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<
Nec diu nec noctu
licet
Iudices
quiescant >
*
4.
Idiota.
Idiota.
Idiota.
E' questo forse che ti ha
insegnato l'abate Fulgenzio, quel sant'uomo che ti fece da maestro, a
Parigi?
Ovviamente no.
Allora forse sono
gli
insegnamenti del buon Guidone di Guascogna, il diplomatico che ti ha
insegnato
tutto quello che sai di legge e di missioni segrete?
E' allora forse il
tesoro di
prudenza che suggesti dalle opere del Doctor Angelicus a averti indotto
a
questo saggio passo?
No.
E allora
perché ti sei
appena rintanato come un topo di fogna in queste fogne di segrete, col
lume
cieco e la veste rattrappita intorno alle gambe sperando che non si
sporchi di
liquami? Perché stasera, senza farti vedere, sei scivolato
nelle stanze della
Guardia e hai sfilato le chiavi del carcere?
La risposta era
anche
troppo ovvia, ed umiliante. Lo aveva fatto perché, alla
fine, Claude Frollo poteva
resistere a tutto, ma non a un'imbeccata della zingara. Aveva passato
la notte
intera, dopo che lei se ne era andata, a sperare che fosse stato solo
un sogno,
che fossero i brevi deliri di una ragazzina. Alla fine che diritto
aveva, dopo
avergli tolto il sonno per quel fuoco che atrocemente le serpeggiava
addosso, di
permettersi adesso anche il lusso di infilarsi in questioni
strategiche?
Davvero stava cercando di salvargli la vita o era solo una trappola?
Non si
fidava della zingara, no. E dunque era tanto più colpevole
perché, ammantato di
nero come un corvo, stava scendendo giù per le segrete, le
stesse segrete piene
zeppe di demoni che aveva fatto incarcerare, gente che non ci avrebbe
messo un
secondo a sporgersi anche solo dalle sbarre quel tanto che bastava a
strangolarlo. I passaggi erano molto angusti, le sbarre larghe,
disperazione e
vendetta danno agli uomini una forza insospettabile.
Intrattenendosi in
questi
amabili pensieri, il Giudice schivò una pozzanghera, giunse
a una svolta nel
tunnel sotterraneo e si affacciò nella bruna umidiccia che
sempre invadeva
quelle stanze. Ricordava anche troppo bene il piacere sottile di alcune
notti -
troppo poche per la verità - in cui sollecito aveva
strappato da alcune giovani
bocche confessioni che ora sarebbe lungo dettagliare. Ricordava gli
schiocchi
della sferza su membra spossate di traditori, punizioni esemplari di
omicidi,
lamenti lugubri di streghe. Oh, le streghe. Sempre state le sue
preferite, ma
fino al giorno in cui Satana, davvero, non glie ne aveva messa una
davanti. Per
anni si era trattato di gettare in pasto al boia vecchie megere, di
estorcere
il Maligno con la sferza da membra tanto rugose che forse anche il
Maligno ne
avrebbe avuto schifo. Per anni aveva visto di Satana solo la faccia
peggiore,
ed in questo Dio con lui era stato clemente. Poi, un giorno,
inaspettatamente,
aveva deciso che era giunta l'ora di Claude Frollo. L'ora della prova
suprema. Quindi
invece di uno sdentato mucchio di ossa e stoppa, cenci e amuleti, sputi
e
galletti neri - oh, i galletti davano sempre un tocco di gustoso
folklore alla commedia
- gli aveva parato davanti la terribile bestia che gli antichi
chiamavano
Venere. Prima di allora il Giudice credeva di non aver mai visto
bellezza,
credeva di aver addomesticato gli occhi quel tanto che bastava
perché fossero
lapidi cieche alla grazia e all'amore. Oh, come si era sbagliato. Era
bastato
un refolo di vento, un'alzata di ciglia del Maligno, un tiepido lucore
di
gonnella e …
- … era
ora che arrivassi,
testone! - sussurrò Esmeralda dalle sbarre. Lo stava
aspettando, molto ansiosa
- Guarda che è un sacco che ti sto aspettando! Che
c'è? Hai una faccia, ci sei?
Cos'è, stai male?
Lui
preferì soprassedere.
Con un gesto elegante tirò fuori dalla manica una chiave, la
fece scorrere
senza fatica nella toppa, girò e richiuse subito alle sue
spalle. Era arrivato
alla porta, senza accorgersene. Ecco dov'era finito tutto il suo acume.
- Allora? -
bisbigliò lei
eccitatissima - Hai visto che alla fine avevo ragione?
Lui dovette
trattenersi a
forza dal bisbigliarle quello che pensava. Si andava da un formale 'Zitta, donna', a un più
posato 'Taci!' fino a un decisamente
troppo
fiorito 'Che
le fiamme dell'Inferno ti
portino, che ci fai ancora giù dalla pira, strega?'. Ma ovviamente non
aprì
bocca. Lei gli stava addosso in modo intollerabile, e lo tirava verso
un angolo
fetido.
- Vieni, vieni qui,
mettiti a sedere. Il buco è questo, riesci a vederlo?
A parte il fatto
che
quelle dannate mani, quelle mani sul
velluto dell'abito erano la cosa più tormentosa del mondo
per il loro essere
più morbide assai, a parte il fatto che quell'angolo di
cella era inondato di
qualcosa di fluido che sembrava decisamente liquame, a parte il fetore
generale
e la tenaglia di fredda, soffocante umidità, il Giudice non
vedeva proprio
niente. E sì che era sempre stato un'aquila, in fatto di
acume di occhi e
mente.
