Dirty Little Truth
-Darren, posso entrare?- domandai, a bassa
voce, entrando nel suo ufficio. Dopo aver lasciato Andrew a casa con
la babysitter ero tornata in azienda per cercare in qualche modo di
recuperare le due ore che avevo perso quel pomeriggio. Era circa le
sette di sera e l'edificio era praticamente deserto, se n'erano
andati tutti a casa da un pezzo... solo Darren era rimasto in ufficio
a controllare le ultime pratiche rimaste indietro, ma a breve sarebbe
tornato a casa pure lui.
-Proprio non riesci a starmi lontana...-
mormorò con tono da seduttore, allungando le labbra in un mezzo
sorriso e terminando la frase con un pesante sospiro, e fu allora che
si mise istantaneamente in moto il mio generatore di insulti rivolti
esclusivamente a lui e alla sua testa di cazzo. Annullai la distanza
affiancandomi alla scrivania e sapevo di essere nervosissima, non
riuscivo a tener le mani ferme e gesticolavo giusto giusto per tenere
impegnata almeno una parte del mio ansioso cervellino.
-Perchè
sei così agitata? Che problema hai?
-Ho pagato con un assegno
scoperto la retta per Andrew ad Oakridge e non me la posso
assolutamente permettere. Mi puoi fare un prestito? Poi me li detrai
tutti dallo stipendio!- esclamai a raffica, senza neanche prendere
fiato, ero talmente fuori di me che se mi fossi fermata un attimo a
pensare a quello che stavo per chiedergli mi sarei tirata una
padellata sui denti per impedirmi di aprire bocca.
Darren mi
guardò come se fossi stata la reincarnazione dell'ingenuità, cosa
che in effetti mi sembrava di essere. Si chinò in avanti sulla
scrivania e ne aprì il primo cassetto tirando fuori un libretto
degli assegni protetto da una custodia di pelle lucida.
-Eva, lo
sappiamo tutti e due che il tuo stipendio non copre nemmeno la metà
della cifra che hai versato per Oakridge. - affermò con sicurezza.
Lo sapeva bene perché i suoi due figli più grandi frequentavano
quella stessa scuola.
Con mano leggera compilò senza esitazioni
un assegno del valore di quattromila dollari, completandolo e
applicando la propria firma in ogni sua parte e poi, con gesto
deciso, lo staccò dal plico e me lo porse reggendolo tra due dita.
-Grazie, ti giuro che troverò un modo per restituirteli il prima
possibile...- infilai l'assegno nella borsa alla velocità della
luce, la sua sola vista rischiava di farmi morire di vergogna. Se
c'era una cosa che non sopportavo, e questo Darren Reynolds lo sapeva
bene, era avere debiti in giro.
Lo vidi alzarsi con circospezione,
guardandosi attorno, e poi si alzò in piedi per avvicinarsi a
dov'ero io -Ci sarebbe un altro modo.- soffiò a pochi centimetri dal
mio orecchio, facendomi venire i brividi lungo la schiena. Lui e le
sue maledette tattiche da manuale del perfetto seduttore.
Mi
sentivo i suoi occhi addosso: sul collo, sul seno e sui fianchi,
violati da quel suo sguardo magnetico che mi aveva sempre soggiogata
in passato come in quel momento. Lui aveva sempre saputo come
prendermi, come sedurmi, e io avevo sempre saputo come e quando dire
di no.
Solo che non l'avevo mai fatto, non lo avevo mai
respinto.
Mi sfiorò delicatamente la mano che tenevo appoggiata
alla scrivania per reggermi in piedi, lentamente, come se volesse
riesumare ricordi vecchi di un anno, quando era lui a rincorrere me.
-Sei così bella, è passato più di un anno...- mi sussurrò
all'orecchio, per poi mordicchiarmi leggermente il lobo e tirando
piano l'orecchino con le labbra, mi scappò un sospiro, un brivido
caldo che mi percorse tutto il collo e mi mandò i polmoni in fiamme.
