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Autore: _Trixie_    28/05/2011    1 recensioni
I Black mi ripudiarono, ripudiarono Sirius il Traditore, votato a cause scialbe come la giustizia, la cavalleria, la fiducia. Divenni lo sporco Grifondoro.
Ma questo non era ancora successo quando la rividi, dopo molto tempo.
[...]Bellatrix, la primogenita altera, elegante, splendida.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Bellatrix Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Più contesti
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She may be the face I can’t forget
The trace of pleasure or regret
Maybe my treasure or the price I have to pay
She may be the song that summer sings
May be the chill that autumn brings
May be a hundred different things
within the measure of a day

Lei può essere il viso che non posso dimenticare
la traccia di piacere o rammarico
forse il mio tesoro o il prezzo che devo pagare
lei può essere la canzone che l’estate canta
essere il freddo che l’autunno porta
Può essere cento cose diverse
nella misura di un giorno

(She - Elvis Costello)






La rividi dopo molto tempo.
In famiglia non abbiamo mai amato in modo particolare le rimpatriate e il cameratismo non è mai stato il nostro forte, amiamo piuttosto la competizione e nessuno tollera la sconfitta.
Pieni di orgoglio e di superbia saremmo pronti a calpestare il nostro stesso figlio.
Questo l’hanno già fatto.
I Black mi ripudiarono, ripudiarono Sirius il Traditore, votato a cause scialbe come la giustizia, la cavalleria, la fiducia. Divenni lo sporco Grifondoro.
Ma questo non era ancora successo quando la rividi, dopo molto tempo.
Era estate e alloggiavamo tutti pericolosamente riuniti sotto lo stesso tetto.
Mio padre, il rubicondo Orion Balck, con mia madre Walburga Black, sua cugina nonché suo primo amore, mio fratello minore Regulus, mingherlino e dall’aria sciupata e infine io. Fummo i primi a raggiungere la sconfinata villa di campagna che avevamo deciso di affittare per l’occasione.
Poi ci raggiunsero lo zio Cygnus, somigliante alla sorella Walburga, al braccio della moglie Druella Rosier, orgogliosamente in Balck, e le loro incantevoli figlie: Andromeda, la minore e la più romantica; Narcissa, altera e glaciale a prima vista, ma incredibilmente affettuosa se sapevi far breccia nel suo cuore e Bellatrix, la primogenita altera, elegante, splendida.
La tenuta era abbastanza grande da permetterci di abitarvi insieme senza essere costretti a vederci più del tempo necessario, ma in quelle poche calde settimane io e Bella passammo insieme ogni singolo istante.
Rimasi immediatamente incantato dal viso di mia cugina. Era cresciuta molto e, nonostante conservasse tratti infantili, sembrava già una giovane donna, pronta a sconvolgere il mondo, come ogni Black che si rispetti.
I folti riccioli d’ebano splendevano sotto la luce del sole, che sembrava quasi minacciare la sua pelle pallida. No, non pallida, piuttosto d’avorio. Era liscia, preziosa, pregiata. Gli occhi spiccavano sul candore della pelle, due pozzi neri che osservavano tutto con superiorità. Il naso era delicato, all’insù come quello di ogni spettabile aristocratica snob cresciuta tra i vizi. E poi la bocca. Quelle labbra piene e sensuali di un rosso acceso, quasi avessero vita propria.
Non credo che riuscirò mai a dimenticare il suo viso.



