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Autore: micRobs    14/05/2011    7 recensioni
Storia partecipante al contest "Perchè Wolfstar è meglio" di ClaireTheSnitch! "Quanto era facile perdere il controllo con lui? Lo ricordi ancora, Sirius?" Hope you like it!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Wolfstar'
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Remus e nient'altro

L'idea iniziale era decisamente diversa da questa! Tanto per iniziare era una drabble e poi era dal Pov di Remus!
Volevo provare a scrivere qualcosa di diverso, nonostante io sia tremendamente spaventata dalle storie lunghe per paura di annoiare il lettore!
Spero vi piaccia e spero vogliate lasciarmi un vostro parere seppur piccino picciò!

Dedico questa storia a ClaireTheSnitch che, ultimamente, con i suoi contest mi sta danto la possibilità di scrivere tante belle Fic! Hope you like it!

Partecipa al contest 
"Perchè Wolfstar è meglio" di ClaireTheSnitch. 
In attesa dei risultati, postiamo!

Remus e nient’altro.

 

Ormai è sera, o almeno credi che lo sia. Sei lì dentro da così tanto tempo che non ti stupiresti se, uscendo, scoprissi che agli alberi son cadute le foglie o che il sole ha smesso di brillare.
Le imposte delle finestre chiuse non lasciano passare eventuali raggi di luce e la casa è così silenziosa che potrebbero essere tranquillamente andati tutti a letto. Non un rumore, non un grido, non uno scricchiolio di assi o un trascinare di sedie. Nulla di nulla, nulla che lasci immaginare che quella casa, un tempo, era abitata da persone altezzose e fin troppo rumorose.
Pensavi sarebbe stato più semplice tornarci. Hai desiderato con ogni fibra del tuo corpo scappare da quel posto, impegnandoti al massimo per differenziarti da coloro che, in teoria, avresti dovuto chiamare genitori. Era solo una casa, infondo, è solo una casa. Quattro mura, una scala, qualche stanza di troppo, arazzi e tappeti. Una casa pomposa ed austera, ma pur sempre una casa. Una casa che, però, non sei mai riuscito a considerare tua.
Rimettere piede in quell’ingresso è stato più soffocante del previsto, però. Passeggiare per quelle camere buie e polverose è stato più faticoso di quanto ti aspettavi.
Sentivi il peso di quelle mura crollarti addosso, mentre le pareti ti si stringevano attorno impedendoti anche solo di pensare alla fuga.
Passare da una prigione ad un'altra. Da una cella ad un'altra, incontrando carcerieri ugualmente crudeli e ligi al dovere. Non era previsto, non doveva accadere ma, riflettendoci, hai trascorso quasi metà della tua esistenza a chiederti dove stesse portandoti la vita.

Sei entrato in quella camera senza rendertene conto, seguendo quel desiderio di redenzione che ti accompagna da troppo tempo ormai. Ora, però, che ti ritrovi dinanzi all’immenso arazzo della Casata dei Black ti chiedi per quale motivo i tuoi piedi abbiamo deciso di portati proprio in quella stanza che per tanto tempo hai evitato.
Lo osservi attentamente cercando, nella filigrana dorata, le tracce del suo antico splendore. Ti chiedi da dove nasca l’inquietudine che senti, la soggezione che ti assale.
Lo hai sempre detestato, lo hai sempre considerato un’inutile ostentazione di una gloria fasulla.
Il tempo è stato crudele con lui, come con te. Non conserva più nulla del maestoso arazzo dei tuoi ricordi. Annerito e sciupato, adesso fatichi addirittura a
leggerne i nomi.
Alcuni ritratti sono andati sciupati, altri, invece, sono stati sostituiti da una profonda bruciatura nera. Il tuo, ad esempio.
Una macchia nera, ecco cosa sei. Una macchia nera nel ricordo dei tuoi consanguinei, una macchia nera nel ricordo dei tuoi amici, una macchia nera più del tuo nome e forse più della tua stessa anima. Una macchia nera che ha rimpiazzato il volto del bel giovane Grifondoro che un tempo ti vantavi di essere.

