comprese.
La delegazione. È formata dal Campione, dal suo assistente… e dagli studenti più meritevoli.
Come i Prefetti e…
“Albus farà parte della delegazione?” Doveva avere un tono veramente aggressivo, perché Lily gli scoccò un’occhiata preoccupata.
“Beh … è un Caposcuola, no? È appena andato nell’ufficio del Preside per … Tom!
Ignorò il richiamo ed uscì dalla sala come se avesse l’inferno alle calcagna. Dal suo punto di vista, lo aveva davvero.

No. No. Non Al… non in quella delegazione! L’ha fatto apposta! Sa che Albus ci dovrà andare!  
Sentiva il cuore battergli nella cassa toracica come a volergliela sfondare. Gli veniva da vomitare.  
Al che l’aveva salvato l’anno prima da John Doe, che aveva preso, seppur momentaneamente, possesso della Bacchetta di Sambuco. Al con la sua fenice di nome Fanny.
Magari gli interessa, Tom. Magari l’ha colpito.
Magari sa quanto tieni a lui… magari sa che ti consegneresti per lui.
Quella voce appariva nei momenti più terribili della sua vita, e aveva sempre un tono soddisfatto.
Doveva colpire qualcosa. Fu una fortuna che avesse lasciato la bacchetta in borsa,  perché l’unica cosa che poté fare fu prendersela con la prima armatura che si trovò davanti, facendola cadere con un gran fracasso.
Sentì delle voci. Probabilmente il suo dare in escandescenze aveva attirato curiosi. Non gli importava.
Al andrà là. Al andrà dove io non ci sarò. Ma dove ci saranno i tentacoli di quell’uomo.
Alberich Von Hohenheim era come una maledetta ombra. Non l’aveva mai visto, non ci aveva mai parlato. Ma lo sentiva, in attesa, che lo voleva. Voleva strappargli via tutte le cose belle della sua vita per renderlo come avrebbe voluto che fosse sin dal principio: un misero essere con l’anima a pezzi.
No.
All'improvviso qualcosa di molto rosso gli entrò nella coda dell’occhio e sentì  la mano di Lily sul braccio.
Non toccarmi – pensò infuriato – Va via o ti costringerò io.
“Andiamo via prima che qualcuno pensi di scattare una foto a Tom Impazzito Oltre Ogni Previsione…” Mormorò con voce gentile la ragazzina, come se fosse completamente ignara dei suoi pensieri. Tom sapeva che non era del tutto così. “Sarebbe un peccato visto che sei così bello. Adesso, sai, hai una faccia orribile.”
Forse fu per il tocco fermo sul braccio, o per la battuta fuori luogo, ma Tom rimise a fuoco il mondo. E si accorse che le facce sbigottite erano più di quante pensasse.

“Io… devo entrare nella delegazione.” Riuscì a dire, perché pensava soltanto a quello.
Ha vinto. Ecco come mi avrebbe obbligato, coinvolto. Con Al.
Conosce le mie debolezze. Le conosce.
Tutto quello non poteva essere frutto della sua mente paranoica. Non poteva.
Lily annuì e lo portò via guidandolo con estrema perizia attraverso la piccola folla. La vide lanciarsi uno sguardo con Hugo, perennemente due passi dietro a lei.
Quello schizzò via, ad adempiere a chissà quale consegna.
“Certo. È ovvio che ci andrai.” Gli disse mentre lo trascinava verso la torre di Grifondoro. La direzione sembrava quella. “Sia mai che qualche tenebroso scandinavo metta gli occhi su Albie mentre non ci sei. Ma avrei vigilato io, sai…”
“… sei totalmente inopportuna.”
Lily gli sorrise e lui si sentì un po’ meno matto. “Lo so, Tommy. Ma sembra che tutti ne abbiate sempre un gran bisogno.”

 
****
 
Lago Nero, Vascello di Durmstrang.
Pomeriggio.
 
