PART TWENTY –
“UNITED WE STAND”
Non ricordava di aver mai visto quei luoghi. Gli erano del tutto nuovi, ma ciò
non era determinante. Forse poteva averli visti. Ne aveva visti tanti. Ma non
aveva mai badato eccessivamente all’aspetto estetico delle varie zone da lui
visitate, nel periodo della propria vita in cui vagava col vecchio in lungo e
in largo per il Giappone, in viaggio d’addestramento. Anche volendo, il tempo
in cui si trattenevano in uno stesso posto era sempre troppo poco. E quello che
rimaneva, andava interamente dedicato ai duri, pazzeschi e a volte
completamente assurdi allenamenti ai quali veniva sottoposto.
In ogni caso, quei luoghi gli erano tutt’altro che familiari.
L’unica cosa che poteva stabilire con certezza era che non si trattava di
Nerima, Tokyo.
E la costruzione che s’ergeva imponente di fronte a lui, per quanto avesse
l’aspetto inequivocabile di una palestra, non era assolutamente il Tendo
dojo.
Improvvisamente, notò l’incoerenza dell’intera situazione. Pensò che non si
trovava né nella caverna, né in quella cosa oltre il varco aperto da…
Come aveva potuto scordarsene?! Soprattutto, come era finito, adesso, in un
posto così lontano da Yakuzai? Accennò a battere un pugno contro il palmo
dell’altra mano, rievocando assieme gli ultimi avvenimenti e cercando di
scrollarsi via quella calma tanto poco consona a lui. E si accorse, così
facendo, che non gli era possibile compiere quel gesto. Le sue mani erano
invisibili. Non solo le mani. Tutto il suo corpo era invisibile. Non riusciva a
vedersi in alcuna maniera. E del resto, nemmeno a toccarsi.
*Sono… un fantasma?!* Quell’idea penetrò con brutalità nell’intimo di Ranma,
mozzandogli il respiro – sempre che, a questo punto, lui avesse ancora la
facoltà di respirare.
Poi pensò che tutto questo aveva un senso.
In fin dei conti, lui si era arreso. Perché avrebbe dovuto sorprendersi?
Certo, però, che se lui era veramente morto… beh, si aspettava quantomeno
qualcosa di diverso dal girare ancora sulla terra come uno spirito incorporeo.
Non che si fosse mai posto seriamente, prima d’allora, una qualche domanda sul dopo.
E sicuramente non condivideva le fantasie di altri, per esempio di Ryoga, sul
varcare lo Stige o cose simili. Nonostante ciò, quel contesto non poteva non
metterlo a disagio. Si decise ad esaminare più accuratamente i luoghi
circostanti, confidando di poter ricevere da essi un maggiore chiarimento. La
porta della palestra era solo socchiusa. Accennò a spingerla in avanti con la
mano, ma si trovò a trapassarla con tutto il corpo. Eccola, l’ulteriore conferma.
Era veramente un fantasma. Oppure stava sognando. Nell’uno e nell’altro caso,
non era nella sua realtà.
Si abituò alla diversa illuminazione. Nonostante le finestre che davano
all’esterno, la luce del giorno era quasi interamente sopraffatta dall’enorme
ombra proiettata da una figura dall’autorevole mole. Sopra la divisa da kempo
che avvolgeva la spessa corporatura, due grossi occhi a palla, posti a degna
decorazione di un viso la cui perfetta rotondità era interrotta soltanto da un
paio di baffetti sottili e dalle oltremodo lunghe labbra, fissavano un’area
indefinita di vuoto: come assorti, o meglio, impossibilitati a guardare nella
direzione dell’altra persona presente, posta troppo in basso rispetto
all’omone.
Il dojo yaburi. Ma allora…
Ranma portò lo sguardo in direzione del contendente.
E la vide, anche lei in tenuta da kempo e in posizione di combattimento.
Akane.
Cosa ci faceva lei in quel posto? Se si trattava veramente di un sogno, era fin
troppo assurdo. Possibile che… In quel preciso istante, la terzogenita delle
Tendo si fiondò in avanti, contro l’avversario. L’espressione di questo restò
immutata, mentre parava con facilità l’attacco, sfoderando la propria ricca
collezione di insegne di palestra, inchiodate tra loro a mo’ di catena. Ranma tentò
di scuotersi e di fare ordine nei propri pensieri. Lei era l’altra
Akane? E lui, quindi, si trovava nuovamente nell’universo parallelo? Ma come ci
era potuto finire un’altra volta? E poi, come mai Akane si trovava a faccia a
faccia con… Un momento! Improvvisamente, credette di individuare il nesso
logico. Era stato lui. Quel giorno, al parco. L’aveva spronata a non
arrendersi. E lei aveva, evidentemente, accolto l’invito. Tatewaki Kuno non
avrebbe più pensato a recuperare l’insegna del Tendo dojo, ormai troppo
distratto da altre incombenze. Ma doveva trattarsi necessariamente del senpai?
Un destro. Un calcio. Ancora un altro pugno. Il dojo yaburi continuava a
respingere i colpi della minore delle Tendo, alzando o abbassando la frusta
improvvisata con ambo le mani. Improvvisamente accelerò il gesto. A Ranma parve
quasi un ragazzino che saltava la corda. Un ragazzino un po’ troppo cresciuto,
ovviamente. Il movimento divenne tanto rapido da rendere l’omone quasi
invisibile agli occhi di tutti, per quanto ciò potesse apparire paradossale.
Akane arretrò di qualche passo, sconfortata. Sfondare le difese dell’avversario
sembrava impossibile. Come indovinare il tempo preciso in cui sferrare
l’attacco?
*Non mollare!* l’incitò Ranma, sebbene nessun suono potesse uscire dalle sue
labbra. Per farcela, la fidanzata avrebbe dovuto usare non gli occhi, ma la
mente.
Come se l’avesse udito, Akane chiuse le palpebre. Abbandonò la posizione di
difesa, unendo tutti i suoi sforzi nell’individuare il giusto momento. Qualche
istante. E ripartì alla carica.
Lo scatto fu molto rapido. Ricordando il loro precedente combattimento al
parco, Ranma pensò che il doppio della giovane Tendo era molto più in
forma dell’ultima volta. Doveva essersi allenata. E molto.
