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Autore: XShade_Shinra    08/06/2011    1 recensioni
Saverio, un soldato semplice che ha perduto amici e parenti, cade in mare a seguito di un attacco nemico e al suo risveglio si accorge di trovarsi dentro una grotta carsica. E di non essere solo.
[ Classificata 3° al contest "The Last One Fantasy" indetto da schwarzlight sul forum di EFP ]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Hope against Hope - Il canto del mare -

Capitolo 3
- Gli occhi del cuore -


Venni risvegliato tempo dopo da una leggera scrollatina alla spalla, come quelle che mi dava Sabrina a casa quando la mattina dovevo alzarmi per andare a scuola.
Aprii gli occhi vedendo completamente nero e mi ricordai di non essere a casa, ma in quella grotta sottomarina.
Sospirai appena e risentii quel leggero e gelido tocco sulla mia spalla nuda.
«Ah, Sabr—» mi fermai. No, non era Sabrina. «Ciao Speranza» salutai la mia muta salvatrice, la quale fece scorrere la mano lungo il collo fino ad arrivare alla nuca e sollevarmela. Non opposi resistenza alcuna a quel gesto, fidandomi ciecamente di lei. Un qualcosa cilindrico mi venne posato sulle labbra e dell’acqua dolce cominciò a bagnarmele. Sorridendo riconoscente iniziai a bere, godendo di quel liquido che placò l’arsura che sentivo in gola.
Calcolando il tempo a spanna e manazza, dovevo aver dormito per almeno un giorno intero, perché mi sentivo decisamente meglio rispetto alla prima volta in cui avevo aperto gli occhi in quell’umida e buia caverna. La gamba non doleva più come prima e il lato sinistro del mio corpo sembrava solo pizzicare appena.
Forse non ero grave come pensavo, oppure le medicine puzzolenti di Speranza stavano facendo effetto, unite al riposo totale che mi era stato imposto. Chissà perché la logica mi diceva di più di credere alla seconda mia ipotesi.
Una volta finito di bere, Speranza continuò a reggermi con il busto rialzato e mi avvicinò alle labbra qualcos’altro. Era viscido, freddo e aveva odore di…
«Polpo?» chiesi più a me stesso che a lei, che comunque annuì, facendo ballare i suoi capelli su di me, come se potesse vedere là dentro e si dimenticasse che io ero praticamente cieco. Ringraziandola ancora, mangiai di gusto quei tentacoli di polpo, poi continuai il pasto con quelle che sembravano essere sardine data la facilità che avevo nel mangiarle. Mi nutrii parecchio e con appetito, chiedendo a Speranza un po’ d’acqua di tanto in tanto.
La sua gentilezza andava oltre ogni limite.
Terminato il pranzo, lei mi pulì la bocca con delle strane erbe molto più simili ad alghe, che poi mi diede da mangiare, nonostante avessero un saporaccio immondo.
D’un tratto mi venne in mente una cosa: vista la provenienza di tutto quello che mi portava e l’odore salmastro nell’aria, mi sorse un dubbio del tutto lecito.
«Speranza?» la chiamai gentilmente, sollevando una mano e poggiandogliela sul viso freddo. «Come hai fatto a portarmi l’acqua? Era dentro una borraccia, vero?»
Annuì e mi diede il contenitore d’acqua potabile nell’altra mano. Tastandolo lo trovai maledettamente famigliare.
«So che sarà difficile, ma sai dirmi dove l’hai trovata?» domandai. Quello era senza dubbio la manichetta di plastica ripieghevole da otto litri che avevamo tutti in dotazione.
La udii spostarsi da me e tornare poco dopo strisciando, ponendomi tra le mani un grosso oggetto pesante dalla superficie in nylon.
«È uno zaino militare…» capii tastandone la superficie.
Non feci in tempo a domandare nulla alla mia misteriosa salvatrice che spinse lo zaino verso di me, come ad indicare che mi apparteneva.
«Ah, è il mio, dunque…» capii, aprendo alla cieca i vari scomparti.
