L'idea iniziale era decisamente diversa da questa! Tanto per iniziare era una drabble e poi era dal Pov di Remus!
Volevo provare a scrivere qualcosa di diverso, nonostante io sia
tremendamente spaventata dalle storie lunghe per paura di annoiare il
lettore!
Spero vi piaccia e spero vogliate lasciarmi un vostro parere seppur piccino picciò!
Dedico questa storia a ClaireTheSnitch che, ultimamente, con i suoi contest mi sta danto la possibilità di scrivere tante belle Fic! Hope you like it!
Partecipa al contest
"Perchè Wolfstar è meglio" di ClaireTheSnitch.
In attesa dei risultati, postiamo!
Remus e nient’altro.
Ormai
è sera, o almeno credi che lo sia. Sei lì dentro da così tanto tempo che non ti
stupiresti se, uscendo, scoprissi che agli alberi son cadute le foglie o che il
sole ha smesso di brillare.
Le
imposte delle finestre chiuse non lasciano passare eventuali raggi di luce e la
casa è così silenziosa che potrebbero essere tranquillamente andati tutti a
letto. Non un rumore, non un grido, non uno scricchiolio di assi o un
trascinare di sedie. Nulla di nulla, nulla che lasci immaginare che quella
casa, un tempo, era abitata da persone altezzose e fin troppo rumorose.
Pensavi
sarebbe stato più semplice tornarci. Hai desiderato con ogni fibra del tuo
corpo scappare da quel posto, impegnandoti al massimo per differenziarti da
coloro che, in teoria, avresti dovuto chiamare genitori. Era solo una casa,
infondo, è solo una casa. Quattro mura, una scala, qualche stanza di troppo,
arazzi e tappeti. Una casa pomposa ed austera, ma pur sempre una casa. Una casa
che, però, non sei mai riuscito a considerare tua.
Rimettere
piede in quell’ingresso è stato più soffocante del previsto, però. Passeggiare
per quelle camere buie e polverose è stato più faticoso di quanto ti aspettavi.
Sentivi
il peso di quelle mura crollarti addosso, mentre le pareti ti si stringevano
attorno impedendoti anche solo di pensare alla fuga.
Passare
da una prigione ad un'altra. Da una cella ad un'altra, incontrando carcerieri
ugualmente crudeli e ligi al dovere. Non era previsto, non doveva accadere ma,
riflettendoci, hai trascorso quasi metà della tua esistenza a chiederti dove
stesse portandoti la vita.
Lo osservi attentamente cercando, nella
filigrana dorata, le tracce del suo antico splendore. Ti chiedi da dove nasca
l’inquietudine che senti, la soggezione che ti assale.
Lo
hai sempre detestato, lo hai sempre considerato un’inutile ostentazione di una
gloria fasulla.
Il
tempo è stato crudele con lui, come con te. Non conserva più nulla del maestoso
arazzo dei tuoi ricordi. Annerito e sciupato, adesso fatichi addirittura a
leggerne i nomi.
Alcuni
ritratti sono andati sciupati, altri, invece, sono stati sostituiti da una
profonda bruciatura nera. Il tuo, ad esempio.
Una
macchia nera, ecco cosa sei. Una macchia nera nel ricordo dei tuoi
consanguinei, una macchia nera nel ricordo dei tuoi amici, una macchia nera più
del tuo nome e forse più della tua stessa anima. Una macchia nera che ha
rimpiazzato il volto del bel giovane Grifondoro che un tempo ti vantavi di
essere.
La
porta si apre lentamente, distraendoti dai tuoi pensieri distruttivi e
regalando all’ambiente una falce di luce ristoratrice.
«Non
sapevo fossi qui.» ti dice con voce stanca.
Lo
osservi per un attimo, cercando nel volto spento e nei capelli sbiaditi le
tracce dell’uomo che conoscevi un tempo. Le labbra sottili sono come le hai
sempre ricordate, gli occhi conservano lo stesso color nocciola, ma il peso
degli anni li ha privati della luce che una volta li caratterizzava, mentre
qualche cicatrice in più gli riga il viso. Sollevi le labbra cercando di
ricordare come si sorride, ma il risultato è una smorfia che cerchi di fare
apparire il più naturale possibile.