L’attacco riuscì a passare oltre la protezione del contendente. Akane sferrò un
potente calcio. Forse era fatta. O forse no. Si accorse di averlo mancato, ma
questo era impossibile. Come poteva mancare un bersaglio tanto grosso? Alzò lo
sguardo. E capì. Il dojo yaburi aveva rapidamente ritratto a sé la catena di
insegne, per poi alzarla in direzione del soffitto e girarla ad una velocità
vorticosa: facendone una sorta di elica, aveva potuto sollevarsi da terra con
un’agilità altrimenti impossibile, vista la propria stazza. Schivato l’attacco,
mantenendo lo sguardo sempre apparentemente fisso nel vuoto, replicò con fare
meccanico, lanciando alcune insegne mentre era ancora sospeso in aria. Akane si
girò con riflessi pronti e le scansò a sua volta.
L’omone atterrò di nuovo sul pavimento. Riunì di nuovo le insegne e, questa
volta con una sola mano, le roteò a spirale attorno a sé, adoperandole, con una
grazia inaspettata, similmente ad un nastro da ginnastica ritmica. Un’altra
tecnica? Ranma ricordava che quel tipo sapeva destreggiarsi molto bene con le
insegne; ma non aveva avuto l’occasione di osservare tutto ciò, l’ultima volta
che lo aveva affrontato. Evidentemente, l’aveva messo al tappeto troppo presto.
Anche Akane avrebbe dovuto sbrigarsi, prima che quello sfoderasse le sue carte
migliori.
Forse, però, l’asso nella manica era stato appena estratto. Ogni tanto, il dojo
yaburi lasciava che un’insegna si staccasse dalla catena, sfrecciando contro
l’avversaria con una forte accelerazione. Akane scansò il primo proiettile. E
il secondo. Ma i successivi arrivarono ancora più veloci ed in rapida sequenza.
Fu dapprima colpita di striscio, poi presa in pieno ad un braccio.
*Akane!*
A quel punto, Ranma non poté più trattenersi. Fantasma o non fantasma, doveva
fare qualcosa. Un metodo per fermare quella giostra infernale forse, anzi sicuramente
c’era, ma di certo non poteva attuarlo lui di persona né, come ovvio,
comunicarlo ad Akane. Si lanciò allora verso di lei – quella stupida si era
intestardita a voler parare le insegne per contrattaccare, piuttosto che farsi
indietro – con l’intenzione di gettarla a terra e farle da scudo. Aveva perso
la lucidità necessaria per figurarsi quello che sarebbe seguito. Si trovò ad
attraversare il corpo della fidanzata da parte a parte e, quindi, carambolare
per terra. Akane dovette aver percepito qualcosa, perché girò la testa,
confusa, in più direzioni. Poi sembrò come colta da un’illuminazione.
Il ragazzo con il codino ebbe appena il tempo di rialzarsi e scorgere la determinazione
che sfavillava dentro di lei, rischiarando le iridi nocciola.
La giovane raccolse un’insegna da terra. Accennò un sorriso: per una strana
combinazione, era proprio quella che recava l’ideogramma Tendo. Prese la mira.
E stavolta colpì il bersaglio.
Ranma la fissò sbigottito. Gli aveva letto nella mente? Era stato durante quel
loro contatto… quel loro non-contatto di pochi attimi prima? La mano che
reggeva la catena di insegne era stata colpita e costretta a mollare la presa.
La catena era andata dissolta e le insegne si erano abbattute sul dojo-yaburi
in rapida successione, stordendolo. Infine Akane si lanciò contro di lui,
centrandolo nei punti vitali. L’omone tracollò al suolo, privo di sensi.
Aveva vinto. Akane ce l’aveva fatta. Aveva riconquistato l’insegna. Aveva risistemato
le cose. Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente di Ranma. Non
era vero. Non aveva cambiato le cose in peggio. Le sue interferenze non
erano state dannose come credeva. Forse, anche nel proprio mondo… Si era
convinto che solo la sua assenza avrebbe potuto portare qualcosa di positivo. E
se non fosse stato vero nemmeno questo?
“Ranma…”
Sussultò, colto alla sprovvista. Akane lo aveva chiamato? Poteva vederlo?
“Ranma…”
Si girò, per incontrare il suo sguardo. Ma non riusciva più a scorgerla da
nessuna parte. In verità, faceva sempre più fatica a distinguere ogni cosa. I
contorni divennero ombre. E la nebbia andò velocemente sostituendosi alla piena
percezione della realtà.
“Ranma!”
Cologne puntò un’ultima volta,
con la coda dell’occhio, in direzione dell’entrata del varco. Non ce l’avevano
fatta. Aveva compreso subito che Ryoga e Akane intendevano tirare fuori di lì
il consorte. Ma sembrava che avessero fallito.
“Bene, nonnina.” disse l’interlocutore. “Spero che non mi giudicherai un maleducato,
se ora interrompo la nostra deliziosa conversazione. Come saprai, ho un’aura
che mi aspetta.”
L’uomo accennò a dirigersi verso lo squarcio della materia. L’anziana amazzone
intese che non rimaneva che l’ultimo tentativo: se non altro, per guadagnare
ancora ulteriore tempo e permettere, almeno ai due ragazzi, di salvarsi. Sempre
che per qualcuno rimanesse la sola speranza di salvarsi, una volta che
il tipo del medaglione avesse preso il sopravvento.
“Non lo farai!” gli si pose davanti. “Non prima di avermi affrontato.”
Shingo accennò un sorriso, mentre scostava una ciocca della chioma riflesso del
platino.
“Non sia mai che rifiuti l’invito di una gentile signora, per quanto un tantino
troppo matura per i miei gusti.” Poi tornò serio. “Ammiro il tuo coraggio,
nonna. Ma sei più consapevole di me di quanto ti sarà inutile.”
“Lo verificheremo subito!” replicò Cologne. Un momento dopo, manifestò
all’esterno la propria intera energia spirituale, indirizzandola poi, con un
cenno del nodoso bastone, contro l’avversario. Ovviamente non poteva competere
con i poteri in suo possesso. Questo era fuor di dubbio. Ma lei aveva qualche
decennio di esperienza in più, rispetto a Shingo. D’altronde, si trattava pur
sempre di un moccioso che usurpava le doti di esseri a lui infinitamente
superiori. Avrebbe dovuto dimostrare di saperle padroneggiare. Di esserne
degno.
Badando a non mollare la presa, Ryoga si lasciò sfuggire un fiotto della
tensione che gli attanagliava, da ormai troppi minuti, il corpo e, soprattutto,
l’animo. Questo bastò a rischiarargli il cuore. E sospirò.
Ormai era rassegnato. Sapeva che le cose non cambiavano mai, tra di loro.