Il ticchettio della pendola era uniforme. Come doveva essere: misurava il tempo che per Sören, dal giorno della Prova, non si era mai ravviato a dovere.
Non era riuscito a parlare con suo zio. Non ancora. Gli era stato detto che era fuori città, che non poteva essere raggiunto.
Il soffitto della cabina, a cassettoni e di un nero pece, sembrava schiacciarlo mentre se ne stava steso nella propria cuccetta. Sentiva l’acqua sciabordare contro la fiancata, con una vibrazione lenta e costante.
Gli sembrava di essere prigioniero.
Poliakoff si era occupato di tutto, in quelle quarantotto ore. Dal portargli i pasti fino alle medicazioni per la testa che tutt’ora lo faceva dormir male.
Hogwarts…
Gli inglesi avevano provato a protestare. Poliakoff gli aveva raccontato che non appena si erano accorti della sua scomparsa avevano immediatamente mandato un Gufo per accertarsi delle sue condizioni.
Non hanno potuto fare altro… Letteralmente, potuto.
La Roskilde² – era quello il nome del vascello - non era solo un cumulo di assi galleggianti. Era anche territorio della scuola: sulla nave infatti valeva l’autorità dell’Istituto, non quella di Hogwarts. Nessun mago o strega di origine britannica poteva calcare la passerella, a meno che non fosse autorizzato.
A parte Lilian che c’è riuscita per ben due volte.
Serrò la mascella a quel ricordo. Non voleva ricordare. Voleva solo uscire da quella situazione.
Si rigirò tra le dita l’anello dei Prince. Era un movimento che aveva compiuto così tante volte in quei due giorni che era ormai automatico.   
Poi vide le fiamme del fuoco portatile accendersi, violentemente.
È tornato.
Si alzò in piedi, ignorando il capogiro – era sopportabile – e infilò la testa tra le brillanti fiamme verdi.
“Zio.”
Poteva vedere una grossa porzione dello studio. Il tappeto pregiato che era davanti al caminetto, la scrivania di mogano massiccio dietro cui tante volte era rimasto in piedi. E poi Alberich von Hohenheim.
“Sören. Ho saputo che mi stavi cercando…” Esordì. “Mi dispiace non essere stato reperibile sin ora. Affari mi hanno chiamato ben distante da casa, e sai meglio di me che non è sicuro comunicare tramite camini altrui.”
“Naturalmente…” Era sorpreso, doveva ammetterlo. La rabbia sorda che gli era scorsa sottopelle in quelle ore si placò lievemente.
Suo zio si stava scusando? Con lui?
“Ho e sentito anchche sei stato ferito alla testa… spero tu stia meglio. Ti hanno approntato le cure necessarie?”
Il tono era… gentile. Non aveva mai avuto quel tono con lui. Forse solo una volta, quando si era ferito nell’incidente che aveva ucciso suo padre.

Ma è stato molto tempo fa…
“Sì… mi sento meglio. C’è un medimago a bordo, fa parte dello staff. Inoltre sono stato nell’infermeria di Hogwarts. Sono un Campione, è scritto nelle regole che…”
“Sono lieto di sentirlo.” Lo interruppe. “Poliakoff mi ha già fatto rapporto, suppongo che tu lo sappia. Nessuno di noi voleva disturbare il tuo recupero. Hai affrontato una prova molto dura.”

Sören era sconcertato. Il tono di suo zio mostrava affezione. Sincera o meno che fosse, non si era mai disturbato a fargliela sentire.
“Pensavo…” Esitò sentendosi la gola secca. Improvvisamente aveva un’incredibile voglia di bere qualcosa di forte. “Sono spiacente di aver perso il controllo. Ho lasciato tutto nelle mani di Kirill e non avrei dovuto. Era mio il compito.”
E per questo scommetto che è stato estasiato…

Suo zio fece un cenno vago con la mano. “Sciocchezze. Hai fatto ciò che dovevi e al punto in cui siamo, non ho e non hai tu stesso nulla da rimproverarti.”
“Il punto a cui siamo…”
A che punto erano? La domanda era fondamentale. Era capitale. Perché lui non ne aveva la minima idea. Non sapeva cosa stesse facendo per suo zio e se lo stesse facendo bene.

