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Autore: d r e e m    20/06/2011    9 recensioni
E’ il silenzio l’unico sovrano di casa Salvatore. Unica regola: non menzionare mai ciò che è successo undici anni prima, soprattutto in sua presenza. Una storia di legami ritrovati, di ricordi amari pronti a ricomparire, di amicizie fraterne, di ferite ancora aperte, di amori pronti a tutto. Anche se urla si levano nel cuore della notte, sangue macchia le pareti delle stanze, fantasmi del passato ritornano alla luce, nessun problema: stanno bene, sono tutti felici.
Dal Prologo:
«Tu menti!» gridò e affondò le unghie sul collo della vampira che un tempo aveva amato con l’intento di farla tacere per sempre.
«So il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le rimaneva «- so il nome della bambina».
Quelle parole scossero Stefan che lasciò subito la presa.
«Caroline, Caroline Forbes»

Dal capitolo 14:
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero, imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline, tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro e con esso anche la fame – di lei.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Katherine Pierce, Stefan Salvatore
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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1.Rintocchi dal passato [Prologo]

Era solo una serata come le altre nulla di più. Il crepitio del fuoco era il suo unico compagno in quella notte silenziosa, tra i mobili antichi di casa Salvatore.

Il vampiro, con un gesto stanco, aprì l’anta del mobile a vetrinetta e con accurata scelta tirò fuori una bottiglia di Bourbon invecchiato. Inspirò a fondo quasi a voler trattenere il respiro e versò il liquido ambrato nel bicchiere cilindrico.

Era solo, quella sera, e a Stefan non piaceva rimanere solo.

Fissò per un attimo il liquore nel bicchiere e dopo averlo fatto vorticare abbastanza ne bevve un sorso che gli arse la gola.

E’ facile, quando non hai altra compagnia che te stesso, affondare nei ricordi più oscuri e pericolosi che la mente può offrirti; i rimorsi si insinuano piano come un orrendo serpente pronto a balzare e ad affondare i suoi denti per iniettarti il veleno, pronto a spalancare le sue fauci per lasciarti nell’agonia più assoluta.

Il pendolo batté le undici e Stefan si ritrovò seduto sulla poltrona accanto al fuoco. La luce rossastra gli rimbalzava sul viso pallido e freddo, troppo rigido e antico per provare nuove emozioni.

Le palpebre si chiusero nascondendo gli occhi verdi e Stefan reclinò la testa sullo schienale della poltrona in cerca di un sonno ristoratore.

Una bambina, con le trecce bionde e le guance rigate di lacrime fu tutto ciò che gli apparve.

Il vampiro si alzò di scatto, ansimando, per poi affondare entrambe le mani nei capelli. Cosa aveva mai fatto? Quale terribile peccato aveva commesso e ancora non riusciva a scontarne la pena?

Aggrottò le sopraciglia e irrigidì la mascella, devastando quel suo volto dal dolore più assoluto. Continuava a sentirle, quelle urla innocenti e piene di terrore, quelle lacrime che avrebbero fatto cedere il più crudele tra gli assassini, ma non lui. Accecato dalla sete e dalla pazzia, si era spinto a compiere il gesto più deplorevole in assoluto, macchiando il candore di un’ingenua ragazzina.

Si sentii soffocare in una morsa e non riuscii a frenare un istinto violento. Getto il bicchiere e il suo contenuto tra le fiamme roventi e un barlume di pazzia mista a odio si fece largo tra i suoi occhi. Doveva placare le sue sofferenze, porre fine a quell’agonia ed esisteva un unico modo.

Un rumore di tacchi rimbombò per la stanza vuota e Stefan aguzzò l’udito e irrigidì i muscoli.

«Vedo che sei piuttosto malridotto».

Una voce alle sue spalle lo costrinse a voltarsi e ad abbassare la guardia. Quella era un visita del tutto improvvisa e non aveva alcuna voglia di parlarle, avrebbe preferito bruciare all’inferno piuttosto che intraprendere una conversazione con la vampira più crudele che avesse mai incontrato.

«Non sono affari che ti riguardano, Katherine».

