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Autore: Lacus Clyne    06/07/2011    5 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! Posto un'altra piccola parte del sesto capitolo, ultimamente non ho molto tempo per scrivere, ma... ne ho approfittato! Grazie ancora a Phoebe per la recensione! :D Buona lettura!

 

Fu piuttosto difficile nei giorni a seguire, prepararmi psicologicamente a quello che mi aspettava. Non avevo più nemmeno avuto incubi. Era come se la mia mente avesse deciso di erigere un muro di cemento armato tra la mia realtà di ogni giorno e il mondo senza luce, proprio nel momento in cui ne avevo più bisogno. Era paradossale come ne sentissi il desiderio. Qualcosa di cui avrei sempre fatto volentieri a meno, che mi terrorizzava al punto da farmi svegliare urlando nella notte, adesso era diventato qualcosa di cui sentivo la necessità. Era il solo modo che avessi per comunicare con mia madre, e sebbene non potessi prevedere cosa avrei sognato, nutrivo la disperata speranza che fosse proprio ciò che volevo. Ma sperare non era una garanzia. Non sognai proprio nulla. Trascorrevo le notti in bianco, fissando il soffitto bianco che risplendeva di luce argentea per via dei raggi della luna. Mi chiedevo come sarebbe stato quel mondo, ma quando ci pensavo, la risposta era scontata. Lo conoscevo già fin troppo bene.

- Il mondo in cui non splende la luce… come fanno a vedere in quel mondo?

Mi domandai, stringendo un cuscino.

Ovviamente, aspettarmi una risposta era impossibile. Era così silenziosa la mia casa senza la mamma ed Evan. Mi alzai, nel cuore della notte, osservando attentamente ogni cosa. Non ero mai stata sola prima d’ora e nonostante Violet mi avesse proposto di trasferirmi per qualche giorno da lei, non me la sentivo di andarci. Non era mancanza di rispetto, ma in cuor mio, avevo paura che se la mamma ed Evan fossero tornati e non mi avessero trovata in casa, si sarebbero impensieriti. Com’è folle la mente, fa degli scherzi sadici e crudeli a volte. Allo stesso modo, non volevo che la mia amica rimanesse a dormire da me, perché se mai qualcuno avesse deciso di tornare a prendermi e l’avesse trovata… beh, non volevo che le accadesse qualcosa di male. Era così triste voler proteggere qualcuno tenendolo lontano… richiedeva uno sforzo immane e in più di un’occasione il mio egoismo l’avrebbe avuta vinta, se non fosse stato per la a suo modo rassicurante presenza di Shemar Lambert che perlustrava le zone vicine alla mia casa incessantemente.

- Ma questo non è proprio umano…

Mormorai, scostando la tenda e osservandolo dalla finestra.

Non sapevo proprio che pensare, era così assurdo il fatto che non avesse bisogno né di mangiare né di dormire. Col tempo, pensavo, me ne sarei fatta una ragione. Se gli andava bene così, non ero nessuno per criticarlo. E poi, il fatto che lui fosse così, significava forse che anche noi eravamo simili? Eppure, avevamo sempre condotto una vita così normale, era impossibile dubitare del fatto che fossimo umani, perché lo eravamo. Tranne Evan, un po’, dato che certe sue tendenze erano davvero bizzarre. Sorrisi al ripensarci. A volte mi capitava di addormentarmi in camera sua. Era sempre stata piuttosto spartana, a differenza della mia, così riccamente decorata, e di quella della mamma, che profumava d’altri tempi. La sua stanza era semplice. Un letto, un armadio, una scrivania e un tappeto. Non gli piacevano le cose pompose, e a volte, trovavo che riflettesse ciò che mio fratello era, solitario e schivo.

- Sai, Evan… quando tornerai, ti preparerò uno zabaione. Così smetterai di sonnecchiare tutto il giorno.

