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Autore: LauFleur    20/06/2011    22 recensioni
Edward Cullen: un ragazzo, un figlio, un fratello. Un figlio costretto a rimettere insieme i pezzi di ciò che i suoi genitori hanno frantumato. Un fratello tormentato dal pensiero che la felicità di sua sorella sia minacciata dalla tristezza delle loro vite. Un ragazzo ossessionato da Isabella Swan, la donna che riesce a calmare quel mare in tempesta che è diventata la sua vita.
[Rating rosso per il primo extra.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Continuo a ringraziarvi

Continuo a ringraziarvi. Tutti i lettori silenziosi e tutti quelli che, a fine lettura, trovano la voglia e il tempo di recensire. Ogni parola è una spinta ed un sorriso in più.

Grazie.

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Capitolo 5 – Arretrati

 

Aspettavano davanti a quel portone di legno e si sentivano congelare. Non serviva a niente rinchiudersi nei cappotti, sfregarsi le mani, nascondere il viso nelle sciarpe. I loro passi nervosi suonavano secchi sul marciapiede.

"Lo sapevi già?" chiese Edward. Sua madre lo guardò confusa. "Che frequentava un'altra donna, che stava con quella Tania. Lo sapevi?"

Esme fece spallucce, per un istante sembrò una bambina. "Lo sospettavo, in fondo credo di averlo sempre saputo. Ieri sera mi ha detto che stanno insieme da un anno."

Un anno? Perché gli faceva male il petto? Perché aveva voglia di vomitare?

Studiò gli occhi di sua madre e gli parvero stranamente calmi e controllati. Sospettava che dietro a tutto quel controllo ci fosse qualche goccia di vodka.

Quando videro arrivare una berlina scura tirarono un sospiro di sollievo e, allo stesso tempo, si immobilizzarono. Scesero due uomini in giaccia e cravatta e li salutarono: Carlisle con un cenno del capo e l’avvocato con due calorose strette di mano. Seguirono lo sconosciuto lungo le scalinate di marmo e si accomodarono tutti in una grande sala. Quella delle riunioni, immaginò Edward. Non si concesse il tempo di guardare le pareti tappezzate di foto ed onorificenze, i mobili di legno lucidati, il vassoio pieno di tazzine e biscotti: aveva gli occhi fissi su suo padre.

Si avvicinarono al grande tavolo che troneggiava al centro della stanza e si sedettero. Edward e sua madre da un lato, Carlisle e l'avvocato dall'altro. Quest'ultimo, da buon orchestratore, prese parola per primo.

"Buongiorno," la sua voce era forzatamente accogliente quanto il suo sorriso. "Mi chiamo Garrett Denali e sono l'avvocato del signor Cullen. Vi ringrazio per essere venuti,"

In quel momento esatto entrò un altro signore in giacca e cravatta. Molto più disordinato, spettinato e grassoccio di quello che avevano di fronte. Li raggiunse quasi correndo e, con il fiato corto, si affrettò a presentarsi.

"Scusatemi, scusate il ritardo. Sono Mike Newton, l'avvocato della signora."

Allungò la mano sudaticcia verso il suo collega, che continuava a sfoggiare il sorriso di circostanza, condito adesso anche da un pizzico di soddisfazione e superiorità, e poi verso Carlisle, che la strinse come se potesse attaccargli la peste. Con una smorfia sgangherata stampata sulle labbra, quello che a quanto pare era il loro avvocato si accomodò accanto ad Esme, con la pancia strizzata dal bordo del tavolo. I suoi occhi incontrarono quelli di Edward, che lo guardava già incazzato nero. Il fatto che lo avessero scelto completamente a caso sfogliando le pagine gialle gli dava il diritto di presentarsi in ritardo con la grazia e la professionalità di un elefante? Forse sì.

"Certo che potevi vestirti un po' meglio." gli sussurrò all'orecchio sua madre. Indossava jeans e felpa, era comodo, era a suo agio ed era diverso da quel gruppetto di pinguini imbalsamati. E lei, sua madre, tra tutte le preoccupazioni che potevano tormentarla decideva di assecondare proprio quella che riguardava gli abiti e la presenza di suo figlio. Quella più facile, forse. Quella meno dolorosa. Lui sbuffò ignorandola, si sistemò meglio sulla sedia e si preparò ad ascoltare. Capì fin da subito che l'incontro sarebbe stato condotto dall'avvocato Denali, il loro si limitava ad annuire e a subire.

