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Autore: XShade_Shinra    18/05/2011    2 recensioni
Saverio, un soldato semplice che ha perduto amici e parenti, cade in mare a seguito di un attacco nemico e al suo risveglio si accorge di trovarsi dentro una grotta carsica. E di non essere solo.
[ Classificata 3° al contest "The Last One Fantasy" indetto da schwarzlight sul forum di EFP ]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hope against Hope - Il canto del mare
Saverio, un soldato semplice che ha perduto amici e parenti, cade in mare a seguito di un attacco nemico e al suo risveglio si accorge di trovarsi dentro una grotta carsica. E di non essere solo.
Classificata 3° al contest "The Last One Fantasy" indetto da schwarzlight sul forum di EFP

-Titolo: Hope against Hope - Il canto del mare
-Autore: XShade-Shinra
-Rating: Giallo
-Tipologia: Long-fic (6 capitoli)
-Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico
-Parole scelte: Speranza – Salvare – Nascosto
-Credits: Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
-Note dell’autore: La prima parte del titolo è un modo di dire inglese, e significa “sperare senza ragione, fino all'ultimo”.
Il Banner che ho vinto lo metterò nell'ultimo capitolo. 



- Hope against Hope - Il canto del mare -

Capitolo 1
- Io, un soldato senza speranza -


“Perché vuoi prendere parte a questa guerra, fratello?” chiese la mia dolce e gentile sorellina, mentre finiva di stirare l’uniforme militare in colori mimetici. I suoi occhi erano grandi e gonfi di tristezza.
“Perché voglio proteggerti” le risposi, rivolgendole un sorriso.
Sabrina aveva ben quindici anni, ma per me sarebbe rimasta sempre la mia “sorellina”, indipendentemente dall’età.
“Sai una cosa, fratellone?” mi chiese, guardando la foto dei nostri genitori posta sopra il televisore che trasmetteva il telegiornale con gli ultimi avvenimenti di quella guerra scoppiata da poche settimane. “Se tutti si rifiutassero di combattere, quelli che ci sono ai vertici del potere la smetterebbero di aprire la bocca, dicendo cose insensate, senza un seguito” sussurrò, posando il ferro caldo in verticale sull’asse e cominciando quindi a piegarmi i pantaloni.
“È vero, ma quel che dici tu è un’utopia, Sabrina: un mondo perfetto” le sorrisi ancora, alzandomi dalla sedia dove ero poggiato scompostamente per farle compagnia mentre si occupava della roba che avrei messo nella sacca la settimana successiva, e andando verso la finestra per abbassare la tapparella. Dopo pochi secondi, però, sentii un gemito sofferente e qualcosa che cadeva a terra.
“Sav—Saver—” udii la flebile voce di Sabrina che mi chiamava, e, voltandomi, la vidi pallida, sdraiata in terra che si teneva la testa con una mano, tremando.

◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊

“Perché vuoi prendere parte a questa guerra, soldato?” urlò il Generale, alitandomi a pochi centimetri dal viso.
Non feci una piega e risposi con sguardo vacuo ma voce ferma e decisa, impregnata di tristezza:
“Perché, ormai, non mi resta nessuno.”

◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊●◊

Erano passati sei mesi da quando i medici mi avevano informato della morte di mia sorella, l’unica persona cara che mi era rimasta dopo che i nostri genitori erano stati uccisi da una bomba carta e che i miei amici avevano perso la vita a causa di una sparatoria.
Uno schifoso cancro era nascosto dentro di lei, e la stava mangiando dall’interno a cominciare dal cervello, senza che nessuno di noi se ne fosse accorto. Le speranze di salvarla erano praticamente pari a zero e, come mi era stato predetto, poche ore prima dell’alba del terzo giorno di ricovero, lei spirò in una fredda e anonima camera d’ospedale, mentre le tenevo la mano, sussurrandole che dall’altra parte di quel ponte che stava attraversando durante il suo coma, avrebbe sicuramente trovato il mondo di pace nel quale avrebbe voluto vivere realmente, e che presto ci saremmo rincontrati per stare insieme per sempre.
Avevo solo diciannove anni quando, per colpa di quell’insensata guerra, persi tutto, persino la voglia stessa di vivere. Non desideravo la morte, ma ero pronto a piegare il capo di fronte alla sua falce senza alcuna paura, ormai.
Di certo non potevo sapere che la mia ora non sarebbe giunta tanto presto, al contrario delle più rosee aspettative.

