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Autore: Elos    18/05/2011    11 recensioni
- Questa persona aveva addosso... un ricordo di Harry e del professor Silente? -
Archer recuperò finalmente il suo muffin, facendone sparire una buona metà con un morso.
- Esattamente. Un ricordo rovinato e frammentato, ma indubbiamente un ricordo contenente Albus Silente ed Harry Potter. Sei sua amica, no? -
- Sì. - bisbigliò Hermione. Teneva tra le mani la lista come se non riuscisse a staccare le dita dal foglio, gli occhi fissi sulla data. - Sì, sono sua amica. -
18 Giugno 1996. La data della morte di Sirius Black. [...]

Sei mesi dopo la fine della Seconda Guerra Magica, il cadavere di una strega è estratto dall'acqua di un fiume nel nord della Scozia. Quando sul cadavere viene trovata un'ampolla contenente un ricordo molto speciale, Hermione Granger, Apprendista Auror fresca di M.A.G.O., e Harry Potter, Uccisore di Tu-sai-chi, Grand'Eroe, Supremo Distruttore di Signori Oscuri e diciannovenne un po' più che lievemente depresso, si trovano di fronte ad un inaspettato problema.
Prima classificata al concorso multifandom Jane Doe indetto da Lely1441.
Genere: Avventura, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Prima di King's Cross'
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Capitolo 9
Teddy Remus Lupin