E se farlo bene avrebbe portato dolore ad innocenti… come Lily.
“Sì, Sören, il punto a cui siamo. Ti chiederai quale sia. Credo sia il momento che tu lo conosca… Credimi, se ti ho tenuto all’oscuro fin’ora era perché doveva essere così.” Doveva essere così. Non aveva facoltà di replica quindi. “… abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo. Far spostare il Torneo.”
“… spostare il Torneo.” Mille pensieri gli si affollavano in testa. Di precedenti e di nuovi. “Perché?”
“Ad Hogwarts la sicurezza è troppo alta. Portare via qualcuno sarebbe impossibile. Non facile come l’anno scorso, questo è sicuro.” Aggiunse accarezzandosi la barba rada sul mento. “Mi sono assicurato che Durmstrang ospiti la Seconda Prova. A Durmstrang noi Hohenheim siamo a casa, non è vero?”
“Sì…” Confermò debolmente. Quindi era quello il piano. Togliere la potestà ad Hogwarts. Aveva senso. Forse. “… ma come faremo a sapere che Dursley farà parte…?”
“Della delegazione?” Suo zio rise. Sören si accorse che non l’aveva mai sentito ridere davvero. Non successe neppure stavolta in effetti. Non era come le risate di Lily e dei suoi amici. Quella risata non aveva la minima emozione dentro. “Credimi, lo farà. Per avvicinare la preda, devi prima studiare le sue abitudini… cosa preferisce. Cosa detesta. A cosa tiene.” Gli lanciò un’occhiata penetrante. La sentì persino attraverso il fuoco, e rabbrividì. “Cosa c’è Sören? Ti vedo turbato.”

Doveva dirglielo. Doveva dirglielo o sarebbe impazzito.
“È Lily, Signore…” Mormorò. “Lilian Potter. La ragazza che devo sorvegliare. Il mio compito.”
“Uno dei tuoi compiti.” Rettificò quietamente. “Sto ascoltando.”
“Io… lei.” Si umettò le labbra, trovandole secche come foglie. “… Cosa c’entra lei in tutto questo? Non riesco a capire.”

L’uomo aspettò molto prima di rispondere. “È la prima volta che ti sento fare tante domande, Sören. Solitamente, esegui gli ordini senza battere ciglio. Sei il più fedele dei miei uomini.”
“E lo sono!” Esclamò, non potendo evitare di sentirsi lusingato. Era la prima volta che gli faceva un complimento così smaccato. Però… “Lo sono, sono Vostro servo fedele. Solo… noi ricerchiamo la conoscenza. E… comprendo che per fare ciò, ci siano dei sacrifici. Delle vite che possano essere sacrificate, o azioni che possano essere compiute. In nome di un ideale.”
Quante volte l’aveva ripetuto quel mantra durante la sua infanzia, durante tutti quei lunghi anni sotto l’ala protettrice di suo zio? Ormai faceva parte di lui.

L’uomo non disse niente, aspettando che finisse. Gliene fu grato. Non sapeva se interrotto sarebbe stato capace di continuare. Era dura, esprimere la propria opinione quando lo si faceva per la prima volta.
“Non abbiamo mai coinvolto persone estranee ai nostri interessi…” Deglutì sentendo le unghie premergli sulla carne. “… Lilian Potter ha un rapporto superficiale e labile con … Vostro figlio. Quindi non capisco come possa aiutarci nel riportare Vostro figlio da Voi…”
Si stava confondendo di nuovo. C’erano troppe idee nella sua testa.

Suo zio sembrava scrutarlo attraverso il fuoco, e Sören quel fuoco se lo sentiva dentro.
Forse gli era tornata la febbre?
“Sei preoccupato per la giovane Potter.” Scandì con precisione chirurgica. Lo poté quasi sentire soppesare le parole. “Sei preoccupato che le possa accadere qualcosa mentre attuiamo il piano. Mi sbaglio?”
Sören non rispose, perché non ce n’era bisogno.

