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Autore: Kuno84    04/03/2006    10 recensioni
Ranma si trova misteriosamente catapultato in una nuova realtà. Qualcuno segue costantemente le sue mosse, spinto da intenzioni ignote. Nel frattempo, per tutte le persone che conosce, lui non è mai venuto al mondo... Il ragazzo col codino si trova coinvolto nella più ingarbugliata delle vicende, alla ricerca disperata di una risposta alle sue mille domande. Più di ogni altra cosa, che ne è stato di Akane?
[ Storia vincitrice del Primo Contest di MangaNet.it. ]
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PART TWENTY –

“UNITED WE STAND”




Non ricordava di aver mai visto quei luoghi. Gli erano del tutto nuovi, ma ciò non era determinante. Forse poteva averli visti. Ne aveva visti tanti. Ma non aveva mai badato eccessivamente all’aspetto estetico delle varie zone da lui visitate, nel periodo della propria vita in cui vagava col vecchio in lungo e in largo per il Giappone, in viaggio d’addestramento. Anche volendo, il tempo in cui si trattenevano in uno stesso posto era sempre troppo poco. E quello che rimaneva, andava interamente dedicato ai duri, pazzeschi e a volte completamente assurdi allenamenti ai quali veniva sottoposto.
In ogni caso, quei luoghi gli erano tutt’altro che familiari.
L’unica cosa che poteva stabilire con certezza era che non si trattava di Nerima, Tokyo.
E la costruzione che s’ergeva imponente di fronte a lui, per quanto avesse l’aspetto inequivocabile di una palestra, non era assolutamente il Tendo dojo.
Improvvisamente, notò l’incoerenza dell’intera situazione. Pensò che non si trovava né nella caverna, né in quella cosa oltre il varco aperto da… Come aveva potuto scordarsene?! Soprattutto, come era finito, adesso, in un posto così lontano da Yakuzai? Accennò a battere un pugno contro il palmo dell’altra mano, rievocando assieme gli ultimi avvenimenti e cercando di scrollarsi via quella calma tanto poco consona a lui. E si accorse, così facendo, che non gli era possibile compiere quel gesto. Le sue mani erano invisibili. Non solo le mani. Tutto il suo corpo era invisibile. Non riusciva a vedersi in alcuna maniera. E del resto, nemmeno a toccarsi.
*Sono… un fantasma?!* Quell’idea penetrò con brutalità nell’intimo di Ranma, mozzandogli il respiro – sempre che, a questo punto, lui avesse ancora la facoltà di respirare.
Poi pensò che tutto questo aveva un senso.
In fin dei conti, lui si era arreso. Perché avrebbe dovuto sorprendersi?
Certo, però, che se lui era veramente morto… beh, si aspettava quantomeno qualcosa di diverso dal girare ancora sulla terra come uno spirito incorporeo. Non che si fosse mai posto seriamente, prima d’allora, una qualche domanda sul dopo. E sicuramente non condivideva le fantasie di altri, per esempio di Ryoga, sul varcare lo Stige o cose simili. Nonostante ciò, quel contesto non poteva non metterlo a disagio. Si decise ad esaminare più accuratamente i luoghi circostanti, confidando di poter ricevere da essi un maggiore chiarimento. La porta della palestra era solo socchiusa. Accennò a spingerla in avanti con la mano, ma si trovò a trapassarla con tutto il corpo. Eccola, l’ulteriore conferma. Era veramente un fantasma. Oppure stava sognando. Nell’uno e nell’altro caso, non era nella sua realtà.
Si abituò alla diversa illuminazione. Nonostante le finestre che davano all’esterno, la luce del giorno era quasi interamente sopraffatta dall’enorme ombra proiettata da una figura dall’autorevole mole. Sopra la divisa da kempo che avvolgeva la spessa corporatura, due grossi occhi a palla, posti a degna decorazione di un viso la cui perfetta rotondità era interrotta soltanto da un paio di baffetti sottili e dalle oltremodo lunghe labbra, fissavano un’area indefinita di vuoto: come assorti, o meglio, impossibilitati a guardare nella direzione dell’altra persona presente, posta troppo in basso rispetto all’omone.
Il dojo yaburi. Ma allora…
Ranma portò lo sguardo in direzione del contendente.
E la vide, anche lei in tenuta da kempo e in posizione di combattimento.
Akane.
Cosa ci faceva lei in quel posto? Se si trattava veramente di un sogno, era fin troppo assurdo. Possibile che… In quel preciso istante, la terzogenita delle Tendo si fiondò in avanti, contro l’avversario. L’espressione di questo restò immutata, mentre parava con facilità l’attacco, sfoderando la propria ricca collezione di insegne di palestra, inchiodate tra loro a mo’ di catena. Ranma tentò di scuotersi e di fare ordine nei propri pensieri. Lei era l’altra Akane? E lui, quindi, si trovava nuovamente nell’universo parallelo? Ma come ci era potuto finire un’altra volta? E poi, come mai Akane si trovava a faccia a faccia con… Un momento! Improvvisamente, credette di individuare il nesso logico. Era stato lui. Quel giorno, al parco. L’aveva spronata a non arrendersi. E lei aveva, evidentemente, accolto l’invito. Tatewaki Kuno non avrebbe più pensato a recuperare l’insegna del Tendo dojo, ormai troppo distratto da altre incombenze. Ma doveva trattarsi necessariamente del senpai?
Un destro. Un calcio. Ancora un altro pugno. Il dojo yaburi continuava a respingere i colpi della minore delle Tendo, alzando o abbassando la frusta improvvisata con ambo le mani. Improvvisamente accelerò il gesto. A Ranma parve quasi un ragazzino che saltava la corda. Un ragazzino un po’ troppo cresciuto, ovviamente. Il movimento divenne tanto rapido da rendere l’omone quasi invisibile agli occhi di tutti, per quanto ciò potesse apparire paradossale. Akane arretrò di qualche passo, sconfortata. Sfondare le difese dell’avversario sembrava impossibile. Come indovinare il tempo preciso in cui sferrare l’attacco?
*Non mollare!* l’incitò Ranma, sebbene nessun suono potesse uscire dalle sue labbra. Per farcela, la fidanzata avrebbe dovuto usare non gli occhi, ma la mente.
Come se l’avesse udito, Akane chiuse le palpebre. Abbandonò la posizione di difesa, unendo tutti i suoi sforzi nell’individuare il giusto momento. Qualche istante. E ripartì alla carica.
Lo scatto fu molto rapido. Ricordando il loro precedente combattimento al parco, Ranma pensò che il doppio della giovane Tendo era molto più in forma dell’ultima volta. Doveva essersi allenata. E molto.
L’attacco riuscì a passare oltre la protezione del contendente. Akane sferrò un potente calcio. Forse era fatta. O forse no. Si accorse di averlo mancato, ma questo era impossibile. Come poteva mancare un bersaglio tanto grosso? Alzò lo sguardo. E capì. Il dojo yaburi aveva rapidamente ritratto a sé la catena di insegne, per poi alzarla in direzione del soffitto e girarla ad una velocità vorticosa: facendone una sorta di elica, aveva potuto sollevarsi da terra con un’agilità altrimenti impossibile, vista la propria stazza. Schivato l’attacco, mantenendo lo sguardo sempre apparentemente fisso nel vuoto, replicò con fare meccanico, lanciando alcune insegne mentre era ancora sospeso in aria. Akane si girò con riflessi pronti e le scansò a sua volta.
L’omone atterrò di nuovo sul pavimento. Riunì di nuovo le insegne e, questa volta con una sola mano, le roteò a spirale attorno a sé, adoperandole, con una grazia inaspettata, similmente ad un nastro da ginnastica ritmica. Un’altra tecnica? Ranma ricordava che quel tipo sapeva destreggiarsi molto bene con le insegne; ma non aveva avuto l’occasione di osservare tutto ciò, l’ultima volta che lo aveva affrontato. Evidentemente, l’aveva messo al tappeto troppo presto. Anche Akane avrebbe dovuto sbrigarsi, prima che quello sfoderasse le sue carte migliori.
Forse, però, l’asso nella manica era stato appena estratto. Ogni tanto, il dojo yaburi lasciava che un’insegna si staccasse dalla catena, sfrecciando contro l’avversaria con una forte accelerazione. Akane scansò il primo proiettile. E il secondo. Ma i successivi arrivarono ancora più veloci ed in rapida sequenza. Fu dapprima colpita di striscio, poi presa in pieno ad un braccio.
*Akane!*
A quel punto, Ranma non poté più trattenersi. Fantasma o non fantasma, doveva fare qualcosa. Un metodo per fermare quella giostra infernale forse, anzi sicuramente c’era, ma di certo non poteva attuarlo lui di persona né, come ovvio, comunicarlo ad Akane. Si lanciò allora verso di lei – quella stupida si era intestardita a voler parare le insegne per contrattaccare, piuttosto che farsi indietro – con l’intenzione di gettarla a terra e farle da scudo. Aveva perso la lucidità necessaria per figurarsi quello che sarebbe seguito. Si trovò ad attraversare il corpo della fidanzata da parte a parte e, quindi, carambolare per terra. Akane dovette aver percepito qualcosa, perché girò la testa, confusa, in più direzioni. Poi sembrò come colta da un’illuminazione.
Il ragazzo con il codino ebbe appena il tempo di rialzarsi e scorgere la determinazione che sfavillava dentro di lei, rischiarando le iridi nocciola.
La giovane raccolse un’insegna da terra. Accennò un sorriso: per una strana combinazione, era proprio quella che recava l’ideogramma Tendo. Prese la mira. E stavolta colpì il bersaglio.
Ranma la fissò sbigottito. Gli aveva letto nella mente? Era stato durante quel loro contatto… quel loro non-contatto di pochi attimi prima? La mano che reggeva la catena di insegne era stata colpita e costretta a mollare la presa. La catena era andata dissolta e le insegne si erano abbattute sul dojo-yaburi in rapida successione, stordendolo. Infine Akane si lanciò contro di lui, centrandolo nei punti vitali. L’omone tracollò al suolo, privo di sensi.
Aveva vinto. Akane ce l’aveva fatta. Aveva riconquistato l’insegna. Aveva risistemato le cose. Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente di Ranma. Non era vero. Non aveva cambiato le cose in peggio. Le sue interferenze non erano state dannose come credeva. Forse, anche nel proprio mondo… Si era convinto che solo la sua assenza avrebbe potuto portare qualcosa di positivo. E se non fosse stato vero nemmeno questo?
“Ranma…”
Sussultò, colto alla sprovvista. Akane lo aveva chiamato? Poteva vederlo?
“Ranma…”
Si girò, per incontrare il suo sguardo. Ma non riusciva più a scorgerla da nessuna parte. In verità, faceva sempre più fatica a distinguere ogni cosa. I contorni divennero ombre. E la nebbia andò velocemente sostituendosi alla piena percezione della realtà.
“Ranma!”