Il mondo circostante poteva venire stravolto da qualunque avvenimento, ma ogni
fatto sembrava toccarli solo indirettamente. Loro vi prendevano parte, certo,
ma venivano in realtà appena sfiorati dagli eventi. E niente pareva intaccare
lo strano equilibrio del gruppo. Ora, cosa stava accadendo davanti ai suoi
occhi? Fece mente locale. Ah, sì. Un tizio che riuniva in sé i poteri di due
antiche divinità era determinato ad usarli per ridurre l’umanità intera sotto
il giogo del Caos, o perlomeno qualcosa di simile. Non avevano reagito poi così
diversamente del solito, di fronte a ciò.
Ranma aveva affrontato il nuovo avversario con la solita spavalderia. La dolce
Akane stava mettendo in pericolo la sua vita per tirare quel maledetto
incosciente fuori dei guai. Mousse faceva altrettanto per l’ingrata Shampoo. E
poi… relegato come di consueto sullo sfondo, c’era il solito poveraccio. Quel
tale Ryoga Hibiki, innamorato perso di una ragazza che non lo vedeva se non
come un amico e che non si rivolgeva a lui se non per chiedergli di
unirsi a lei nel tentativo di soccorrere l’altro. E quel
poveraccio che ubbidiva ciecamente. Complimenti per l’originalità del copione…
No. Interruppe la sua preghiera mentale affinchè quel bastardo di Ranma si
facesse salvare senza tante storie – e soprattutto, in tempo perché Akane non
corresse chissà quali pericoli – per fare quella constatazione. No. Non era
vero che le cose non cambiavano mai, per loro. In lui stavano cambiando, ad
esempio. Da Jusendo, molte cose erano cambiate per lui.
Stava cominciando ad accettarlo. Ogni momento, ogni istante che Ryoga aveva la
fortuna di condividere con Akane, sia che fosse uomo, sia che si trovasse nel
corpicino – oggetto di ben maggiori attenzioni – di P-chan, lei era sempre da
un’altra parte, lontana da lui. Quella parte era sempre la stessa, a dire il
vero. E aveva un nome. Ranma. Per saperlo, Hibiki lo sapeva da fin troppo
tempo. Adesso, però, stava cominciando a capirlo e, innanzitutto, si era
reso conto che doveva essere lui stesso a compiere il primo passo per spezzare
l’equilibrio e provare a costruirsi finalmente la sua porzione di felicità. La
strada che portava ad Akane si era rivelata un vicolo cieco.
Perché farsi tanto male?! Quando, del resto, un’altra via la stava percorrendo
già da un po’ di tempo. Sapeva che non era giusto farlo senza aver distolto lo
sguardo da quella precedente, eppure era stato più forte di lui. Si era
avventurato da tempo verso quel sentiero chiamato Akari Unryu, solo che aveva
continuato a tentare di non perdere di vista Akane. Sapeva che non era per
niente giusto. Ma non poteva smettere di amare Akane da un giorno all’altro. Nessuno
poteva chiedergli questo. Lei era stato il primo volto gentile con lui, da che
ricordasse.
Per girare le spalle ed incamminarsi definitivamente verso il nuovo viaggio,
avrebbe dovuto abbandonare ogni esitazione. Ci stava provando con tutta la sua
buona volontà, fin da quando aveva ricevuto l’invito al loro matrimonio.
Eppure i suoi souvenir per Akari continuavano a scadere prima che lui potesse
raggiungere la destinazione; eppure i suoi passi continuavano a tradirlo,
portandolo nei pressi dell’abitazione dei Tendo. Non poteva continuare a tenere
il piede in due staffe. Ma non poteva nemmeno dimenticare Akane da un giorno
all’altro. Ciò non cambiava il suo destino. Lo ritardava, semmai. Il giovane
Hibiki era sicuro che, prossimo o remoto, il suo futuro sarebbe stato in ogni
caso con Akari Unryu.
Anche perché i fatti parlavano chiaro. Akane amava Ranma. Che la cosa fosse
reciproca, era molto meno scontato. Ma i fatti avevano parlato anche qui più
volte, in special modo da Ryugenzawa in avanti. Quando quei due fossero
finalmente cresciuti, ammettendo una buona volta la realtà delle cose, Ryoga si
sarebbe defilato e avrebbe cambiato definitivamente strada.
Fino a quel momento, avrebbe fatto ancora tutto il possibile per vegliare su
Akane. E la cosa più importante, adesso, era un’altra. Quel dannato di Ranma
non doveva prepararsi a morire, per questa volta. Che non si
permettesse! Avrebbe fatto soffrire Akane… Ed ormai Ryoga, che, prima di
lasciare il proprio primo amore per accantonarlo in un cantuccio speciale del
cuore, intendeva assicurarsi della sua felicità, sapeva benissimo che questa
sarebbe stata possibile solo se Ranma fosse stato ancora vivo.
Era ancora vivo. Lo percepiva benissimo, ora. Così come percepiva lei.
Udiva la sua voce che lo chiamava, come pochi attimi prima. Ma non era la
stessa cosa. Stavolta era diverso. Ancora non la vedeva, ma sentiva il suo
tiepido respiro. Avvertiva il lieve, appena accennato contatto con la sua
pelle.
Akane.
La sua Akane.
Ne era sicuro. Non poteva sbagliarsi. Era probabilmente chinata accanto a lui;
e di ciò gli forniva una chiara conferma quello stesso contatto, che andava
facendosi via via più accentuato. In effetti, la fidanzata lo stava
letteralmente scuotendo da una parte all’altra, in maniera non molto ortodossa,
presumibilmente con l’intenzione di fargli riprendere coscienza – per quanto
stesse, di fatto, producendo quasi l’effetto opposto.
Eppure, giudicò Ranma, poca era – relativamente ai canoni del maschiaccio – la
forza che metteva nel gesto. Forse era rassegnata. O più probabilmente… Fu così
che il ragazzo con il codino rammentò, all'improvviso, l’insidia di quel luogo.
E una domanda gli sorse spontanea. Come faceva lui ad essere di nuovo
cosciente? Era convinto di aver esaurito tutte le sue forze.
“Ranma…” continuava lei, nel frattempo, con voce sempre più bassa e spezzata.
“Smettila… di fingere… lo so che sei sveglio… scemo!... Ti prego… Svegliati!...
Ranma!” esclamò infine, in un ultimo impeto che assomigliò più ad un
singhiozzo.
Non era il momento di pensare ai come ed ai perché. Nella sua
voce colse tutta la sofferenza che provava; e questo, il ragazzo con la treccia
non poté sopportarlo. Si sforzò di sollevare le palpebre e di risponderle.