“Possa sapere il perché?”
Quello necessitava di una risposta. Doveva dargliela, anche se lo faceva tremare, ed era il principio da cui tutta la sua confusione era stata originata.

“Quando mi sono ferito… ero inerme. Un Dissennatore ha tentato di attaccarmi. Lilian era lì… e mi ha salvato. Ha evitato che la mia anima fosse presa da quella creatura.” Fu uno sfogo più che una spiegazione. Non guardò verso l’uomo neppure una volta. “Lilian Potter mi ha salvato la vita. Ed io devo sapere se sto attentando alla sua.”
Lily era vera. Non era uno dei tanti volti che aveva ferito per l’Organizzazione.
Lily era il suo sorriso, le sue chiacchiere interminabili e profumo di gigli. Aveva quindici anni e lo credeva suo amico.
… devo sapere se le farò del male.
Anche se non aveva idea di cosa avrebbe fatto, nel caso fosse stato così.
Attese a lungo prima che suo zio si decidesse di nuovo a parlare. Lui continuò a tenere lo sguardo a terra, dove era sempre stato.
“… sei un ragazzo corretto.” Sussurrò Hohenheim, e il tono era carezzevole. “Come lo era Elias.”
Sören alzò la testa. Era la prima volta, da tanto tempo, che parlavano di suo padre.
“Era un buon amico…” Si accese la pipa. Altra cosa che non faceva mai davanti a lui. Era un gesto distensivo e con lui Hohenheim non lo era stato mai. “Un mago eccellente, un valido aiuto per l’Organizzazione. La sua perdita, credimi, ancora mi addolora.”
Sören non replicò. Sapeva di dover solo ascoltare. Come sempre, quando suo zio parlava.
“Come lui, hai un’alta concezione dei debiti che contrai.” Tirò un paio di boccate dalla pipa e la vide accendersi di un tenue lucore rossastro. “Non ho alcun interesse a fare del male alla ragazzina. È solo un mezzo.”
“… quindi… non le sarà fatto alcun male?”
“Era questo che volevi sapere, giusto?” Replicò l’uomo. “Hai la mia parola.”

Sören sentì il sollievo sciogliersi lungo le ossa. Fu tanto che quasi sentì gli occhi pizzicargli. Erano anni… decenni forse? Che non gli succedeva.
“In ogni caso… accetta le parole del tuo unico parente, un uomo che tiene a te.” Aggiunse strappandolo dalle sue riflessioni. “Il debito che provi nei suoi confronti è buono. Ti permetterà di esserle più vicino, perché quel legame lo sentirà anche lei. Si fiderà di te. E aiuterà la tua copertura…”
“Sissignore…”
“Ma ricordati chi sei. Ricordati da dove vieni e dove tornerai quando tutto sarà finito.” La voce si fece quasi carezzevole. “Ti avevo ben detto che questo compito sarebbe stato difficile… non tanto operativamente, quanto emotivamente. So che sei esposto ad un forte stress. Lo capisco.” Spense la pipa gettando la cenere dentro il fuoco. “Ma sai cosa fare delle tue emozioni.”  

“Non essere loro schiavo…” Replicò ed era vero. Avrebbe dovuto, Per Merlino, se avrebbe dovuto.
Ma era come aveva detto Johannes. Era un cane fedele che spasimava per una carezza. E accorreva, desiderandola disperatamente.  
“Spero che tu sia più sereno adesso… riposa. Presto avrai mie notizie.”
Sören fece un cenno con la testa, e poi tolse la testa dal fuoco, che tornò vuote braci iridescenti.
Si appoggiò contro il materasso sottile del letto e chiuse gli occhi.
Non aveva chiesto a suo zio di Severus Piton. A conti fatti, non aveva senso lo facesse.
I Prince erano soltanto scheletri sotto metri di terra. Piton l’eroe era ormai ossa e polvere. 
Ma io sono vivo. E nessuno di loro può tendermi la mano ed indicare la direzione.
Ne esiste una sola per me, ed è questa. Essere un Hohenheim.
Si accorse che stringeva qualcosa in pugno solo quando lo fece cadere sul pavimento.
L’anello dei Prince.
Lo raccolse solo per gettarlo in fondo al suo baule. Dove doveva stare.
 