Riempire le fiale di ricordi era il meno: bastava prendere il filamento argentato che usciva dalla testa di Angie, usando la bacchetta per muoverlo perché al tocco delle dita si sfaldava, cacciarlo nella fiala, tapparla e scrivere il destinatario su un'etichetta, per non confondersi. Era un lavoro che avrebbe potuto svolgere anche una scimmia, pensava Harry.
Le complicazioni nascevano tutte durante le consegne. Ogni ricordo aveva un suo Contratto, con clausole e regole specifiche, e, come Angie aveva puntualizzato, molti tra i proprietari erano morti o erano molto, molto difficili da raggiungere. Dopo aver passato mezza giornata in una sperduta isola tutta sassi, rocce e sole a picco della Francia del Sud, cercando di rintracciare una famiglia di fuggitivi mai rientrata a Londra dopo la fine della Seconda Guerra Magica, Harry si sentiva stanco, accaldato e depresso; era sudato, gli facevano male le gambe e il fatto che Angie lo stesse guardando con espressione colpevole non migliorava le cose.
- Forse potremmo lasciar perdere. - Azzardò prevedibilmente il fantasma. - Concentrarci sul ricordo per il professor Piton. -
Harry sbuffò, esasperato:
- Hermione ha detto che ci penserà lei. Voleva andare in non so qualche archivio a cercare non so bene cosa: in questi casi, davvero, l'ideale è lasciarla lavorare in pace. -
- Uh, sì, è... è molto carino da parte sua, ma non era... non era precisamente quel che intendevo. Volevo dire, abbiamo consegnato un sacco di ricordi in questi giorni e non è necessario recapitarli tutti. Sul serio. Alla maggior parte delle persone neanche interesserà più riceverli. -
- Ti ho detto che ti avrei aiutato a consegnarli... - ribatté Harry, fermamente. - … e lo farò. - Il fantasma si mordicchiò le labbra, il viso un'unica, grande piega di nervosismo, prima di stringerle in una linea ostinata:
- Non avrei mai dovuto accettare che tu mi aiutassi. Avrei dovuto dirti di no e basta. Non devi farti carico anche di questo. -
- Anche di questo? - le fece eco Harry, stupito.
- Sì, dopo... dopo Tu-Sai-Chi, sai? Non devi farti carico di altro, hai già... -
- Voldemort. -
Angie rabbrividì come sempre di fronte al nome, violentemente, ma Harry insisté con durezza:
- Si chiamava Voldemort. Anzi: il suo vero nome era Tom Orvoloson Riddle. Era un Mezzosangue, ed un uomo come tutti gli altri, solo un po' più pazzo. Ed è morto. Non... non mi piace quando lo chiami Tu-Sai-Chi o Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato o... o in un qualunque altro modo che non sia il suo vero nome. -
Angie esitò, sbirciandolo attraverso la frangia con un misto di paura e incertezza:
- Io... io non... -
- Voldemort. - Insisté Harry, pianamente. - Di che cosa hai paura? Non può più farti del male. -
Subito dopo averlo detto se ne pentì, perché era vero, sicuro, ma era vero per le ragioni sbagliate. Non avrebbe potuto mai più farle del male perché non c'era modo in cui avrebbe potuto danneggiarla. Come si fa a fare del male a qualcuno che è già morto?
Silente aveva avuto ragione, realizzò Harry una volta di più. La morte non è la peggiore delle cose possibili.
Malgrado tutto, Angie sembrò confortata dalla sua affermazione. Gli rivolse un'altra occhiata un poco spaventata, aprì e chiuse la bocca a vuoto e poi bisbigliò in un soffio di voce:
- Vo... Voldemort. -
Harry le sorrise:
- Ecco. -
Angie non rispose al sorriso. Si passò le mani sulle braccia, invece, come avesse freddo.