Cologne puntò un’ultima volta, con la coda dell’occhio, in direzione dell’entrata del varco. Non ce l’avevano fatta. Aveva compreso subito che Ryoga e Akane intendevano tirare fuori di lì il consorte. Ma sembrava che avessero fallito.
“Bene, nonnina.” disse l’interlocutore. “Spero che non mi giudicherai un maleducato, se ora interrompo la nostra deliziosa conversazione. Come saprai, ho un’aura che mi aspetta.”
L’uomo accennò a dirigersi verso lo squarcio della materia. L’anziana amazzone intese che non rimaneva che l’ultimo tentativo: se non altro, per guadagnare ancora ulteriore tempo e permettere, almeno ai due ragazzi, di salvarsi. Sempre che per qualcuno rimanesse la sola speranza di salvarsi, una volta che il tipo del medaglione avesse preso il sopravvento.
“Non lo farai!” gli si pose davanti. “Non prima di avermi affrontato.”
Shingo accennò un sorriso, mentre scostava una ciocca della chioma riflesso del platino.
“Non sia mai che rifiuti l’invito di una gentile signora, per quanto un tantino troppo matura per i miei gusti.” Poi tornò serio. “Ammiro il tuo coraggio, nonna. Ma sei più consapevole di me di quanto ti sarà inutile.”
“Lo verificheremo subito!” replicò Cologne. Un momento dopo, manifestò all’esterno la propria intera energia spirituale, indirizzandola poi, con un cenno del nodoso bastone, contro l’avversario. Ovviamente non poteva competere con i poteri in suo possesso. Questo era fuor di dubbio. Ma lei aveva qualche decennio di esperienza in più, rispetto a Shingo. D’altronde, si trattava pur sempre di un moccioso che usurpava le doti di esseri a lui infinitamente superiori. Avrebbe dovuto dimostrare di saperle padroneggiare. Di esserne degno.


