Known
By Brain
Andrew è in piazza, in mezzo alla folla,
e ascolta
una musica familiare, che gli ricorda la sua infanzia. Gli ricorda i
primi anni
di scuola, le filastrocche e le poesie imparate a memoria, di cui ora
rammenta
solo alcuni frammenti. Gli ricorda quelle lontane lezioni, ormai vaghe
immagini, che potrebbero facilmente passare per sogni confusi, in cui
il
maestro faceva sentire a lui e ai suoi compagni le versioni musicate di
quei
componimenti in rima. Per poterle memorizzare meglio, diceva. Le
ascoltavano
decine di volte ogni settimana, ogni mese. Parlavano di boschi pieni di
vita,
uccelli che cantavano e cerbiatti che giocavano a rincorrersi.
Mostravano la
campagna e il mare mosso da un lieve alito di vento. Ascoltarle
infondeva
dentro di lui un’aura di pace e di armonia. Ogni tanto le
poesie cambiavano, ma
la musica rimaneva simile. E’ un ritmo facile da imparare,
diceva. Poi, per
diversi giorni il motivo continuava a ripetersi nella sua testa e lui
lo
accoglieva divertito, immaginando di trovarsi nei luoghi che venivano
descritti
verso dopo verso e che ai suoi occhi apparivano come paesaggi
incantati. Con il
passare del tempo queste lezioni erano diminuite, ma fino
all’ultimo anno di
scuola, anche se sporadiche, non erano mai cessate.
Andrew è in piazza, al centro di un gruppo di
ribelli, e ascolta, prima quasi impercettibili, poi sempre
più intensi, i suoni
provenienti dagli altoparlanti che li circondano. Lenti ma efficaci, si
insinuano come vermi nel suo cervello, fino a sostituirsi ad ogni altro
pensiero,
indipendentemente da cosa questo riguardasse. E’ una
sensazione opprimente, ma
allo stesso tempo piacevole, una droga che rende assuefatti rapidamente
e
invoglia a cercarne di più, sempre di più.
Comincia a chiedersi per quale
futile motivo lui e i suoi compagni siano lì,
perché siano arrabbiati quando
sarebbe meglio rilassarsi in un luogo tranquillo. In un prato magari, o
in riva
al mare. Si aggiungono altri rumori, sirene forse, ma lui non li sente,
non
senta più niente, non pensa più niente. Tutto
ciò che il cervello gli dice di
fare è fermarsi e ascoltare. E’ un suono
così bello.
Andrew è in piazza, circondato dalla gente, e
ascolta una delle melodie più belle che esistano. Ormai non
gli importa più di niente.
Non gli importa il poco spazio in cui è costretto, quasi
soffocato in un gruppo
di uomini e donne stipati come animali in una gabbia. Non gli importa
di quelle
persone che li stanno ordinatamente spingendo in un luogo angusto,
quello che
sembra un grosso veicolo. Non riesce a capire chi siano o
perché si stiano
comportando così. L’unica cosa di cui si rende
conto è che sono vestiti tutti
nello stesso modo, ma in questo momento è irrilevante. Non
gli importa nemmeno
dei freddi cerchi di metallo che gli circondano i polsi e graffiano la
pelle.
Non si accorge del rivolo di sangue che gli cola
dall’orecchio e gli macchia di
rosso il colletto della camicia. L’unica cosa che conta
è l’armoniosa e
dolcissima musica che invade il suo corpo e affoga i suoi sensi. Non
vuole fare
altro che stare lì e ascoltare il silenzio della sua mente.
Note
Oddio, non riesco a credere di averla postata sul
serio! E’ una storia che continua a convincermi e non
convincermi allo stesso
tempo, vabbé.
Per prima cosa, l’ho postata in questa
sezione
perché ricalca un po’ il genere delle distopian
novels, sul modello di “1984” e
“Il mondo nuovo”, che vengono comunque
considerati romanzi di fantascienza.
Secondo, lo so, non è questa gran cosa,
soprattutto
dal punto di vista della scrittura. Scrivere non è il mio
forte, ma ci provo lo
stesso. Il titolo è un gioco di parole: partendo da
“to know by heart”, che
significa “conoscere a memoria”, ho sostituito brain a heart
proprio per
sottolineare che quelle stesse poesie e melodie imparate sono poi
ciò che
permette di controllare la mente, o meglio le emozioni, del
protagonista e di
tutti gli altri. Spero che abbia almeno un po’ di senso.
Ringrazio infinitamente chiunque leggerà
questo parto
del mio singolo neurone spastico e lascerà un commentino,
anche microbico.
doc11