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Autore: minorposition    29/05/2011    3 recensioni
Cosa succederebbe se lo Stato avesse il controllo della musica, e di conseguenza delle emozioni delle persone?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Known By Brain

 

 

Andrew è in piazza, in mezzo alla folla, e ascolta una musica familiare, che gli ricorda la sua infanzia. Gli ricorda i primi anni di scuola, le filastrocche e le poesie imparate a memoria, di cui ora rammenta solo alcuni frammenti. Gli ricorda quelle lontane lezioni, ormai vaghe immagini, che potrebbero facilmente passare per sogni confusi, in cui il maestro faceva sentire a lui e ai suoi compagni le versioni musicate di quei componimenti in rima. Per poterle memorizzare meglio, diceva. Le ascoltavano decine di volte ogni settimana, ogni mese. Parlavano di boschi pieni di vita, uccelli che cantavano e cerbiatti che giocavano a rincorrersi. Mostravano la campagna e il mare mosso da un lieve alito di vento. Ascoltarle infondeva dentro di lui un’aura di pace e di armonia. Ogni tanto le poesie cambiavano, ma la musica rimaneva simile. E’ un ritmo facile da imparare, diceva. Poi, per diversi giorni il motivo continuava a ripetersi nella sua testa e lui lo accoglieva divertito, immaginando di trovarsi nei luoghi che venivano descritti verso dopo verso e che ai suoi occhi apparivano come paesaggi incantati. Con il passare del tempo queste lezioni erano diminuite, ma fino all’ultimo anno di scuola, anche se sporadiche, non erano mai cessate.

 
Andrew è in piazza, al centro di un gruppo di ribelli, e ascolta, prima quasi impercettibili, poi sempre più intensi, i suoni provenienti dagli altoparlanti che li circondano. Lenti ma efficaci, si insinuano come vermi nel suo cervello, fino a sostituirsi ad ogni altro pensiero, indipendentemente da cosa questo riguardasse. E’ una sensazione opprimente, ma allo stesso tempo piacevole, una droga che rende assuefatti rapidamente e invoglia a cercarne di più, sempre di più. Comincia a chiedersi per quale futile motivo lui e i suoi compagni siano lì, perché siano arrabbiati quando sarebbe meglio rilassarsi in un luogo tranquillo. In un prato magari, o in riva al mare. Si aggiungono altri rumori, sirene forse, ma lui non li sente, non senta più niente, non pensa più niente. Tutto ciò che il cervello gli dice di fare è fermarsi e ascoltare. E’ un suono così bello.

 
Andrew è in piazza, circondato dalla gente, e ascolta una delle melodie più belle che esistano. Ormai non gli importa più di niente. Non gli importa il poco spazio in cui è costretto, quasi soffocato in un gruppo di uomini e donne stipati come animali in una gabbia. Non gli importa di quelle persone che li stanno ordinatamente spingendo in un luogo angusto, quello che sembra un grosso veicolo. Non riesce a capire chi siano o perché si stiano comportando così. L’unica cosa di cui si rende conto è che sono vestiti tutti nello stesso modo, ma in questo momento è irrilevante. Non gli importa nemmeno dei freddi cerchi di metallo che gli circondano i polsi e graffiano la pelle. Non si accorge del rivolo di sangue che gli cola dall’orecchio e gli macchia di rosso il colletto della camicia. L’unica cosa che conta è l’armoniosa e dolcissima musica che invade il suo corpo e affoga i suoi sensi. Non vuole fare altro che stare lì e ascoltare il silenzio della sua mente.

 



Andrew è in piazza, lontano dalla folla che lo fissa, e ascolta un suono sgradevole, intermittente. Sembra il gracchiare di un corvo, solo che è più metallico. Davanti a lui c’è un mare di persone, ma tutti riescono a sentirlo. La testa gli fa male, come se il corvo gliela stesse aprendo a furia di beccate. A destra e a sinistra ci sono i suoi compagni, tutti allineati. Davanti a ognuno di loro c’è una corda annodata. Anche davanti a lui ce n’è una, che pende come le altre da una trave sopra di loro. Degli uomini li spingono un passo avanti e lui non riesce più a vedere la corda. Vede solo le persone che lo fissano. Migliaia di pesci nel mare, che lo fissano. Gli fa male la testa, vuole che questo rumore cessi. E’ orribile, gli ricorda un giorno di quando era piccolo, suo padre l’aveva portato in piazza in mezzo alla gente. Era come adesso, ma c’era qualcosa di diverso. Faranno giustizia, aveva detto. Urla, prega perché fermino questo suono, ma la sua bocca rimane chiusa. Dopo un attimo questo si interrompe davvero, come se l’avessero ascoltato. Ancora qualche minuto, o forse sono solo pochi secondi, e lui non avverte più niente sotto i suoi piedi. Si spengono le luci, quello che vede ora è solo il buio. Ma la cosa importante è che non sente nessuno rumore. Nulla. C’è solo il silenzio a fargli compagnia. E questo è tutto ciò che conta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Oddio, non riesco a credere di averla postata sul serio! E’ una storia che continua a convincermi e non convincermi allo stesso tempo, vabbé.

Per prima cosa, l’ho postata in questa sezione perché ricalca un po’ il genere delle distopian novels, sul modello di “1984” e “Il mondo nuovo”, che vengono comunque considerati romanzi di fantascienza.

Secondo, lo so, non è questa gran cosa, soprattutto dal punto di vista della scrittura. Scrivere non è il mio forte, ma ci provo lo stesso. Il titolo è un gioco di parole: partendo da “to know by heart”, che significa “conoscere a memoria”, ho sostituito brain a heart proprio per sottolineare che quelle stesse poesie e melodie imparate sono poi ciò che permette di controllare la mente, o meglio le emozioni, del protagonista e di tutti gli altri. Spero che abbia almeno un po’ di senso.

Ringrazio infinitamente chiunque leggerà questo parto del mio singolo neurone spastico e lascerà un commentino, anche microbico.

doc11

  
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