“Aka… ne…”
“R-ranma…” lo fissò con gli occhi colmi di commozione. “Sei… sei…” non riuscì a
proseguire. Si voltò di scatto e si asciugò alla meglio le lacrime che le
imperlavano il viso. Le lacrime che aveva versato in precedenza, quando l’aveva
scacciata da sé. Forse non solo quelle.
“Akane...” fu, quindi, lui a ripetere, recuperando una posizione più composta.
“Perché lo hai fatto?!”
“Fatto cosa?” domandò confusa, tornando a guardarlo in volto. Non capiva.
“Come mai sei tornata?” completò Ranma, con affanno. Non era riuscito a
concludere la frase. E non perché gliene mancasse la forza. Voleva chiederle il
motivo per cui fosse tornata nonostante quello che le aveva detto. Voleva
chiederle per quale ragione non sembrasse più arrabbiata con lui, l’unica volta
che avrebbe avuto piena ragione di esserlo. Tuttavia credeva di averla
convinta, prima.
Effettivamente c’era riuscito. Pochi minuti indietro, Akane stava correndo
verso lo squarcio che dava alla loro realtà, fermamente decisa a non guardarsi
alle spalle. Ma, una volta giunta all’ingresso, aveva esitato. Per un momento,
le era come venuto meno il respiro. Stava realizzando che era davvero tutto
finito. Nondimeno non poteva rimanere impalata, doveva imporre a se stessa
quell’ultimo sforzo. L’idea di essere considerata un impiccio fu più forte di
ogni altra cosa e la minore delle Tendo si accinse, così, a varcare la soglia.
Fu in quel momento che se ne accorse. Trovandosi nel preciso confine tra i due
mondi, ora poteva avvertirlo nitidamente. Qualcosa di simile ad un risucchio.
Qualcosa che le trascinava via, verso l’esterno, l’energia che aveva in corpo,
con un meccanismo che ricordava vagamente l’Happo goen-satsu della
professoressa Hinako. Improvvisamente comprese il motivo della propria perdita
di conoscenza di poco prima. Lei non sveniva tanto facilmente. Era quel posto.
In qualche modo, succhiava l’energia vitale. Ma se le cose stavano così… prima
Ranma l’aveva mandata via per…
“Se ti riferisci a poco fa, è che ho capito!” disse al fidanzato, con
un’espressione grave. “Ho capito il vero motivo per cui non dovevo restare qui.
Ma questo non cambia nulla. Anzi…” esitò appena, quasi raccogliendo le parole.
“A maggior ragione, non potevo lasciarti…”
A Ranma mancò un battito. Akane gli si avvicinò ulteriormente, rompendo la già
ridotta distanza che li separava. Lo guardò dritto in viso, così che il giovane
Saotome poté pienamente specchiarsi e perdersi nei suoi profondi occhi. Erano
ancora addolorati, certamente; ma non vi scorgeva più quel rancore di prima,
quel rancore da lui tanto temuto.
“Non potevo!” ripetè. “Non potevo lasciarti senza poterti almeno prima dire
che…” si zittì per un lungo, interminabile momento. E il cuore del ragazzo
credette di scoppiare.
Quindi, lei socchiuse nuovamente le labbra.
“Che sei uno stupido egoista!”
Ranma si riscosse, come da un sogno ad occhi aperti.
“C… che cosa?” esclamò, tra l’attonito e il risentito.
Era così che lo accoglieva?! A sentirsi dare da lei dello stupido si era
abituato da tempo, ed infatti non vi aveva quasi posto caso. Ma in quanto all’egoista…
Lui si sacrificava e questo era il ringraziamento?! Certo non pretendeva di
essere ringraziato, però era pure vero che un po’ di gratitudine non avrebbe
affatto guastato. Ranma aveva rinunciato a tutto per le persone cui teneva. Questo,
per la fidanzata, sarebbe stato segno di egoismo? Forse Akane avrebbe
dovuto dare un’occhiata al dizionario.
“Hai sentito bene!” la fidanzata rincarò la dose, alzando il tono. “Sei il
solito stupido! Ed egoista! E non è solo per avermi mentito, per essere stato
falso con me ancora una volta! E’ soprattutto perché…”
“Lasciami indovinare!” la interruppe lui, ormai completamente indispettito.
“Perché ho fatto il massimo che potevo per salvarvi la vita? E’ per questo?!”
urlò con maggior forza.
“Proprio così!” gridò lei di rimando.
“Magnifico!” commentò sarcasticamente. “Adesso sì che tutto ha un senso! Come
ho potuto non accorgermi di essere un dannato egoista?!” enfatizzò, alzando le
braccia al cielo.
“Egoista ed egocentrico!... Ed anche un completo idiota, visto che non hai
capito un bel niente di quello che ti ho detto!”
“Ha parlato quella che capisce sempre tutto, che non fraintende mai ogni
mia azione!”
“Se succede, è comunque colpa tua! Sei tu l’idiota!”
“BENE!”
“PERFETTO!”
Come per un tacito accordo, smisero entrambi di sbraitare. Dal momento che
quella discussione stava velocemente degenerando, perdendo come al solito il
senso originario. Ma soprattutto perché avevano speso troppe forze, per
sovrastarsi l’un l’altro. Il risucchio di energia contribuì non poco a far
recuperare loro la calma.
Akane fu la prima a ritrovare la giusta lucidità. Inspirò. Sospirò. E riprese a
parlare, questa volta con un tono più sommesso:
“Sei un egocentrico perché… perché vuoi essere sempre tu. Da solo. Tu, quello
che salva la situazione. Tu, quello che si sacrifica… Tu, sempre tu! Si può
sapere chi credi mai di essere?”
Quella domanda colpì Ranma nel profondo, al di là dell’autentico significato
con cui la minore delle Tendo l’aveva proferita.
“Chi credo di essere?… io sono la causa di tutto questo.” mormorò,
sopraffatto dai sensi di colpa, che non persero l’occasione di riemergere tutti
assieme. “E’ per colpa mia se… se ora state rischiando così tanto… Ed è colpa
mia se tu…”
“Lo vedi che sei uno stupido?!” fu la fidanzata, in questo caso, ad
interromperlo; e lo stupido, questa volta, fu pronunciato senza rabbia.
“Sempre e comunque al centro dell’attenzione! O ti senti il superuomo
invincibile, o la causa dei mali dell’intera umanità. Ma sbagli in entrambi i
casi: non sei né l’una né l’altra cosa… e quindi non puoi pretendere di fare
tutto da solo…”
L’affanno nel respiro aumentava velocemente, ma questo non impedì ad Akane di
concludere:
“Perché tu non sei solo.”
Questo, intendeva? Gli vennero in mente le parole di sua madre. Meglio, non
proprio lei. Ma la Nodoka Saotome che aveva incontrato nell’universo parallelo.