Bisbigliai, raccogliendo la felpa che era rimasta sul suo letto. Non avevo voluto toglierla, avrebbe potuto aver freddo una volta tornato. Ormai mancavano tre giorni al mio compleanno. Avrei compiuto sedici anni e gli sarei stata distante soltanto di due anni. Era strano, ma la mamma non ha foto di Evan da piccolo. Le sole che avevamo partono da quando mio fratello aveva circa dieci anni. Non so per quale motivo, si è sempre giustificata dicendo che a quel tempo non aveva particolare dimestichezza con le macchine fotografiche. Strinsi forte la sua felpa, aveva ancora il suo profumo addosso.

- E se la portassi con me? Potrebbe servire…

Mi dissi.

Poi mi sedetti sul suo letto, osservando le pareti spoglie. Pensai che avremmo dovuto riempirle in qualche modo, ero pronta a scommettere che persino la stanza di Warren sarebbe stata meglio arredata di quella di Evan, e sorrisi al pensiero di mensole piene di cd e di libri. Gli piaceva la musica, in particolare quella classica, diceva che lo rilassava. Del resto, non avrei saputo attribuirgli niente di più azzeccato, considerando la sua indole. Mi mancava. Mi mancavano le sue frecciatine, i nostri litigi, la sua voce, il suo sorriso. Avrei dato qualunque cosa per vedere di nuovo quel volto sorridere gentilmente. Ma pensarci in quel momento avrebbe soltanto accresciuto la mia tristezza e se volevo ritrovare lui e la mamma, non avrei dovuto esitare. Avevo pianto troppo, ero sempre stata debole. Era il momento di rendermi utile.

L’indomani mattina, Shemar mi informò che il portale si sarebbe aperto durante la notte. Per un attimo esitai, quelle parole significavano che era aveva ufficialmente cambiato il suo piano ed era davvero determinato a condurmi nel luogo in cui i miei incubi prendevano forma. Sarei dovuta essere terrorizzata, avrei dovuto sentire il richiamo della coscienza che mi avvisava di non imboccare quella strada, ma la voglia di riabbracciare la mia famiglia era più forte di tutto, e forse, chissà, sarei stata anche fortunata a scoprire la verità sulle mie origini, per quanto incredibili esse fossero.

- C’è ancora una cosa che devo fare, prima di andare, Shemar.

Comunicai al mio interlocutore impegnato a valutare attentamente il modo migliore per condurmi nell’Underworld senza che la Croix du Lac lo scoprisse. A quanto avevo avuto modo di capire, la Croix du Lac governava quel mondo, ma ciò che non mi tornava era cosa fosse esattamente. Ma ogni cosa a suo tempo, avrei avuto modo di scoprirlo quando sarebbe stato il momento.

- Non avete ancora preparato i vostri bagagli?

- Quello l’ho già fatto. Si tratta di una cosa, anzi due importanti. Devo salutare Violet, altrimenti ci rimarrà male… in questi giorni si è davvero preoccupata per me e se me ne andassi senza salutarla… beh, insomma, non sarebbe giusto.

Mi guardò per qualche istante, cercando di visualizzare che tipo di relazione mi legasse alla mia amica. Dubito che l’avesse capito, dal momento che dissentì.

- Se lo farete, la metterete in pericolo.

- Perché?

- Perché è meglio che nessun altro sappia dove siete. Scrivetele una lettera, ci penserò io stesso a recapitarla e ditele di bruciarla dopo averla letta.

Wow, teatrale, pensai.

- E se le mandassi una mail?

- Una… cosa?

- Lascia stare, facciamo a modo tuo, per quanto retrogrado. Anche perché se ci sono altri come Warren c’è il serio rischio che qualcuno sappia usare il pc.

- Il… pc?

- Vuoi smettere di farmi il verso?

- Mi scuso, ma parlate di cose di cui ignoro persino l’esistenza.

- Ma guarda, non l’avevo nemmeno capito.

Canzonai, tirando verso il basso la zip del mio zaino e chiudendolo.

- Spero di aver preso tutto.

- Potrete disporre delle risorse di Lady Amber, una volta arrivati. Sono sicuro che vi accoglierà a braccia aperte.

- Sì, sì, certo.

