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Autore: minimelania    21/06/2011    4 recensioni
Quando la notte scivola sui muri e le cortine di damasco del letto, niente è più al sicuro, neppure la più ferma virtù. E se a decidere di infrangere la strana tregua esiziale è il sogno proibito dell'uomo più casto, non c'è delitto che non possa avvenire. Non c'è virtù che non si possa perdere. Non c'è ossessione che non possa avverarsi.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*

< Nec diu nec noctu

licet

Iudices quiescant >

 

*

4.

 

 

Idiota.
Idiota.
Idiota.

E' questo forse che ti ha insegnato l'abate Fulgenzio, quel sant'uomo che ti fece da maestro, a Parigi?
Ovviamente no.
Allora forse sono gli insegnamenti del buon Guidone di Guascogna, il diplomatico che ti ha insegnato tutto quello che sai di legge e di missioni segrete?
E' allora forse il tesoro di prudenza che suggesti dalle opere del Doctor Angelicus a averti indotto a questo saggio passo?
No.
E allora perché ti sei appena rintanato come un topo di fogna in queste fogne di segrete, col lume cieco e la veste rattrappita intorno alle gambe sperando che non si sporchi di liquami? Perché stasera, senza farti vedere, sei scivolato nelle stanze della Guardia e hai sfilato le chiavi del carcere?
La risposta era anche troppo ovvia, ed umiliante. Lo aveva fatto perché, alla fine, Claude Frollo poteva resistere a tutto, ma non a un'imbeccata della zingara. Aveva passato la notte intera, dopo che lei se ne era andata, a sperare che fosse stato solo un sogno, che fossero i brevi deliri di una ragazzina. Alla fine che diritto aveva, dopo avergli tolto il sonno per quel fuoco che atrocemente le serpeggiava addosso, di permettersi adesso anche il lusso di infilarsi in questioni strategiche? Davvero stava cercando di salvargli la vita o era solo una trappola? Non si fidava della zingara, no. E dunque era tanto più colpevole perché, ammantato di nero come un corvo, stava scendendo giù per le segrete, le stesse segrete piene zeppe di demoni che aveva fatto incarcerare, gente che non ci avrebbe messo un secondo a sporgersi anche solo dalle sbarre quel tanto che bastava a strangolarlo. I passaggi erano molto angusti, le sbarre larghe, disperazione e vendetta danno agli uomini una forza insospettabile.
Intrattenendosi in questi amabili pensieri, il Giudice schivò una pozzanghera, giunse a una svolta nel tunnel sotterraneo e si affacciò nella bruna umidiccia che sempre invadeva quelle stanze. Ricordava anche troppo bene il piacere sottile di alcune notti - troppo poche per la verità - in cui sollecito aveva strappato da alcune giovani bocche confessioni che ora sarebbe lungo dettagliare. Ricordava gli schiocchi della sferza su membra spossate di traditori, punizioni esemplari di omicidi, lamenti lugubri di streghe. Oh, le streghe. Sempre state le sue preferite, ma fino al giorno in cui Satana, davvero, non glie ne aveva messa una davanti. Per anni si era trattato di gettare in pasto al boia vecchie megere, di estorcere il Maligno con la sferza da membra tanto rugose che forse anche il Maligno ne avrebbe avuto schifo. Per anni aveva visto di Satana solo la faccia peggiore, ed in questo Dio con lui era stato clemente. Poi, un giorno, inaspettatamente, aveva deciso che era giunta l'ora di Claude Frollo. L'ora della prova suprema. Quindi invece di uno sdentato mucchio di ossa e stoppa, cenci e amuleti, sputi e galletti neri - oh, i galletti davano sempre un tocco di gustoso folklore alla commedia - gli aveva parato davanti la terribile bestia che gli antichi chiamavano Venere. Prima di allora il Giudice credeva di non aver mai visto bellezza, credeva di aver addomesticato gli occhi quel tanto che bastava perché fossero lapidi cieche alla grazia e all'amore. Oh, come si era sbagliato. Era bastato un refolo di vento, un'alzata di ciglia del Maligno, un tiepido lucore di gonnella e …
- … era ora che arrivassi, testone! - sussurrò Esmeralda dalle sbarre. Lo stava aspettando, molto ansiosa - Guarda che è un sacco che ti sto aspettando! Che c'è? Hai una faccia, ci sei? Cos'è, stai male?
Lui preferì soprassedere. Con un gesto elegante tirò fuori dalla manica una chiave, la fece scorrere senza fatica nella toppa, girò e richiuse subito alle sue spalle. Era arrivato alla porta, senza accorgersene. Ecco dov'era finito tutto il suo acume.
- Allora? - bisbigliò lei eccitatissima - Hai visto che alla fine avevo ragione?
Lui dovette trattenersi a forza dal bisbigliarle quello che pensava. Si andava da un formale 'Zitta, donna', a un più posato 'Taci!' fino a un decisamente troppo fiorito 'Che le fiamme dell'Inferno ti portino, che ci fai ancora giù dalla pira, strega?'. Ma ovviamente non aprì bocca. Lei gli stava addosso in modo intollerabile, e lo tirava verso un angolo fetido.
- Vieni, vieni qui, mettiti a sedere. Il buco è questo, riesci a vederlo?