«Non
sei mai stato bravo a mentire, Remus.» rispondi con voce roca.
Lui
abbozza un sorriso, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
«Pensavo
di aver affilato la tecnica, con il tempo.» ribatte, ironico.
«Non
avevi me con cui esercitarti.» rispondi lasciandoti prendere la mano da
quell’amichevole scambio di battute che per te era all’ordine del giorno.
«Già…»
mormora lui, però, improvvisamente incupito.
Il
silenzio che cala tra di voi è gelido e tagliente, è un silenzio fatto di
parole non dette e di pensieri tenuti segreti, è un silenzio di nostalgia e di
imbarazzo. È un silenzio rumoroso, un silenzio che ti parla di ciò che avresti potuto
essere, di ciò che avreste potuto essere insieme. Un silenzio che urla, che ti
urla quanto tu abbia effettivamente perso in quei tredici anni trascorsi ad
Azkaban.
Ritorni
ad occuparti del muro cercando di recuperare il filo dei tuoi pensieri.
L’oscurità
piomba di nuovo nella stanza, accompagnata dal rumore sordo della porta che si
chiude.
Sospiri,
mentre il silenzio ti avvolge e lentamente i tuoi occhi si riabituano al buio.
«A
breve proveremo a toglierlo.» dice la stessa voce stanca di prima, ora
sorprendentemente vicina al tuo orecchio destro.
Ti
volti, faticando a mettere a fuoco quei lineamenti che un tempo avresti
riconosciuto fra mille, sorpreso nello scoprire che Remus era rimasto.
«Dubito
che verrà via. Quella vecchia megera avrà fatto in modo che niente possa staccarlo
da lì.» spieghi, scettico.
«Tentar
non nuoce.» risponde lui, convinto «E poi è davvero di cattivo gusto.» aggiunge
a voce più bassa trattenendo un ghigno.
«La
maggior parte della robaccia che si trova in questa casa è di pessimo gusto.»
osservi.
Remus
scuote il capo
«Sirius,»
chiama piano «è solo un muro. Male che vada si abbatte.»
Sorridi
falsamente, voltando il capo alla finestra, evitando di incontrare il suo
sguardo. Quello sguardo che non riesci più a decifrare.
«Non
è mai solo un muro, Remus. Solo un muro, solo una porta, solo una scala. Non è
mai solo questo.» spieghi con voce malferma. «È un ostacolo. Ogni volta di
dimensioni differenti, ma è sempre un ostacolo. Un ostacolo che stavolta mi
mostra tutti i miei fallimenti sottoforma di astrusi ghirigori ed arabeschi
elaborati.» continui come un fiume in piena, un fiume di parole liberatorio. «Ma
pur sempre un ostacolo.» soffi, infine.
Remus
ti osserva, allibito. Forse anche lui è stupito del tuo discorso, forse anche a
lui sembra strano come a te, forse neanche lui ti riconosce, nemmeno lui riesce
a trovare, in ciò che ha davanti, una traccia dell’uomo che eri. Ma la vita vi
ha riservato un destino differente, e gli anni hanno lasciato un segno più
profondo a te che a lui.
«Sirius»
inizia, incerto «Non è colpa tua. Nessuno ti porta rancore, davvero.»
Sbuffa
scocciato, scuotendo il capo velocemente come per allontanare un pensiero
scomodo.
«Se
non sono neanche capace di proteggere le persone che amo…»
Ed
arriva lì, in pieno viso, talmente veloce che fatichi a rendertene conto.
Potresti aver immaginato tutto, ma il dolore che provi è tremendamente reale.
Porti una mano alla guancia, stupendoti dell’improvviso calore che emana e
voltandoti verso Remus che ti fissa ancora, incredulo, con il braccio in aria.
«Stai
delirando, Sirius.» afferma, severo «Non ti ho mai sentito parlare così e non
voglio iniziare ora.»
Lo
guardi, incapace di aprire bocca, massaggiandoti la guancia dolente e
chiedendoti fino a che punto la prigione ti ha cambiato.
«È
solo un muro, ed i muri sono fatti per essere abbattuti.» continua lui con
veemenza.
