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Autore: monalisasmile    08/07/2011    5 recensioni
Seconda parte della trilogia Eär Lindë (Il Canto del Mare).
Continua il viaggio di Jill alla ricerca di risposte, ma mentre la guerra s'avvicina le domande paiono moltiplicarsi. Qualcosa dentro di lei preme con sempre maggior insistenza: forse la chiave del suo passato o, forse, il flagello che porrà fine a ogni cosa. Che legame ha il dono di Dama Galadriel con tutto ciò?
Ma Jill non è l'unica ad essere tormentata dai dubbi: Legolas ha scorto qualcosa di ciò che si nasconde nell'animo della Corsara e teme di perderla. Vorrebbe poterla legare a sè, ma sa che il suo spirito libero non si lascerebbe mai incatenare. Probabilmente nemmeno dai suoi sentimenti.
Mentre le ombre si addensano e gli ostacoli si fanno insormontabili, alcuni dovranno fare delle scelte, altri superare i propri limiti. E qualcuno dovrà fare un doloroso sacrificio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

 

Jill capiva che per ovvie ragioni Huan non poteva venire a Edoras con loro. Ma che lei dovesse camuffarsi era assurdo.

-          Vorremmo giungere fino a re Theoden il più possibile indisturbati – le aveva spiegato lo stregone – e tu attireresti troppo l’attenzione. –

Lei aveva sollevato un sopracciglio, indicando Gimli, Legolas, Aragorn e infine lo stesso Gandalf, con fare allusivo.

Legolas aveva chinato il capo, soffocando un sorrisetto. In effetti la Corsara non aveva tutti i torti: di tutta la Compagnia non era affatto certo che fosse lei ad attirare maggiormente l’attenzione.

-          Jill… - il tono del Istar era paziente, ma non ammetteva repliche – re Theoden non vede di buon occhio i Corsari e qui non siamo ad Umbar, dove una donna valorosa è considerata pari agli uomini… -

La rossa strinse i pugni, al pensiero di non venire accettata al cospetto di un re semplicemente perché era una donna.

-          Per di più – le si avvicinò – ho idea che gli Uruk-hai che avevano catturato Merry e Pipino avessero anche l’ordine di farti prigioniera e riportarti a Isengard. Viva. –

Legolas ripensò alla battaglia presso le Cascate di Rauros, durante la quale s’era accorto che gli attacchi degli Orchi non sembravano finalizzati ad ucciderla.

-          Non so quali siano le reali intenzioni di Saruman – continuò lo stregone – ma vorrei tenerti il più possibile lontana dal suo sguardo. Dunque, sapendo che se ti chiedessi di attendere al sicuro nella foresta non potresti mai obbedirmi – le sorrise – questo mi pare un giusto compromesso, non ti pare? –

A malincuore, Jill annuì.

Ma qualcun altro non era dello stesso avviso.

 

-          Chiedo scusa – intervenne Legolas – ma non sono d’accordo. –

Tutti si voltarono a guardarlo stupiti: non capitava spesso che il principe di Bosco Atro discutesse le decisioni dei compagni, men che meno quelle di Gandalf.

Eppure il sorriso dello stregone non s’incrinò, come se la cosa non lo meravigliasse affatto.

-          Potrei saperne il motivo, principe Legolas? –

-          Se Saruman ha veramente intenzione di catturarla, non dovresti permetterle di venire con noi e correre il rischio di esporsi troppo. Hai detto che è riuscito a infiltrarsi nel regno di Rohan: è uno stregone potente e ingegnoso, non abbiamo idea di quali incantesimi abbia lanciato su quella corte e quante spie vi siano nascoste. Non comprendiamo ancora le sue reali intenzioni, ma se venisse a sapere che Jill si trova là è molto probabile che tenterà di concludere ciò che gli Uruk-hai non sono riusciti a portare a termine. –

L’Elfo aveva parlato in tono pacato ma serio e il sorriso di Gandalf s’allargò. Un’altra persona si sarebbe domandata il motivo di quel gesto compiaciuto, ma Jill era già volta verso il principe di Bosco Atro, pronta a tempestarlo d’improperi. 

Quasi le avesse letto nella mente e anticipato la sua arringa, il biondo si voltò a guardarla, mettendola a tacere con uno sguardo duro che la inchiodò al suo posto.

-          Potrai anche disprezzare il pericolo, ma non puoi essere tanto egoista da far rischiare la vita a tutta quella gente solo per un tuo capriccio. Tu più di chiunque altro dovresti sapere quanto Saruman può essere spietato. –

 

Jill rimase pietrificata a quelle parole.

