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Autore: alexluna    15/05/2011    11 recensioni
Passano cinque anni dalla morte del Lord Oscuro e il Trio dei Miracoli sembra essersi sfasciato per sempre. Hanno preso strade diverse: Hermione accetta la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, Harry sta per diventare padre proprio quando scopre di non sentirsi felice e Ron cerca di recuperare un rapporto con la sua ex-fidanzata, ma la allontana sempre di più.
A destabilizzare una pace affrettata del dopoguerra, tra le mura di Hogwarts si aggiunge una serie di tremendi e strani "incidenti" che costringono il Ministero a spedire in tutta fretta una squadra di Auror per indagare. La Scuola di Magia e Stregoneria rischia di venire chiusa.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Pansy Parkinson, Un po' tutti
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS

 


Direttrice: Minerva McGranitt
(Ordine di Merlino, Prima Classe, Confed. Internaz. dei Maghi e delle Streghe)

 

Caro Signor Twirl,
siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà
l'elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1^ settembre. Restiamo in attesa della
Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.

Con ossequi,
Minerva Mcgranitt

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci aveva provato, Harry Potter, ma per quanto si affliggesse, non riusciva a farsi meno pena. Un conflitto interno teneva in assedio la sua mente. In parte era colpa dell’allontanamento forzato dal lavoro. Tutto quel tempo libero a disposizione era rosicchiato dai tarli dei ricordi. Passava più della metà giornata in uno stato vegetativo, sdraiato su un fianco, al buio. Si alzava solo quando Ginny Weasley rincasava, obbligandolo perentoriamente a scrollarsi quell’atarassia che gli impolverava l’anima.

A cena piluccava il cibo, nutrendosi più che altro degli spacchi di vita descritti dalla sua donna. Poi puliva i piatti e massaggiava i piedi indolenziti di Ginny, fingendo di ascoltare gli scontri verbali che lei aveva avuto con la spregevole Rita Skeeter, in redazione. Infine tornava in camera da letto, calpestando i gradini con insoddisfazione, e si bendava le ferite morali con le lenzuola.

Non mise neanche un giorno il piede fuori di casa, e così passarono luglio e agosto. Si era volontariamente imprigionato, e come un vero detenuto si era fatto crescere la barba e la pelle sotto gli occhi si era scavata. Harry era capace di passare ore e ore, senza parlare, rigirandosi tra le dita le foto di ciascun caduto. Ne contemplava i volti, ripercorrendo con la mente le parole che si erano scambiati, i desideri che si erano confessati. Le paure che non si erano raccontati, nella speranza che tutto sarebbe andato per il meglio, erano invece impigliate in quei sorrisi appena delineati.

Harry si chiese se per caso la sua anima non fosse scivolata via durante la guerra, per poi ritrovare, al suo ritorno, un corpo troppo ostile per contenerla tutta, come un tempo.

- Amore, questa depressione si sta prendendo persino i tuoi capelli. Ti prego, fatti aiutare. Fallo per il bambino, almeno. –

Ma lui aveva portato una mano sul principio di calvizie per poi rigirarsi sull’altro fianco, dando le spalle a Ginny.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo livello, Ministero della Magia

Pile e pile di fascicoli si impilavano sotto incantesimo, rigorosamente nell’ordine cromatico delle copertine. Una dozzina di pergamene, ricevute il timbro ministeriale, si arrotolavano e sfrecciavano verso l’alto, come risucchiate nel vuoto. La piuma grattava una firma, la ceralacca precipitava calda in calce alle lettere, i fogli si avvolgevano in stretti cilindri e il tagliacarte limava i bordi frastagliati e imperfetti delle pergamene. Quello era il ritmo incalzante del lavoro d’ufficio, il momento più calmo della giornata. Avvolto solo da quei suoni familiari e piacevoli, il sottosegretario del Wizengamot compieva movimenti metodici, ben studiati per minimizzare lo sforzo e il tempo.

Alla sua destra, una ragazzina lo salutava sbracciandosi dentro una piccola cornice. Percy finalmente la degnò di uno sguardo, l’espressione alterata da un improvviso sentimentalismo. A malincuore capì che era giunto il momento di togliere quel ritratto da lì. Strinse con delicatezza la cornice, come se temesse di far esplodere il vetro che intrappolava la figura, tornata improvvisamente composta.