 
La porta si apre lentamente, distraendoti dai tuoi pensieri distruttivi e regalando all’ambiente una falce di luce ristoratrice.
«Non sapevo fossi qui.» ti dice con voce stanca.
Lo osservi per un attimo, cercando nel volto spento e nei capelli sbiaditi le tracce dell’uomo che conoscevi un tempo. Le labbra sottili sono come le hai sempre ricordate, gli occhi conservano lo stesso color nocciola, ma il peso degli anni li ha privati della luce che una volta li caratterizzava, mentre qualche cicatrice in più gli riga il viso. Sollevi le labbra cercando di ricordare come si sorride, ma il risultato è una smorfia che cerchi di fare apparire il più naturale possibile.
«Non sei mai stato bravo a mentire, Remus.» rispondi con voce roca.
Lui abbozza un sorriso, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
«Pensavo di aver affilato la tecnica, con il tempo.» ribatte, ironico.
«Non avevi me con cui esercitarti.» rispondi lasciandoti prendere la mano da quell’amichevole scambio di battute che per te era all’ordine del giorno.
«Già…» mormora lui, però, improvvisamente incupito.
Il silenzio che cala tra di voi è gelido e tagliente, è un silenzio fatto di parole non dette e di pensieri tenuti segreti, è un silenzio di nostalgia e di imbarazzo. È un silenzio rumoroso, un silenzio che ti parla di ciò che avresti potuto essere, di ciò che avreste potuto essere insieme. Un silenzio che urla, che ti urla quanto tu abbia effettivamente perso in quei tredici anni trascorsi ad Azkaban.
Ritorni ad occuparti del muro cercando di recuperare il filo dei tuoi pensieri.
L’oscurità piomba di nuovo nella stanza, accompagnata dal rumore sordo della porta che si chiude.
Sospiri, mentre il silenzio ti avvolge e lentamente i tuoi occhi si riabituano al buio.
«A breve proveremo a toglierlo.» dice la stessa voce stanca di prima, ora sorprendentemente vicina al tuo orecchio destro.
Ti volti, faticando a mettere a fuoco quei lineamenti che un tempo avresti riconosciuto fra mille, sorpreso nello scoprire che Remus era rimasto.
«Dubito che verrà via. Quella vecchia megera avrà fatto in modo che niente possa staccarlo da lì.» spieghi, scettico.
«Tentar non nuoce.» risponde lui, convinto «E poi è davvero di cattivo gusto.» aggiunge a voce più bassa trattenendo un ghigno.
«La maggior parte della robaccia che si trova in questa casa è di pessimo gusto.» osservi.
Remus scuote il capo
«Sirius,» chiama piano «è solo un muro. Male che vada si abbatte.»
Sorridi falsamente, voltando il capo alla finestra, evitando di incontrare il suo sguardo. Quello sguardo che non riesci più a decifrare.
«Non è mai solo un muro, Remus. Solo un muro, solo una porta, solo una scala. Non è mai solo questo.» spieghi con voce malferma. «È un ostacolo. Ogni volta di dimensioni differenti, ma è sempre un ostacolo. Un ostacolo che stavolta mi mostra tutti i miei fallimenti sottoforma di astrusi ghirigori ed arabeschi elaborati.» continui come un fiume in piena, un fiume di parole liberatorio. «Ma pur sempre un ostacolo.» soffi, infine.