Spero non a fauci, riflettei, posando lo zaino a terra. Chiunque fossero le famiglie governanti dell’Underworld, non ero sicura di potermi fidare, anche se Shemar era stato dalla mia parte sin dall’inizio. Ovviamente, ero consapevole che c’era la possibilità di stare finendo dritta in una trappola, ma non avevo altra scelta, dovevo correre anche quel rischio. Ormai non avevo più niente da perdere e la mia vita non avrebbe avuto alcun senso senza la mia famiglia. Era come essere stata privata di due forze portanti, ero totalmente in balia degli eventi, ma Shemar mi aveva offerto un appiglio rischioso. Dovevo provarci, a costo di ferirmi, a costo di perdere la vita.

- E la seconda cosa?

Mi domandò, senza perdere il filo del discorso.

- Devo recuperare un libro.

- Un libro?

Chiese incuriosito.

- Il professor Warren mi ha mostrato un libro e io l’ho dato a mio fratello che avrebbe dovuto restituirglielo. Immagino l’abbia fatto e credo che si trovi a scuola ora.

- Desiderate che vada a prenderlo?

- Conosci l’Otello, Shemar?

- No, signorina, mi spiace.

Commentò onestamente.

- In tal caso, sta a me andarlo a recuperare.

Gli spiegai.

Era meglio non metterlo al corrente di troppe informazioni. Dopotutto, non aveva avuto torto quando aveva deciso di non raccontarmi tutto. Del resto, se fossimo stati catturati, non so cosa ci sarebbe accaduto. Per questo motivo, era meglio premunirsi e non lasciare nulla al caso.

- Prima però, va’ a farti un giro per un’oretta. Ho da fare.

Mi guardò senza schiodarsi, la cosa non mi sorprese, in verità. Io presi carta e penna, sperando che avesse capito.

- Ah, la lettera. Come desiderate, vi lascio sola. Niente colpi di testa, però, sia chiaro. Sarò nelle vicinanze, non appena avete finito, sarà sufficiente farvi intravedere dalla finestra, come fate di solito.

Lo guardai di sottecchi, era bravo a notare le cose. Ma del resto, quello era il suo lavoro, o almeno così credevo. In ogni caso mi limitai a a sbuffare e Shemar se ne andò, lasciandomi sola con un foglio del tutto vuoto. Mi sedetti al tavolo, gustando quel calore piacevole che veniva dall’esterno. Era una bella giornata, finalmente, la primavera cominciato a farsi sentire, per fortuna. Sarebbe stato un vero peccato andarsene col freddo, pensavo. Solitamente i luoghi caldi mi piacevano, tranne che quelli smisuratamente afosi, che oltretutto non erano nemmeno salutari. Allo stesso modo i luoghi troppo freddi non mi ispiravano, e nemmeno alla mamma, dal momento che non ci aveva mai trascinati in posti dove le temperature glaciali la facevano da padroni. E così, i soli pinguini che avessi mai visto in vita mia, erano tra i peluche della mia stanza. Sorrisi al ripensarci, per la mamma era importante conoscere la natura e tutti i suoi abitanti, tranne che quelli particolarmente ributtanti. Devo dire che non potevo darle torto.

Sospirai, guardando il foglio. In realtà non sapevo cosa scrivere. Fino a quel momento non avevo mai avuto veri amici, o almeno, niente di così importante come Violet. Mi era totalmente sconosciuto il modo di dire addio. Avrei potuto perdermi in mille parole parlando dei ricordi, ma sarebbe stato troppo penoso. Avrei potuto parlare del futuro, ma quel futuro era talmente incerto da rendermi impossibile anche soltanto pensare ad esso. Avrei potuto parlare di quanto mi aveva reso felice incontrarla, diventare amiche, essere inseparabili. Quei due mesi a Darlington mi avevano cambiato la vita, rendendomi per la prima volta parte di qualcosa al di fuori della mia famiglia. Parte di una grande amicizia, parte di un bene infinito. Ma le cose belle finiscono troppo presto e rimuginarci non era il miglior modo per salutare Violet. Scarabocchiai il foglio, lasciando correre l’immaginazione alla festa a cui avremmo partecipato, e mi venne in mente che il giorno prescelto era proprio quello. Come vola in fretta il tempo, pensai. Tutto era cambiato nell’arco di pochissime ore.