- No, tesoro, non ti tolgo perché mi hai distratto con il tuo saluto. È solo che… –

Percy Weasley non finì mai la frase, perché vinto dagli occhi tristi di Penelope Light. Non ebbe più il cuore di spostarla. Quando tolse la mano, disgraziatamente urtò un calamaio e il contenuto si sparse sulla scrivania in una pozza nera petrolio, che si infiltrava nelle incisioni decorative del legno. Percy sollevò per tempo i documenti intonsi poi, con un movimento impaziente di bacchetta, fece riscorrere l’inchiostro nella propria boccetta.

Tirò un sospiro di sollievo non appena fu scampato il tremendo pericolo, e sudò all’idea che qualche pergamena ufficiale si fosse potuta sporcare. Pensò poi alle drammatiche conseguenze: sarebbe stato tacciato di negligenza, di inaffidabilità. Avrebbe potuto addirittura perdere il posto.

Strofinò con una manica della giacca la spilla a forma di doppia vu, che spiccava sulla toga grigio polvere. Era solito compiere il “rituale della lucidata” quando s’insinuava in lui il terrificante dubbio di non essere all’altezza. A dire il vero, quel vezzo – a metà tra la scaramanzia e l’ossessione per la pulizia – se lo portava dietro da quando era stato nominato Prefetto, a Hogwarts.

Il peso di quella spilla antica, impigliata non per caso all’altezza del cuore, gli fungeva da monito. Essere sottosegretario del Wizengamot, Tribunale Supremo dei Maghi della Gran Bretagna, significava essere già a metà dell’opera. Ancora qualche anno e avrebbe puntato alla presidenza, poi alla carica di Viceministro e infine a quella di Primo Ministro. Non poté fare a meno di immaginarsi al momento dell’elezione. Si era anche preparato il discorso d’inizio, tanto che ormai gli rimaneva solo da scegliere quale fosse il tono di voce più consono a esprimere la propria commozione.

- Da oggi, finalmente, il Ministero della Magia è in mano di… –

- Weasley? – si azzardò qualcuno, interrompendo il suo momento di gloria.

Percy Weasley si voltò verso la porta da cui faceva capolino un viso incorniciato da un caschetto maschile. Il collo, già allungato allo spasmo, sembrò tendersi ancora di più all’interno dell’ufficio. Apparve come un gesto di eloquente impazienza. La donna stava aspettando il permesso per entrare. Quell’atteggiamento parve a Percy tremendamente incoerente, visto che lei aveva già aperto senza farsi annunciare – o anche solo bussare –, come la buona educazione insegnava.

- Signor sottosegretario, per favore, – sottolineò pomposamente Percy Weasley, guardandola da sopra gli occhialini a mezzaluna che portava per leggere. Gli sembrò subito un fastidioso insetto da come piegò un lato della bocca, con disappunto. Si alzò educatamente, facendole finalmente cenno di entrare.

- Come preferisce, signor sottosegretario, – si corresse, stringendogli un po’ titubante la mano non appena gli fu davanti. – Sono Pansy Par- –

- Sì, lo so chi è lei, signorina Parkinson. Le ho mandato un gufo tre giorni fa. Era gradita una conferma. Si accomodi, prego. –

Quel tono autoritario che non ammetteva repliche diede un po’ fastidio alla nuova arrivata, che però tenne per sé quel sentimento ubbidendo docilmente.

Quel bagno è inagibile. Anche per amoreggiare, sì. Cinque punti meno a Serpeverde.

Signorina, t’ho vista mentre facevi un incantesimo alle spalle di quelle studentesse Tassorosso: dieci punti meno a Serpeverde.

Parkinson, è già la quarta volta che ti becco in giro dopo il coprifuoco, farò rapporto al professor Piton.

Queste erano solo le frasi più frequenti; la lista dei rimproveri che Pansy Parkinson aveva ricevuto da lui era forse più lunga della preparazione per una pozione Polisucco. Chissà se si ricordava di lei, pensò mentre altri ricordi si confondevano.

Stava per appoggiare la borsa sulla scrivania, quando l’ordine maniacale la mise a disagio. Notò quanto tutto fosse spietatamente catalogato. Persino l’oggettistica da cancelleria era registrata in base all’utilità. Sul fronte di un vaso pieno di Puntine Maledette campeggiava la didascalia: per spillare protocolli riservati. Sembrava lo studio per una persona con un deficit di memoria a breve termine. Pansy fu punta da vaghe reminescenze cliniche sull’Alzheimer precoce e stava per chiedergli se per caso ne fosse affetto, quando con uno sbuffo prese corpo uno spesso rotolo di pergamena.

Il legno della sedia le divenne insopportabilmente scomodo non appena lesse le parole che spiccavano dalla targhetta classificante.