Carlisle aveva già presentato l'istanza di divorzio, mostrare i documenti ad Esme era il motivo per cui si era presentato a casa loro la sera prima. Edward aveva fatto bene a preoccuparsi, la sua era stata un'intuizione giusta. Mancava solo la firma di sua madre e la discussione dei termini.

Con gesti ampi e teatrali Garrett tirò fuori dalla ventiqattrore fogli e cartelle.

"Come assegno mensile proponiamo duemila dollari. Una bella cifra." affermò, quasi sovrappensiero, come se il rumore delle carte che si distendevano sul tavolo potesse coprirgli la voce. E fu proprio in quel momento, tra carte e parole, che intervenne per la prima volta Edward.

"Di sicuro non sono un esperto come lei, avvocato." La voce era composta, educata, ma vide lo stesso suo padre fremere dall'altra parte del tavolo. "Ma so che, dopo la separazione, chi se ne va deve assicurare uno stile di vita pari al precedente. Sbaglio?"

"Giusto, Edward." Lo chiamò per nome, come se lo conoscesse, e gli sorrise accondiscendente, come se fosse un bambino.

"Allora duemila dollari non bastano. Almeno tremila, mille dollari ciascuno."

Lasciò che le sue parole, forti e nette, aleggiassero nell'aria e poi guardò sua madre. Lei sapeva alla perfezione quanto guadagnava suo marito, avrebbe potuto ribattere e sparare molto più in alto, ma non lo fece. Si limitò ad annuire timidamente, sostenendo suo figlio.

"E va bene," tuonò Carlisle. Era scocciato, stava sprecando il suo tempo prezioso lì con loro. "Che tremila dollari siano."

"Vogliamo anche un'auto." ribattè pronto Edward.

"Cosa?"

Fu suo padre a rispondergli, ma lui parlò guardando l'avvocato. "Prima ne avevamo una, e ne abbiamo bisogno ancora. Senza contare che prima o poi la mia maledetta bicicletta cadrà a pezzi. Vogliamo un'auto."

Un'occhiata tra Garrett e Carlisle, e anche questa richiesta venne soddisfatta. Subito dopo vennero stabilite tutte le altre condizioni che avrebbero permesso a Carlisle di sbarazzarsi della sua vecchia famiglia: la casa resterà alla moglie e ai figli, l'affidamento sarà congiunto, le visite settimanali cambieranno in base alle esigenze dei ragazzi. A mezza voce, Carlisle assicurò che avrebbe vissuto nelle vicinanze.

"Gli arretrati?" Ancora una volta, i grandi discorsi degli avvocati vennero interrotti dal ragazzo in felpa.

Questa volta perfino Garrett apparve spaesato, preso in contropiede. "Arretrati di cosa?"

Edward lanciò un'occhiata fulminea a quel Mike Newton. Quando hai intenzione di iniziare a fare il tuo cazzo di lavoro? Scosse leggermente la testa e poi appoggiò i gomiti sul tavolo. Sentì la mano di sua madre stringergli la coscia attraverso i jeans. Non sapeva se era per sostenerlo o per fermarlo, nel dubbio andò avanti.

"Il suo cliente se n'è andato di casa a settembre, e noi non abbiamo mai visto nè lui nè i suoi soldi. Sono quattro mesi, dodicimila dollari."

E gli venne assicurato anche il pagamento degli arretrati.

 

Quando uscirono una folata di vento li investì. Mentre madre e figlio era impegnati ad abbottonarsi i cappotti, Carlisle bofonchiò un saluto e si incamminò a piedi verso il centro. Edward lo seguì con lo sguardo, poi fissò Esme. "Aspettami qui, torno subito."

Non fece in tempo ad ascoltare le proteste e le preoccupazioni di sua madre perché aveva già iniziato a camminare. Passi veloci, scattosi, incazzati. Lo raggiunse quasi subito, lo afferrò per una spalla e suo padre fu costretto a guardarlo.