La vampira sorrise beffarda rimirando alcune fotografie appese alle pareti, ricoperte di polvere così come il resto della casa, chiusa da troppo tempo.

«Cosa ti spinge a crogiolarti così nel tuo dolore?».

Con uno sguardo attento Katherine era riuscita ad arrivare nella mente di Stefan e a capire il suo stato d’animo. Nonostante la stanza semibuia per via della fioca luce del camino, lo sguardo della vampira scintillava e appariva più malefico e distruttivo di quanto lo fosse alla luce del sole.

Faceva paura, faceva molta più paura della solitudine perché Stefan sapeva bene che se avesse parlato si sarebbe sentito come un assassino che confessa il proprio omicidio, e questo non sarebbe riuscito a tollerarlo.

La vampira avanzò calma attraverso l’oscurità posizionandosi a pochi passi dall’uomo dai cui occhi traspariva solo disgusto e profonda vergogna.

«Non starai pensando a quella bambina?» sussurrò e con un veloce scatto all’indietro evitò il colpo che Stefan si stava preparando a sferrare.

Adesso era furioso: odio profondo misto a disprezzo si mischiavano in quella maschera sfigurata che aveva cancellato il dolce e tenero ragazzo del diciannovesimo secolo, quando la sua anima innocente era stata brutalmente indirizzata verso morte certa.

«Come sai di lei?» sputò il vampiro con tutta la ferocia possibile immobilizzando la donna al muro.

Katherine non sembrò intimorita da questo sprazzo di follia dell’uomo e mantenne quel sorriso agghiacciante proprio a pochi centimetri da lui.

«So bene come e cosa hai fatto esattamente undici anni fa qui a Mystic Falls» scandì bene le parole e penetrò il suo sguardo negli occhi vitrei del vampiro pallido in viso quasi come se avesse visto un fantasma, il suo.

«Non ne ho parlato con nessuno, eccetto che con…» si fermò e sgranò gli occhi. Si umettò le labbra e aggrottò le sopracciglia tentando di ricordare qualche misero particolare.

Katherine lo fissava e il sorriso sembrò trasformarsi in un ghigno e ampliarsi per tutta la larghezza della faccia.

«Damon» concluse Stefan sprofondando nella poltrona nella quale poco prima sedeva. Il suo volto era quello di un uomo finito, distrutto, senza più vita né motivo di vivere.

«Dimmi cosa sai di questa storia?» chiese con voce roca pronta a rompersi in pianto. Sapeva che stava crollando, ma voleva resistere ora che era arrivata l’ora del giudizio.

Katherine prese posto in una delle tante sedie attorno al fuoco. Accavallò le gambe e con un gesto spostò i capelli lisci su una spalla.

«Eri qui undici anni fa. A quel tempo ti cibavi ancora di sangue umano, ti rendeva instabile, pazzo e incredibilmente forte. Per qualche strano motivo ti balzò in mente un’idea, la credesti la più ovvia, la più giusta in assoluto - povero sciocco. Rubasti una bambina, la consideravi la tua scorta personale. Eri ossessionato, da lei e dal suo sangue. Eri sicuro che non l’avresti uccisa vedendola così piccola ed indifesa. Invece arrivasti ad un punto estremo, non riuscisti a controllarti e in breve tempo ciò che sarebbe stata la tua salvezza in realtà diventò la tua rovina.»

La vampira smise di parlare prolungando la pausa e lasciando a Stefan tutto il tempo per poter rielaborare le sue parole.

«Sai dell’altro?» gracchiò Stefan con lo sguardo basso pronto a rievocare alla mente il più doloroso dei ricordi.

Katherine prolungò l’agonia versandosi un po’ di liquore in uno dei bicchieri e assaporando il gusto acre dell’alcol scorrerle giù per la gola, un sapore amaro in confronto a quello delizioso del sangue caldo.

«Ti cibasti di lei, fino all’ultima goccia di sangue, fino a quando non sentisti il suo cuore rantolare il suo ultimo battito» concluse fredda. I suoi occhi ormai erano macchie di petrolio nell’oscurità più assoluta della stanza.

«Poni fine a questa mi agonia» singhiozzò. Stefan non riuscì a trattenere le lacrime, gli argini cedettero e il fiume poté trovare un nuovo percorso da solcare.