- Dev'essere
perché non
sei abituato. A stare tanto rinchiusi ci si abitua.
Lui la fisso per un
istante, nell'ombra. Era curva sopra la paglia, e cercava di fargli
posto in
qualche modo.
- Siediti, se ci
sarà da
aspettare tanto vale mettersi comodi.
Dopo un istante di
esitazione, anche lui si accostò, e ripiegata la veste
cercò di mettersi a
sedere come poteva. Il freddo un basso gelava le ossa, e dalla parete
colava
dell'acqua.
- Esmeralda
… fece dopo un
certo tempo. Non hai freddo?
E subito si
vergognò come
un ladro (un idiota) di non aver
pensato a portarle qualcosa, uno scialle, una coperta. Qualcosa che
servisse a
riscaldarla.
Ma lei fece cenno
di no.
- Non preoccuparti,
alla
Corte non è che sia tanto meno freddo, di inverno.
A lui, nel petto,
qualcosa
si strinse. Probabilmente non era il cuore - perché come
diceva un saggio, i
Giudici hanno il cuore molto, molto lontano dal petto - ma di sicuro
almeno lo
stomaco, perché non seppe cosa rispondere.
Ricordò solo che addosso, oltre la veste,
aveva una specie di cappa. Se la sfilò, semplicemente, e
glie la fece cadere
sulle spalle senza dire nulla.
- Grazie -
mormorò lei, e
dopo poco - mi dispiace di avere detto che sei un zuccone. In effetti
sei molto
gentile … voglio dire, quando vuoi esserlo.
Lui sorrise nella
penombra.
- Un giudice non
può
permettersi di esserlo sempre.
- Ma non
può neanche
permettersi di non esserlo.
- Che stai dicendo,
zingara?
- Dico - fece lei
muovendosi, e comunicando la sua dolce spinta alla paglia - Dico che
bisogna
anche stare attenti a non farsi troppo odiare. Altrimenti poi si
finisce con un
sacco di gente che trama alle tue spalle e non lo sai.
Frollo si
risentì.
- Ora vediamo chi
trama
veramente alle mie spalle. E se
trama.
Lei rise, di una
risata
come mille campanelli.
- Non mi credi
ancora.
- Shhht! Vuoi che ci sentano? Vuoi
forse farmi scoprire qui con te?
Sarebbe per lo meno imbarazzante spiegare perché ci sono
finito, non credi?
Lei rise di nuovo,
più
forte. Gli passò una mano sulla fronte, e poi scese, fino
alla guancia. Si
tenne un istante sospesa sul mento. Poi avvicinò le labbra
di ciliegia e
mormorò all'orecchio:
- Non lo sai che a
questo
piano sottoterra le celle sono tutte vuote? A parte me c'era soltanto
un ladro
che hanno impiccato ieri mattina, e comunque era talmente sordo che non
ci
avrebbe sentito neanche se ci fossimo messi ad urlare.
- E
perché dovremmo
urlare? - chiese lui, visibilmente estasiato dal contatto e ancor
più
interiormente irritato perché proprio non riusciva a
trattenersi.
- Perché
- rispose lei
soffocando appena una risata - Sono sicura che io e te litigheremo
cento volte
prima che la nottata sia conclusa.
- Questo soltanto
se vuoi
che sia così. Io sono … molto ben disposto alla
pace. Non voglio guerre con te,
mia cara. Seguimi e vivremo in una pace perpetua.
- Una pace che hai
dettato
tu. Una pace che mi costringerebbe nel tuo letto.
Lui
sospirò, pianissimo.
Era vero, lui la voleva nel suo letto, questo era il punto. La voleva
talmente,
anche adesso, che aveva messo su tutta la messa in scena, aveva finto
con se
stesso di credere ai suoi sciocchi vaneggiamenti di assassinio solo per
poter
riprovare il brivido di averla tanto vicina …
- Allora, dimmi la
verità.
Solo questo. Il probo Giudice sarebbe pronto a scarcerare la strega, a
liberarla, a dimenticare tutti i suoi peccati … solamente
per averla nel suo
letto?
Scivolò
piano ancora più
vicino. Era quasi intollerabilmente bella così svestita,
nella penombra, con la
lucida cascata d'ali di corvo dei capelli e la pesante palandrana
avvolta
intorno al biancore delle scapole …
- Allora?
Li la
fissò, quasi senza
fiato. Se il quel momento gli avesse chiesto di gridare che era il
figlio di
una scimmia e di un quadrupede a scelta tra tutti quelli che popolano
il mondo
mistico del Prete Giovanni, lui avrebbe giurato che sì, lui
era figlio della
scimmia e del quadrupede.
- Allora? -
sussurrò lei a
un centimetro da lui.
- Sì -
mormorò lui, annichilito,
distrutto. Liquida cera di desiderio per lei. Lei si piegò
appena un poco,
lasciando che le loro labbra si sfiorassero.
- Che bella cosa
sentirti
sincero … che bella cosa … oh!
Il Giudice non
aveva resistito,
non poteva. L'aveva presa per la vita, ghermita, l'aveva stesa sulla
paglia
prima che lei potesse anche solo respirare.
- Mi vuoi? - fece -
Dimmi
che mi vuoi.
Lei
annuì,
impercettibilmente. Sentì il peso del corpo di lui farsi
pressante, e
nell'oscurità capì che stava per succedere
qualcosa che poi sarebbe stato
irreparabile.
Il fatto era che lo
voleva
anche lei, solo che non l'aveva saputo fino al momento esatto in cui
non
l'aveva sentito contro di sé.