Una mattina particolarmente afosa, decidemmo di andare al ruscello. Era un piccolo rivo d’acqua profondo abbastanza da permettere ad un adulto di immergersi fino alla vita, si trovava piuttosto lontano dalla casa, a circa dieci minuti di cammino. Noi impiegammo almeno il doppio del tempo per raggiungerlo: giocammo lungo il tragitto, ci rincorremmo a tratti per poi sederci stanchi su un sasso.
Ma per tutto il tempo, ridemmo.
Quando infine giungemmo al ruscello, Bella non perse tempo e in pochi attimi si tolse il prezioso vestito che sua madre l’aveva obbligata ad indossare (“è così che si veste una signorina nella tua posizione sociale!”) e si tuffò in acqua con la sottoveste. Io mi tolsi la camicia, tenendo i pantaloni, e la seguii dopo pochi istanti.
La sensazione dell’acqua fresca era piacevole a contatto con la pelle e mi immersi sott’acqua, afferrando Bella per la caviglie e trascinandola sul fondo. Mia cugina riemerse con un sorriso agguerrito stampato sul volto e si avventò contro di me, la mia schiena cozzò dolcemente contro il fondo ghiaioso.
Tornai in superficie, ridevamo entrambi, spensierati, incuranti del resto del mondo.
Come due bambini.
Mi piaceva stare con Bellatrix, passare il tempo con lei, vederla ridere e ridere perché lei era felice.
Quando le nostre dita iniziarono a raggrinzire, uscimmo dall’acqua e ci sdraiammo sull’argine erboso per asciugarci.
Bella ha sempre avuto una personalità irrequieta, decisamente non adatta all’inattività, uno dei tratti che condividiamo.
Qualche minuto dopo infatti, iniziò a parlare. Mi raccontò delle sue noiose giornate, costretta a sopportare l’educatrice assunta dalla madre che pretendeva di trasformare lei e le sorelle in piccole dame altezzose.
Per quanto riguardava l’altezzosità non dovette certo faticare molto con mia cugina, ma risulta difficile ancora oggi accostare armoniosamente l’immagine di Bellatrix con quella di una dama educata e per bene.
Il discorso si spostò inevitabilmente sulle idee di superiorità dei maghi purosangue. Bella era infervorata, era convinta di ciò che diceva e parlava spedita e sicura che nessuno avrebbe potuto contraddirla.  Il mio viso si accigliò, ma lasciai che continuasse imperterrita il suo monologo.
Era giovane, non conosceva il mondo, avrebbe capito come stavano davvero le cose e allora avrebbe cambiato idea. Mi dissi che era intelligente, arguta, brillante, sicuramente avrebbe compreso, a tempo debito, quanto quelle ideologie fossero (e continuano ad essere) sbagliate e incivili.
Me lo ripetei più volte, ma la determinazione nella sua voce sembrava distruggere tutte le mie illusioni. Serrai le labbra.
Stavo bene accanto a lei, in sua compagnia, ma quelle sue idee mi irritavano.
Sapeva scatenare in me un piacere furioso e allo stesso tempo un tormento opprimente.




Decidemmo di far ritorno alla tenuta quando il sole era ormai alto nel cielo, i capelli ancora umidi, le vesti tra le braccia.  
A metà strada, incontrammo mia madre e zia Druella, che procedevano nella direzione opposta alla nostra e parlavano fitto fitto. Uno spettacolo decisamente insolito per i nostri occhi. Le due donne sedettero su una vecchia panchina di legno scheggiata e noi, cauti, ci nascondemmo a pochi metri da loro tra i cespugli.
Man mano che il loro discorso precedeva, le nostre facce divennero sempre più costernate. Sembravano trovarsi d’accordo su un argomento che avrebbe risolto non so quali diritti ereditari, e si complimentavano a vicenda, per aver entrambe avuto la medesima idea. Poi mia madre pronunciò una frase che rimase impressa nella mia mente per sempre “il matrimonio tra Bella e Sirius sarà perfetto!”. Stavano organizzando il matrimonio dei loro figli senza prendere in considerazione le opinioni dei diretti interessati e con l’unico obbiettivo di dirimere vantaggiosamente una questione d’eredità.
Io ne fui disgustato, non tanto dalla prospettiva di sposare Bella, ma per il modo in cui le donne pensavano di orchestrare le nostre vite!
Alzai lo sguardo su mia cugina e vi lessi solo un’indignata rassegnazione.
Sentimmo la panchina scricchiolare e le due donne si diressero nella stessa direzione da cui erano giunte. Ci alzammo e spolverammo via la terra dalle ginocchia e dai vestiti.
Espressi a Bella il mio parere, che per me era impensabile organizzare a tavolino il matrimonio del proprio figlio, che aveva diritto di scegliere, che nessuno avrebbe mai potuto costringerci a fare una cosa del genere, ma scoprii ben presto che lei non era della mia stessa opinione.
Mi disse che lei non avrebbe avuto nessun problema a sposarmi, che non v’era motivo di scandalo nell’organizzare un matrimonio e che un Black deve prima di tutto pensare alla propria casata e non a se stesso.
Compresi allora che Bella poteva essere il mio più grande tesoro, che avrei passato una vita felice insieme a lei, che il nostro matrimonio avrebbe appianato discussioni sull’eredità ed eravamo perfino fortunati perché, anche se il nostro non era amore, almeno era complicità, fiducia, affiatamento.
Ma non potevo accettare una cosa del genere, non potevo sposare mia cugina per compiacere la famiglia, non potevo farlo per principio.
Perderla sarebbe stato il prezzo da pagare per i miei ideali e le mie scelte.