Badando a non mollare la presa, Ryoga si lasciò sfuggire un fiotto della tensione che gli attanagliava, da ormai troppi minuti, il corpo e, soprattutto, l’animo. Questo bastò a rischiarargli il cuore. E sospirò.
Ormai era rassegnato. Sapeva che le cose non cambiavano mai, tra di loro. Il mondo circostante poteva venire stravolto da qualunque avvenimento, ma ogni fatto sembrava toccarli solo indirettamente. Loro vi prendevano parte, certo, ma venivano in realtà appena sfiorati dagli eventi. E niente pareva intaccare lo strano equilibrio del gruppo. Ora, cosa stava accadendo davanti ai suoi occhi? Fece mente locale. Ah, sì. Un tizio che riuniva in sé i poteri di due antiche divinità era determinato ad usarli per ridurre l’umanità intera sotto il giogo del Caos, o perlomeno qualcosa di simile. Non avevano reagito poi così diversamente del solito, di fronte a ciò.
Ranma aveva affrontato il nuovo avversario con la solita spavalderia. La dolce Akane stava mettendo in pericolo la sua vita per tirare quel maledetto incosciente fuori dei guai. Mousse faceva altrettanto per l’ingrata Shampoo. E poi… relegato come di consueto sullo sfondo, c’era il solito poveraccio. Quel tale Ryoga Hibiki, innamorato perso di una ragazza che non lo vedeva se non come un amico e che non si rivolgeva a lui se non per chiedergli di unirsi a lei nel tentativo di soccorrere l’altro. E quel poveraccio che ubbidiva ciecamente. Complimenti per l’originalità del copione…
No. Interruppe la sua preghiera mentale affinchè quel bastardo di Ranma si facesse salvare senza tante storie – e soprattutto, in tempo perché Akane non corresse chissà quali pericoli – per fare quella constatazione. No. Non era vero che le cose non cambiavano mai, per loro. In lui stavano cambiando, ad esempio. Da Jusendo, molte cose erano cambiate per lui.
Stava cominciando ad accettarlo. Ogni momento, ogni istante che Ryoga aveva la fortuna di condividere con Akane, sia che fosse uomo, sia che si trovasse nel corpicino – oggetto di ben maggiori attenzioni – di P-chan, lei era sempre da un’altra parte, lontana da lui. Quella parte era sempre la stessa, a dire il vero. E aveva un nome. Ranma. Per saperlo, Hibiki lo sapeva da fin troppo tempo. Adesso, però, stava cominciando a capirlo e, innanzitutto, si era reso conto che doveva essere lui stesso a compiere il primo passo per spezzare l’equilibrio e provare a costruirsi finalmente la sua porzione di felicità. La strada che portava ad Akane si era rivelata un vicolo cieco.
Perché farsi tanto male?! Quando, del resto, un’altra via la stava percorrendo già da un po’ di tempo. Sapeva che non era giusto farlo senza aver distolto lo sguardo da quella precedente, eppure era stato più forte di lui. Si era avventurato da tempo verso quel sentiero chiamato Akari Unryu, solo che aveva continuato a tentare di non perdere di vista Akane. Sapeva che non era per niente giusto. Ma non poteva smettere di amare Akane da un giorno all’altro. Nessuno poteva chiedergli questo. Lei era stato il primo volto gentile con lui, da che ricordasse.
Per girare le spalle ed incamminarsi definitivamente verso il nuovo viaggio, avrebbe dovuto abbandonare ogni esitazione. Ci stava provando con tutta la sua buona volontà, fin da quando aveva ricevuto l’invito al loro matrimonio. Eppure i suoi souvenir per Akari continuavano a scadere prima che lui potesse raggiungere la destinazione; eppure i suoi passi continuavano a tradirlo, portandolo nei pressi dell’abitazione dei Tendo. Non poteva continuare a tenere il piede in due staffe. Ma non poteva nemmeno dimenticare Akane da un giorno all’altro. Ciò non cambiava il suo destino. Lo ritardava, semmai. Il giovane Hibiki era sicuro che, prossimo o remoto, il suo futuro sarebbe stato in ogni caso con Akari Unryu.
Anche perché i fatti parlavano chiaro. Akane amava Ranma. Che la cosa fosse reciproca, era molto meno scontato. Ma i fatti avevano parlato anche qui più volte, in special modo da Ryugenzawa in avanti. Quando quei due fossero finalmente cresciuti, ammettendo una buona volta la realtà delle cose, Ryoga si sarebbe defilato e avrebbe cambiato definitivamente strada.
Fino a quel momento, avrebbe fatto ancora tutto il possibile per vegliare su Akane. E la cosa più importante, adesso, era un’altra. Quel dannato di Ranma non doveva prepararsi a morire, per questa volta. Che non si permettesse! Avrebbe fatto soffrire Akane… Ed ormai Ryoga, che, prima di lasciare il proprio primo amore per accantonarlo in un cantuccio speciale del cuore, intendeva assicurarsi della sua felicità, sapeva benissimo che questa sarebbe stata possibile solo se Ranma fosse stato ancora vivo.



Era ancora vivo. Lo percepiva benissimo, ora. Così come percepiva lei. Udiva la sua voce che lo chiamava, come pochi attimi prima. Ma non era la stessa cosa. Stavolta era diverso. Ancora non la vedeva, ma sentiva il suo tiepido respiro. Avvertiva il lieve, appena accennato contatto con la sua pelle.
Akane.
La sua Akane.
Ne era sicuro. Non poteva sbagliarsi. Era probabilmente chinata accanto a lui; e di ciò gli forniva una chiara conferma quello stesso contatto, che andava facendosi via via più accentuato. In effetti, la fidanzata lo stava letteralmente scuotendo da una parte all’altra, in maniera non molto ortodossa, presumibilmente con l’intenzione di fargli riprendere coscienza – per quanto stesse, di fatto, producendo quasi l’effetto opposto.
Eppure, giudicò Ranma, poca era – relativamente ai canoni del maschiaccio – la forza che metteva nel gesto. Forse era rassegnata. O più probabilmente… Fu così che il ragazzo con il codino rammentò, all'improvviso, l’insidia di quel luogo. E una domanda gli sorse spontanea. Come faceva lui ad essere di nuovo cosciente? Era convinto di aver esaurito tutte le sue forze.
“Ranma…” continuava lei, nel frattempo, con voce sempre più bassa e spezzata. “Smettila… di fingere… lo so che sei sveglio… scemo!... Ti prego… Svegliati!... Ranma!” esclamò infine, in un ultimo impeto che assomigliò più ad un singhiozzo.
Non era il momento di pensare ai come ed ai perché. Nella sua voce colse tutta la sofferenza che provava; e questo, il ragazzo con la treccia non poté sopportarlo. Si sforzò di sollevare le palpebre e di risponderle.
“Aka… ne…”
“R-ranma…” lo fissò con gli occhi colmi di commozione. “Sei… sei…” non riuscì a proseguire. Si voltò di scatto e si asciugò alla meglio le lacrime che le imperlavano il viso. Le lacrime che aveva versato in precedenza, quando l’aveva scacciata da sé. Forse non solo quelle.
“Akane...” fu, quindi, lui a ripetere, recuperando una posizione più composta. “Perché lo hai fatto?!”
“Fatto cosa?” domandò confusa, tornando a guardarlo in volto. Non capiva.
“Come mai sei tornata?” completò Ranma, con affanno. Non era riuscito a concludere la frase. E non perché gliene mancasse la forza. Voleva chiederle il motivo per cui fosse tornata nonostante quello che le aveva detto. Voleva chiederle per quale ragione non sembrasse più arrabbiata con lui, l’unica volta che avrebbe avuto piena ragione di esserlo. Tuttavia credeva di averla convinta, prima.

