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Autore: Honey to the poison    20/06/2011    3 recensioni
“saremo insieme per sempre vero?”.
I suoi occhi erano lucidi, le guance rosse di una risata scappata da sola nelle nostre conversazioni insensate.
Nata solo per rendere più veloce un pomeriggio noioso.
La sua testa s’incastrò sulla mia spalla, con leggerezza, sfiorandomi il collo con la punta del naso, i suoi capelli una massa scomposta che mi solleticava la spalla scoperta.
“per sempre” le accordai stringendola con un braccio, il suo corpo più piccolo del mio aveva l’immaturità di un frutto acerbo.
“sei la mia migliore amica” sospirò soddisfatta abbassando le ciglia, potevo sentirne la carezza sottile mentre si appoggiava alla mia pelle.
Un nodo scorsoio mi strinse la gola, in una parola dolce che non bastava più.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio gancio sinistro colpì l’aria con ferocia, mancando il caschetto scomposto del mio avversario di diversi centimetri.

Ben si ritirò quel tanto che bastava per rimandarmi nella mia zona del tappeto, con la promessa di calci pronti a buttarmi a terra.

Lo studiai per qualche secondo, mantenendo alta la guardia, per poi rischiare l’impossibile buttandomi, con più forza che tecnica, contro il suo sterno.

Vidi il lampo di un sorriso mentre mi aggirava lasciandomi un colpo di guantone dietro la nuca.

 

Finii per cadere in ginocchio dietro di lui.

 

“di nuovo!” ringhiai tra i denti mettendomi seduta.

“no, basta” decretò il mio amico togliendosi i guantoni rossi e aiutandomi ad alzarmi con una presa energica, “ti mancano le forze” mi ricordò osservando le mie gambe che tremavano per il troppo sforzo.

 

L’orologio alla parete segnava le sette di sera.

 

Erano almeno due ore che combattevamo in una piccola sala nella palestra dove Ben insegnava balli latino americani tre volte a settimana.

Il fatto che fosse anche istruttore di kick boxing era irrilevante per il proprietario.

 

Mi costrinsi e seguirlo dall’altra parte della stanza, dove il tappeto gommato faceva spazio alle assi lucide del pavimento in legno.

Porgendomi l’acqua in segno di pace mentre mi lasciavo svenire accanto a lui.

Il fiato corto e ogni muscolo dolorante.

Incluso il cervello.

 

“chi è?”, chiese dolcemente richiudendo la bottiglietta.

Trasalii, osservando i suoi occhi scuri sorridermi indulgente.

“chi è chi? Avevo solo bisogno di sfogarmi”, negai cercando di sciogliere un muscolo della coscia destra.

“c’è sempre una persona dietro i tuoi scatti di rabbia improvvisa Lori …. sono la causa di quegli occhi” si giustificò indicandomi il viso.

“tu non hai idea di che cosa diventino quando sei in preda alla furia” ridacchiò compiaciuto.

“io …” tentai di giustificarmi.

“è l’unico motivo per cui ti ho accontentato oggi, non farmene pentire”.

 

Respirò tranquillo, eseguendo anche lui un esercizio di torsione per rimettersi in sesto.

 

Pensai a qualcosa d’improbabile per qualche secondo, prima di arrendermi e guardarlo in viso, con il rischio di distrarmi.

Era sicuramente uno degli uomini più belli che avessi mai visto in tutta la mia vita.

 

Obiettivamente parlando.

 

“beh .. c’è questa persona …” cominciai titubante.

Poi in un flash si accavallarono il volto di Martina, sfumato e ricomposto nel viso di Vale.

Strinsi i pugni.

 

“è un casino”, ricordai a me stessa, “è un immenso, paradossale casino in cui non dovevo cacciarmi.

 Mi sfugge tutto, il mondo, le sue regole, quello che sono e ciò che voglio. Mi sento tradita e ingannata, per sino da me stessa …”

Ben mi osservò interessato.