Debitrice P. Parkinson, n. 2874-P

- Arriviamo subito al dunque, signorina Parkinson. Come ha evinto dalla mia lettera di convocazione, il processo in contumacia l’ha condannata per insolvenza fraudolenta. I gestori della Gringott pretendevano l’esecuzione della sentenza entro trenta giorni e per scongiurare un increscioso incidente diplomatico tra razze, lo Stato magico della Gran Bretagna ha saldato il suo debito con i Goblin. Da questo momento il suo creditore è il Ministero della Magia. Conosciamo la situazione economica in cui si trova, e l’unico fattore produttivo che può usare per restituirci ogni Galeone è la sua forza lavorativa. Comprende i miei termini tecnici o devo spiegarmi meglio? –

- Devo risarcire lo stato magico lavorando per voi. Non faccio neanche in tempo a incassare il mio stipendio, ché trasferite tutto nelle vostre tasche. –

- L’erario magico riscuoterà quanto legittimamente le ha prestato con pochissimi interessi, – precisò Percy, stizzito per la faciloneria con cui quella ragazza riassumeva la situazione. – Ovviamente una parte della paga la tratterrà lei. Varrebbe a dire i Galeoni sufficienti per la sopravvivenza. Quindi non ha di che preoccuparsi. –

- Il succo l’avevo afferrato, sì, grazie. Peccato che nessuno assuma la figlia di un Mangiamorte, – riprese serafica Pansy, pescando in una grande borsa l’immancabile bocchino per fumare.

- Infatti è stata convocata qui per essere aiutata a trovare un lavoro, adesso. La scelta è molto limitata, quindi andiamo per esclusione: cosa non sa fare con precisione? Tolga subito quella sigaretta! –

Percy la fulminò, definitivamente seccato per la mancanza di giudizio di Pansy Parkinson, mentre il fumo aleggiava fino a lui facendolo tossire. Portò istintivamente una mano a coprire la spilla del Wizengamot, mentre con l’altra sventolava l’aria.

Pansy fece un secondo profondo tiro prima di spegnerla con riluttanza. Aveva il bisogno fisiologico di fumarsi una sigaretta, perché cominciava a irritarsi. Temeva di esplodere con qualche vituperio che l’avrebbe rimessa nei guai: da lì la necessità di riempirsi bocca e polmoni di nicotina.

E questo perché Weasley le aveva domandato cosa non sapesse fare. Una domanda semplicissima che richiedeva una risposta altrettanto semplice e franca. Il problema era che non sapeva da che punto iniziare.

- Dunque. Non so cucinare, non so pulire, non so cucire né correre veloce. Non sono particolarmente ferrata nella Trasfigurazione, odio le Creature magiche. Ho una propensione naturale nel far morire tutte le piante. I mocciosi e i vecchi mi fanno innervosire. Detesto trovarmi… –

- Signorina Parkinson, – la interruppe Percy Weasley con la fronte sempre più corrugata, pensando di essere preso in giro, – cosa sa fare, invece? Ci sarà qualcosa in cui è brava, giusto? La prego di rifletterci. Da Madama Rosmerta, avrebbe l’opportunità d’imparare a servire, ad esempio. –

- Weasley. Signor sottosegretario, sappia che preferirei i lavori forzati anziché puzzare di Burrobirra, – ribatté prontamente, cercando di nascondere l’angoscia con una facezia di basso gusto. Ma Percy Weasley non aveva l’inclinazione alla simpatia né tantomeno alla comprensione, Pansy dedusse tardi dai suoi occhi affilati e dal movimento secco con cui richiuse lo schedario dei lavori disponibili.

- Se fossi in lei, non rigetterei a priori questa occasione. I debitori dello Stato possono rischiare il ritiro della bacchetta. Siamo molto intransigenti su questo lato. Butti subito quella sigaretta, signorina Parkinson! All’interno del Ministero è proibito fumare. Non vorrà incorrere in pesanti sanzioni, che tra l’altro neanche potrebbe pagare. –

Pansy Parkinson sbiancò definitivamente, capendo quanto seria fosse la situazione. Vagliò rapida le possibilità che aveva per far soldi.

Si sentiva come un vaso costoso caduto per il peso di sguardi invidiosi, e ora sbriciolato in mille pezzi. Non era più da collezione e non avrebbe ritrovato il posto di un tempo, nella prima fila di una vetrina. Ma magari un giorno, qualcuno l’avrebbe rincollata, per pietà.