- Shemar ha ragione… se dovessi lasciare tracce, queste ricondurrebbero sicuramente a Violet… 

Commentai tra me e me, decidendo istantaneamente cosa fare. Lasciai tutto, correndo a raccogliere tutte le fotografie e tutti i ricordi che mi legavano alla mia amica e li riposi in una scatola. Poi tornai nel mio soggiorno, raccogliendo il foglio bianco. Non mi ero nemmeno accorta di cosa avessi scritto, tanto ero sovrappensiero.

Violet… grazie di tutto. Ti auguro ogni bene.

Strinsi forte quel biglietto, realizzando che la voce del cuore era la più saggia, più di quanto le parole della mente potessero essere.

Sistemai ogni cosa, senza dimenticare nulla. Se avessero voluto cercarmi, Violet sarebbe stata l’ultima persona a cui avrebbero potuto pensare di rivolgersi.

Poi mi avvicinai alla finestra, scrutando la strada in attesa di vedere Shemar. La vita proseguiva tranquilla in quella cittadina d’altri tempi. Quanto mi era piaciuta, quasi mi dispiaceva di lasciare quel mondo tranquillo. A pensarci, la mia sensazione di essere sempre in fuga non era poi così sbagliata e il motivo mi sembrava davvero evidente, sebbene non conoscessi ancora tutti i dettagli. Nemmeno in paradiso avremmo potuto essere salvi.

Mi voltai, Shemar era già vicino al tavolo. Quell’uomo era un mistero, non riuscivo a capire come facesse a spostarsi senza farsi né sentire né vedere e il fatto che non gli importasse minimamente del rischio di farmi venire un infarto aveva dell’irritante.

- La prossima volta sei pregato di suonare il campanello come tutte le persone normali.

Gli ordinai, raggiungendolo.

- Motivi di sicurezza.

Si giustificò.

- Qualcuno penserà che sei un ladro.

- Non paragonatemi a simili creature, signorina. Non ho interesse in questo tipo di diversivi.

- Va’ all’inferno.

Bofonchiai, consegnandogli tutto.

- Dovrei consegnarlo all’inferno?

Cominciavo a credere che mi prendesse in giro e lo trovasse molto divertente. Oltretutto, la sua espressione stupita aveva qualcosa di seccante. Alla luce del giorno, Shemar appariva ancora più pallido, sebbene i suoi lineamenti non fossero male. Era affascinante, in un certo qual modo. Ovviamente, a chi piacciono tipi simili. Dal mio punto di vista, non ero esente dal riconoscere che fosse un bell’uomo, ma non era esattamente il mio ideale. Non che ne avessi, in realtà, o almeno, non ci avevo mai fatto caso. Ma qualunque cosa fosse in realtà Shemar Lambert, sicuramente non avrebbe mai potuto avere a che fare sentimentalmente con degli umani. Oltretutto, da come parlava della sua signora, era chiaro che nutriva per lei qualche sentimento, quindi in ogni caso sarebbe stata una battaglia persa in partenza, per chi avesse avuto voglia di combattere. Conoscevo solo Violet, in questo caso, dal momento che Shemar sembrava interessarle.

- Portalo da Violet, lei saprà. Quanto a me… è ora di fare un giro a scuola.

Dissi, infilando il giubbino.

- Non potete andarci da sola.

- Non ti ho forse detto che è qualcosa che posso fare solo io? Oltretutto, a meno che tu non indossi un’uniforme scolastica e dubito che quella di Evan ti entri dato che sei più alto di lui, non potrai entrare. Quindi, in ogni caso sarei ugualmente sola lì dentro. Ma sta’ tranquillo, so come muovermi.

Gli assicurai.

- Piuttosto, fa’ in modo che tutto vada secondo i piani. Ci vediamo più tardi.

- Con voi non c’è modo di far sì che le cose vadano secondo i piani, signorina Aurore.

Mi rispose, con un tono volutamente ironico.

Sorrisi, non l’avrebbe avuta vinta. Giocavo a quel gioco secondo le mie regole… almeno fino a quando mi fosse stato possibile.

 

  
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