“è uno schifo” conclusi cercando di distrarmi con le venature dell’asse sotto il mio piede nudo.

 

Sentii un mormorio che invadeva la sala, fino a diventare un suono invadente.

Il ragazzo troppo cresciuto accanto a me rideva a gola spiegata, inclinando il capo all’indietro.

Meditai sul sentirmi offesa mentre tornava a guardarmi ancora sghignazzante.

 

“Lori, hai appena definito la vita, cosa ti aspettavi di diverso?” mi domandò improvvisamente intenerito dal mio sguardo incredulo.

“pensavi davvero che fosse facile? O giusto? Dio, stai solo vivendo, e credimi, tutto questo è incluso nel contratto” aggiunse stringendomi una mano abbandonata accanto alla sua.

 

“tutto ciò che puoi fare e non mollare. Andare avanti … perdonarti … e affrontare ancora tutto quello che verrà, sperando di essere abbastanza forte per superarlo”, sorrise gentile.

 

Rimasi qualche secondo a pensare mentre anche lui rifletteva su qualcosa che doveva averli rallegrato la giornata.

 

“è colpa di Luca se sei così positivo, vero?” sospirai rassegnata mentre arrossiva involontariamente.

“direi più a causa sua” ci tenne a correggermi mentre tornava di una sfumatura normale.

 

Nominare il suo ragazzo all’improvviso lo faceva ancora agitare.

 

“e tu? di chi è la colpa stavolta? Per quale ragazza devo temere la sopravvivenza oggi?”.

 

Balbettai qualcosa di incoerente mentre mi prendeva il mento tra due dita costringendomi a guardalo.

“come fai a saperlo?”

“perché gli uomini non ti hanno mai dato problemi” rispose savio, “e poi sei l’unica persona sulla faccia della terra che dopo il mio coming out non mi ha detto ‘che peccato’ ”.

 “ma l’ho pensato!” ridacchiai ripensando a quel giorno.

“possibile” mormorò stringendosi nelle spalle, “ma dalla tua bocca è uscito qualcosa come ‘la prossima settimana c’è il gay pride, vuoi venire con me?’ ”.

 

Gli diedi un lieve spintone alzandomi in piedi.

“volevo solo essere gentile”

Accennò ad una linguaccia flettendosi sulle ginocchia per raggiungermi.

“raccontalo a qualcun altro” mi rimbrottò scombinandomi i capelli madidi di sudore.

 

Gli scostai le dita con gesto spontaneo mentre controllava le pieghe della sua tuta nera, strappandomi un sorriso.

 

Alto moro e tenebroso, con occhi dolci e viso pulito.

Che avesse avuto un passato da libertino lo avevo intuito ancora prima che me lo dicesse lui davanti una pinta di birra.

Una sequela di donne più o meno formose, prima di incontrare lui.

 

“come hai capito che era Luca quello che volevi davvero? Che desideravi.. beh, si insomma …” gli chiesi a fior di labbra, senza soppesare realmente le parole.

Sembrò rifletterci tamburellandosi il mento con due dita.

“ti ricordi il giorno della mia dichiarazione sconvolgente?” domandò sovrappensiero.

“ne parlavamo due secondi fa” gli ricordai ridacchiano.

“hai presente quello che ti ho detto?”

“ ‘ho conosciuto un ragazzo qualche mese fa, si chiama Luca è alto biondo bello’ …” recitai grata alla mia memoria, “bla bla bla … una serie di complimenti e baggianate che non ricordo …” gli sorrisi irriverente.

“si, ma dopo?” mi interruppe ridacchiando.

“ah si … hem … qualcosa del tipo … lo amo … ?”.

Ben si mise le mani sui fianchi, sfoggiando un sorriso che avrebbe fatto perdere la testa a mezzo mondo.

“esatto”.

“tutto qui?” domandai un po’ delusa.