"Ieri sera hai detto che ci devi delle spiegazioni." Si sforzò per scandire le parole, con il vento freddo che gli frustava la faccia e tentava di portargli via la voce. "Beh, le voglio adesso."
"Edward, Cristo Santo. Sono di fretta, non lo vedi?"

"Non mi provocare, Carlisle." Non lo chiamò papà, non ce la fece. Riuscì a malapena a ringhiare il suo nome.

"E va bene," scosse la testa, si portò le mani alle tempie. "Cosa vuoi sapere?"

"Perché te ne sei andato?" Dai, questa è facile.

"E' una lunga storia." tagliò corto.

"Allora sarà meglio che ti sbrighi. Hai fretta, giusto?"

"Senti, Edward. Le cose tra me e tua madre non andavano bene da molto, molto tempo."

"E hai deciso di consolarti con una venticinquenne, fin qui ci sono."

Lo guardò male, aveva lo stesso sguardo di quando stava per metterlo in punizione. Ma questa volta non poteva. Non poteva zittirlo, negargli la cena, spedirlo in camera sua.

"E' davvero una brava ragazza. Avrai modo di conoscerla, tu e tua sorella avrete modo di conoscerla. E vi piacerà, te lo assicuro. È davvero una ragazza adorab-"

"E dovevi per forza scappare? Non potevi stare con lei senza sparire come uno schifoso latitante?"

Urlava, sbraitava, contro la faccia che tanto odiava. E Carlisle improvvisamente si fece più serio, cupo, sembrava quasi in difficoltà. Edward credette di vedergli addirittura gli occhi un po' lucidi, ma forse era solo il vento.

"A settembre... a settembre Tania ha avuto un incidente. Un grave incidente. Si è dovuta sottoporre a tante operazioni, costose e soprattutto faticose. Ha perso l’uso delle gambe, da un giorno all’altro si è ritrovata su una maledetta sedia a rotelle. Dovevo starle accanto, Edward. Dovevo dedicarmi completamente a lei."

Alzò la testa e guardò suo figlio negli occhi. Si denudò di fronte a lui, gli mostrò quello che realmente era:  un uomo innamorato che soffriva per il dolore della sua donna.

"Aveva bisogno di me, lo capisci?" Aveva perso la sua solita compostezza, era disperato. "Lo capisci, Edward?"

Lo capiva? Non lo sapeva. Non sapeva più nulla. Ma, tra tutte quelle novità e tutta quella confusione, una sola era la certezza: non poteva perdonarlo, non poteva dimenticare tutto il male chiuso in casa sua per mesi. Tutto quel male lo aveva avvelenato.

"Peccato che mentre eri impegnato a fare il buon samaritano ti sei scordato di fare il padre."

Gli sputò contro le ultime parole, gli dette le spalle e tornò da sua madre.

 

Tornando verso casa, con Esme che arrancava al suo fianco, non riuscì a parlare. Sembrava che la voce si fosse congelata e che il cervello non funzionasse più. Era bloccato, in pausa.

Riusciva a pensare solo ad una cosa, solo ad una persona. E quando pensava ai suoi capelli morbidi riusciva perfino a dimenticare il freddo. Prese il cellulare dalla tasca dei jeans e le dita scivolarono ansiose sui tasti.

Preparati, stasera ti porto a cena fuori.

Finalmente l'avrebbe rivista. Finalmente il primo appuntamento. Il primo appuntamento vero, con i sorrisi, l'imbarazzo, i baci. E questa volta non poteva fallire. Lei non era una delle tante, non era una di quelle da poter dimenticare dopo la seconda serata andata alla deriva. Lei no.

Avrebbe noleggiato un'auto... Dio, per lei avrebbe noleggiato perfino una limousine. Avrebbe prenotato un ristorante di lusso, avrebbe tirato fuori l'abito per le occasioni speciali, quello che piaceva tanto a sua madre. Avrebbe speso uno stipendio intero, ma non gli importava.

Il telefono vibrò nella sua mano ghiacciata.

Non vedo l'ora. Ti passo a prendere alle 20.

Lesse il messaggio, vide l’auto noleggiata svanire e sentì un po' di orgoglio sbriciolarsi. Ma alla fine lo mise da parte e si arrese a quel piccolo sorriso che gli solleticava le labbra.