“Ranma…”
“Ecco… io…”
“Non dire niente… Non ho intenzione di chiederti perché ci lasci in questo
modo, né dove sei diretto: sappi solo che non è mai bene cercare la solitudine,
per risolvere i problemi che ci angustiano…”
Era vero. Non era solo. Era tanto vero questo, quanto non lo era il fatto che
la sua presenza portasse unicamente il caos. E, per completare il quadro, lui
era veramente uno stupido. Uno stupido per avere capito tutto ciò solo allora,
quando ormai era troppo tardi per cambiare la situazione.
Paradossalmente, i fatti avevano finito per prendere una piega positiva proprio
là dove lui aveva maggiormente interferito. E rinunciando ad essere se stesso,
aveva permesso che nel suo mondo, al contrario, le cose volgessero verso il
peggio. Dopotutto, il proprio sacrificio non avrebbe impedito a Shingo di
portare a termine i suoi piani. Ed in quanto ad Akane, era troppo tardi anche
per lei. Ma quest’ultimo dato di fatto, l’inconscio si rifiutava di ammetterlo.
“Hai ragione…” ammise, non con poco sforzo, chinando il capo. “Ma” si girò di
scatto, cogliendola di sorpresa, mentre l’afferrava di nuovo per la vita “di
noi due rimani tu la più stupida, se non te ne vai subito!”
Akane intese che il ragazzo con il codino stava provando ancora a trasferirle
la sua energia vitale. Questa volta, però, non gliel’avrebbe permesso. Imitò il
gesto di Ranma, tentando di attuare la stessa tecnica – facilitata dal fatto
che avvertiva, non senza che ciò le provocasse un fremito, i precisi punti di
pressione sulla propria stessa pelle. E ci riuscì.
“Cosa fai, Akane?!” esclamò lui, impossibilitato ad impedire la sua manovra.
Dunque era stata lei, anche prima, a fargli riprendere i sensi? A questo punto,
era una seria possibilità.
“Quel discorso sull’egocentrismo.” ribattè la minore delle Tendo. “Ti impedisco
di fare l’eroe… non se non torni anche tu!”
Entrambi percepirono chiaramente la loro energia fluttuare dall’uno all’altro,
in un circolo vizioso. E rendendo il tutto completamente vano, dato che
continuava comunque a disperdersi, aspirata dallo stesso varco che avrebbe
dovuto costituire la via di salvezza.
“Cocciuta come sempre…” mormorò Ranma, che cominciava a rassegnarsi.
“Imparo dal maestro…” provò a scherzare lei. La stanchezza stava prendendo il
sopravvento ed i due fidanzati si accasciarono quasi contemporaneamente al
suolo – se così si poteva definire la strana superficie del non-luogo in cui si
trovavano.
“Akane… mi dispiace!” mormorò ancora il ragazzo. “Per tutto quanto.“
“Ora non ricominciare… da capo…” fece lei, mentre impallidiva a vista d’occhio.
“E poi…” continuò, con un filo di voce, accennando stentatamente un sorriso “e
poi a me va bene così…”
Non per lui. Era troppo ingiusto. Ranma fantasticò per un momento di tentare il
tutto per tutto, issare Akane su di sé e cercare di raggiungere il varco. Ma le
forze non erano sufficienti. E capì improvvisamente di avere pochissimo tempo.
Per dirle quelle parole che ormai troppe volte, in passato, gli erano morte in
gola. A Jusenkyo. Nella realtà parallela. Sapeva che non avrebbe avuto un’altra
occasione. “E’ solo che” riprese “avrei voluto saperti proteggere…”
“Ranma…” Akane sorrise di nuovo, debolmente.
“Ascoltami… è da molto tempo che… che io…” A questo punto il giovane col codino
cominciò ad imbrogliarsi, complici l’estrema vicinanza alla minore delle Tendo
e la propria abituale tensione, che pareva non essere stata sufficientemente
indebolita nemmeno dal risucchio d’energia. Ma doveva andare avanti. Come fosse
un nemico dei soliti, s’impose di sconfiggere anche la timidezza; e così
continuò, sia pure con fare impacciato: “Io volevo dirti che… che…”
Si interruppe di colpo. Non per l’imbarazzo, stavolta. La fidanzata aveva
abbassato le palpebre: stava lentamente perdendo conoscenza. Non doveva
succedere! “Akane!” La tirò a sé, scuotendola e facendo presa sulle spalle e le
braccia e – un momento, cos’era quella cosa che stringeva nel palmo della mano?
“Una… fune?” disse, confuso. Akane riaprì gli occhi in quel momento, udendo le
parole di Ranma: fissò pure lei la fune, pur senza guardarla veramente, troppo
stordita dalla stanchezza che le avvolgeva le membra. Poi, d’un tratto,
ricordò. *Che sciocca che sono! Come ho potuto dimenticarmene?*
Il ragazzo con la treccia seguì il percorso tracciato dalla corda.
Scoprì, con propria grande sorpresa, che portava oltre il varco.
A dispetto della gravità della situazione, si sentiva più sereno. Aveva
finalmente fatto chiarezza nel proprio cuore. Akane era destinata a Ranma. E
Akari lo attendeva. Ma Ryoga non voleva fare del male ad Akari, non voleva che
lei fosse una scelta di riserva. Quindi avrebbe lasciato trascorrere un po’ di
tempo ancora, perché le ferite del cuore si rimarginassero, evitando di
contagiare altri del suo dolore e permettendo la felicità di tutte le persone
care.
Non c’era che dire, Ryoga era più buono di quanto egli stesso si fosse
valutato. In fondo, il suo animo era generoso. In fondo, non sapeva veramente
odiare.
Nemmeno Ranma.
Nonostante tutti i loro diverbi, Ryoga era sempre lì, nel momento del
bisogno. Sempre pronto a dare una mano, quando ad esempio il vecchio Happosai
aveva reso il giovane Saotome debole come un poppante, o ancora quando il
Kashuihu sembrava perduto e Ranma pareva condannato a tenersi per sempre
esclusivamente l’aspetto femminile. Per non parlare della lotta contro Safulan.
Volta per volta, aveva detto a se stesso che lo faceva per non far soffrire
Akane. Ma in fondo non era l’unico motivo. E, forse, era per questo che non si
era ancora lanciato nel varco in un tentativo irrazionale di portare via Akane,
vanificando quanto lei stessa gli aveva detto.