Effettivamente c’era riuscito. Pochi minuti indietro, Akane stava correndo verso lo squarcio che dava alla loro realtà, fermamente decisa a non guardarsi alle spalle. Ma, una volta giunta all’ingresso, aveva esitato. Per un momento, le era come venuto meno il respiro. Stava realizzando che era davvero tutto finito. Nondimeno non poteva rimanere impalata, doveva imporre a se stessa quell’ultimo sforzo. L’idea di essere considerata un impiccio fu più forte di ogni altra cosa e la minore delle Tendo si accinse, così, a varcare la soglia.
Fu in quel momento che se ne accorse. Trovandosi nel preciso confine tra i due mondi, ora poteva avvertirlo nitidamente. Qualcosa di simile ad un risucchio. Qualcosa che le trascinava via, verso l’esterno, l’energia che aveva in corpo, con un meccanismo che ricordava vagamente l’Happo goen-satsu della professoressa Hinako. Improvvisamente comprese il motivo della propria perdita di conoscenza di poco prima. Lei non sveniva tanto facilmente. Era quel posto. In qualche modo, succhiava l’energia vitale. Ma se le cose stavano così… prima Ranma l’aveva mandata via per…

“Se ti riferisci a poco fa, è che ho capito!” disse al fidanzato, con un’espressione grave. “Ho capito il vero motivo per cui non dovevo restare qui. Ma questo non cambia nulla. Anzi…” esitò appena, quasi raccogliendo le parole. “A maggior ragione, non potevo lasciarti…”
A Ranma mancò un battito. Akane gli si avvicinò ulteriormente, rompendo la già ridotta distanza che li separava. Lo guardò dritto in viso, così che il giovane Saotome poté pienamente specchiarsi e perdersi nei suoi profondi occhi. Erano ancora addolorati, certamente; ma non vi scorgeva più quel rancore di prima, quel rancore da lui tanto temuto.
“Non potevo!” ripetè. “Non potevo lasciarti senza poterti almeno prima dire che…” si zittì per un lungo, interminabile momento. E il cuore del ragazzo credette di scoppiare.
Quindi, lei socchiuse nuovamente le labbra.
“Che sei uno stupido egoista!”
Ranma si riscosse, come da un sogno ad occhi aperti.
“C… che cosa?” esclamò, tra l’attonito e il risentito.
Era così che lo accoglieva?! A sentirsi dare da lei dello stupido si era abituato da tempo, ed infatti non vi aveva quasi posto caso. Ma in quanto all’egoista… Lui si sacrificava e questo era il ringraziamento?! Certo non pretendeva di essere ringraziato, però era pure vero che un po’ di gratitudine non avrebbe affatto guastato. Ranma aveva rinunciato a tutto per le persone cui teneva. Questo, per la fidanzata, sarebbe stato segno di egoismo? Forse Akane avrebbe dovuto dare un’occhiata al dizionario.
“Hai sentito bene!” la fidanzata rincarò la dose, alzando il tono. “Sei il solito stupido! Ed egoista! E non è solo per avermi mentito, per essere stato falso con me ancora una volta! E’ soprattutto perché…”
“Lasciami indovinare!” la interruppe lui, ormai completamente indispettito. “Perché ho fatto il massimo che potevo per salvarvi la vita? E’ per questo?!” urlò con maggior forza.
“Proprio così!” gridò lei di rimando.
“Magnifico!” commentò sarcasticamente. “Adesso sì che tutto ha un senso! Come ho potuto non accorgermi di essere un dannato egoista?!” enfatizzò, alzando le braccia al cielo.
“Egoista ed egocentrico!... Ed anche un completo idiota, visto che non hai capito un bel niente di quello che ti ho detto!”
“Ha parlato quella che capisce sempre tutto, che non fraintende mai ogni mia azione!”
“Se succede, è comunque colpa tua! Sei tu l’idiota!”
“BENE!”
“PERFETTO!”
Come per un tacito accordo, smisero entrambi di sbraitare. Dal momento che quella discussione stava velocemente degenerando, perdendo come al solito il senso originario. Ma soprattutto perché avevano speso troppe forze, per sovrastarsi l’un l’altro. Il risucchio di energia contribuì non poco a far recuperare loro la calma.
Akane fu la prima a ritrovare la giusta lucidità. Inspirò. Sospirò. E riprese a parlare, questa volta con un tono più sommesso:
“Sei un egocentrico perché… perché vuoi essere sempre tu. Da solo. Tu, quello che salva la situazione. Tu, quello che si sacrifica… Tu, sempre tu! Si può sapere chi credi mai di essere?”
Quella domanda colpì Ranma nel profondo, al di là dell’autentico significato con cui la minore delle Tendo l’aveva proferita.
“Chi credo di essere?… io sono la causa di tutto questo.” mormorò, sopraffatto dai sensi di colpa, che non persero l’occasione di riemergere tutti assieme. “E’ per colpa mia se… se ora state rischiando così tanto… Ed è colpa mia se tu…”
“Lo vedi che sei uno stupido?!” fu la fidanzata, in questo caso, ad interromperlo; e lo stupido, questa volta, fu pronunciato senza rabbia. “Sempre e comunque al centro dell’attenzione! O ti senti il superuomo invincibile, o la causa dei mali dell’intera umanità. Ma sbagli in entrambi i casi: non sei né l’una né l’altra cosa… e quindi non puoi pretendere di fare tutto da solo…”
L’affanno nel respiro aumentava velocemente, ma questo non impedì ad Akane di concludere:
“Perché tu non sei solo.”
Questo, intendeva? Gli vennero in mente le parole di sua madre. Meglio, non proprio lei. Ma la Nodoka Saotome che aveva incontrato nell’universo parallelo.