-Darren, non siamo al 232...- mormorai senza fiato, incapace di
catturare l'aria al pensiero di quello che sarebbe successo di lì a
poco, e andai in apnea... l'eccitazione mi mandò in apnea.
-Ma tu
non sei più sposata...
-Invece tu lo sei ancora...
-Quello da
sempre, e tu sei irresistibile esattamente come allora.
Senza che
me ne accorgessi, troppo presa dalle sue parole e dai ricordi che
riaffiorarono uno dopo l'altro come bollicine dentro una bottiglia di
acqua frizzante, la sua mano mi circondò il polso e ora stava
rafforzando la presa con le dita, impedendomi di allontanarmi da lui
e dalla sua libido... e dalla mia.
Prima che me ne potessi rendere
conto me lo ritrovai in piedi a circondarmi i fianchi col braccio
libero e il suo viso era vicino, troppo vicino, sempre più vicino...
e i ricordi che avevo dei suoi baci si cancellarono immediatamente,
rimpiazzati da nuovi. I mesi se ne andarono, si dimezzarono,
sparirono, facendoci tornare indietro nel tempo, a quando quella era
la consuetudine.
Avrei potuto allontanarmi, strappargli l'assegno
davanti agli occhi, gettarlo via ed andarmene, ma non lo feci. Non ho
potuto e non ho voluto, perché ne avevo bisogno. Oh... ne avevo
tremendamente bisogno.
In queste ultime settimane mi ero sentita
sola, anche se avevo avuto più aiuto adesso che in tutta la mia
vita. Melanie, Sean, Angie, gli ero infinitamente grata per l'aiuto
che mi avevano dato e l'affetto che mi avevano dimostrato. Ma tutte
quelle attenzioni non erano niente rispetto a quello che mi stava
concedendo Darren.
Avevo quasi dimenticato come baciava, come solo
lui sapeva fare: caldo, travolgente e impetuoso come un'onda che si
infrangeva su uno scoglio ricco di spuntoni taglienti e affilati come
rasoi.
Reggendomi i fianchi con entrambe le braccia, mi sollevò
facendomi sedere sulla scrivania, inarcai istintivamente la schiena
appoggiando le mani dietro al bacino per invitarlo a baciarmi ancora
e non solo sulle labbra. E lì, col sole che gradualmente si
nascondeva dietro ai grattacieli illuminando la stanza di una luce
calda e soffusa, con un uomo che disprezzavo dalla mattina alla sera
e coi sensi completamente anestetizzati, come se mi fossi appena
scolata un'intera bottiglia di tequila liscia, mi dimenticai di
tutto. Chi ero, da dove venivo, che cosa ci facevo lì.
C'eravamo
solo io, lui e i nostri istinti senza volto e senza nome, quasi senza
senso. Sapevo che era sbagliato, ma non mi importava. Volevo pensare
solo a me stessa e al mio benessere, solo per stavolta, solo per un
po' di tempo...
Il nostro piccolo segreto sarebbe stato al
sicuro, eravamo le uniche due persone presenti nell'arco di almeno
dieci piani e quella stanza era l'unica sprovvista delle telecamere
di sicurezza (nel caso in cui i guardiani notturni avessero buttato
l'occhio sugli schermi della sorveglianza).
Come se nulla fosse
accaduto. Saremmo usciti da quell'ufficio esattamente com'eravamo
entrati, esattamente come un anno fa.
Avevo passato tutto questo
tempo a fare la madre e mi ero dimenticata come ci si sentiva ad
essere una donna, mi ero dimenticata come ci si sentisse ad essere
desiderata. Ed era questo che faceva Darren, la sua magia: mi faceva
sentire davvero una donna. I suoi baci, il suo tocco esperto, i suoi
sguardi che sapevano divorarmi dall'interno mi fecero sentire di
nuovo viva per la prima volta da settimane. Ecco perché non lo
respinsi, perché finalmente sentii di avere tra le mani ciò di cui
avevo bisogno.