 

Legolas la vide abbassare il capo, abbattuta dalle due dure parole. Per un attimo quel volto afflitto lo fece vacillare. Tuttavia mise rapidamente a tacere la voce del rimorso: era stato severo, ma l’aveva fatto per lei.

Non temeva che i tirapiedi di Saruman potessero realmente farle del male, tanto più che lui sarebbe stato al suo fianco, pronto a proteggerla.  Piuttosto era preoccupato dall’ossessione dello stregone di Isengard per la sua ex protetta: c’era qualcosa in quella Corsara audace e impulsiva che poteva tornare utile all’Istari. Qualcosa che, ne era certo, aveva a che fare con quella misteriosa entità che stava chiamando a sé la fanciulla.

 

-          Sono d’accordo con Orecchie a Punta – intervenne Gimli infrangendo quel silenzio pesante – però credo anche che sia più saggio restare tutti uniti. Abbiamo già visto alle Cascate di Rauros quanto possa essere controproducente separarsi. –

La Corsara sorrise riconoscente al Nano, che le strizzò l’occhio in segno d’intesa.

-          E poi – si rivolse all’Elfo – Saruman sicuramente è a conoscenza del fatto che Jill sta viaggiando con la Compagnia. Se entrassimo a Edoras senza di lei intuirebbe che è nascosta nelle vicinanze e potrebbe cogliere l’occasione per tentare di catturarla prima del nostro ritorno. Come hai detto tu, non sappiamo di quali diavolerie sia capace quel maledetto stregone. Senza offesa, Gandalf! –

Con sommo dispiacere di Legolas, Aragorn condivideva i suoi timori ma era d’accordo col Nano: meglio restare uniti e camuffarla. Saruman era troppo calcolatore per tentare un’offensiva contro di lei ora che Gandalf era tornato al suo fianco, rischiando di mandare a monte il grande progetto che sicuramente aveva già architettato.

Jill esultò interiormente.

 

Gandalf osservò lo sguardo truce dell’Elfo e represse un risolino divertito. Era chiaro a tutti, o meglio a quasi tutti, quali fossero state le sue reali intenzioni e da che tipo di sentimenti fossero mosse.

“ Purtroppo per lui però Jill è troppo ingenua ed emotivamente immatura per rendersene conto.”

E qualora lei se ne accorgesse…

“ Chissà…” rimuginò lo stregone, abbracciando con lo sguardo quella coppia tanto bizzarra.

Un principe scuro in viso e una Corsara gongolante.

Un Elfo e una Donna.

Un lago tranquillo e un mare impetuoso.

 

Gandalf cavalcava in testa al gruppo sulla groppa di Ombromanto, uno dei leggendari Mearas, Signori tra tutti i cavalli, che secondo le leggende erano stati condotti nella Terra di Mezzo da uno degli Undici Valar Supremi. Sia re Theoden che molti altri cavalieri avevano tentato di domarlo, ma l’animale aveva per deciso di lasciarsi montare solamente da Gandalf, che lo cavalcava con gentile fermezza, senza sella né briglie.

L’Elfo fece scorrere lo sguardo sul magnifico stallone dal manto candido e la corporatura perfetta. I Mearas erano conosciuti non solo per la loro rara bellezza, ma anche per l’eccezionale forza e velocità, nonché intelligenza.

Gandalf montava avvolto in un grigio e sgualcito mantello per non lasciare trapelare la veste candida, simbolo del suo nuovo titolo di capo dell’Ordine degli Istari, da cui Saruman era stato destituito una volta convertitosi alla causa di Sauron.

Legolas cavalcava subito dietro, con Gimli seduto alle sue spalle. Alla sua sinistra lo affiancavano Aragorn e Jill.

“Di nuovo sulla stessa cavalcatura.”

Aggrottò la fronte. Da poco s’era reso conto della natura di quella strana sensazione che provava ogni qual volta vedeva Jill in compagnia del Numenoreano e l’aveva identificata con l’unico nome che, aimè, potesse corrisponderle: gelosia. Non era stato facile per lui ammettere quella debolezza, un po’ per orgoglio un po’ perché mai vi si era imbattuto nei suoi tremila anni di vita. Per quanto si fosse sforzato di ignorarla e poi di metterla a tacere, una vocina melliflua gli aveva insistentemente fatto notare quanta ammirazione e rispetto la Corsara provasse nei confronti dell’Erede di Isildur. Legolas si era ripetuto che in quello non v’era nulla di insolito: Aragorn suscitava profonda stima anche nei più grandi condottieri e regnanti.