“Ranma…”
“Ecco… io…”
“Non dire niente… Non ho intenzione di chiederti perché ci lasci in questo modo, né dove sei diretto: sappi solo che non è mai bene cercare la solitudine, per risolvere i problemi che ci angustiano…”


Era vero. Non era solo. Era tanto vero questo, quanto non lo era il fatto che la sua presenza portasse unicamente il caos. E, per completare il quadro, lui era veramente uno stupido. Uno stupido per avere capito tutto ciò solo allora, quando ormai era troppo tardi per cambiare la situazione.
Paradossalmente, i fatti avevano finito per prendere una piega positiva proprio là dove lui aveva maggiormente interferito. E rinunciando ad essere se stesso, aveva permesso che nel suo mondo, al contrario, le cose volgessero verso il peggio. Dopotutto, il proprio sacrificio non avrebbe impedito a Shingo di portare a termine i suoi piani. Ed in quanto ad Akane, era troppo tardi anche per lei. Ma quest’ultimo dato di fatto, l’inconscio si rifiutava di ammetterlo.
“Hai ragione…” ammise, non con poco sforzo, chinando il capo. “Ma” si girò di scatto, cogliendola di sorpresa, mentre l’afferrava di nuovo per la vita “di noi due rimani tu la più stupida, se non te ne vai subito!”
Akane intese che il ragazzo con il codino stava provando ancora a trasferirle la sua energia vitale. Questa volta, però, non gliel’avrebbe permesso. Imitò il gesto di Ranma, tentando di attuare la stessa tecnica – facilitata dal fatto che avvertiva, non senza che ciò le provocasse un fremito, i precisi punti di pressione sulla propria stessa pelle. E ci riuscì.
“Cosa fai, Akane?!” esclamò lui, impossibilitato ad impedire la sua manovra. Dunque era stata lei, anche prima, a fargli riprendere i sensi? A questo punto, era una seria possibilità.
“Quel discorso sull’egocentrismo.” ribattè la minore delle Tendo. “Ti impedisco di fare l’eroe… non se non torni anche tu!”
Entrambi percepirono chiaramente la loro energia fluttuare dall’uno all’altro, in un circolo vizioso. E rendendo il tutto completamente vano, dato che continuava comunque a disperdersi, aspirata dallo stesso varco che avrebbe dovuto costituire la via di salvezza.
“Cocciuta come sempre…” mormorò Ranma, che cominciava a rassegnarsi.
“Imparo dal maestro…” provò a scherzare lei. La stanchezza stava prendendo il sopravvento ed i due fidanzati si accasciarono quasi contemporaneamente al suolo – se così si poteva definire la strana superficie del non-luogo in cui si trovavano.
“Akane… mi dispiace!” mormorò ancora il ragazzo. “Per tutto quanto.“
“Ora non ricominciare… da capo…” fece lei, mentre impallidiva a vista d’occhio. “E poi…” continuò, con un filo di voce, accennando stentatamente un sorriso “e poi a me va bene così…”
Non per lui. Era troppo ingiusto. Ranma fantasticò per un momento di tentare il tutto per tutto, issare Akane su di sé e cercare di raggiungere il varco. Ma le forze non erano sufficienti. E capì improvvisamente di avere pochissimo tempo. Per dirle quelle parole che ormai troppe volte, in passato, gli erano morte in gola. A Jusenkyo. Nella realtà parallela. Sapeva che non avrebbe avuto un’altra occasione. “E’ solo che” riprese “avrei voluto saperti proteggere…”
“Ranma…” Akane sorrise di nuovo, debolmente.
“Ascoltami… è da molto tempo che… che io…” A questo punto il giovane col codino cominciò ad imbrogliarsi, complici l’estrema vicinanza alla minore delle Tendo e la propria abituale tensione, che pareva non essere stata sufficientemente indebolita nemmeno dal risucchio d’energia. Ma doveva andare avanti. Come fosse un nemico dei soliti, s’impose di sconfiggere anche la timidezza; e così continuò, sia pure con fare impacciato: “Io volevo dirti che… che…”
Si interruppe di colpo. Non per l’imbarazzo, stavolta. La fidanzata aveva abbassato le palpebre: stava lentamente perdendo conoscenza. Non doveva succedere! “Akane!” La tirò a sé, scuotendola e facendo presa sulle spalle e le braccia e – un momento, cos’era quella cosa che stringeva nel palmo della mano? “Una… fune?” disse, confuso. Akane riaprì gli occhi in quel momento, udendo le parole di Ranma: fissò pure lei la fune, pur senza guardarla veramente, troppo stordita dalla stanchezza che le avvolgeva le membra. Poi, d’un tratto, ricordò. *Che sciocca che sono! Come ho potuto dimenticarmene?*
Il ragazzo con la treccia seguì il percorso tracciato dalla corda.
Scoprì, con propria grande sorpresa, che portava oltre il varco.