Si scosse repentinamente. La corda. Quella che Akane aveva prelevato dall’abito
di Mousse quando erano usciti all’aperto. Quella corda di cui Akane gli aveva
fatto stringere un lembo nel palmo della mano destra, mentre lei si era portata
appresso la parte restante, varcando la soglia. Si stava tendendo.
Istintivamente, il pugno acuì la stretta. Stava tornando. Ryoga si sentì
felice. Si sbalordì, capacitandosi che non era solo per Akane. Anche lui
stava tornando. Stava per rientrare prepotentemente nella sua vita. Questo non
faceva piacere solo ad Akane.
Si chiese senza un apparente motivo come sarebbe potuta essere la propria
esistenza se non avesse conosciuto Ranma Saotome, colui che aveva sempre
considerato la causa di tutte le proprie disgrazie. Non riusciva ad
immaginarselo. Dopotutto, oltre ad essere l’idiota più bastardo e fanfarone che
avesse mai visto sulla faccia della terra, oltre ad essere la persona che
l’aveva gettato nella sorgente del maialino affogato, oltre ad essere il terzo
incomodo che gli metteva immancabilmente i bastoni fra le ruote quando lui
pareva avvicinarsi ad Akane – Ranma Saotome era anche quanto di più vicino
avesse mai avuto ad un amico.
Tirò la fune a sé, facendo appello a tutte le proprie energie. Non poté
trattenersi dal pregare mentalmente Akane perché gli desse la forza necessaria.
Digrignò i denti e contrasse ogni nervo in uno sforzo spasmodico, trattenendo
istintivamente il respiro.
“NNNRGH!”
Lo strattone fu violentissimo ed inaspettato. Ranma, che si preparava a
compiere l’ultimo sforzo, facendo leva sull’altro capo della medesima corda,
nonostante si sentisse ormai allo stremo, fu trascinato attraverso l’ingresso
assieme ad Akane. Vennero trainati al di là del varco e caddero malamente, uno
sopra all’altro, di fronte agli occhi di un Ryoga prima ansimante, poi
soddisfatto per il successo della propria azione, quindi incredulo mentre
fissava la scena. Il tutto nel giro di una frazione di secondo.
Le energie vitali tornarono in un attimo ai loro legittimi proprietari.
Riprendendo le forze, come se niente fosse accaduto, Ranma pensò vagamente che
si trattasse dell’effetto del risucchio. Quindi si pose la domanda. Chi l’aveva
tirato a sé? Riconobbe subito i contorni dell’amico-nemico dai lunghi canini.
Era rimasto. Anche lui.
Sempre più vero. Ranma non era solo.
“Non fuggire coloro cui vuoi bene, che ti vogliono bene: non si tireranno
mai indietro, saranno sempre disposti ad affrontare i tuoi ostacoli insieme a
te.”
Ancora altre parole di sua madre che riaffioravano alla memoria. Non potevano
essere più appropriate. Erano tutti con lui. Non solo Akane. Pensò a Mousse,
che in precedenza lo aveva salvato dall’attacco mortale di una Shampoo senza
più volontà. Alzò lo sguardo e vide la vecchia del Nekohanten fronteggiare
Shingo, il proprio ki proteso contro i poteri del medaglione: i contendenti
erano apparentemente immobili, ma ad affrontarsi erano i loro spiriti, senza
che alcuno dei due paresse prevalere sull'altro. Almeno per il momento.
Nessuno di loro si era tirato indietro. E poi… Lo stesso Hibiki era tornato
nella caverna, a disprezzo del pericolo, apposta per riportarlo fra loro. Caro
vecchio Ryoga! Che compagno di battaglie! Che amico! Che… che cosa gli stava
succedendo, ora?
Era letteralmente ricoperto da un’aura terrificante e minacciosa. Le dita delle
mani scricchiolavano in modo pericoloso, pronte a colpire come artigli, mentre
negli occhi sfavillava una luce indemoniata, che tanto contrastava con le
tenebre che sembravano aver avvolto il ragazzo, intriso di energia rabbiosa in
tutti i pori del corpo. Che Shingo avesse preso il controllo su di lui? Ma le
cose si stavano mettendo molto peggio, per il giovane Saotome.
“Ra… Ra… RAAAAANMAAAAA!”
L’altro sorrise nervosamente.
“C-che ti prende, Ryoga?” chiese.
“Questo dovrei dirlo io a te.” sibilò. “Cosa. Stavi facendo. Ad Akane!”
“…Eh?”
Solo in quell’istante Ranma si accorse della posizione equivoca in cui si
trovava. Era finito completamente disteso per terra: più nello specifico,
addosso alla fidanzata e continuando a cingerle le braccia. Akane si stava
riprendendo a sua volta e, a giudicare dal grado di rossore che era rapidamente
subentrato, sul viso, alla pallidezza di un attimo prima, non aveva impiegato
troppo tempo ad intendere la situazione.
“Ma no Ryoga… puoi stare tranquillo… non stava affatto succedendo…” tentò di
calmarlo lei, ingarbugliandosi con le parole. L’Eterno Disperso la ignorò,
concentrando la propria attenzione sull’odiato bastardo col codino. Quel
maledetto! Era ancora vivo? Lo sarebbe stato per poco…
“Come hai osato approfittarti della mia bontà d’animo?!” gridò il ragazzo con
la bandana, prendendo in disparte Ranma, picchiandolo con forza e, allo stesso
tempo, piangendo copiose lacrime. “E tutto questo mentre stavo facendo una
riflessione tanto matura e assennata!”
“Ma di cosa stai parlando?!” si ribellò l’altro, pieno di lividi. “E poi non
hai capito un bel niente!”
“Davvero? Allora spiegami come mai ti ho trovato abbracciato ad Akane!”
ringhiò, furioso.
“Non… non era un abbraccio!” protestò Ranma a sua volta, pur non riuscendo ad
impedirsi di arrossire a quel pensiero, che giusto allora aveva cominciato a
realizzare nella sua interezza.
“E soprattutto” continuò Hibiki, sporgendo i lunghi canini come se volesse
farlo fuori a morsi “dimmi cosa ci facevi sopra di lei!”
“Questo è perché mi ci hai gettato tu, pezzo d’idiota!” gli fece osservare
l’altro.
Furono interrotti da un’esplosione.
Si voltarono e videro che Cologne era stata lanciata a terra.
L’equilibrio tra i due contendenti era stato spezzato.
“Per oggi basta così, nonnina.” parlò a denti stretti l’uomo del medaglione,
senza mostrare alcun segno apparente di stanchezza.
“Obaba!” esclamarono ad una voce Ranma, Ryoga e Akane.
“Sto… sto bene.” li tranquillizzò lei. Ma, interiormente, era esausta. Si
rivolse di nuovo verso Shingo: “Avresti potuto sconfiggermi quando volevi,
vero?”