- Ho un attestato in Medimagia, ma sono davvero a un livello base. A fronte del processo di mio padre, – la voce le si incrinò impercettibilmente, – ho abbandonato il corso. Potrei a malapena fare da assistente a un’infermiera, però. –

Guardò un punto imprecisato sopra la spalla di Percy Weasley, per non dargli la soddisfazione di leggere, in quegli occhi di un celeste insipido, il suo giudizio di disgusto.

- Al San Mungo stanno licenziando per mancanza di fondi, sicuramente non prenderebbero in considerazione il suo curriculum nemmeno alla lontana. Penso che nessuna struttura medica la accetterebbe, con sincerità. Quindi, perché no… – aggiunse Percy leggendo con attenzione un foglio, – che ne dice di aiutare Madama Chips a Hogwarts? La signora Poppy Chips ha richiesto espressamente una collaboratrice. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

30 agosto, Diagon Alley

Le insegne scintillanti catturavano l’interesse di frenetici passanti, troppo impegnati ad approfittare degli ultimi sconti per accorgersi di una cappa di nubi che tingeva il cielo mattutino. Nessuno percepiva l’odore ristagnante di una prossima resa dei conti.

Diagon Alley era gremita, piena di platani e voci. In fondo alla piazza principale, un ronzio misterioso proveniva senza sosta dal Paiolo Magico e costringeva i maghi a fare una strada più lunga per non passarci vicino.

Su una via che piegava a gomito, due streghe maggiorenni, armate di una lista con gli ultimi acquisti da fare prima di tornare a Hogwarts, facevano rotta verso l’Emporio del Gufo.

- Ma ti porti già un barbagianni, tre civette, un ranocchio cieco e due furetti mezzi zoppi! Vuoi crearti un ricovero per animali disgraziati? – si lamentò Lys Joyce, buttando la testa indietro e lasciandosi condurre sconfitta.

Sorpassarono la bottega di Olivander, che inghiottiva giovanissimi maghi con le ginocchia nodose che sbattevano per l’emozione.

- Voglio un gatto nero, – riprese Ginger Habington, avvolta in un vestitino a fiori e degli stivaletti eleganti ai piedi. Si asciugò con una mano il collo sudato e frizionò la chioma rossa e lucente. Sfoderò un sorriso disinvolto, decisa a comprarsi l’ennesimo animale e certa che niente le avrebbe fatto cambiare idea.

- Oh Morgana, – sfiatò Lys, prendendo subito dopo una storta.

- Lo vedi? Non imprecare! – l’ammonì risentita Ginger, succhiandosi un piccolo pentacolo che le pendeva nell’incavo dei seni.

- Dopo andiamo al Ghirigoro. Questo è il mio patteggiamento. Ci stai? –

Ginger Habington incrociò le dita a mo’ di giuramento poi cominciò a trotterellare, lasciandosi dietro Lys Joyce, che a fatica le stava dietro con le sue gambe più corte.

L’Emporio del Gufo era una vecchia stamberga, leggermente discosta dalle altre botteghe della piazza centrale di Diagon Alley. Il grande cartello d’entrata, in ferro battuto, era seminascosto dal piumaggio di una cornacchia dagli occhi vispi.

Quando il campanello annunciò il loro ingresso, nessun commesso o proprietario venne loro incontro. Un fremente battito di ali le investì non appena si chiusero la porta alle spalle, e un odore malevolo impregnò le narici di entrambe, mentre riconoscevano pian piano i versi di altri animali.

Serpenti pigri le fissavano da dietro teche sporche, gatti in sfilacciati canestri di vimini si leccavano le zampe; enormi barbagianni si agitarono al loro cammino, sbattendo le ali contro le spranghe di gabbie troppo piccole. Gufi e pipistrelli rimasero in dormiveglia su trespoli sbilenchi e sudici, sospesi tra il soffitto e la parete della vetrina.

Le assi dissestate del pavimento provocavano molesti rumori sotto il peso di un Mezzogigante, poco più avanti di Ginger e Lys, che avanzava cercando di provocare il minor fastidio possibile e guardandosi intorno furtivo.

- Coraggio, Hagrid, – lo incitava la voce flautata di una ragazza con lunghissimi capelli biondo sbiadito.

Rubeus Hagrid decise finalmente di darsi una mossa, passando in rassegna ogni gabbia, cesta, acquario della stanza, con i lineamenti concentrati e le labbra tese.

Indossava abiti macchiati di muschio e un gilè lercio per metà ghermito dalla spessa cintura di cuoio. Lo spazio tra gli scaffali era troppo angusto e lo costringeva a mantenere le mani lungo i fianchi, per non rischiare di spazzolare via qualche gabbia.