Il
tragitto verso casa fu piuttosto
tranquillo, in giro non c'era praticamente nessuno, erano tutti nelle
proprie case a degustare una buona cenetta casalinga in compagnia di
parenti e della tv spazzatura. I 15 Km che separavano Beverly Hills
da Los Angeles non mi erano mai sembrati così pochi, per una volta
non feci minimamente caso ai trenta minuti di volante che mi
separavano da casa mia e da una vaschetta di gelato al cioccolato
formato famiglia. Non avevo minimamente pensato al fatto che la
giornata non potesse ancora considerarsi finita; infatti, come aprii
la porta di casa fu come se fosse appena iniziata.
-Bentornata!- il cinguettio eccitato di Melanie mi fece saltare il cuore in gola, non mi aspettavo di ritrovarmela in casa a quell'ora... e per giunta bellamente svaccata sul divano a mangiarsi la MIA tanto agognata vaschetta di gelato.
-Ehi... come mai qui?- le chiesi togliendomi i tacchi alti e gettandoli in un angolo non ben definito dell'ingresso, i miei piedi urlavano vendetta. Melanie mi squadrò da capo a piedi, sospettosa quanto Horatio Caine nel momento in cui si leva gli occhiali da sole, già sapevo che avrei dovuto cominciare a far girare i neuroni per inventarmi qualche balla convincente.
-Sono passata a trovare i miei figliocci e, visto che non avevo niente da fare, ho dato la serata libera alla babysitter e sono rimasta qui... dove sei stata fino adesso?
Allora, la regola di base era, se mi avesse beccata: “negare, negare, negare... prima o poi diventerà tutto vero”. Provai a giocarmi la prima carta della mezza verità, magari non avrebbe indagato.
-Ecco, io... ho lavorato fino a tardi... e sulla strada del ritorno c'era molto traffico.
La vidi strabuzzare gli occhi, concentrandosi sulla mia espressione e al mio tono, e poi spalancò gli occhi e saltò in piedi sul divano, come se avesse appena visto un fantasma sbucarmi da dietro la schiena. -… oh mio Dio... oh, no... nonononono, questo non va bene.
-Cosa?
-Quella faccia... tu hai quella faccia...
Andai nel panico, avevo capito che mi aveva sgamata in pieno ma tentai ancora di fare finta di niente, cosa che ovviamente non fece altro che confermare quello di cui si era già convinta dal momento in cui mi aveva vista entrare in casa. -Cosa... quale faccia? Questa è la mia faccia.
-Oh no... tu hai fatto sesso con Darren!
-Cosa, non dire stupid... sì, ho fatto sesso con Darren...- niente da fare, il giorno in cui sarei riuscita a nasconderle qualcosa mi sentirò una donna realizzata e felice. Melanie fece leva con una gamba sul bordo dello schienale del divano e saltò giù dall'altra parte come una nuova (e più bassa) Halle Berry in Catwoman, puntandomi contro il dito indice come faceva mia madre dopo qualche marachella.
-Lo sapevo! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo, LO SAPEVO!
-Ssssh! I bambini stanno dormendo...
-Lo so che stanno dormendo, li ho messi a letto io un'ora e mezza fa. Ma si può sapere che cavolo ti è passato per la testa?!
-È complicato Mel, avevo bisogno di un favore... ma chi è che sta facendo tutto questo baccano?- sentivo distintamente il rumore di ben due motori, e di una radio sparata a volume oltre i limiti di legge, che provenivano dal giardino accanto al mio. Scostai la tendina del soggiorno per controllare e vidi due macchine parcheggiate davanti alla mia staccionata, accanto ad esse un gruppo di ragazzi armati di birra si scambiavano battute scavalcando la staccionata che separava i due giardini.
-Credo che siano quelli
che hanno affittato la casa della vecchia signora Henry, quando sono
arrivata ho visto un camion dei traslochi che lasciava il
quartiere.
Una cosa era più che certa, dovevano eliminare quel
rumore assordante prima di subito.
-Mel, rimani in casa per
favore, io torno subito.