A dispetto della gravità della situazione, si sentiva più sereno. Aveva finalmente fatto chiarezza nel proprio cuore. Akane era destinata a Ranma. E Akari lo attendeva. Ma Ryoga non voleva fare del male ad Akari, non voleva che lei fosse una scelta di riserva. Quindi avrebbe lasciato trascorrere un po’ di tempo ancora, perché le ferite del cuore si rimarginassero, evitando di contagiare altri del suo dolore e permettendo la felicità di tutte le persone care.
Non c’era che dire, Ryoga era più buono di quanto egli stesso si fosse valutato. In fondo, il suo animo era generoso. In fondo, non sapeva veramente odiare.
Nemmeno Ranma.
Nonostante tutti i loro diverbi, Ryoga era sempre lì, nel momento del bisogno. Sempre pronto a dare una mano, quando ad esempio il vecchio Happosai aveva reso il giovane Saotome debole come un poppante, o ancora quando il Kashuihu sembrava perduto e Ranma pareva condannato a tenersi per sempre esclusivamente l’aspetto femminile. Per non parlare della lotta contro Safulan. Volta per volta, aveva detto a se stesso che lo faceva per non far soffrire Akane. Ma in fondo non era l’unico motivo. E, forse, era per questo che non si era ancora lanciato nel varco in un tentativo irrazionale di portare via Akane, vanificando quanto lei stessa gli aveva detto.
Si scosse repentinamente. La corda. Quella che Akane aveva prelevato dall’abito di Mousse quando erano usciti all’aperto. Quella corda di cui Akane gli aveva fatto stringere un lembo nel palmo della mano destra, mentre lei si era portata appresso la parte restante, varcando la soglia. Si stava tendendo. Istintivamente, il pugno acuì la stretta. Stava tornando. Ryoga si sentì felice. Si sbalordì, capacitandosi che non era solo per Akane. Anche lui stava tornando. Stava per rientrare prepotentemente nella sua vita. Questo non faceva piacere solo ad Akane.
Si chiese senza un apparente motivo come sarebbe potuta essere la propria esistenza se non avesse conosciuto Ranma Saotome, colui che aveva sempre considerato la causa di tutte le proprie disgrazie. Non riusciva ad immaginarselo. Dopotutto, oltre ad essere l’idiota più bastardo e fanfarone che avesse mai visto sulla faccia della terra, oltre ad essere la persona che l’aveva gettato nella sorgente del maialino affogato, oltre ad essere il terzo incomodo che gli metteva immancabilmente i bastoni fra le ruote quando lui pareva avvicinarsi ad Akane – Ranma Saotome era anche quanto di più vicino avesse mai avuto ad un amico.
Tirò la fune a sé, facendo appello a tutte le proprie energie. Non poté trattenersi dal pregare mentalmente Akane perché gli desse la forza necessaria. Digrignò i denti e contrasse ogni nervo in uno sforzo spasmodico, trattenendo istintivamente il respiro.

“NNNRGH!”

Lo strattone fu violentissimo ed inaspettato. Ranma, che si preparava a compiere l’ultimo sforzo, facendo leva sull’altro capo della medesima corda, nonostante si sentisse ormai allo stremo, fu trascinato attraverso l’ingresso assieme ad Akane. Vennero trainati al di là del varco e caddero malamente, uno sopra all’altro, di fronte agli occhi di un Ryoga prima ansimante, poi soddisfatto per il successo della propria azione, quindi incredulo mentre fissava la scena. Il tutto nel giro di una frazione di secondo.
Le energie vitali tornarono in un attimo ai loro legittimi proprietari. Riprendendo le forze, come se niente fosse accaduto, Ranma pensò vagamente che si trattasse dell’effetto del risucchio. Quindi si pose la domanda. Chi l’aveva tirato a sé? Riconobbe subito i contorni dell’amico-nemico dai lunghi canini. Era rimasto. Anche lui.
Sempre più vero. Ranma non era solo.

“Non fuggire coloro cui vuoi bene, che ti vogliono bene: non si tireranno mai indietro, saranno sempre disposti ad affrontare i tuoi ostacoli insieme a te.”

Ancora altre parole di sua madre che riaffioravano alla memoria. Non potevano essere più appropriate. Erano tutti con lui. Non solo Akane. Pensò a Mousse, che in precedenza lo aveva salvato dall’attacco mortale di una Shampoo senza più volontà. Alzò lo sguardo e vide la vecchia del Nekohanten fronteggiare Shingo, il proprio ki proteso contro i poteri del medaglione: i contendenti erano apparentemente immobili, ma ad affrontarsi erano i loro spiriti, senza che alcuno dei due paresse prevalere sull'altro. Almeno per il momento.
Nessuno di loro si era tirato indietro. E poi… Lo stesso Hibiki era tornato nella caverna, a disprezzo del pericolo, apposta per riportarlo fra loro. Caro vecchio Ryoga! Che compagno di battaglie! Che amico! Che… che cosa gli stava succedendo, ora?
Era letteralmente ricoperto da un’aura terrificante e minacciosa. Le dita delle mani scricchiolavano in modo pericoloso, pronte a colpire come artigli, mentre negli occhi sfavillava una luce indemoniata, che tanto contrastava con le tenebre che sembravano aver avvolto il ragazzo, intriso di energia rabbiosa in tutti i pori del corpo. Che Shingo avesse preso il controllo su di lui? Ma le cose si stavano mettendo molto peggio, per il giovane Saotome.
“Ra… Ra… RAAAAANMAAAAA!”
L’altro sorrise nervosamente.
“C-che ti prende, Ryoga?” chiese.
“Questo dovrei dirlo io a te.” sibilò. “Cosa. Stavi facendo. Ad Akane!”
“…Eh?”
Solo in quell’istante Ranma si accorse della posizione equivoca in cui si trovava. Era finito completamente disteso per terra: più nello specifico, addosso alla fidanzata e continuando a cingerle le braccia. Akane si stava riprendendo a sua volta e, a giudicare dal grado di rossore che era rapidamente subentrato, sul viso, alla pallidezza di un attimo prima, non aveva impiegato troppo tempo ad intendere la situazione.
“Ma no Ryoga… puoi stare tranquillo… non stava affatto succedendo…” tentò di calmarlo lei, ingarbugliandosi con le parole. L’Eterno Disperso la ignorò, concentrando la propria attenzione sull’odiato bastardo col codino. Quel maledetto! Era ancora vivo? Lo sarebbe stato per poco…
“Come hai osato approfittarti della mia bontà d’animo?!” gridò il ragazzo con la bandana, prendendo in disparte Ranma, picchiandolo con forza e, allo stesso tempo, piangendo copiose lacrime. “E tutto questo mentre stavo facendo una riflessione tanto matura e assennata!”
“Ma di cosa stai parlando?!” si ribellò l’altro, pieno di lividi. “E poi non hai capito un bel niente!”
“Davvero? Allora spiegami come mai ti ho trovato abbracciato ad Akane!” ringhiò, furioso.
“Non… non era un abbraccio!” protestò Ranma a sua volta, pur non riuscendo ad impedirsi di arrossire a quel pensiero, che giusto allora aveva cominciato a realizzare nella sua interezza.
“E soprattutto” continuò Hibiki, sporgendo i lunghi canini come se volesse farlo fuori a morsi “dimmi cosa ci facevi sopra di lei!”
“Questo è perché mi ci hai gettato tu, pezzo d’idiota!” gli fece osservare l’altro.