“Già.” ammise sornione quello. “Ma poi come avrei ammazzato il tempo, aspettando
che gli amichetti chiamassero Ranma per venire fuori a giocare con me?”
“E va bene!” disse a quattr’occhi il giovane con la bandana, lasciando andare il
colletto della camicia cinese dell’altro. “La nostra piccola discussione
è momentaneamente rimandata. Abbiamo cose più serie, ora.”
“Bravo Ryoga!” sorrise il ragazzo col codino, con un cenno d’intesa. “Ma
mantieni la tua rabbia. Mi sarà più utile che mai, contro Shingo.”
“Ah, sì?” Hibiki lo guardò di sbieco. “Ti sarà utile? Pensavo tu avessi
gettato la spugna, Saotome.”
“Pensavi male!” replicò. “Apprezzo moltissimo l’aiuto che mi state dando, ma da
qui in poi la mia forza, la mia agilità e la mia intelligenza saranno
indispensabili per la vittoria finale.”
“Tutto qui? Nessun’altra qualità?” ironizzò Ryoga, mentre Ranma, incurante,
prendeva a dargli alcune indicazioni. Akane puntò un indice alla tempia: il
fidanzato si era ripreso piuttosto bene; peccato che non sembrasse conoscere le
mezze misure.
“Pare che tu abbia cambiato idea, Ranma Saotome. Non ti eri sottratto alla
lotta con una delle tue consuete vigliaccherie, qualche minuto fa?” lo provocò
Shingo.
“E’ che non mi andava” disse lui “di lasciartela vinta tanto facilmente. Saprai
che non mi piace abbandonare a metà un incontro.”
“Stai attento, consorte!” lo ammonì Cologne. “Ricorda che quello che Shingo
vuole è la tua aura.”
“La nonna dice bene.” confermò quello dai capelli color platino. “Comunque,
tranquillo. Non te la toglierò prima di averti battuto, concedendoti così la
fine molto più gloriosa che hai scelto, affrontandomi invece di fuggire.”
“Vuoi la mia aura?” Ranma si lanciò all’attacco, ulteriormente caricato dalle
punzecchiature dell’interlocutore. “E allora vieni a prenderla!”
I due cominciarono a combattere, Ranma sferrando colpi e Shingo limitandosi
ancora una volta a schivarli.
“Non mi sembri granché concentrato.” notò il
ragazzo col codino.
“Dovrei forse esserlo, lottando contro di te?” lo canzonò
nuovamente l’altro.
Saotome sorrise. Quindi, con un agile balzo laterale, si
scansò lasciando campo aperto a Ryoga come stabilito. Questa volta Shingo
sarebbe stato colto di sorpresa, non avrebbe fatto in tempo a ricorrere al medaglione.
*Se Akane ha passato un brutto quarto d’ora, oltre che di Ranma, la colpa è
tua! Purtroppo per te, Shingo, hai però incontrato sulla tua strada un ragazzo
piuttosto sfortunato ed infelice... ed ora assaggerai tutta quanta la sua
rabbia!* pensò il giovane Hibiki. Dopodichè puntò i palmi in avanti,
sprigionando da essi un potente fascio di luce. “Shishi Hokodaaaaaaaan!”
Come previsto da Ranma, l’uomo col Tai-ma no Mamori non schivò il colpo
energetico.
Pose una mano in avanti, distesa per tutta la spanna. Parò il raggio di energia
e, ripiegando su di sé le falangi, lo modellò come una sfera. Sfera che
rilanciò, un istante più tardi, contro il mittente, colpendolo di striscio.
“Ryoga!” esclamò Akane.
“Giusto.” mormorò Cologne. “Shingo può modellare l’energia a suo piacimento. Gli
attacchi energetici, contro di lui, sono totalmente inutili.”
“Come stai?” Ranma, colto completamente alla sprovvista da quanto era appena
accaduto, si avvicinò all’Eterno Disperso.
“B-bene.” disse. “Ma temo che sconfiggere questo Shingo non sarà come bere un
bicchier d’acqua.”
Un bicchier…” il giovane col codino lo fissò per un attimo stranito, come in
trance. “Ryoga, non credevo te l’avrei mai detto, ma sei un genio!” esclamò
poi.
“A-ah sì?” titubò quello con la bandana, pensando dapprima di aver capito male,
poi di aver colpito davvero troppo forte, poco prima, il rivale di
sempre.
Shingo notò il mutamento d’espressione nel ragazzo con la camicia cinese e ne
fu divertito.
“Sembra che ti sia venuto in mente qualcosa, Saotome. Avanti, fammi vedere cosa
sai fare!” lo invitò, adagiando la schiena alla retrostante parete di roccia e
incrociando le braccia.
“Gioco. Per lui tutto è un gioco!” disse Cologne. “Se non avesse perso tempo
volontariamente, avrebbe già potuto prendere l’aura del consorte poco fa.”
“Sei troppo sicuro di te, maledetto! Ma proprio questa sarà la tua rovina!”
sentenziò Ranma. Poi si rivolse agli altri, a voce più bassa: “Come un bicchier
d’acqua! Acqua! La vittoria è nostra!”
“E chi sarebbe quello troppo sicuro di sé?” notò Cologne.
Ranma la ignorò. Adesso sapeva cosa fare, ma… C’era un ma. L’acqua era la
soluzione. Dove trovarla, però?
L’acqua? Forse Ranma voleva… ma perché mai, si chiese Akane. Improvvisamente un
lampo attraversò il suo sguardo: un gesto di Ryoga di qualche minuto prima le
era tornato vivido alla mente. Guardò Shingo, guardò la roccia, guardò ancora
Shingo. Era proprio quella parete rocciosa. Bene. Ne era certa, avrebbe
funzionato.
“Tieniti pronto, Ranma!” disse.
“C-che cosa credi di fare, stupida?!” ebbe appena il tempo di gridarle il
fidanzato, prendendola per una spalla e costringendola a guardarlo in faccia.
Quindi lo udì. Il tacito invito che la sua espressione, i suoi occhi, gli
angoli della bocca, ogni parte del volto (quella stessa determinazione…!) gli
stavano rivolgendo. L’invito a fidarsi di lei.
“Non puoi pretendere di fare tutto da solo.”
L’esitazione che ebbe fu fatale. La terzogenita di casa Tendo ebbe modo di
liberarsi della sua presa e lanciarsi in avanti, in posa d’attacco.
“Akaneee!” gridò Ryoga, sconcertato, allungando la mano come per riportarla a
sé. Ma il gesto fu tanto teatrale quanto inutile.