Non confidai i miei malumori a Bella, mi limitai ad annuire stancamente per farle intendere che ero d’accordo con lei. Giungemmo alla tenuta per l’ora di pranzo sporchi di terra e con i capelli bagnati, ma nessuno ci rimproverò, si limitarono ad ordinare di lavarci e cambiare i vestiti.
Ubbidimmo senza fare storie:  il nostro unico obiettivo era poter stare seduti a tavola; tutti quegli sguazzi e gli appostamenti ci avevano messo un gran appetito, e saremmo stati disposti a tutto, persino ad un bagno, per poter finalmente mangiare.
La conversazione fu egemonizzata come al solito da mio padre e zio Cygnus e quindi nessun’altro vi prese parte, in quanto a nessun’altro importavano gli affari esteri o il Ministero. Non era possibile nemmeno intavolare una seconda conversazione, considerando che i due uomini erano seduti su lati opposti del lungo tavolo. Io e Bella ci limitammo a scambiarci qualche sguardo e a sorridere; Andromeda, Narcissa e Regulus giocherellavano con il cibo;  mia madre e zia Druella ammiccavano l’un l’altra con un cenno del capo nella nostra direzione.
Appena ci venne dato il permesso di alzarci da tavola, le sorelle Black, io e mio fratello, scattammo in piedi e corremmo verso il giardino davanti la villa.
Ci fermammo all’ombra di una quercia centenaria, appoggiandoci al suo tronco rugoso.
Regulus pizzicò Andromeda e scappò, la bambina lo rincorse e pochi istanti dopo Narcissa decise di dar man forte alla sorella. Corsero dietro alla casa, ma io e Bella potevamo ancora sentirli ridere e gridare.
Mia cugina propose di arrampicarci sulla quercia e io annuì con entusiasmo. Iniziammo la nostra impresa e lei mi superò velocemente e con facilità. L’aveva presa come una competizione e un Balck non perde, mai.
Si fermò a metà tragitto e si voltò a guardarmi, forse per deridermi.
Il sole s’insinuava tra la chioma dell’albero, scossa lievemente da un tenue venticello, lo stesso che faceva ondeggiare i capelli intorno al viso di Bella. Sentii il cinguettio di qualche uccellino, che magari aveva il nido sui rami che volevamo raggiungere. Un cane abbaiò, forse il mastino da caccia di mio padre. Un’ape ronzava vicino al mio orecchio e io la udii, più che vederla.
Poi lei rise, una risata argentea, cristallina, in apparenza identica a tutte quelle che avevo avuto la grazia di ascoltare e condividere in quei giorni.
In realtà echeggiava dal fruscio delle foglie, nel cinguettio degli uccelli, nell’abbaiare del cane, nel ronzio dell’ape.
Echeggiava nella canzone che l’estate cantava.  



Lei giunse per prima alla meta e mi attese a cavalcioni su un ramo con un sorriso di soddisfazione stampato in volto. La raggiunsi e passammo il pomeriggio a cavalcioni sul grande albero, inventando storie assurde e fingendo di essere maghi potenti e invincibili. Iniziammo la nostra discesa in contemporanea con il sole, ma toccammo terra ben prima di lui.  
La brezza di poche ore prima si era nel frattempo trasformata in un vento più insistente, l’aria si era fatta più fredda e in lontananza si poteva scorgere qualche nuvola. Si stava avvicinando un temporale. Non mi preoccupai, per quella sera ci saremmo accontentati di giocare al coperto.
Stavamo per entrare in casa, quando Andromeda corse verso di noi in lacrime. Si teneva un braccio, mi sembrò si fosse tagliata, ma non potei accertarmene perché Bella si frappose tra me e la sorella. Iniziò ad urlare, coprendo i singhiozzi di Andromeda. Invece di consolare la sorella la stava sgridando, perché un Balck non piange in nessuna occasione e per nessun motivo e soprattutto un Balck non mostra la propria debolezza perché non ne ha da mostrare. Andromeda cadde in ginocchio, incapace di sopportare i rimproveri della sorella. Era solo una bambina! Bellatrix la stava trattando come un animale, se non peggio. Improvvisamente, la schiaffeggiò.
Il sangue nelle mie vene si ghiacciò, lentamente, goccia a goccia.
Quella era la mia Bella, come poteva essere tanto crudele?
A sentire i genitori, sarebbe diventata mia moglie e forse la madre dei miei figli.
Le grida di Bellatrix si confusero con il vento che ormai soffiava imperterrito, facendo rabbrividire la piccola Andromeda.
La mia Bella, la mia dolce Bella, non poteva essere quella, non poteva aver picchiato la propria sorella.
La mia Bella era quel gelo che sembrava portare l’autunno.



Quella sera, Andromeda non cenò con noi: era stata punita perché aveva pianto e Bella elogiata.
Il mio stomaco si chiuse, dissi di non sentirmi molto bene e andai a letto subito dopo cena, lasciando Bellatrix vagamente indispettita.
Nel mio letto, ripensai a quella giornata. Ripensai a Bella.
Nell’arco di quelle poche ore si era mostrata in un modo e nel suo opposto, senza coerenza. Mi confondeva, mi disorientava, mi intrigava.
Mi chiesi per quale motivo non fossi intervenuto in difesa di Andromeda, ma non trovai risposta.
Allora ero solo un bambino e non potevo rendermi conto di essere folle quanto Bella. L’amavo.





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I personaggi non mi appartengono; la storia è stata scritta senza scopo di lucro e per puro diletto personale.

Grazie per la lettura.
   
 
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