«N-non
so… se…»
Sei
un uomo distrutto dal dolore, Sirius Black, un uomo con cui la vita si è
divertita più del solito. Un uomo stanco di lottare e stanco di difendersi, un
uomo stanco di apparire ciò che non è.
Per
quanto possa essere forte, anche il cane soffre ed anche il cane ha bisogno di
leccarsi le sue ferite. Tu sei un uomo stanco, Sirius Black, sei maledettamente
stanco se permetti a Remus Lupin di prenderti a schiaffi.
«Sirius,»
ti dice, esasperato «non ti rendi conto di quanto sia ridicola la causa che
stai procrastinando? E aspetta, fammi finire.» ti interrompe ponendoti una mano
dinanzi la bocca.
«Stai
mettendo in scena una commedia in piena regola e, se non fossi così
dannatamente cocciuto, riusciresti a comprendere quanto sia incredibilmente
sciocco il tuo comportamento.»
Il
tuo sguardo si indurisce, mentre lo osservi rimproverarti aspramente. «Tu non
puoi capire» sbotti, furioso «Non hai idea di cosa voglia dire vivere in una
gabbia, essere considerato un mostro, un assassino…»
«Davvero,
credi che non lo sappia?» replica lui, gelido. Ti fissa con sguardo truce,
facendoti rendere conto di quanto, effettivamente, tu abbia toccato il fondo. Davvero
non lo sa?
«Io…Remus…»
bisbigli.
«C’eri
tu, Sirius.» risponde lui, passandosi stancamente una mano sugli occhi. «C’eravate
voi, quella volta, quelle volte. Quelle
volte in cui io mi sentivo un mostro,
quelle volte in cui io mi vergognavo, quelle volte in cui io mi sentivo
inadatto. C’eravate voi, c’eravate voi ad abbattere il muro che mi ero
costruito intorno.»
Taci,
mentre quelle parole dannatamente veritiere ti rimbombano nelle tempie.
«Era
tutto diverso, allora.» argomenti, disperato, distogliendo lo sguardo.
Ti
si avvicina, comprensivo, afferrandoti una mano e stringendola nella sua,
calda.
«Può
tornare tutto come prima, se vuoi. Permettimi di esserti vicino.» intreccia le
sue dita alle tue, afferrandoti dolcemente il braccio con la mano libera. Lo guardi,
apprezzando quel gesto intraprendente e sperando che riesca, per un attimo, a
farti dimenticare i tormenti che ti porti dietro.
«Te
lo sto permettendo.» sussurri con voce roca.
La
sua mano si sposta lentamente sul tuo viso. Ti scosta una ciocca di capelli
dagli occhi, soffermandosi sui tuoi zigomi, mentre con il pollice ti accarezza, esitante, le labbra.
«Sei
cambiato» ti sussurra.
«Anche
tu.» replichi.
Ti
aggrappi ai suoi fianchi, attirandolo a te. La sua mano è ancora sul tuo viso,
i vostri petti si sfiorano.
Quanto
era facile perdere il controllo con lui? Lo ricordi ancora, Sirius?
Quanto
era facile lasciarsi andare alle sua mani, alla sua bocca? Lo hai dimenticato?
Quanto
è difficile, ora, dirgli che lo hai aspettato per tredici lunghi anni, che non
lo hai mai dimenticato?
Remus
non parla. È li tra le tue braccia e sta in silenzio. Senti il suo respiro
irregolare, il suo cuore impazzito. Senti la sua pelle fremere ed il suo corpo
tremare. Senti che non sei solo, che lui è lì con te e che è pronto a perdersi
in te ancora e ancora. Ti basta niente per capire che i suoi pensieri sono
affini ai tuoi, e ti basta ancor meno per annullare quella banale distanza tra
voi.
È
un bacio complicato, quello che vi scambiate. Un bacio che sa di amarezza e di
risentimento, ma anche un bacio che sa di ritrovata speranza e di desiderio di
rivincita. Rivincita su quel fato che così brutalmente vi ha allontanato.
Lo
baci aggrappandoti a quella salvezza che solo lui è in grado di donarti, lo
baci come se ne andasse della tua vita. Lo baci perché sai che solo così potrai
abbattere quel muro che ti circonda, in favore di un muro più alto, più
resistente, ma che contenga al suo interno anche Remus.
Remus
e nient’ altro.