- Non l'avevo mai detto prima. - Mormorò. - Neanche... neanche mio padre. Neanche mia madre, che non aveva la più pallida idea di chi fosse, prima che... prima che tornasse... perché mio padre le aveva detto di non farlo. Quando hanno reso il nome... Tabù... io ho... - Inghiottì a vuoto, la voce spezzata, e mormorò: - ... non so, io non ricordo di aver avuto mai tanta paura. Era come se ci avessero preso tutto, dopo quello. Non si poteva neanche più parlare. Cioè, non avrei pronunciato il suo nome neanche... neanche se avessi potuto farlo, ma... -
Il fantasma si interruppe. Rimase per un attimo in silenzio, prima di guardare verso Harry: il suo sguardo sembrava, tutto ad un tratto, una richiesta di comprensione.
- Capisci? -
Harry capiva. Harry capiva benissimo. Panico e rabbia, l'impotenza, la bacchetta spezzata nel sacchetto di Hagrid e il freddo buio ed umido di Villa Malfoy, con le urla di Hermione sopra la testa e la sensazione orribile di esserne stato lui la causa. Era stato avventato una volta di troppo.
- Credo di sì. -
Rimasero per un lungo istante in silenzio, prima che Harry si schiarisse la voce:
- Senti, oggi credo che starò fuori per tutto il pomeriggio. Vado a trovare una persona, per cui dovremo rimandare a domani la consegna dai Farewell. Ti dispiace? -
Angie sembrò contenta che avessero cambiato argomento, perché si rischiarò in volto e parve rilassarsi.
- Certo che no! - Esclamò. E poi, nuovamente incerta, chiese: - Questa persona che vai a trovare... è un Babbano? -
Harry sbatté le palpebre, perplesso:
- No. -
- Allora potrei... posso venire con te? Mi piacerebbe uscire. Cioè, questo posto è fantastico, davvero, ma mi andrebbe di stare fuori. Per un po'. Sarebbe possibile? -
Harry si sentì in colpa per non averci pensato prima:
- Vuol dire che non puoi muoverti se non vieni con me? -
- No, io... Uh, be', è solo che preferirei non andare in giro da sola. Sai, dovrei starmene a Diagon Alley o ad Hogsmeade, probabilmente... sono gli unici due siti magici d'Inghilterra... ma non voglio rischiare di incontrare qualcuno che mi conosceva quando... be', qualcuno che mi conosceva. - tagliò corto. - Però, se il Wizengamot ha detto che posso stare con te, e se non vai a trovare un Babbano, ma un mago, non credo che ci saranno problemi. -
Harry scosse la testa, dopo un attimo d'esitazione:
- Puoi venire con me, se vuoi. Non credo che darà loro fastidio se non vengo da solo. -
Il viso di Angie si illuminò ancora di più. Quando era felice aveva un sorriso sereno e ampio, franco e aperto, che andava in coppia con occhi pieni di una malizia leggera, allegra, priva di cattiveria. Doveva essere stata carina, da viva, con gli occhiali e tutto.
- Quando usciamo? -
- Be', dammi dieci minuti per farmi una doccia e un panino, poi possiamo andare. -
- E... be', dove si va? - cinguettò il fantasma, entusiasta.
Harry sentì lievissima una fitta di colpa al pensiero di non averle mai proposto di venire con lui a consegnare i ricordi - aveva pensato che Smaterializzarsi e usare le Passeporte gentilmente fornite dal signor Weasley per i lunghi tragitti sarebbe stato complicato, con Angie al seguito - e poi, più forte ancora, la sensazione della bocca dello stomaco che si chiudeva, raggrinzendosi, al pensiero di quello che stava andando ad affrontare:
- In Cornovaglia. - prese fiato, e aggiunse: - Andiamo a trovare il mio figlioccio. -