A parte il fatto che quelle dannate mani, quelle mani sul velluto dell'abito erano la cosa più tormentosa del mondo per il loro essere più morbide assai, a parte il fatto che quell'angolo di cella era inondato di qualcosa di fluido che sembrava decisamente liquame, a parte il fetore generale e la tenaglia di fredda, soffocante umidità, il Giudice non vedeva proprio niente. E sì che era sempre stato un'aquila, in fatto di acume di occhi e mente.
- Dev'essere perché non sei abituato. A stare tanto rinchiusi ci si abitua.
Lui la fisso per un istante, nell'ombra. Era curva sopra la paglia, e cercava di fargli posto in qualche modo.
- Siediti, se ci sarà da aspettare tanto vale mettersi comodi.
Dopo un istante di esitazione, anche lui si accostò, e ripiegata la veste cercò di mettersi a sedere come poteva. Il freddo un basso gelava le ossa, e dalla parete colava dell'acqua.
- Esmeralda … fece dopo un certo tempo. Non hai freddo?
E subito si vergognò come un ladro (un idiota) di non aver pensato a portarle qualcosa, uno scialle, una coperta. Qualcosa che servisse a riscaldarla.
Ma lei fece cenno di no.
- Non preoccuparti, alla Corte non è che sia tanto meno freddo, di inverno.
A lui, nel petto, qualcosa si strinse. Probabilmente non era il cuore - perché come diceva un saggio, i Giudici hanno il cuore molto, molto lontano dal petto - ma di sicuro almeno lo stomaco, perché non seppe cosa rispondere. Ricordò solo che addosso, oltre la veste, aveva una specie di cappa. Se la sfilò, semplicemente, e glie la fece cadere sulle spalle senza dire nulla.
- Grazie - mormorò lei, e dopo poco - mi dispiace di avere detto che sei un zuccone. In effetti sei molto gentile … voglio dire, quando vuoi esserlo.
Lui sorrise nella penombra.
- Un giudice non può permettersi di esserlo sempre.
- Ma non può neanche permettersi di non esserlo.
- Che stai dicendo, zingara?
- Dico - fece lei muovendosi, e comunicando la sua dolce spinta alla paglia - Dico che bisogna anche stare attenti a non farsi troppo odiare. Altrimenti poi si finisce con un sacco di gente che trama alle tue spalle e non lo sai.
Frollo si risentì.
- Ora vediamo chi trama veramente alle mie spalle. E se trama.
Lei rise, di una risata come mille campanelli.
- Non mi credi ancora.
- Shhht! Vuoi che ci sentano? Vuoi forse farmi scoprire qui con te? Sarebbe per lo meno imbarazzante spiegare perché ci sono finito, non credi?
Lei rise di nuovo, più forte. Gli passò una mano sulla fronte, e poi scese, fino alla guancia. Si tenne un istante sospesa sul mento. Poi avvicinò le labbra di ciliegia e mormorò all'orecchio:
- Non lo sai che a questo piano sottoterra le celle sono tutte vuote? A parte me c'era soltanto un ladro che hanno impiccato ieri mattina, e comunque era talmente sordo che non ci avrebbe sentito neanche se ci fossimo messi ad urlare.
- E perché dovremmo urlare? - chiese lui, visibilmente estasiato dal contatto e ancor più interiormente irritato perché proprio non riusciva a trattenersi.
- Perché - rispose lei soffocando appena una risata - Sono sicura che io e te litigheremo cento volte prima che la nottata sia conclusa.
- Questo soltanto se vuoi che sia così. Io sono … molto ben disposto alla pace. Non voglio guerre con te, mia cara. Seguimi e vivremo in una pace perpetua.
- Una pace che hai dettato tu. Una pace che mi costringerebbe nel tuo letto.
Lui sospirò, pianissimo. Era vero, lui la voleva nel suo letto, questo era il punto. La voleva talmente, anche adesso, che aveva messo su tutta la messa in scena, aveva finto con se stesso di credere ai suoi sciocchi vaneggiamenti di assassinio solo per poter riprovare il brivido di averla tanto vicina …
- Allora, dimmi la verità. Solo questo. Il probo Giudice sarebbe pronto a scarcerare la strega, a liberarla, a dimenticare tutti i suoi peccati … solamente per averla nel suo letto?
Scivolò piano ancora più vicino. Era quasi intollerabilmente bella così svestita, nella penombra, con la lucida cascata d'ali di corvo dei capelli e la pesante palandrana avvolta intorno al biancore delle scapole …
- Allora?
Li la fissò, quasi senza fiato. Se il quel momento gli avesse chiesto di gridare che era il figlio di una scimmia e di un quadrupede a scelta tra tutti quelli che popolano il mondo mistico del Prete Giovanni, lui avrebbe giurato che sì, lui era figlio della scimmia e del quadrupede.
- Allora? - sussurrò lei a un centimetro da lui.
- Sì - mormorò lui, annichilito, distrutto. Liquida cera di desiderio per lei. Lei si piegò appena un poco, lasciando che le loro labbra si sfiorassero.
- Che bella cosa sentirti sincero … che bella cosa … oh!
Il Giudice non aveva resistito, non poteva. L'aveva presa per la vita, ghermita, l'aveva stesa sulla paglia prima che lei potesse anche solo respirare.
- Mi vuoi? - fece - Dimmi che mi vuoi.
Lei annuì, impercettibilmente. Sentì il peso del corpo di lui farsi pressante, e nell'oscurità capì che stava per succedere qualcosa che poi sarebbe stato irreparabile.
Il fatto era che lo voleva anche lei, solo che non l'aveva saputo fino al momento esatto in cui non l'aveva sentito contro di sé.

 

 


  
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