Il corpo esile e slanciato della sua amica, Luna Lovegood, volteggiava curioso da una parte all’altra, specchiandosi nei giganteschi acquari. Lei rimaneva stralunata a fissare le creature marine, sbattendo gli occhi tondi.

Qualcosa di morbido sfiorò un polpaccio di Hagrid, mentre le due nuove arrivate, Lys Joyce e Ginger Habington, rimaste dietro di lui, prorompevano in un grido apocalittico. Il resto avvenne in modo rapido e confuso. Hagrid scalciò all’indietro come un cavallo imbizzarrito, urtando con un piede il trespolo di un gufo vecchio e con gli occhi ciechi. Il giovane commesso dell’Emporio entrò nell’istante esatto in cui una palla di pelo che aveva originato il trambusto era schizzata in aria, graffiandogli malamente il naso.

Come se qualcuno si fosse ricordato di riaccendere l’audio, seguì una sfilza di acuti inarticolati e di rauche scuse, che ferirono le orecchie di una Luna Lovegood rimasta imbambolata.

- Questo! – gridò a propria volta Ginger Habington, acciuffando invasata la causa di tutto il disordine e strusciandosela addosso.

Hagrid si avvicinò impacciato al ragazzo ferito, che cercava di tamponarsi con una manica i tagli profondi tra il naso e lo zigomo sinistro. Si terse la fronte, controllando l’andatura sgraziata mentre ripeteva a raffica delle scuse.

- Vuoi un coniglio? – domandava incredula Lys Joyce all’amica, scrutando colma di odio l’obesa palla di pelo.

- Sì, lo amo! – dichiarò solennemente Ginger, con il solito stridulo. Sollevò all’altezza del proprio viso l’animale. – Guarda che occhi verdi ha! Deve essere mio, deciso. –

Il commesso sbuffò tra il dolorante e il sollevato. Quella palla di pelo omicida se ne sarebbe andata una buona volta.

– Professor Hagrid. Joyce, Habington, – salutò i suoi clienti senza troppo entusiasmo, tornandosene dietro il bancone per cercare delle garze.

Ginger e Hagrid gli sorrisero, una sfrontatamente soddisfatta, l’altro con un visibile senso di colpa.

Lys Joyce fu più loquace, come sempre. – Zachary Stewart… Non sapevo lavorassi qui. –

Lanciò sarcastica uno sguardo attorno a sé, provando a cercare una singola ragione che avesse convinto il loro compagno di scuola a passare proprio lì le vacanze estive.

Zachary staccò con i denti un cerotto di carta per fermarsi la garza sulla ferita, mentre Luna Lovegood con molta compostezza sferzava l’aria con la bacchetta, puntandogliela contro.

- Conosco un incantesimo perfetto per i graffi da animali domestici. –

- È indolore? – domandò titubante il ragazzo.

- Credo di sì, l’ho letto oggi nel libro di Rolf Scamandro. Lui viene pagato per questo. Per trovare dei rimedi semplici e indolori. –

Luna ostentava un’aria distesa e sicura di ciò che faceva. Mentre sorrideva, le si formò una fossetta, dentro la quale, Zachary Stewart ne fu certo, si poteva affogare. Il modo in cui quelle pozze cerulee lo fissavano bonarie lo mandarono definitivamente in tilt.

- Va bene, – acconsentì lui con un filo di voce.

Quella ragazza incarnava probabilmente l’illusione più angelica e persuasiva che avesse mai incontrato. Quando le labbra di Luna Lovegood si incresparono per pronunciare l’incantesimo, Zachary capì anche che per lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

- Come lo chiamerai? – la domanda di Hagrid, che stava carezzando il pelo candido del coniglietto di Ginger Habington, riscosse il commesso dell’Emporio dal proprio torpore.

La compagna di scuola non ci rimuginò due volte, e con un sorriso a trentadue denti sparò il nome più assurdo, improbabile e imbarazzante del mondo.

- Playboy. –

- Oh Silente! –

- Non imprecare, Lys! –


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piccole noticine: Ginger Habington e Ulyssa – Lys – Joyce sono dedicate rispettivamente a piperina e Ulissae. Per tantissimi motivi che non sto qui a spiegare.

Ringrazio come sempre Leireel/Irene per la pazienza e la serietà con cui revisiona i miei capitoli (L), tutti i lettori che leggono, commentano qui o in privato, hanno messo la long fiction tra le seguite/preferite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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