****
 
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto anno.
Pomeriggio.
 
Albus quando si era trovato Hugo, scarmigliato come suo solito ma con un fiatone da record, davanti all’ufficio del Preside, aveva subito capito che c’era qualcosa che non andava.
E negli ultimi tempi, quella sensazione andava a braccetto con Thomas Dursley.
Infatti…
Si trovava nell’ultimo dei luoghi in cui avrebbe visto Tom: ovvero in una camera piena di cuscini rosa, pupazzetti e poster di maghi con denti luccicanti. La camera di sua sorella a Grifondoro.
E questo non è un bene…
Perché strideva terribilmente con la figura di Tom, seduto sul letto di Lily. Si teneva la testa tra le mani e non dava segno di averlo sentito entrare.
Ad Al non venne più tanta voglia di sorridere.
“Che succede?” Chiese semplicemente.
Tom a quel punto alzò lo sguardo di scatto, come se avesse sentito scoppiargli un incantesimo vicino. In un attimo fu in piedi, e Al ringraziò mentalmente Lily per avergli confiscato la borsa con dentro la bacchetta. La sua espressione sarebbe stata capace di produrre da sola uno schiantesimo.
“Tu non ci devi andare.” Gli ringhiò addosso. Non lo afferrò soltanto perché fu abbastanza svelto da fare un passo indietro, e quindi lo mancò.
“Okay.” Disse, perché dietro l’aggressività di Tom c’era un terrore genuino e doveva subito isolarne la causa prima che facesse danni. “Dove?”
“Lo sai dove…” Mormorò, limitandosi a restare dov’era, forse intuendo che l’aggressione non era il modo migliore per farsi dare udienza. “Fuori da Hogwarts. Per il Tremaghi.”
“Non è che abbia scelta…” Disse con tono calmo. Neppure lui aveva fatto i salti di gioia alla notizia che avrebbe passato due mesi lontano dall’Inghilterra, dietro ad un Torneo di cui sostanzialmente non gli importava nulla. “Sono attualmente l’unico Caposcuola disponibile, e dovrò  quindi essere lo studente coordinatore della nostra delegazione. Spero mi diano anche una spalla femminile per quanto partiremo, ma al momento…”

No!” Stavolta l’urlo fu seguito da una violenta ventata che spense buona parte delle candele che illuminavano la stanza. Al si impose di non sussultare, e le riaccese con un colpo di bacchetta.
“Ti stai comportando come un idiota.” Scandì, guardandolo negli occhi. “Calmati … e spiegami. Perché così mi stai spaventando.”
… avevo detto stamattina che ero contento di non vedergli la faccia dell’anno scorso?
Come non detto. Eccola qui.

Lo stesso sguardo braccato e gli stessi lineamenti stravolti. Tom non aveva mai superato veramente quello che gli era successo: come avrebbe potuto se il fautore era ancora a piede libero e intenzionato a continuare quello che aveva iniziato?
Comunque le sue parole sortirono qualche effetto: l’altro sembrò tornare a più miti consigli, perché non ci furono altri scoppi di magia inintenzionale. Aprì le labbra, ma solo dopo attimi si decise a parlare.
“… è tutto organizzato. La Thule… quello che è successo. È stata lui a farlo accadere. I… I Dissennatori erano qui per un motivo preciso.” Al odiava quando gli tremava la voce. Era così abituato a sentire Tom non perdere mai il controllo che una parte di sé si spaventava, come se avessero ancora sette anni e fosse l’altro quello più forte.
“Per quale motivo?”
“Far spostare il Torneo, dove la sicurezza sarà minore.”

“Okay…” Doveva fare il punto della situazione. Almeno lui. “Tom, questo non ha senso. Tu non sei il Campione e a meno che tu non lo richieda, non farai parte della delegazione. E anche in quel caso, non è detto che tu venga preso.”
“Ma tu sì.”