Andromeda Black funzionava con tre dosi di rimpianto, due di coraggio e una di nostalgia. Il rimpianto l'aveva resa malinconica e lunare, triste nel lutto per il marito portato via dai Ghermidori e per la figlia morta sotto le mura di Hogwarts: rimpianto per una vecchiaia felice serenamente circondata dalla propria famiglia, rimpianto per tutte le cose andate perdute, che era impossibile riavere, ora. Il coraggio le aveva dato la forza di seppellire la figlia restando viva, restando integra, perché c'era sempre Teddy: Teddy che aveva il viso della madre, un po' appuntito e molto dolce, Teddy che non aveva più i genitori, adesso, ma avrebbe avuto sempre lei. Si era rimboccata le maniche e lo stava crescendo, questo bambino, come fosse stato figlio suo. La nostalgia le aveva permesso, in tutto il marasma caotico, confuso e doloroso che era seguito ai giorni in cui la terra s'era chiusa sulle tombe di Ted e di Ninfadora, di conservare il ricordo della dolcezza. Andromeda sapeva essere dolce. Andromeda sapeva mostrare molto amore.
Andromeda era capacissima di mostrare anche una rimarchevole freddezza, tuttavia, e non aveva mai perdonato ad Harry il loro primo incontro. Certo: il ragazzo poteva ammettere che forse era stato un pochino frettoloso, da parte sua, aggredirla senza neanche averla vista bene in faccia, ma dopotutto Harry era stato appena aggredito da Voldemort! Era precipitato da una motocicletta volante! Non aveva diritto a un po' d'indulgenza, per questo?
Andromeda sembrava pensare di no.
In compenso Teddy, che pareva non condividere affatto il parere della nonna, mostrava verso il padrino un assoluto, sconfinato, affettuosissimo entusiasmo. In questo momento, arrampicato per metà su una spalla di Harry con la bocca poggiata sulla giacca del ragazzo, gliela stava allegramente ricoprendo di moccio - il bambino aveva una grave forma di raffreddore e il piccolo naso arrossato e pieno di roba che colava - mentre gorgheggiava suoni incomprensibili e cercava di acchiappargli, tutto contento, gli occhiali. Aveva i capelli come quelli di Harry, oggi, neri e arruffati, lunghi fino al collo, ma gli occhi sotto la frangia malamente tagliata erano dorati, luminosissimi e grandi - gli occhi di Remus.
- E' passato quasi un mese dall'ultima volta che sei venuto qui. - esclamò Andromeda, calma, poggiando sul basso tavolinetto del salotto un vassoio con il tè e i biscotti. Harry intinse la punta di un biscotto nel tè, senza zuccherarlo, e lo portò alla bocca di Teddy: i denti del bambino non erano ancora del tutto cresciuti, ma anche con le piccole gengive rosate era perfettamente in grado di succhiare e masticare il biscotto inzuppato.
Teddy si distrasse dalla sua affascinante occupazione – spargere moccio sulla camicia di Harry - quel tanto necessario ad appropriarsi del biscotto. Il ragazzo sorrise, sistemandosi meglio il bambino contro il petto, prima di allungarsi per prendere la propria tazza di tè.
- Mi dispiace. - disse poi ad Andromeda, spiegandole con sincerità: - Ho perso il conto del tempo, credo. -
Andromeda gettò un'occhiata verso la finestra che dava sul giardino. Sotto al porticato, grazioso e pulito e schermato da un grande pergolato di fiori selvatici, si intravedeva attraverso i vetri la sagoma lattescente di Angie.
- La tua amica non entra in casa? -
Harry scosse la testa.
- Ha detto che preferiva restare in giardino. -
Temette per un attimo che Andromeda gli avrebbe chiesto spiegazioni in proposito, domandando chi fosse il fantasma e cosa ci facesse lì, cosa avesse a che fare con Harry; ma la donna si limitò a gettargli una lunga occhiata, lo sguardo penetrante, acuto e vivo che non aveva nulla a che vedere con quello dissennato e feroce della sorella Bellatrix, e poi a cambiare discorso:
- Quando hai intenzione di tornare ad Hogwarts? -
Ahi, ahi. Il nuovo discorso era anche peggio di quello vecchio.
Harry scosse la testa e scrollò le spalle, sperando che Andromeda cogliesse il messaggio: non ne voglio parlare, ma anche non sono affari suoi.
- Be', se non vuoi tornare ad Hogwarts, cosa vuoi fare, adesso? -
- Non lo so! - esclamò Harry, irritato, la voce qualche decibel più alta del dovuto. Teddy alzò gli occhi dal biscotto che stava sbocconcellando, guardandolo perplesso, ed il ragazzo ricambiò lo sguardo. Dall'altra parte del Velo c'era Remus che lo stava fissando.
Remus e Tonks. Teddy non avrebbe mai avuto i suoi genitori per sé - esattamente com'era stato per Harry - perché Harry non aveva fatto in tempo. Sarebbe bastato che tutto accadesse qualche ora prima. Che lui si consegnasse qualche ora prima. Che si sacrificasse, che morisse qualche ora prima. Che sconfiggesse Voldemort qualche ora prima.
Remus e Tonks sarebbero stati vivi, e con loro Fred, Colin, Piton. Infiniti altri.
Harry distolse gli occhi da Teddy, allungandosi per afferrare un tovagliolo e pulirgli la bocca e il mento impiastricciati di biscotto umido, e incrociò lo sguardo di Andromeda.
- Stare chiuso in casa non ti fa bene. - sentenziò la donna in tono definitivo.
Harry abbassò la testa e non disse niente.