Era l’assolato pomeriggio di un 11 Agosto; io e la compagnia di cui facevo parte stavamo marciando lenti ma costanti su una scogliera che si affacciava a picco sul mare in un’enorme falesia. Stanchi dalle lunghe giornate di cammino che ci eravamo lasciati alle spalle, assieme ai chilometri di terra battuta, asfalto scottante ed erba ingiallita dal sole e dalla siccità, il nostro Colonnello decise che non appena fossimo giunti alla città più vicina ci saremmo fermati per fare provviste, per poi continuare il nostro cammino ed accamparci nella fitta macchia mediterranea del boschetto verso l’entroterra.
Inutile dire che accogliemmo con gaudio quella notizia, soprattutto perché la poca acqua all’interno delle nostre borracce e il poco cibo nelle gavette non sarebbero bastati anche per l’indomani.
Molti dei miei compagni, però, non raggiunsero mai il giorno dopo. Non a causa degli stenti, ma per quei vili proiettili che arrivarono alle nostre spalle. Il Sergente Fonni, il Medico Militare Tesla e il Caporal Maggiore Capo Scelto Occhipinti, furono i primi ad accasciarsi a terra come foglie d’autunno rosso sangue, crivellati dai proiettili nemici, quasi senza che ce ne rendessimo conto.
«A terra!» urlò il mio commilitone Eurialo, senza pensare al fatto che non avesse i gradi per dare ordini, imbracando il fucile d'assalto "AR 70/90" calibro 5,56 in dotazione al nostro esercito italiano, che ci avevano insegnato ad usare in quei mesi di duro addestramento che mi aveva forgiato nel corpo – ma non nello spirito.
Seguimmo presto il suo esempio, sparando da terra a causa dell’assenza di un posto nascosto e riparato che ci potesse schermare dal fuoco nemico, proveniente da due grandi massi, dietro ai quali si erano accampati due cecchini nemici, approfittando che quel sentiero fosse l’unico passo transitabile della zona per giungere velocemente al porto.
«Ritirata!» urlò il Capitano, dopo che altri nostri tre compagni a terra furono colpiti mortalmente. La sua voce si sollevava alta nonostante il frastuono delle nostre armi, e quello di un cecchino che utilizzava un mitragliatore.
«Capitano,» lo chiamò Alfonso, un altro mio compagno d’arme, «Ettore è stato colpito ad una gamba, non ce la farà!»
«Presto, qualcuno lo aiuti!» ordinò il nostro superiore, mentre un altro urlo lacerava il tramonto.
Rispetto ad Ettore ero troppo lontano, così decisi di guardarmi intorno da sotto l’elmetto color militare, nella speranza di scorgere una via di fuga nascosta, o non saremmo ai riusciti a salvarci.
Purtroppo sia a destra che a sinistra le vie di fuga erano troppo allo scoperto per permetterci di scappare trascinandoci appresso un ferito, forse due, e dietro di noi la falesia cadeva in picchiata da un’altezza di almeno trenta metri; se anche fossimo sopravvissuti alla caduta, avremmo perso l’arma e molta parte della nostra attrezzatura, e ce la saremmo dovuta vedere contro le forti correnti marine… No, non valeva il rischio, e loro lo sapevano, esattamente come noi.
Mentre i colpi mi fischiavano vicini, e la battaglia a senso unico continuava ad imperversare, il mio ultimo pensiero fu rivolto alla mia adorata Sabrina. Forse quel giorno mi sarei potuto ricongiungere a lei, uccisa per mano di un nemico contro il quale non avevo potuto fare nulla, se non starle accanto.
All’improvviso la mia attenzione venne catturata da un’ombra, come un sasso lanciato nel cielo.
Smisi di sparare, conscio del fatto che comunque colpire quei due tiratori scelti era impossibile dalla nostra svantaggiosa posizione, e guardai verso quell’oggetto che veniva verso di noi.
Due parole che Sabrina non avrebbe di certo approvato mi sfuggirono dalla bocca una volta che mi resi conto di cosa fosse quella cosa.
«Una bomba!» Ernesto fu più veloce di me a dare l’allarme in modo che chi fosse in linea di tiro potesse spostarsi, ma già sapevamo che i danni sarebbero stati enormi. Cercammo di spostarci quanto più possibile e di trascinare via i nostri compagni feriti, in un’inutile e rocambolesca corsa che non fece altro che dividerci tra noi.