“Io?”
“Tu sei un Caposcuola…” Si passò una mano trai capelli, lanciandogli un’occhiata così disperata che Al ebbe la tentazione di gettare la spilla dalla finestra. “L’hai detto tu, sei obbligato a far parte della delegazione. A meno che non ti ritiri…”

“Non lo farò.” Lo interruppe. Era preoccupato, certo, ma Tom stava avendo una delle sue paranoie ad occhi aperti. Perché doveva essere quello. Quell’Hohenheim non poteva essere così machiavellico.
Beh, è il padre di Tom. Hai presente quanto è machiavellico lui?
Decise di ignorare quella voce.
“Non lo farò perché sono solo ipotesi. Ed io ho dei doveri, doveri verso Hogwarts e verso la nostra Casa. E con quello che sta succedendo non posso mettermici anche io, a dare problemi!”
“Non capisci!” Sbottò l’altro, frustrato. “Pensi che siano vaneggiamenti? Pensi che mi stia inventando tutto perché sono…”
“Perché sei traumatizzato da quello che tuo padre ti ha fatto un anno fa, sì. Lo penso.” Replicò con la stessa esasperazione. Non voleva pensarci. Perché le cose non potevano essere semplici per loro come qualsiasi altro mago al mondo?

Tom gli scoccò un’occhiata livorosa, serrando i pugni. “Pensi che sia pazzo.” Sputò fuori.
Al inspirò lentamente. Qualcuno doveva tornare calmo o sarebbe finita male.
E se questo cretino si isola… è la fine. Storia già vista.
“No, non lo penso. Penso che tu sia spaventato, e penso che tu non abbia del tutto torto. Tuo padre è là fuori… e forse sì, ha portato qui i Dissennatori. Ma non abbiamo prove. Non ce l’ha neanche papà al momento, e lui è un auror.” Forzò l’accento su suo padre, perché al momento, gli venne in mente, era forse l’unico a poter calmare Tom e farlo ragionare. “Sai che non posso abbandonare Hogwarts. Se fossi al mio posto, agiresti nello stesso modo.”
Tom rimase in silenzio, guardandolo infuriato. Perché aveva ragione. “Allora verrò con te.” Sbottò.
“… aspetta.” Al si sentì salire il malditesta. Aveva solo diciassette anni, perché doveva affrontare quel groviglio di problemi orribili e con conseguenze agghiaccianti? “Tu sei convinto che tuo padre ti voglia rapire fuori da Hogwarts, giusto?” Gli chiese. “Se fosse vero, basterebbe semplicemente che tu rimanessi qui. Non è me che vuole.”
“Vuole usarti come esca.”
“Ma non sarò un’esca se non sarai con me. Il piano fallirebbe su tutta la linea.” Aveva senso. Dietro tutta la follia, aveva senso. Persino Tom avrebbe concordato. Lo guardò, sperando che fossero arrivati ad un punto di svolta.

Tom per tutta risposta gli sorrise beffardo. “Va bene…” Concesse. “Ragioniamo per ipotesi allora.” Gli puntò un dito al petto, premendo sulla spilla. “Se fossi al mio posto, rimarresti qui?”
E Al sentì cadere il suo castello di carte.
No, non lo farei mai. Non ti permetterei di andare da solo.
Non potrei mai rimanere qui al sicuro mentre tu rischi la pelle. Anche solo ipoteticamente.
Tom parve captare i suoi pensieri, perché sembrò sgonfiarsi di tutta la sua furia. Si risedette sul letto, quasi con cautela. “… già. Io non voglio più separarmi da te.” Sussurrò. “Adesso capisci?”
Al capiva. Così tanto che si sedette accanto a lui e gli prese la mano, stringendogliela. Tom rispose alla stretta. Dopo probabilmente entrambi avrebbero avuto le dita doloranti.
“Che bella coppia di idioti che siamo…” Mormorò, tentando un sorriso. Tom gli rispose con un tentativo ancora più fiacco.
“Almeno tu non hai preso a pugni un’armatura.”
“Ho sentito… lo sai che hanno secoli di storia?”
“E allora?”