Remus ti osserva, allibito. Forse anche lui è stupito del tuo discorso, forse anche a lui sembra strano come a te, forse neanche lui ti riconosce, nemmeno lui riesce a trovare, in ciò che ha davanti, una traccia dell’uomo che eri. Ma la vita vi ha riservato un destino differente, e gli anni hanno lasciato un segno più profondo a te che a lui.
«Sirius» inizia, incerto «Non è colpa tua. Nessuno ti porta rancore, davvero.»
Sbuffa scocciato, scuotendo il capo velocemente come per allontanare un pensiero scomodo.
«Se non sono neanche capace di proteggere le persone che amo…»
Ed arriva lì, in pieno viso, talmente veloce che fatichi a rendertene conto. Potresti aver immaginato tutto, ma il dolore che provi è tremendamente reale. Porti una mano alla guancia, stupendoti dell’improvviso calore che emana e voltandoti verso Remus che ti fissa ancora, incredulo, con il braccio in aria.
«Stai delirando, Sirius.» afferma, severo «Non ti ho mai sentito parlare così e non voglio iniziare ora.»
Lo guardi, incapace di aprire bocca, massaggiandoti la guancia dolente e chiedendoti fino a che punto la prigione ti ha cambiato.
«È solo un muro, ed i muri sono fatti per essere abbattuti.» continua lui con veemenza.
«N-non so… se…»
Sei un uomo distrutto dal dolore, Sirius Black, un uomo con cui la vita si è divertita più del solito. Un uomo stanco di lottare e stanco di difendersi, un uomo stanco di apparire ciò che non è.
Per quanto possa essere forte, anche il cane soffre ed anche il cane ha bisogno di leccarsi le sue ferite. Tu sei un uomo stanco, Sirius Black, sei maledettamente stanco se permetti a Remus Lupin di prenderti a schiaffi.
«Sirius,» ti dice, esasperato «non ti rendi conto di quanto sia ridicola la causa che stai procrastinando? E aspetta, fammi finire.» ti interrompe ponendoti una mano dinanzi la bocca.
«Stai mettendo in scena una commedia in piena regola e, se non fossi così dannatamente cocciuto, riusciresti a comprendere quanto sia incredibilmente sciocco il tuo comportamento.»
Il tuo sguardo si indurisce, mentre lo osservi rimproverarti aspramente. «Tu non puoi capire» sbotti, furioso «Non hai idea di cosa voglia dire vivere in una gabbia, essere considerato un mostro, un assassino…»
«Davvero, credi che non lo sappia?» replica lui, gelido. Ti fissa con sguardo truce, facendoti rendere conto di quanto, effettivamente, tu abbia toccato il fondo. Davvero non lo sa?
«Io…Remus…» bisbigli.
«C’eri tu, Sirius.» risponde lui, passandosi stancamente una mano sugli occhi. «C’eravate voi, quella volta, quelle volte. Quelle volte in cui io mi sentivo un mostro, quelle volte in cui io mi vergognavo, quelle volte in cui io mi sentivo inadatto. C’eravate voi, c’eravate voi ad abbattere il muro che mi ero costruito intorno.»
Taci, mentre quelle parole dannatamente veritiere ti rimbombano nelle tempie.
«Era tutto diverso, allora.» argomenti, disperato, distogliendo lo sguardo.
Ti si avvicina, comprensivo, afferrandoti una mano e stringendola nella sua, calda.
«Può tornare tutto come prima, se vuoi. Permettimi di esserti vicino.» intreccia le sue dita alle tue, afferrandoti dolcemente il braccio con la mano libera. Lo guardi, apprezzando quel gesto intraprendente e sperando che riesca, per un attimo, a farti dimenticare i tormenti che ti porti dietro.
«Te lo sto permettendo.» sussurri con voce roca.

La sua mano si sposta lentamente sul tuo viso. Ti scosta una ciocca di capelli dagli occhi, soffermandosi sui tuoi zigomi, mentre con  il pollice ti accarezza, esitante, le labbra.
«Sei cambiato» ti sussurra.
«Anche tu.» replichi.
Ti aggrappi ai suoi fianchi, attirandolo a te. La sua mano è ancora sul tuo viso, i vostri petti si sfiorano.
Quanto era facile perdere il controllo con lui? Lo ricordi ancora, Sirius?
Quanto era facile lasciarsi andare alle sua mani, alla sua bocca? Lo hai dimenticato?
Quanto è difficile, ora, dirgli che lo hai aspettato per tredici lunghi anni, che non lo hai mai dimenticato?
Remus non parla. È li tra le tue braccia e sta in silenzio. Senti il suo respiro irregolare, il suo cuore impazzito. Senti la sua pelle fremere ed il suo corpo tremare. Senti che non sei solo, che lui è lì con te e che è pronto a perdersi in te ancora e ancora. Ti basta niente per capire che i suoi pensieri sono affini ai tuoi, e ti basta ancor meno per annullare quella banale distanza tra voi.
È un bacio complicato, quello che vi scambiate. Un bacio che sa di amarezza e di risentimento, ma anche un bacio che sa di ritrovata speranza e di desiderio di rivincita. Rivincita su quel fato che così brutalmente vi ha allontanato.
Lo baci aggrappandoti a quella salvezza che solo lui è in grado di donarti, lo baci come se ne andasse della tua vita. Lo baci perché sai che solo così potrai abbattere quel muro che ti circonda, in favore di un muro più alto, più resistente, ma che contenga al suo interno anche Remus.
Remus e nient’ altro.

   
 
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