“ Peccato che lei sembri preferire la sua compagnia alla mia!”

A esser più precisi, negli ultimi tempi Jill sembrava preferire la compagnia di chiunque alla sua. E ora aveva anche un valido motivo per essere arrabbiata con lui, data l’arringa che le aveva fatto poco prima per convincerla a restare al sicuro nella foresta anziché esporsi al pericolo seguendoli a Edoras. Inutile dire che il principe se l’era cercata e lo sapeva bene: ormai la conosceva abbastanza da sapere che la Corsara non se ne sarebbe stata con le mani in mano in un nascondiglio ad attendere il loro ritorno come una donna qualsiasi.

Lanciandole un’occhiata le sue labbra si piegarono in un sorriso sghembo.

“ Certamente ora non potrebbe passare per una donna qualsiasi.”

Gandalf aveva fatto ricorso alla magia per mascherare la sua identità e ora Jill assomigliava piuttosto a un giovane scudiere. Il viso era stato schiarito e cosparso di lentiggini, i capelli avevano assunto una colorazione quasi castana. Le spalle si erano allargate, le braccia inspessite e i fianchi ristretti quanto bastava a darle un aspetto virile. Persino gli occhi avevano assunto un’altra tonalità: da blu come la notte erano diventati marroni come la terra bagnata. Aveva avvolto l’elsa della spada con uno straccio e macchiato la lama per camuffarne il colore sanguigno, troppo particolare per non saltare all’occhio. Era stata solamente indecisa su cosa fare della scatola donatale da Dama Galadriel che custodiva nella sacca, ma Gandalf le aveva assicurato che nessun Uomo avrebbe mai potuto aprirla, quindi s’era risolta a portarla con sé.

Legolas sospirò, tornando a volgere lo sguardo di fronte a sé: certo così conciata nessuno avrebbe potuto riconoscerla, ma quella fastidiosa inquietudine non accennava a lasciare il suo cuore.

 

-          Il Nero Cancello di Mordor – piagnucolò Smeagol, ritraendosi dietro alle rocce come se la sola vista della muraglia bastasse a terrorizzarlo.

Nemmeno Sam poté dargli torto, poiché il nome non bastava a rendere l’idea dell’imponenza della costruzione: gli Orchi che pattugliavano le mura sul cammino di ronda sembravano formiche. Il termine “inespugnabile” sarebbe stato riduttivo, poiché Frodo era certo che nemmeno un esercito aveva la benché minima possibilità di aprirvi una breccia.

Un ritmico sferragliare e delle urla di incitamento gli fecero distogliere l’attenzione dalla fortezza per posarlo sui soldati che s’avvicinavano al Cancello. Procedevano in file ordinate, reggendo scudi rettangolari e lunghe lance; le corazze bronzee ne celavano completamente le fattezze eppure era sicuro che non fossero Orchi. L’Hobbit non riconobbe i simboli, ma i colori caldi degli stendardi gli fecero supporre che appartenessero ai popoli del Sud.

Sconsolato, ripensò ai compagni che s’era lasciato alle spalle, alla loro profonda conoscenza della Terra di Mezzo e destrezza nel combattimento. Come spesso gli era capitato da quando lui e Sam si erano allontanati dalle Cascate di Rauros, sperò che stessero tutti bene e si chiese come lo avrebbero consigliato Aragorn, Gandalf, Jill…

Il pensiero della Corsara lo fece per un attimo vergognare della sua insicurezza. Se solo lei fosse stata al suo fianco, era certo che sarebbe riuscito a ritrovare un po’ di coraggio.

“ Anche se qua” si disperò, facendo scorrere lo sguardo sul Nero Cancello “più del coraggio servirebbe una buona dose di follia!”

Quasi avesse voluto dare ascolto ai suoi pensieri, Sam gli fece notare che il Cancello si stava aprendo per lasciar entrare il battaglione appena sopraggiunto e si sporse verso l’orlo del dirupo, cercando un modo per scendere.

Lo trovò. La roccia sotto di lui era più friabile di quanto sembrasse e l’Hobbit precipitò giù per la scarpata. 

Frodo fu rapido a correre in suo soccorso, tra le grida di protesta di Smeagol. Ma il rumore dei frammenti rocciosi che ruzzolavano giù per il declivio e la polvere sollevata lo tradì: un soldato si accorse di quell’anomalia e, affiancato da un compagno, si allontanò dallo schieramento per perquisire l’area.