“A volte sei proprio un bullo.”
Rimasero in silenzio per un po’. Visti da fuori, dovevano essere uno spettacolo del tutto ridicolo. Circondati da pupazzi e tendine rosa, mentre poster stregati ammiccavano loro in maniera seducente. E con due facce da funerale.
Perché non possiamo essere due adolescenti magici normali?  
Merlino Benedetto, pagherei camere di galeoni…
“Mi vedrò con Harry.” Mormorò dopo un po’ Tom. “Il prossimo fine settimana.”
“Ottimo. Gli devi parlare di questa cosa.” Ribatté subito. Quella era una buona notizia. Suo padre forse sarebbe riuscito a farlo ragionare. O perlomeno, a non fargli avere quell’espressione in faccia. “Di tutto. E poi vedremo se sarà il caso di cadere nella trappola.”
“Non cadrò nella trappola.” Replicò Tom con un mormorio. “Non sono così stupido… e mio padre non è così furbo come crede.”

“In effetti il piano dell’anno scorso faceva schifo…” Gli lanciò un’occhiata, e lo vide corrugare le sopracciglia, per poi trattenere un sorriso.
Allora gli premette le labbra sulle sue. Tom le aveva caldissime, probabilmente perché se le era morse un sacco. Fu un bel bacio.
“Sai…” Gli disse, passandogli le dita sulle nocche, sentendole abrase. Si appuntò di curargliele usciti di lì. “…il Gran Bastardo deve combattere contro di te e mio padre, ma c’è qualcun’altro che non ha messo in conto.”
“Sarebbe?”

“Me.”
Tom gli sorrise e lui gli passò le braccia al collo, perché ne avevano entrambi un gran bisogno. “Prendimi sul serio.” Lo ammonì. “Sarò un’esca? Scoprirà che sono stato una pessima scelta.”
“In effetti, provocato, sai essere una gran seccatura.” Convenne.
“Idiota.” Sentì le braccia dell’altro circondargli la vita. Era una buona cosa. Se Tom non lo toccava, era un pessimo segno invece. “Ascolta…” Aggiunse piano. “Non sei solo in tutto questo. Siamo assieme.”
Tom sorrise di nuovo, e appoggiò la fronte contro la sua. “Lo so.” Mormorò. “… ti amo.”

Oddio, l’ha detto.
Okay, erano solo due parole e poi sapeva benissimo che Tom le provava. E che probabilmente gliele aveva dette in quel momento solo per farsi perdonare della sfuriata di poco prima.
Al, comunque, sentì il suo cuore dare un’accelerata come durante una finta Wroski.  

“Di solito a questo punto si risponde …” Gli suggerì l’altro con un ghigno. Doveva proprio avere una faccia da scemo epocale.
“Tom, me l’hai appena detto in una stanza che sembra una gigante meringa rosa…” Fece una pausa e si alzò, tendendogli la mano. “Ti amo anch’io, ma dobbiamo davvero uscire di qui.”
Perché se non recupero un po’ di dignità mi trasformo in una ragazza.   
Tom si guardò attorno, prima di mettersi a ridacchiare. Non rispose, ma gli prese la mano.  
Assieme. È tutta qui la differenza, Hohenheim. Tom è affar mio, di noi Potter.
Prova a prenderlo. Non ti piacerà.
 
 
****
 
Note:
 
Il titolo del capitolo è preso da una strofa della canzone degli Snow Patrol ‘Set the fire to the third bar” altra canzone in ballottaggio per fare da colonna sonora.  
Sono molto fiera del banner introduttivo del capitolo. Finalmente comincio a capire il magico mondo di Photoshop. Più o meno.
1. Qui la canzone. Adoro questa donna.
2. Roskilde: Si riferisce alle navi di Roskilde, navi vichinghe ritrovate in una baia in Danimarca. Sono state considerate le navi vichinghe più grandi mai scoperte, di ben 35 metri di lunghezza.
  
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