 

Il colpo di clacson lo fece sobbalzare. Si guardò un'ultima volta nello specchio.

"E' arrivata, è qui." Rosalie apparve alla porta e fece aumentare l'ansia del fratello.

Jeans, maglioncino, scarpe nè eleganti nè sportive.

"Può andare?" le chiese.

"Sì, stai bene."

"Mamma dov'è?"

"In camera." rispose, con voce improvvisamente vuota e distaccata. "Sù muoviti, non la fare aspettare!"

Afferrò il cappotto, le chiavi, il cellulare. Si infilò il portafoglio nella tasca dei pantaloni e si inginocchiò davanti a Rose. Le dispiaceva lasciarla sola, l'aveva già fatto tante volte quando doveva andare alla tavola calda, ma questa volta era diverso. Le aveva preparato la cena – una cena che sua madre, tornando alle care vecchie abitudini, aveva rifiutato con un lamento – e, dopo mangiato, l'aveva vista lanciare un’occhiata al puzzle da completare con aria sognante.

Edward aveva paura di tutte quelle cose che sua sorella non riusciva a dire, né a lui né a nessun altro al mondo. Tutte quelle emozioni che le ribollivano in quel corpo così piccolo ma che prima o poi sarebbero scoppiate, distruggendola.

"Non ti preoccupare," lo anticipò. "Starò benissimo. Tra poco mi lavo i denti e vado a letto."

"Non leggere troppo." Le lasciò un bacio sulla fronte.

"Solo qualche pagina" sulle labbra le si dipinse un sorriso furbo e poi, scappando in camera sua, gridò: "Divertitevi!"

Prima di scendere le scale, Edward bussò alla porta di sua madre.

"Mamma, io vado!" Nel silenzio, distinse un mugolio. Almeno era sempre viva. Ubriaca fradicia, ma viva.

Bella era appoggiata sul cofano della macchina, con le mani chiuse intorno ad una pochette. Indossava i jeans, una giacchetta stretta sotto il seno, un paio di stivali bassi. Ed era bellissima.

Edward evitò di attraversare di corsa il giardino solo per conservare un minimo di amor proprio, ma quando le fu vicino abbastanza da toccarla, l'afferrò per i fianchi e la sollevò in aria. Respirò il suo profumo, sorrise sui suoi capelli. Gli sembrava di essere sbarcato su un altro mondo senza neanche essersene accorto.

"Sei bellissima." sussurrò, dopo un tempo ed un abbraccio che sembrarono infiniti.

Lei lo guardò, gli occhi le brillavano. "Tu invece sei orribile. Inguardabile." E scoppiò in una delle sue risate. Quelle piene, imbarazzate e calde che facevano impazzire Edward.

"Forza, sali in macchina." Senza smettere di sorridere, aprì la sua portiera e si mise al volante. Si voltò verso di lui. "Hai prenotato in un ristorante, vero?"

Lui rispose subito, come se volesse dimostrarle che aveva pensato a tutto, che non doveva preoccuparsi di niente. Poteva gestire tutto quanto, anche se non aveva una macchina ed era costretto a farsi scarrozzare. "Certo. È un ristorante bellissimo, ci andavamo sempre dopo i concerti."

"I tuoi concerti?" chiese curiosa. Edward annuì, godendosi la sua espressione attenta. "Prima o poi mi dovrai far sentire quanto sei bravo, lo sai vero?"

"Prima o poi."

"Comunque, mio caro pianista, devi disdire la prenotazione." Lo guardava con gli occhi accesi ed emozionati, e non riuscì a non arrossire.

"Scusa?"

"Hai capito bene. Chiama il ristorante e digli che stasera non avranno l'onore di averci come ospiti."

"E perché mai dovrei fare una cosa del genere?"

"Prima di tutto perché te lo dico io, e poi perché ho altri progetti per noi due."

Edward la guardò, mentre si metteva la cintura e girava le chiavi, e gli sembrò diversa. Più spigliata, più intraprendente, nonostante il rossore. Ancora più donna. Era così sicura di sè che lo fece quasi eccitare. Capì che si sarebbe lasciato portare ovunque, avrebbe accettato qualsiasi suo progetto. Qualunque cosa, per quel noi due.