Nella caduta, purtroppo, la tasca principale dello zaino – che tenevo sempre aperta per poter prende velocemente qualunque cosa potesse servirmi – si era totalmente svuotata del suo contenuto, mentre i tasconi laterali fortunatamente non avevano perso nulla; l’unico problema era l’essersi inzuppati d’acqua poiché le cerniere non erano a tenuta stagna.
La gavetta era ancora integra, ma il poco cibo che conteneva aveva un odore poco raccomandabile – ero sicuro che anche Speranza si fosse tappata il naso quando avevo aperto quel barattolo di latta –, di vestiti non c’era traccia, esattamente come gli stivali di ricambio. La torcia era inutilizzabile in quanto non subacquea, la bussola c’era, ma non potevo accertarmi del suo funzionamento senza una fonte di luce. Il cellulare ormai non avrebbe più dato segni di vita, e la mappa della zona era come un fazzoletto dimenticato nei jeans che erano stati messi in lavatrice. Una delle poche cose che era rimasta integra – grazie a Dio! – era il portadocumenti con il relativo contenuto di tessere magnetiche come la carta di credito, la carta d’identità e la tessera sanitaria. Il portafogli era sparito, ma era rimasto almeno il portamonete.
In pratica non avevo recuperato nulla se non i documenti, la borraccia vuota, la tanichetta d’acqua, la gavetta, il mio kit di igiene personale, della cancelleria e un caricatore, inutile senza la mia arma dispersa ormai tra i flutti. Il tutto zuppo d’acqua di mare.
Purtroppo il kit medico, quello di luce chimica e i vari vestiti non erano stati recuperati, ma avevo pur sempre qualcosa, anche se avevo sperato fino all’ultimo di ritrovare il mio coltello da sopravvivenza: solo con quello sarei riuscito a sopravvivere da solo!
Misi lo zaino e il suo contenuto accanto a me per farli asciugare un po’ e mi rigirai verso Speranza, ancora lì vicino.
«Sei davvero fantastica» sorrisi, accarezzandole il viso. «Grazie di tutto. Ora sono ancora più tranquillo. E, sai, la gamba sta molto meglio grazie alle tue cure. Senza di te sarei morto.»
Lei non disse nulla, ma mi accarezzò il braccio di rimando. Era sempre freddissima.
«Ti va se parliamo un po’?» le domandai, e lei scosse la testa a dire di sì.
Almeno per un poco non mi sarei annoiato, perché non avevo proprio voglia di dormire, e Speranza era la mia unica fonte di compagnia.
«Pensi che presto potrò lasciare questa grotta?» chiesi, avendo un sì come risposta. «Bene. Vorrei andare a cercare gli altri… Chissà se qualcuno si è salvato…» ma a quelle mie parole, lei scosse la testa in segno di diniego. Non avevo posto domanda alcuna, eppure mi aveva detto di no. “Non sarà che…” pensai impaurito, alzandomi a sedere di scatto. «Non possono essere morti tutti!» urlai, facendo rimbombare la voce in quel luogo.
A causa di quell’azione improvvisa Speranza si spaventò. Senza un verso si staccò velocemente da me e dopo una manciata di secondi si tuffò in acqua, scappando a gambe levate, come se fossi un mostro.
«Speranza!» la richiamai. «Non andare via!»
Allungai una mano verso di lei, come per prenderla e poterla riportare indietro, ma afferrai solo aria.
«Maledizione!» urlai, stringendo i pugni. «Non ce l’avevo con lei…» borbottai piano, mordendomi il labbro inferiore. «Speranza?» la chiamai ancora, guardando in direzione della pozza che comunicava con l’esterno, senza udire risposta. Mi aveva lasciato da solo.
Sospirai e mi lasciai andare sul mio giaciglio, dandomi dello stupido per il mio insensato scatto d’ira verso il destino infausto.
“Perché ha fatto così? Come se pensassi che fosse stata lei ad ucciderli…” mi chiesi, guardando il nero davanti a me.