Shingo inarcò un sopracciglio. Quella mocciosetta aveva del fegato. E nient’altro,
in particolar modo la materia grigia. Di certo, lui non l’avrebbe trattata con
maggior riguardo solo perché era una ragazza. Per un momento aveva creduto che
avesse qualcosa in mente, ma l’eccessiva irruenza del suo attacco sembrava
smentire completamente quest’ipotesi: la fidanzatina di Saotome stava
semplicemente avanzando verso di lui a pugni tesi, illudendosi forse di poterlo
colpire. La materia grigia le sarebbe stata più utile del fegato, senza dubbio.
Da quel che aveva potuto osservare nel periodo in cui aveva esaminato il
ragazzetto col codino che era stato prescelto da Muchitsujo, aveva avuto modo
di constatare la rabbia e l’impulsività di quella Akane Tendo che gli stava
sempre appresso. No, non c’era niente di premeditato, in lei. Che si sfogasse
pure! Shingo pensò che, limitandosi a schivare il rozzo attacco della ragazzina
per poi catturarla e farne un prezioso ostaggio, avrebbe raffreddato i bollenti
spiriti di Ranma e dei suoi amichetti e girato ulteriormente la situazione a
proprio favore.
“Kiiiyaaaah!”
Ancora più facile del previsto. Il grido di battaglia della minore delle Tendo
lo avvisò che era il momento giusto. Il medaglione brillò di una luce più viva.
Shingo si spostò lateralmente, con noncuranza e non abbandonando al tempo stesso
la propria posa sorniona. Akane continuò ad avanzare nell’impeto dell’attacco.
Continuando a stringere i pugni, invece di rallentare la corsa, parò le braccia
davanti al corpo. Un momento più tardi, si schiantò contro la roccia, per poi
ricadere pesantemente a terra per via della forza d’urto.
“Akane!” gridò uno sconvolto Ryoga. Vedendo l’uomo del medaglione voltarsi e
camminare lentamente verso di lei, Ranma fu invaso da una sensazione opprimente
di nausea. Perché aveva fatto una cosa così folle? E soprattutto, perché lui
era stato tanto più folle da averla lasciata andare?!
“Fermo!” intimò istintivamente, accennando a caricare tra i propri palmi un Moko
Takabisha. Ma il bastone di Cologne lo bacchettò sulle falangi, fermando
l’iniziativa sul nascere.
“Non fare cose avventate, consorte” lo rimproverò. “Adesso Shingo schiverebbe
il tuo colpo senza problemi, non così Akane.” La vecchia aveva ragione. Non
poteva intervenire, questa volta.
Shingo si chinò verso la giovane Tendo, fissandola con aria sprezzante.
“Era per caso in questo misero modo che volevi sconfiggere il potere di una
Divinità suprema, mocciosetta?”
Ancora provata dal colpo ricevuto, Akane faticò a recuperare una posizione tale
da permetterle di tornare a guardare in viso l’interlocutore. Quando incontrò
lo sguardo della ragazza, Shingo per un momento fu sorpreso dalla risoluzione
che traspariva dai suoi occhi.
“Veramente… no.” disse, con un tono inaspettatamente sicuro e controllato. “Era in
questo misero modo che volevo sfondare la roccia.”
Per la prima volta, Shingo parve perdere la sicurezza che lo
contraddistingueva.
Sfondare la roccia? Dandoci contro a spallate?! “E’ impazzita?!” esclamò Ranma,
che certo più volte in passato aveva etichettato la fidanzata come una donna
dalla forza erculea; ma quella parete era veramente troppo solida e spessa! Da
qui a...
“Ho capito!” la voce di Ryoga sovrastò i suoi pensieri. “Quella è la parete che
ho colpito col Bakusai Tenketsu!” In effetti, il punto che Hibiki aveva
perforato per far tornare normali Rouge e Taro era poco distante e, quasi
sicuramente, il Colpo Esplosivo doveva aver minato la stabilità dell’intera
struttura.
Akane udì il gorgoglio dell’acqua, segno che si stava velocemente facendo
strada. Era riuscita a fare la propria parte.
*Ranma, non so cosa tu abbia in mente. Ma ora sta solamente a te…*
“Eh?” ebbe appena il tempo di sillabare Ranma, prima che l’intera parete
collassasse, permettendo all’acqua di aprirsi un grosso squarcio e di investire
sia Akane che Shingo.
Il giovane Saotome capì. *Era questo che voleva fare!* E che aveva
fatto. Ora loro avevano finalmente una speranza, avevano…
“Siete impazziti?!” Obaba lo picchiò con violenza, per mezzo del solito bastone.
“Adesso sì che siamo tutti spacciati!”
Ranma si massaggiò il capo, trovando che gli faceva meno male del solito: forse
stava cominciando ad assuefarsi al legno della vecchia.
“Tutti spacciati?!” ripeté Ryoga. E gli venne in mente che quel tipo era caduto
in una delle Sorgenti Maledette. Nella sorgente del dio del Caos, per la
precisione.
Shingo si risollevò da terra, l’acqua che gli arrivava alle caviglie defluendo
velocemente negli incavi del sottosuolo. Cologne notò che nei suoi occhi non vi
era più traccia della calma di prima.
*Che stia perdendo il controllo?* si chiese la vecchia amazzone. *Se è così,
non abbiamo più veramente alcuna speranza.*
L’uomo del medaglione si girò freneticamente in ogni direzione, cercando Akane.
E la vide, mentre provava a porsi a distanza. Un ghigno più che tenebroso tornò
ad alterargli i lineamenti facciali. “Molto bene, ragazzina. Sei riuscita a
farmi arrabbiare…”
Ripiegò gli artigli del proprio palmo, come a comprimere uno stretto spazio
d’aria, condensando una sfera luminescente di energia. Il Tai-ma no Mamori
risplendeva di una luce oltremodo accecante, più di quanto avesse fatto in
precedenza.
“Ed ora, purtroppo per te, ne pagherai le conseguenze!” terminò, con un sibilo
di voce.
*Ranma!* chiamò mentalmente lei. Ed il fidanzato, con un paio di rapidi balzi,
non si fece attendere.
“Fermati! Sono io il tuo avversario!” intimò il ragazzo col codino.
“Allora fermami tu, se ne sei capace.”
“E’ quello che farò!”
Fu in quell’istante. Cologne lo avvertì.
La sua aura stava rapidamente mutando.
*Devi sconfiggerlo a tutti i costi, consorte!* pregò col pensiero. *Devi
farcela. Prima che Shingo perda il
controllo.*