Uscii sul vialetto ancora a piedi,
camminando con passo svelto per evitare che qualche sassolino mi
pungesse la pianta dei piedi, e salii velocemente sull'erba,
ritrovandomi a soli trenta centimetri dietro alle loro schiene in
meno di tre secondi e senza che nessuno di loro si fosse accorto di
qualcosa.
-...EEEHI!!!- urlai con forza, rischiando peraltrodi
strapparmi le corde vocali, ma non ottenni alcun risultato. Nessuno
si accorse della mia presenza e, forse era solo una mia impressione,
il volume della radio era aumentato ancora. In un momento di
malignità pura, che mi sarebbe sicuramente costato molti vaffanculo
in coro, sollevai il piede destro sulla tastiera dei comandi della
radio e le diedi una pedata così forte da ribaltarla sull'erba e
spegnerla in un colpo solo. Silenzio.
-Ma che cazzo è?
Sei paia di occhi si
voltarono nella mia direzione quasi contemporaneamente, squadrandomi
da capo a piedi più volte, in silenzio. Era alquanto imbarazzante
come scena, mi sentii un po' come un prosciutto in mezzo ad un branco
di ghepardi in un periodo di carestia. Il più alto del gruppo,
probabilmente l'organizzatore di quel macello a cielo aperto, si
avvicinò facendo ciondolare le spalle e trascinando un po' il passo,
con quella classica andatura da “io sono il padrone di questo
harem” che mi stava infinitamente sull'anima.
-...ciao!- mormorò
facendo schioccare la lingua tra i denti.
-Questo è un quartiere
tranquillo, come vi salta in mente di fare tutto questo casino?-
domandai, concentrando nella voce tutto l'acido che stavo producendo
a tempo record e incrociando le braccia al petto, completamente
impermeabile a qualsiasi loro apprezzamento.
-Beh, non lo so...
stiamo salutando il quartiere?- rispose ammiccando e una zaffata di
birra mi schiaffeggiò le narici, io odiavo la birra.
-Beh ci
siamo presentati, fatto! Sono io il quartiere, vedete di non rompere
le palle e sgombrate il mio giardino!- dalla rabbia mi scappò anche
un “teste di cazzo” ma, avendolo detto in italiano, nessuno dei
tre se ne accorse. Però il mio interlocutore doveva essersi accorto
del mio grado di ira, perchè tentò un nuovo approccio.
-Ehi, aspetta un secondo.
Perchè non ricominciamo da capo, ci stai? Io mi chiamo
Christian.
-Tesoro, tu pensa a me come alla proprietaria di questa
casa che vuole dormire in pace.- feci per ritornare in casa ma mi
bloccò di nuovo; dietro di lui gli altri due festaioli
ricominciarono a borbottare a bassa voce. Non ci giurerei, ma
credetti di aver sentito le parole scoparsela, centone e sfigato,
tutti in un unica frase.
-Su non fare così... eddai porca
miseria non ci conosciamo neanche, mi sento un verme, sto malissimo!-
cercò di scusarsi mettendosi persino una mano sul cuore, sembrava
serio ma ci credevo ben poco. In quel momento, le finestre del
salotto della casa si illuminarono, e subito dopo la porta principale
si spalancò facendo uscire una ragazza bionda in pigiama e
visibilmente livida di rabbia.
-Christian! Si può sapere chi
cazzo mi devo scopare per far capire ai tuoi amici di non vomitare
nel portaombrelli?!- gridò, furibonda, uscendo dal portico per
correrci incontro. Wow, c'era qualcuno più incazzato di me.
-Sei
Hanna Foster? La nuova affittuaria della casa?- domandai
dimenticandomi per un attimo del gruppo di imbecilli che mi stava di
fronte. Lei annuì con un lieve cenno della testa.
-Sì, sono io.
Eva Van De Mason giusto?- si assicurò porgendomi amichevolmente la
mano che non esitai a stringere.
-Esatto, molto piacere.-
perfetto, avevo appena trovato un'alleata e, a prima vista,
abbastanza tosta.
-Lui è Christian Hainsworth, il mio
coinquilino... ti chiedo scusa anche a nome suo- la ragazza concluse
la frase gettando uno sguardo d'odio profondo in direzione dell'uomo
che mi stava di fronte e che, imperterrito, continuava a sorridermi
come se fosse imbambolato.