“credo che sia piuttosto rilevante” constatò divertito, “vedi, la differenza è davvero tutta qui, un sacco di donne con cui annoiarmi e poi … beh … l’amore è tutta un’altra cosa”.

 

Ci spintonammo reciprocamente fino alla porta della sala, ma la sua mano scattò sul maniglione antipanico prima della mia, costringendomi a desistere un attimo ancora.

 

“qualsiasi cosa ti stia passando per quella testa bacata …” scandì lentamente, “non farla stasera. C’è la tregua dopo la lotta. Arma un piano e seguilo fino in fondo. A mente fredda e con coscienza”.

Lo guardai, sembrava di nuovo il maestro di Kick troppo giovane di cui mi ero infatuata qualche anno prima.

“ad ogni colpo ne consegue un altro. Ma solo il tempo scelto per inferirlo determina la sconfitta o la vittoria”, mi ricordò guardandomi negli occhi.

“chiaro?”

Gli sorrisi, sfiorandogli una guancia.

 

“cristallino signore”.

 

 

L’auto di Frank era parcheggiata a pochi metri dall’entrata del mio palazzo, ma non era lui ad assediare il portone con le mani in tasca e il muso duro.

 

“che ci fai qui?” domandai alla sagoma sottile di Martina mentre poggiavo il borsone della palestra sul selciato.

“dobbiamo parlare”.

“non rientrava nei miei piani per stasera” le risposi, mentre tentavo di capire come aggirarla per raggiungere la serratura.

Si scostò di diversi centimetri intuendo il mio sguardo.

“bene, allora cerca di includermi nel progetto, o perderai la tua puntata di dr House” replicò insistente.

 

L’espressione torva e le braccia incrociate sul petto.

 

“scusami, ma non dovrei essere io quella arrabbiata con te?” ribattei irritata.

“no”, negò risoluta, “tu te ne sei andata in mezzo ad una discussione di fondamentale importanza per la mia vita, senza neanche degnarti di sapere se me la sarei cavata contro quell’energumeno di Carlo”, mi ricordò apparentemente calma.

“quindi sono io quella arrabbiata tra noi due”.

 

Era davvero una tipa impossibile.

 

“ok … mi sembri tutta intera, quindi hai avuto la meglio”, un ricordo amaro mi riempì la bocca.

“hai tutto ciò che desideri … no?”.

Martina si irrigidì un attimo prima di sfidarmi di nuovo con i pugni stretti bene in vista.

“certo che no!” si lasciò scappare con un tono più alto, “Carlo non è l’unico che doveva sapere qualcosa oggi”.

“naturalmente! Oltre al tuo amico lesbofobico era anche il mio turno di scoprire che sono il tuo prossimo giocattolo in palio!”, gli strillai di rimando.

 

“sai, non credo neanche esita il termine …”, trattenne a stento una risata mentre mi ribeccava.

 

“non è importante!” continuai inviperita, “il punto è che non capisco cosa ti importa di me! insomma, sono settimane che mi spii di nascosto, ci sei ma non ti fai vedere, mi siedi accanto senza neanche parlarmi!”.

 

La sua espressone curiosa che non scemava un istante mentre mi lasciavo prendere dall’isterismo.

 

“l’unica cosa degna di nota che ho capito è che mi trovi attraente quanto una rana!”.

 

Scoppiò a ridere prima che potessi continuare la mia inutile arringa, mentre si tratteneva lo stomaco con una mano e avanzava l’altra verso di me.

Poggiandola sul mio braccio.

 

Mi sentii stanca.

Come se improvvisamente il mio corpo avesse deciso che per quella giornata, tra la fuga, la palestra e il ritrovarmi davanti l’unica persona che non ero in grado di affrontare, ne aveva avuto abbastanza e ora non restava che arrendersi.

 

Ridacchiava ancora quando, seguendo la presa, mi si avvicinò di più, compiendo un passo verso di me, lasciando il mio profilo fino al viso, per osservarmi con sguardo chiaro, incredibilmente sincero.