Ormai al fianco dell’amico, Frodo tentò di farlo alzare, ma il corpo di Sam era sprofondato nei detriti e i soldati s’avvicinavano sempre più. Preso dal panico, l’Hobbit fece scorrere gli occhi azzurri da un lato e dall’altro della vallata, in cerca di una soluzione.

Come per magia, gli tornarono in mente le parole di Dama Galadriel:

-          C’è sempre una speranza –

In un gesto più disperato che razionale, Frodo afferrò il suo mantello, dono della Signora di Lorien, e vi si nascose sotto insieme a Sam.

Entrambi trattennero il respiro. I passi dei due soldati s’arrestarono e gli Hobbit sollevarono appena il mantello: fortuna volle che gli uomini del Sud si fossero fermati a una spanna dal loro nascondiglio.

Dopo secondi che parvero ore, i soldati si allontanarono.

Frodo scostò il mantello e, una volta liberato Sam, s’appostarono insieme dietro a una roccia, pronti a scattare verso l’ingresso che andava chiudendosi.

-          Dubito che i mantelli elfici lì ci potranno nascondere. –

Purtroppo non poteva dare torto all’amico, ma non avevano altra scelta: l’Anello andava portato fino al Monte Fato e lì distrutto. Aveva preso un impegno e l’avrebbe portato a termine, a tutti i costi.

Quando balzarono in avanti, due braccia ossute ma forti li bloccarono, tirandoli indietro.

-          No Padrone, no! – gracchiò Smeagol, quasi supplichevole – Ti prendono, ti prendono! Ti prego, non portarlo da Lui! –

Frodo lo guardò basito, mentre alle sue spalle l’esercito era quasi completamente entrato.

-          Lui vuole il Tesssoro, Lui lo cerca! E il Tesssoro vuole tornare da Lui… - il tono di voce della creatura cambiò, diventando più bassa e sibilante – Ma non dobbiamo permettergli di averlo! –

L’esercito del Sud era ormai scomparso alla vista. Frodo tentò un’ultima volta di avvicinarsi, ma Smeagol lo bloccò nuovamente, tornato implorante e disperato.

-          C’è un’altra strada più sssegreta, una strada buia. –

-          Allora perché non ce ne hai parlato prima? – lo attaccò Sam.

-          Perché il Padrone non l’ha chiesto! – piagnucolò l’altro, contorcendosi.

-          Trama qualcosa! –

Il Cancello si chiuse con un boato.

Frodo esitò, guardando i suoi compagni. Comprendeva i timori e la diffidenza di Sam, d’altro canto Smeagol li aveva condotti fino a lì. E senza di lui le speranze degli Hobbit di raggiungere il Monte Fato si sarebbero ridotte drasticamente. Forse avrebbero dovuto fidarsi ancora di lui…

Ripensò alle parole di Gandalf nelle miniere di Moria, quando aveva fatto notare allo stregone la presenza della strana creatura. Secondo lui Gollum aveva ancora un ruolo da giocare, nel bene o nel male. Frodo si era sempre fidato del giudizio del saggio stregone e aveva cominciato a pensare che il compito di Smeagol in quella vicenda fosse di condurli a Mordor.

Era senza dubbio un rischio: quella creatura era stata troppo tempo in possesso dell’Anello e il suo animo era ormai corrotto, probabilmente senza possibilità di redenzione. Ma una parte di Frodo si ostinava a vedere del buono in lui e a voler credere che la sua anima potesse ancora esser salvata. Senza contare che i pericoli sembravano esser divenuti la sua ombra da quando aveva lasciato la Contea: avere Smeagol come guida in quel tragitto non sarebbe stato il primo né l’ultimo dei rischi.

-          Facci strada, Smeagol. –

Gli occhi accusatori di Sam lo costrinsero a distogliere lo sguardo.

 

-          Mio Signore – gli accarezzò gentilmente una mano Eowyn – tuo figlio è morto… -

La voce della fanciulla quasi si ruppe, non ricevendo risposta, mentre le lacrime a lungo trattenute minacciavano di sgorgare.

-          Mio Signore… - ritentò, con un velo di supplica nella voce rotta – Zio… –

Gli occhi lattiginosi di Theoden, re di Rohan, la guardarono senza vederla.

-          Non andrai da lui… –

Non era una domanda. I suoi occhi umidi rivolsero una supplica al suo sovrano e zio. Inutilmente.

-          Non farai nulla. –

Un’altra amara affermazione.

 

Eowyn pianse a lungo sul corpo ormai privo di vita di Theodred, suo cugino e legittimo erede al trono di Rohan. Ora che il figlio del re era morto, il primo in linea di successione sarebbe stato Eomer. Se non che il fratello della fanciulla fosse appena stato esiliato.