Furono interrotti da un’esplosione.
Si voltarono e videro che Cologne era stata lanciata a terra.
L’equilibrio tra i due contendenti era stato spezzato.
“Per oggi basta così, nonnina.” parlò a denti stretti l’uomo del medaglione, senza mostrare alcun segno apparente di stanchezza.
“Obaba!” esclamarono ad una voce Ranma, Ryoga e Akane.
“Sto… sto bene.” li tranquillizzò lei. Ma, interiormente, era esausta. Si rivolse di nuovo verso Shingo: “Avresti potuto sconfiggermi quando volevi, vero?”
“Già.” ammise sornione quello. “Ma poi come avrei ammazzato il tempo, aspettando che gli amichetti chiamassero Ranma per venire fuori a giocare con me?”
“E va bene!” disse a quattr’occhi il giovane con la bandana, lasciando andare il colletto della camicia cinese dell’altro. “La nostra piccola discussione è momentaneamente rimandata. Abbiamo cose più serie, ora.”
“Bravo Ryoga!” sorrise il ragazzo col codino, con un cenno d’intesa. “Ma mantieni la tua rabbia. Mi sarà più utile che mai, contro Shingo.”
“Ah, sì?” Hibiki lo guardò di sbieco. “Ti sarà utile? Pensavo tu avessi gettato la spugna, Saotome.”
“Pensavi male!” replicò. “Apprezzo moltissimo l’aiuto che mi state dando, ma da qui in poi la mia forza, la mia agilità e la mia intelligenza saranno indispensabili per la vittoria finale.”
“Tutto qui? Nessun’altra qualità?” ironizzò Ryoga, mentre Ranma, incurante, prendeva a dargli alcune indicazioni. Akane puntò un indice alla tempia: il fidanzato si era ripreso piuttosto bene; peccato che non sembrasse conoscere le mezze misure.
“Pare che tu abbia cambiato idea, Ranma Saotome. Non ti eri sottratto alla lotta con una delle tue consuete vigliaccherie, qualche minuto fa?” lo provocò Shingo.
“E’ che non mi andava” disse lui “di lasciartela vinta tanto facilmente. Saprai che non mi piace abbandonare a metà un incontro.”
“Stai attento, consorte!” lo ammonì Cologne. “Ricorda che quello che Shingo vuole è la tua aura.”
“La nonna dice bene.” confermò quello dai capelli color platino. “Comunque, tranquillo. Non te la toglierò prima di averti battuto, concedendoti così la fine molto più gloriosa che hai scelto, affrontandomi invece di fuggire.”
“Vuoi la mia aura?” Ranma si lanciò all’attacco, ulteriormente caricato dalle punzecchiature dell’interlocutore. “E allora vieni a prenderla!”
I due cominciarono a combattere, Ranma sferrando colpi e Shingo limitandosi ancora una volta a schivarli.
“Non mi sembri granché concentrato.” notò il ragazzo col codino.
“Dovrei forse esserlo, lottando contro di te?” lo canzonò nuovamente l’altro.
Saotome sorrise. Quindi, con un agile balzo laterale, si scansò lasciando campo aperto a Ryoga come stabilito. Questa volta Shingo sarebbe stato colto di sorpresa, non avrebbe fatto in tempo a ricorrere al medaglione.
*Se Akane ha passato un brutto quarto d’ora, oltre che di Ranma, la colpa è tua! Purtroppo per te, Shingo, hai però incontrato sulla tua strada un ragazzo piuttosto sfortunato ed infelice... ed ora assaggerai tutta quanta la sua rabbia!* pensò il giovane Hibiki. Dopodichè puntò i palmi in avanti, sprigionando da essi un potente fascio di luce. “Shishi Hokodaaaaaaaan!”
Come previsto da Ranma, l’uomo col Tai-ma no Mamori non schivò il colpo energetico.
Pose una mano in avanti, distesa per tutta la spanna. Parò il raggio di energia e, ripiegando su di sé le falangi, lo modellò come una sfera. Sfera che rilanciò, un istante più tardi, contro il mittente, colpendolo di striscio.
“Ryoga!” esclamò Akane.
“Giusto.” mormorò Cologne. “Shingo può modellare l’energia a suo piacimento. Gli attacchi energetici, contro di lui, sono totalmente inutili.”
“Come stai?” Ranma, colto completamente alla sprovvista da quanto era appena accaduto, si avvicinò all’Eterno Disperso.
“B-bene.” disse. “Ma temo che sconfiggere questo Shingo non sarà come bere un bicchier d’acqua.”
Un bicchier…” il giovane col codino lo fissò per un attimo stranito, come in trance. “Ryoga, non credevo te l’avrei mai detto, ma sei un genio!” esclamò poi.
“A-ah sì?” titubò quello con la bandana, pensando dapprima di aver capito male, poi di aver colpito davvero troppo forte, poco prima, il rivale di sempre.
Shingo notò il mutamento d’espressione nel ragazzo con la camicia cinese e ne fu divertito.
“Sembra che ti sia venuto in mente qualcosa, Saotome. Avanti, fammi vedere cosa sai fare!” lo invitò, adagiando la schiena alla retrostante parete di roccia e incrociando le braccia.
“Gioco. Per lui tutto è un gioco!” disse Cologne. “Se non avesse perso tempo volontariamente, avrebbe già potuto prendere l’aura del consorte poco fa.”
“Sei troppo sicuro di te, maledetto! Ma proprio questa sarà la tua rovina!” sentenziò Ranma. Poi si rivolse agli altri, a voce più bassa: “Come un bicchier d’acqua! Acqua! La vittoria è nostra!”
“E chi sarebbe quello troppo sicuro di sé?” notò Cologne.
Ranma la ignorò. Adesso sapeva cosa fare, ma… C’era un ma. L’acqua era la soluzione. Dove trovarla, però?
L’acqua? Forse Ranma voleva… ma perché mai, si chiese Akane. Improvvisamente un lampo attraversò il suo sguardo: un gesto di Ryoga di qualche minuto prima le era tornato vivido alla mente. Guardò Shingo, guardò la roccia, guardò ancora Shingo. Era proprio quella parete rocciosa. Bene. Ne era certa, avrebbe funzionato.
“Tieniti pronto, Ranma!” disse.
“C-che cosa credi di fare, stupida?!” ebbe appena il tempo di gridarle il fidanzato, prendendola per una spalla e costringendola a guardarlo in faccia.
Quindi lo udì. Il tacito invito che la sua espressione, i suoi occhi, gli angoli della bocca, ogni parte del volto (quella stessa determinazione…!) gli stavano rivolgendo. L’invito a fidarsi di lei.

“Non puoi pretendere di fare tutto da solo.”