Il fuoco del camino divenne un ammasso di carboni roventi che non provvedevano ad illuminare la stanza, impedendo ad entrambi di scrutare i loro visi.

«Se ti dicessi che è ancora viva?». Il pendolo batté mezzanotte e quei rintocchi furono i più potenti in assoluto. Il corpo del vampiro fu scosso da tremiti e un’ondata di rabbia accecò l’ormai annebbiata mente dell’uomo. I suoi occhi si iniettarono di sangue e rivelò il mostro con il quale aveva imparato a convivere per più di un secolo.

«Tu menti!» gridò e affondò le unghie sul collo della vampira che un tempo aveva amato con l’intento di farla tacere per sempre.

Questa volta Katherine aveva paura, questa volta i suoi occhi roteavano veloci e le mani artigliavano i polsi dell’uomo davanti a lei nell’estremo tentativo di liberarsi da quella morsa.

«So il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le rimaneva «- so il nome della bambina».

Quelle parole scossero Stefan che lasciò subito la presa. Uno sguardo vacuo si impossessò dei suoi occhi e aspettò pazientemente che la vampira smettesse di tossire e di riprendere fiato.

«Caroline, Caroline Forbes» riuscì a dire tra un colpo di tosse e l’altro, massaggiandosi la trachea e dove poco prima le dita di Stefan avevano creato un solco profondo. La vampira strisciò a terra fino a riprendere completamente il controllo di se stessa.

«Come può essere» mormorò a mezza voce il vampiro ancora incredulo di ciò che aveva appena scoperto. Aveva passato undici anni a maledirsi e ad odiarsi per essersi abbassato a un tal misero livello, aveva passato le notti a piangere per quella bambina innocente, a disprezzarsi e a farsi disprezzare da suo fratello. Ora era tutto diverso, ora le cose erano cambiate, ma le colpe del passato non erano state cancellate: aveva ucciso molti uomini e altrettante donne, ma non si era mai perdonato di aver ucciso quella povera bambina che aveva strumentalizzato e reso vittima di un mostro assassino. Come avrebbe potuto rivederla senza che lei provasse ribrezzo nei suoi confronti.

«E’ viva, quindi? E abita ancora qui?» chiese con quel suo tono sollevato che Katherine conosceva bene e che non era cambiato nel corso degli anni. Avrebbe pensato a rimediare, a parlarle per rassicurarsi che non ricordasse niente dell’orrore che aveva dovuto subire, sarebbe stato suo amico per un po’ di tempo per poi scomparire e lasciare che la vita seguisse il suo ciclo.

Katherine mostrò uno dei sorrisi più innocenti che avesse mai mostrato e il colorito olivastro della sua pelle venne illuminato dai raggi della luna che si affacciavano da una delle finestre.

«Vive ancora qui a Mystic Falls, ma non è più viva» disse decisa facendo comparire un’insolita ruga sulla fronte liscia del vampiro di fronte a lei.

«E’ un vampiro, Stefan. Un vampiro come lo eri tu, come lo sono io, e sai cosa hanno bisogno i vampiri?» mostrò i denti scintillanti che risplendevano anche nel buio della notte. Stefan non lo avrebbe permesso, non avrebbe permesso che quella bambina diventasse ciò che un tempo lui stesso era stato. Ma come fare? Come avrebbe potuto aiutarla se il mostro era proprio lui?

Inarcò un sopraciglio e spostò lo sguardo su un punto indefinito della casa ormai quasi ridotta in macerie. Aprì la bocca quasi come se volesse parlare ma poi la richiuse, mordendosi il labbro inferiore. La vampira più furba e scaltra di lui lo precedette nella domanda.

«Aiutala se vuoi, arriverà qui domani. Sta a te scoprire se ricorda o no» disse flebile per poi fuggire a grande velocità.

Stefan ancora in silenzio inclinò la testa avanti e indietro quasi come se stesse annuendo ad un interlocutore invisibile: non aveva scelta, non poteva fare altrimenti.

Sarebbe stato tutto come undici anni fa: lui, la piccola Care, e il sangue, tanto sangue.

   
 
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