***



- E' un bambino molto carino. - gli disse Angie, la sera, quando furono rientrati a Grimmauld Place. La casa era buia e scura, e per un attimo Harry la trovò soffocante: si guardò intorno, gli occhi ancora pieni di quelli di Teddy, della luce chiara della casa in Cornovaglia, della voce di Andromeda e delle sue parole - non ti fa bene, non ti fa bene - e dovette respirare a lungo per riuscire a riprendere fiato.
- Già. - rispose ad Angie, dopo un lungo silenzio. - Molto. -
Non disse più nulla, poi, e il fantasma si girò e cominciò a muoversi verso le scale - probabilmente per lasciarlo solo con i suoi pensieri, si disse Harry - ma il ragazzo si protese verso di lei e la chiamò:
- Angie? -
Il fantasma si volse:
- Sì? -
Harry esitò per un attimo, perché quella era una cosa della quale non parlava mai con nessuno, non con Ron, non con Hermione, nemmeno con Ginny, con nessuno, perché gli altri erano tutti vivi, gli altri avevano tutti una vita che era appena iniziata, e nessuno era come lui, bloccato a metà tra i due mondi - quello dei vivi, quello dei morti - in un interminabile crepuscolo: ma poi pensò che Angie era morta, ed era prigioniera qui, con lui, dove non voleva essere. Anche Angie era a metà. Harry si disse che, se non l'avesse chiesto al fantasma, non l'avrebbe mai chiesto a nessuno.
- Non pensi mai che le cose sarebbero dovute andare diversamente? -
Angie rimase in silenzio per un lungo istante, continuando a fissarlo. Distolse lo sguardo, poi, e sorrise: senza tristezza e senza malizia, solo un sorriso quieto ed assorto.
- Qualche volta. - ammise. - Ma poi penso a tutte le cose che ho avuto. Ho avuto una buona vita, persone da amare, cose da desiderare. Ho avuto anche una buona morte. Sai? - rialzò la testa, guardò verso Harry. Sorrise ancora, e stavolta era triste. - Conoscevo uno dei Ghermidori che mi hanno trovata. Aveva addosso la maschera, ma ho riconosciuto la voce. Era un Tassorosso del mio anno. Non ti dirò chi è, perciò non me lo chiedere, perché spero che si sia salvato. -
- Cosa? - sbottò Harry, con orrore. - Perché? -
- Perché avevo molta paura di morire. - affermò Angie, candidamente. - Avevo paura che sarebbe stata una cosa lunga, e orribile. Che mi avrebbero fatto del male. I suoi compagni avrebbero voluto farmene davvero, ma lui è passato loro davanti: e l'ultima cosa che ho visto è stata la luce verde dell'Avada Kedavra. Credo mi avesse riconosciuta. Credo abbia avuto pietà. In ogni caso è stato un bel gesto, viste le circostanze: non poteva salvarmi, ma mi ha permesso di morire senza rancore. -
Harry sentì gli occhi bruciargli, tutto ad un tratto. Ricacciò indietro le lacrime, e il senso di vuoto e di perdita che gli stava opprimendo lo stomaco, e confessò pianissimo, ma con voce ferma:
- Anche io ho avuto molta paura di morire, e che facesse male. -
Il sorriso di Angie fiorì sulle labbra della ragazza pieno di luce. Lei si sistemò meglio gli occhiali, tirando su con il naso rumorosamente e passandosi di sottecchi il dorso di una mano sugli occhi. Harry non sapeva se i fantasmi potessero piangere: ma Angie aveva strie luccicanti sulle guance, ora, che scintillavano debolmente sulla pelle evanescente.
- Sei un bravo ragazzo, Harry Potter. - bisbigliò lei alla fine. - E questo è molto meglio che essere un eroe. -
Rimasero in silenzio tutti e due per un lungo istante, prima che il fantasma affermasse:
- E' ora di cena, ormai. Non dovresti mangiare qualcosa? -
Il vuoto in Harry si trasformò tutto ad un tratto in uno stomaco borbottante, rumorosissimo, che richiedeva a gran voce d'essere riempito. Fu il suo turno di sorridere ad Angie, alzando una mano per passarsi le dita tra i capelli e cercare di appiattirli, inutilmente, sulla fronte:
- E' una buona idea. -





Note del capitolo: Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo. Forse perché mi si sfettuccia il cuore ogni volta che rileggo il pezzo di Harry Potter e i Doni della Morte in cui Harry si incammina da solo verso l'accampamento di Voldemort, e poi assieme ai fantasmi dei veri Malandrini e di sua madre e... guh! Sono tutti morti! Povero, povero, povero Remus!

Per la serie delle domeniche buie l'ultima pubblicata è stata Pensati così, che appartiene all'universo what if...? di Come (non) doveva andare.

Un grande grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo (ed in particolare a verolax che se li è commentati uno per uno tutti in una volta! O_O) ed uno anticipato a chi commenterà questo!
  
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