L’esitazione che ebbe fu fatale. La terzogenita di casa Tendo ebbe modo di liberarsi della sua presa e lanciarsi in avanti, in posa d’attacco.
“Akaneee!” gridò Ryoga, sconcertato, allungando la mano come per riportarla a sé. Ma il gesto fu tanto teatrale quanto inutile.
Shingo inarcò un sopracciglio. Quella mocciosetta aveva del fegato. E nient’altro, in particolar modo la materia grigia. Di certo, lui non l’avrebbe trattata con maggior riguardo solo perché era una ragazza. Per un momento aveva creduto che avesse qualcosa in mente, ma l’eccessiva irruenza del suo attacco sembrava smentire completamente quest’ipotesi: la fidanzatina di Saotome stava semplicemente avanzando verso di lui a pugni tesi, illudendosi forse di poterlo colpire. La materia grigia le sarebbe stata più utile del fegato, senza dubbio.
Da quel che aveva potuto osservare nel periodo in cui aveva esaminato il ragazzetto col codino che era stato prescelto da Muchitsujo, aveva avuto modo di constatare la rabbia e l’impulsività di quella Akane Tendo che gli stava sempre appresso. No, non c’era niente di premeditato, in lei. Che si sfogasse pure! Shingo pensò che, limitandosi a schivare il rozzo attacco della ragazzina per poi catturarla e farne un prezioso ostaggio, avrebbe raffreddato i bollenti spiriti di Ranma e dei suoi amichetti e girato ulteriormente la situazione a proprio favore.
“Kiiiyaaaah!”
Ancora più facile del previsto. Il grido di battaglia della minore delle Tendo lo avvisò che era il momento giusto. Il medaglione brillò di una luce più viva. Shingo si spostò lateralmente, con noncuranza e non abbandonando al tempo stesso la propria posa sorniona. Akane continuò ad avanzare nell’impeto dell’attacco. Continuando a stringere i pugni, invece di rallentare la corsa, parò le braccia davanti al corpo. Un momento più tardi, si schiantò contro la roccia, per poi ricadere pesantemente a terra per via della forza d’urto.
“Akane!” gridò uno sconvolto Ryoga. Vedendo l’uomo del medaglione voltarsi e camminare lentamente verso di lei, Ranma fu invaso da una sensazione opprimente di nausea. Perché aveva fatto una cosa così folle? E soprattutto, perché lui era stato tanto più folle da averla lasciata andare?!
“Fermo!” intimò istintivamente, accennando a caricare tra i propri palmi un Moko Takabisha. Ma il bastone di Cologne lo bacchettò sulle falangi, fermando l’iniziativa sul nascere.
“Non fare cose avventate, consorte” lo rimproverò. “Adesso Shingo schiverebbe il tuo colpo senza problemi, non così Akane.” La vecchia aveva ragione. Non poteva intervenire, questa volta.
Shingo si chinò verso la giovane Tendo, fissandola con aria sprezzante.
“Era per caso in questo misero modo che volevi sconfiggere il potere di una Divinità suprema, mocciosetta?”
Ancora provata dal colpo ricevuto, Akane faticò a recuperare una posizione tale da permetterle di tornare a guardare in viso l’interlocutore. Quando incontrò lo sguardo della ragazza, Shingo per un momento fu sorpreso dalla risoluzione che traspariva dai suoi occhi.
“Veramente… no.” disse, con un tono inaspettatamente sicuro e controllato. “Era in questo misero modo che volevo sfondare la roccia.”
Per la prima volta, Shingo parve perdere la sicurezza che lo contraddistingueva.
Sfondare la roccia? Dandoci contro a spallate?! “E’ impazzita?!” esclamò Ranma, che certo più volte in passato aveva etichettato la fidanzata come una donna dalla forza erculea; ma quella parete era veramente troppo solida e spessa! Da qui a...
“Ho capito!” la voce di Ryoga sovrastò i suoi pensieri. “Quella è la parete che ho colpito col Bakusai Tenketsu!” In effetti, il punto che Hibiki aveva perforato per far tornare normali Rouge e Taro era poco distante e, quasi sicuramente, il Colpo Esplosivo doveva aver minato la stabilità dell’intera struttura.
Akane udì il gorgoglio dell’acqua, segno che si stava velocemente facendo strada. Era riuscita a fare la propria parte.
*Ranma, non so cosa tu abbia in mente. Ma ora sta solamente a te…*
“Eh?” ebbe appena il tempo di sillabare Ranma, prima che l’intera parete collassasse, permettendo all’acqua di aprirsi un grosso squarcio e di investire sia Akane che Shingo.
Il giovane Saotome capì. *Era questo che voleva fare!* E che aveva fatto. Ora loro avevano finalmente una speranza, avevano…
“Siete impazziti?!” Obaba lo picchiò con violenza, per mezzo del solito bastone. “Adesso sì che siamo tutti spacciati!”
Ranma si massaggiò il capo, trovando che gli faceva meno male del solito: forse stava cominciando ad assuefarsi al legno della vecchia.
“Tutti spacciati?!” ripeté Ryoga. E gli venne in mente che quel tipo era caduto in una delle Sorgenti Maledette. Nella sorgente del dio del Caos, per la precisione.
Shingo si risollevò da terra, l’acqua che gli arrivava alle caviglie defluendo velocemente negli incavi del sottosuolo. Cologne notò che nei suoi occhi non vi era più traccia della calma di prima.
*Che stia perdendo il controllo?* si chiese la vecchia amazzone. *Se è così, non abbiamo più veramente alcuna speranza.*
L’uomo del medaglione si girò freneticamente in ogni direzione, cercando Akane. E la vide, mentre provava a porsi a distanza. Un ghigno più che tenebroso tornò ad alterargli i lineamenti facciali. “Molto bene, ragazzina. Sei riuscita a farmi arrabbiare…”
Ripiegò gli artigli del proprio palmo, come a comprimere uno stretto spazio d’aria, condensando una sfera luminescente di energia. Il Tai-ma no Mamori risplendeva di una luce oltremodo accecante, più di quanto avesse fatto in precedenza.
“Ed ora, purtroppo per te, ne pagherai le conseguenze!” terminò, con un sibilo di voce.
*Ranma!* chiamò mentalmente lei. Ed il fidanzato, con un paio di rapidi balzi, non si fece attendere.
“Fermati! Sono io il tuo avversario!” intimò il ragazzo col codino.
“Allora fermami tu, se ne sei capace.”
“E’ quello che farò!”
Fu in quell’istante. Cologne lo avvertì.
La sua aura stava rapidamente mutando.
*Devi sconfiggerlo a tutti i costi, consorte!* pregò col pensiero. *Devi farcela.
Prima che Shingo perda il controllo.*

   
 
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