Parcheggiò accanto al marciapiede, in una strada buia e poco trafficata. Edward la seguì in silenzio, curioso ma paziente. Percorsero un vicolo stretto e quando svoltarono erano all'entrata di un parco. Gli alberi e le panchine erano decorati con tante piccole lampadine, la strada che tagliava l'erba era ordinata e piena di sassolini. Il vento per fortuna era calato, tutto sembrava sospeso, in pace. Ad Edward parve di sentire lo stesso profumo di calma e felicità che aleggiava sul portico di casa sua la sera della Vigilia.

"Magico, vero?" sussurrò lei.

C'era già stato, ce l'aveva portato sua madre qualche volta, quando era piccolo. Forse perché erano passati tanti anni, forse perché lui era cresciuto, o forse perché era lì con Bella, ma sembrava tutto completamente nuovo. "Si, magico."

Passarono accanto ad una pista di pattinaggio quasi deserta, ignorarono due innamorati stretti sotto un gazebo di legno. Camminavano lentamente, come se il tempo non ci fosse. Edward le prese la mano, e tutto diventò magico davvero.

"Eccoci."

C'era un piccolo baracchino, incastrato tra due immensi alberi. L'insegna era luminosa e un uomo che sembrava un gigante chiaccherava allegramente con un cliente.

"Hot-dog?"

"Non ti piacciono?" gli chiese, ad un tratto preoccupata.

Edward la guardò negli occhi e si rese conto che l'aveva fatto per lui. Aveva evitato che noleggiasse un'auto, che mangiassero in un ristorante di lusso, che spendesse uno stipendio per il loro primo appuntamento. Avrebbe voluto dirle che non importava, che tutti quei soldi li avrebbe spesi più che volentieri. Avrebbe voluto portarla davvero in un posto lussuoso, dove un cameriere le versava il vino e la trattava da signora. Ma non parlò. Non seppe far altro che commuoversi davanti a quella donna a cui era bastato così poco per conoscerlo e per capirlo. Lasciò che l'eco della sua domanda si disperdesse tra gli alberi, e la baciò.

 

Erano seduti su una panchina, le gambe di Bella distese sulle cosce di Edward. Avevano finito gli hot-dog, bevuto le loro bibite ed avevano anche fatto il bis. Edward si era accorto che lei tremava, e gli aveva dato la sua giacca. Adesso era lui a tremare come una foglia e malediva la favolosa idea di non indossare una camicia sotto quel maglioncino, ma lo sforzo per non farlo notare a lei riusciva quasi a scaldarlo.

Avevano già parlato del viaggio di Bella, della salute di Charlie, di quanto si erano mancati, di quanto tutto era più bello adesso. Ma nessuno dei due aveva accennato a Rosalie, a Esme, a Carlisle.

"Ieri sera è tornato mio padre." Lo disse veloce, tutto d'un fiato, come si fa quando si strappano i cerotti. Lei lo guardò con gli occhi traboccanti di preoccupazione, poi gli appoggiò la testa sul petto e lui la circondò con le braccia.

“Non per restare,” continuò, raccogliendo la forza da quell'abbraccio. "è tornato per chiedere il divorzio e presentarci la sua nuova compagna."

"Edward, mi dispiace."

"Lei è giovane, bella, gentile. Si chiama Tania. Ed è sulla sedia a rotelle." Sentì le sue parole vacillare ed il corpo di Bella irrigidirsi contro il suo. "Ci ha lasciati perché lei ha avuto un incidente ed aveva bisogno di lui." Lei allungò una mano e gli accarezzò i capelli. Lui lasciò cadere la testa fino ad abbandonarsi sulla sua fronte. "Bella... non riesco a perdonare mio padre, non riesco a provare compassione per Tania. Sono una persona orribile."

Bella lo abbracciò ancora più forte e lui si rifugiò in quelle braccia. Chiuse gli occhi, e ad un tratto fu solo silenzio. Nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscì ad ignorare quella sensazione pungente che gli torturava lo stomaco e gli ripeteva che non si sarebbe mai sistemato niente. Tutto sarebbe continuato a crollare, fino a soffocarlo tra le macerie.

 

 

  
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