Quando la granata toccò il suolo, però, non ci fu un’esplosione così devastante come avevamo pensato, immaginando che quella fosse una bomba a frammentazione o anticarro.
Dopo pochi secondi, iniziai a sentirmi strano, forse a causa della paura che mi attanagliava la bocca dello stomaco come un crampo o delle poche ore di sonno che mi facevano vedere tutto sfuocato e mi avevano causato una leggera cefalea. O forse…
Molte imprecazioni si sollevarono, e un nuovo “Ritirata!” ci giunse più forte alle orecchie.
Quello non era un ordigno esplosivo normale, purtroppo per noi era ancora più vile e mortale: un’arma chimica.
Doveva essere stata lanciata da un mortaio posto dietro quella grande pietra e che noi non avevamo notato perché si tratta di un’arma capace di sparare a tiro curvo, superando gli ostacoli.
Sentii abbastanza distintamente due parole da un camerata: gas nervino.
Il Capitano ne aggiunse un’altra: Sarin.
Inodore, insapore, incolore. Letale.
Dai dati che avevamo a nostra disposizione non risultava che i nostri nemici facessero uso di quelle armi di distruzione di massa, e fu per quel motivo che ci ritrovammo impreparati, in balia della falce invisibile di Abbatôn, l’angelo della morte.
Nessun antidoto, nessuna maschera antigas o autorespiratore.
Eravamo praticamente morti.
L’unica cosa che decidemmo tutti di fare fu quella di seguire l’indicazione del nostro Capitano: una ritirata – un fuggifuggi generale – per allontanarci quanto più possibile da quel demoniaco gas che tanto mi ricordava l’invisibile cancro di Sabrina, ma in quest’occasione non era il solo da combattere, in quanto il secondo cecchino non aveva ancora smesso di sparare senza pietà su chi di noi si allontanava.
Pensai che il nostro destino fosse segnato, ormai.
Non c’erano vie di fuga e non potevamo rimanere in quello stesso luogo o avremmo respirato un quantitativo di gas tossico che ci avrebbe ucciso. Bisognava solo scegliere di quale morte morire: stare fermi ed essere uccisi dal Sarin o fare da bersaglio mobile al nemico, con un fisico già debilitato dal gas inalato che entrava nell’organismo attraverso gli occhi e la cute.
Sicuro che non ci sia un’altra opzione?” Sentii una voce dentro di me, e automaticamente mi girai, guardando il precipizio sul mare alle mie spalle, distante solo pochi passi.
Sì, c’era anche una terza opzione: una speranza di salvezza talmente flebile da assomigliare ad un suicidio.
Trattenni il fiato e pregai le gambe di rispondere ai comandi impartiti dal cervello e di muoversi in avanti di uno… due… tre… quattro passi stentati. Ne mancavano solo due, poi sarei riuscito a buttarmi in acqua da quella vertiginosa altezza, ma le gambe smisero di collaborare, mosse da sole dagli spasmi dati dal gas e facendomi così crollare a terra. Trattenei ancora il respiro, sentendo i polmoni bruciare a causa della carenza di ossigeno in un momento critico come quello, ma non potevo rischiare: il Sarin è più pesante dell’aria e tende quindi ad andare verso il basso, proprio dove si trovava la parte più vulnerabile del mio corpo.
Senza arrendermi, cercai di rotolare di lato, riuscendo miracolosamente ad arrivare sul ciglio della falesia, mentre le urla dietro di me si facevano sempre più fioche.
Chiusi gli occhi e sorrisi.
Semplicemente, mi lasciai cadere.
Le ultime cose che ricordi prima di perdere conoscenza furono un’atroce dolore alla gamba, dal malleolo al ginocchio – come uno squarcio –, il calore del sangue, e l’urto contro la superficie dell’acqua di quel limpido mare. Il colpo fu così forte che mi sembrò quasi di essere atterrato sul cemento armato.
L’azzurro del mare si oscurò pian piano e un leggero luccichio argentato si mosse vicino a me, ghermendomi per le vesti intrise di veleno.
Poi… il nulla.

[ Continua... ]
XShade-Shinra

  
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