-Mi dispiace, vuoi accettare le mie scuse? Che cavolo hai ragione, ti abbiamo invaso il giardino in piena notte. Se vuoi ti paghiamo per il disturbo.
-Non li voglio i vostri soldi.- risposi senza esitare.
-Non vuoi i nostri soldi. Beh, allora ti porto a cena per chiederti scusa della nostra scortesia, eh? Dammi il tuo numero... tanto l'indirizzo già ce l'ho, perciò non puoi scappare, neh Eva? Ti chiamo, ti invito come si deve e tutto il repertorio.
-Mh! Vuoi avere il mio numero.- ripetei in modo più annoiato che sorpreso.
-Assolutamente. Sì, voglio il tuo numero.- non solo affermava di esserne convinto, lo sembrava pure. Tanto, tempo due minuti e anche lui avrebbe fatto la stessa fine di tutti gli altri che avevano tentato un flirt con la sottoscritta, e molto più velocemente anche. Dietro di lui, Hannah stava sfacciatamente flirtando con gli altri due che, a giudicare dalle facce e dalle pose che assunsero per mettersi in mostra, da veri esemplari di maschi alfa dominante quali volevano sembrare, sembravano starci eccome.
-Quale numero vuoi che ti dia, ehm... Christian.- chiesi fingendo di non ricordarmi il suo nome.
Lui sorrise compiaciuto passandosi una mano sulla barba leggermente incolta, pensava che stessi per cedere; altro che povero illuso, povero pirla.
-Hai più di un numero?- domandò tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans un Samsung Omnia nuovo di pacca, aveva ancora la pellicola protettiva sullo schermo touch.
-Ahh, ho talmente tanti numeri che potrei giocarli alla lotteria per esempio... sette.
-Sette...- ripetè, pronto e segnare. Ed ecco che tirai il colpo d'ascia sulle palle del suo ego.
-Sì, sono i mesi che ha mia figlia.
-Hai una figlia?- domandò con aria ebete, a bocca talmente spalancata che avrei potuto operarlo per i denti del giudizio, completamente colto di sprovvista. A quanto pare gli altri spettatori erano in ascolto perché vidi e sentii gli altri due compari scoppiare a ridere come se avessi appena raccontato la barzelletta più sporca che avessero mai sentito mentre Hannah, poco distante da loro, era rimasta sbalordita, muta. Ma ormai ci avevo fatto l'abitudine.
-Sexy vero? E senti questa... sei sono gli anni che ha mio figlio; diciotto è l'età che avevo quando sono rimasta incinta; 917 3470896 è il mio numero di telefono e con tutti i numeri che ti ho dato scommetto che zero è il numero delle volte che mi chiamerai!- esclamai sbattendogli la porta in faccia sotto allo sguardo allibito di Melanie, che non aveva ancora aperto bocca dopo tutta la scena a cui aveva assistito ma che, e di questo ne ero certa, avrebbe presto riempito di insulti me, i miei ormoni e il mio cervello bacato. Gettai un'ultima occhiata alla porta d'ingresso, e vidi la sua sagoma in controluce attraverso la tendina di cotone bianco della porta; rimase lì, immobile, non sentii nessun passo allontanarsi dalla porta, non ero riuscita a smuoverlo di un millimetro.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Sono da castigare, frustare e picchiare col cilicio con colpi ben serrati direttamente sulla nuca. Non so davvero che cosa fare per farmi perdonare, non ho mai aggiornato con un ritardo così prolungato e spero che non mi ricapiti mai più. Vi ringrazio per la pazienza infinita che mi dimostrate, grazie grazie grazie. Vi abbraccio tutte e spero che questo capitolo riesca ad alleviare un pò la vostra rabbia... domani pubblico il capitolo tanto agognato. E piazzo il link anche qui.
Un bacione,
Aching4perfection
Questo è il link diretto al capitolo extra a rating rosso: Like the Ice, Like the Fire.