Non ero sicuro di essere rimasto sveglio nel tempo successivo o se fu un lieve e gelido tocco al braccio a ridestarmi. Quel delicato contatto però mi fece sorridere.
«Sei tornata…» sussurrai alla pescatrice, sfiorandole l’arto. «Scusami per prima, non ero arrabbiato con te» dissi subito, arrivando a mettere il palmo sulla sua guancia. «Perdona la mia irruenza. Ti sei arrabbiata?»
Lei scosse la testa, allora chiesi altro:
«Ti sei spaventata?» posi, e lei annuì.
Sorridendo, mi misi seduto e la abbracciai con garbo, sperando di non essere troppo invadente.
«Sono davvero mortificato» dissi, accarezzandole dolcemente i capelli crespi. «Io non ce l’avevo con te: sono stati il destino e il nemico che stiamo affrontando ad averli uccisi…» spiegai. «Non ti chiederò come fai a sapere che gli altri sono tutti morti, ma io non mi darò per vinto, chiederò comunque informazioni una volta lasciato il tuo ricovero.» Avevo tutta l’intenzione di accertarmi io stesso che quella notizia fosse vera, non perché non mi fidassi di Speranza, ma perché non volevo perdere la speranza.
«Sai, io ho perduto i miei genitori a causa di questa guerra, assieme ai miei più cari amici; mi era rimasta solo Sabrina, mia sorella minore, ma un nemico invisibile me l’ha portata via…» sussurrai con voce triste, narrandole la mia storia. Probabilmente l’avrebbe annoiata, ma avevo il desiderio di sfogarmi con qualcuno, e parlare con gli sconosciuti che non ti giudicano è sempre più facile. «Stavo insieme a quegli uomini da mesi, ormai, ed erano diventati la mia nuova famiglia, anche se non sarebbero mai riusciti a prendere il posto di quella vera che ora non ho più a causa della pazzia degli uomini…» Mentre parlavo ero perso nei ricordi degli ultimi mesi, dove attendevo la morte sul campo di battaglia senza paura di perdere nulla, poiché non avevo più niente. I miei compagni erano stati la mia seconda famiglia anche se non avevo legato molto con loro, e di certo, per quanto un parente possa essere antipatico, nessuno all’interno del nucleo famigliare ne desidererebbe mai la morte – se non per turpi motivi.
«Tu hai un parente? Un fidanzato?» le domandai, pensando che una persona così buona e gentile doveva avere molte persone care vicino a lei, e il sapere che stava occupando il suo preziosissimo tempo con me anziché stare con loro mi doleva appena.
Speranza scosse piano il capo per dirmi no, e si portò le mani al volto, a coprirsi gli occhi.
«Ehi…» le feci, consolandola. «Non starai piangendo, vero?» chiesi, sentendo poi il rumore pizzicato di qualcosa che cadeva per terra e rotolava, come una palla da biliardo.
Lei negò e si fece più vicina a me, come se necessitasse di calore e la vicinanza di qualcuno che potesse capirla e aiutarla; non sapendo esattamente cosa fare la strinsi più forte a me, storcendo il naso a quella puzza di pesce che sembrava non abbandonarla mai.
«Quando uscirò da qui, ti prometto che renderò centuplo quello che tu hai fatto per me. Esaudirò un qualunque tuo desiderio; non sia mai che Saverio Cantini non ripaghi un debito di vita» le sussurrai, dandole un bacio tra i capelli.
Restammo così per diverso tempo, poi Speranza sciolse quell’abbraccio, dandomi un bacio sulla guancia, gelido come uno schiaffo di vento ma caldo come la carezza di una madre.
«Devi andare?» chiesi, ricevendo una risposta affermativa. «Ok. Ci vediamo più tardi. Non preoccuparti per me: ho abbastanza acqua per oggi e domani.»
Lei fece cenno di aver capito e si allontanò da me con la sua camminata strascicata, silente come era arrivata.
«Ciao…» dissi, scotendo la mano per riflesso.
Vivere nell’oscurità era terribile, ma il solo fatto di non dover vivere per sempre nelle tenebre della cecità era molto rassicurante e non mi sarei di certo lamentato per quell’inconveniente con Speranza.
Udii il rumore fine e calmo dell’acqua che inglobava a poco a poco la sua figura e pensai al fatto che se c’era abbastanza ossigeno per entrambi, sicuramente quel luogo aveva anche una seconda comunicazione con l’esterno.
Con quei pensieri in testa mi riaddormentai per recuperare energie, chiedendomi come mai Speranza non utilizzasse un secondo ingresso.
La risposta a quella domanda mi sarebbe stata data poco tempo dopo…
 
[ ...continua... ]
XShade-Shinra



Perdonatemi per il ritardo, ma sto particolarmente simpatica ai virus in questo periodo! >_>'''

  
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