 

“sei bella persino quando ti arrabbi”.

 

Boccheggiai senza fiato mentre mi lasciava curiosare sull’angolo d’ombra dei suoi capelli sulla fronte, le guance appena rosate.

 

“mi chiedo in quale momento hai deciso di credere che io sia una persona aperta e capace di parlare dei propri sentimenti”, mi sfidò senza alzare i toni, “invece di arrenderti all’evidenza che sono un’ottusa, incapace di formulare anche solo lontanamente qualcosa di carino per fare capire a qualcuno che mi piace”.

 

Era decisamente la dichiarazione più improbabile della mia vita.

 

“Frank non c’entra nulla Lori” lo scusò con voce dolce, “lui ha solo visto più lontano di me, per questo mi ha invitato ad uscire con voi quando mi incrociò per caso al black cat quella sera in cui tornai per scusarmi con Nere … e la trovai aggrappata a te in un angolo del locale”.

 

Arrossii involontariamente mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso comprensivo.

 

“sapevo che avrei potuto trovarla impegnata, non è in grado di restare inerme quella li”.

Il suo volto tornò serio, fissandomi con intensità d’ambra chiara.

“Frank voleva solo farmi conoscere il suo giro di amici, sapeva che se ero andata volutamente in quel pub era perché qualcosa in me stava cambiando. Lo sapeva anche Carlo, lo ha sempre saputo, nonostante tutto ciò che dice a se stesso sapeva che sarebbe finita così, che ero stanca di mezze verità, che isolarmi non sarebbe bastato più per dimenticare cosa volevo realmente”.

 

La capivo, ma evitai di dirglielo, imprigionata nella sua storia, così vicina alla mia.

 

“quella sera ti vidi per la prima volta, e non sapevo nulla di te, fin quando non scappasti via trascinandoti Frank, con l’aria colpevole e spaventata che avevo visto in me stessa subito dopo aver baciato Nere”, confessò pacata.

 

Non mi accorsi che si era avvicinata fino a toccarmi.

O che la sua mano stava lentamente sfiorando la mia in una richiesta silenziosa.

Gliela presi dolcemente.

Perché era la cosa giusta da fare.

                                      

“ti ho vista andare via con lui e ho capito che c’era davvero la possibilità di conoscerti, di avvicinarmi a te. Anche se probabilmente significava rinunciare ai miei compromessi senza una rete di sicurezza a tenermi. Perché l’ho capito subito che sei una pazza scatenata che manderà a puttane il mio mondo … ed è per questo che non volevo fare il primo passo”.

 

Sorrise nella confessione.

 

“anche se, lo puoi vedere da sola, sono caduta nella tana ancora prima di vedere il bianconiglio”. *

 

Respirai piano, prendendo qualche secondo, cercando di far quadrare tutto, mentre mi rendevo conto del suo profumo di gelsomino, e di quanto, da quando l’avevo conosciuta, avevo cercato quella fragranza nell’aria, senza neanche accorgermene.

 

“è tutto chiaro adesso?” domandò alzando il viso verso il mio, gli occhi chiari alla luce dei lampioni, la carezza del suo corpo sempre più vicino al mio.

“quasi”, la rassicurai sfiorandole una guancia.

Aggrottò le sopracciglia confusa, “cosa manca?” chiese perplessa.

“perché Frank è rimasto in macchina?”.

Rise, mentre alzava le braccia per cingermi il collo, in punta di piedi.

“perché ha paura di te”, mi ricordò.

Le mie mani circondarono la sua vita.

“e tu?” la sfidai sorridendole di rimando.

“io cosa?”.

“tu non hai paura di me?”

Non capii chi delle due annullò i centimetri di distanza.

“molta”, confessò sulla mia bocca, “ma spero sempre di fartene altrettanta”.

 

Assaporai le sue labbra come qualcosa cercato per lungo tempo, mentre quel pazzo del mio migliore amico suonava il clacson al ritmo di un motivetto allegro.

  
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