Tremò, scossa da un singhiozzo, travolta dalla consapevolezza che i suoi incubi si stavano tramutando in realtà: la sua casata si stava sgretolando. E con essa tutti i suoi sogni.

Theoden pareva avesse la mente ottenebrata e che non fosse più in grado di distinguere gli amici dai nemici. Come il viscido Vermilinguo.

La principessa strinse i pugni. Non s’era mai fidata delle parole di quel consigliere fraudolento e il modo in cui la guardava le dava la nausea. Non solo aveva plagiato la mente del re e stava mandando in rovina quel regno, ma Eowyn sapeva che la sua velenosa presenza le era sempre vicina. Troppo vicina.

Come se avesse udito i suoi pensieri, Vermilinguo strisciò nella stanza, avvicinandosi al letto su cui giaceva Theodred. Eowyn osservò la pallida figura del consigliere, le cui vesti scure parevano assorbire la calda luce delle candele e avvelenare di menzogne persino l’aria.

-          Oh, egli deve essere morto durante la notte. –

Eowyn aveva il forte sospetto che Vermilinguo gli avesse facilitato il trapasso. Ma non disse una parola: Theodred era stato gravemente ferito in battaglia e, probabilmente, non sarebbe comunque sopravvissuto.

-          Che tragedia per il re perdere il suo unico figlio ed erede. –

L’uomo si sedette sulla sponda del letto, accanto alla fanciulla inginocchiata.

-          Capisco – sibilò Vermilinguo, sfiorando la spalla di Eowyn con una mano – non è facile accettare la sua morte. Specialmente ora che tuo fratello ti ha abbandonata… -

-          Lasciami sola, serpente! – saltò su lei, furiosa, terrorizzata e disgustata da quel essere maligno.

-          Oh, ma tu sei sola! – quasi si prese gioco di lei il consigliere – Chi lo sa cos’hai detto alle tenebre, nelle amare veglie notturne – le girò attorno come una bestia alla sua preda – quando tutta la tua vita sembra contrarsi e i muri della tua dimora ti si stringono addosso. Una stia in cui si cela qualcosa di selvaggio… -

Eowyn non si mosse, scossa da quelle parole maligne che avevano colto nel segno: lei desiderava la gloria per sé e la sua casata. I re del passato avevano lottato con onore per donare protezione e prosperità al loro regno e per le loro gesta sarebbero stati ricordati in eterno. Ma da quando Theoden aveva perso la sua tempra anche i suoi desideri avevano cominciato a perdere forma. Le notti s’erano affollate di incubi in cui Eowyn si vedeva invecchiare tra le mura di quella confortevole prigione fino a diventare cenere, per poi venir portata via dal vento. Dimenticata.

-          Così bella – sussurrò Vermilinguo, guardandola rapito – così fredda – le sfiorò il viso, scostandole un poco i lunghi capelli biondi – come un mattino di pallida primavera ancora legato al gelo dell’inverno… -

Eowyn rabbrividì, sentendo il sangue gelarsi nelle sue vene. Inspirò a fondo, mentre la mano del consigliere scendeva lungo la sua bianca gola, e rialzò gli occhi su di lui. Fiera, s’impose autocontrollo: non gli avrebbe permesso di giocare con la sua mente come aveva fatto con quella del suo re. Il suo cuore apparteneva solo a lei e mai avrebbe permesso a quel viscido essere di averlo.

-          Le tue parole sono veleno – e si scostò da lui, uscendo da quella stanza e poi dal palazzo.

Fuori il vento le scompigliò i capelli e s’insinuò tra le pieghe della sua candida veste, mentre le bandiere recanti lo stemma di Rohan sferzavano l’aria. Una folata più impetuosa ne strappò una, che volteggiò nel cielo sgombro di nubi fino a scomparire al di là della cinta di Edoras.

 

Erano giunti alle pesanti porte della città, quando uno stendardo volò accanto alle zampe del cavallo di Aragorn. Il Ramingo si soffermò a guardare la stoffa che fuggiva sull’erba dell’altura, mossa dal vento.

L’occhio di Jill cadde invece sulle morbide sporgenze erbose che affioravano ai lati del sentiero e cui non aveva prestato attenzione durante la salita. Li riconobbe come dei tumuli e ipotizzò che al loro interno riposassero i re di Rohan che, generazione dopo generazione, avevano governato su quelle terre. Ognuno di essi era cosparso di piccoli candidi fiori, i Ricordasempre. Tutti tranne uno.

Il suo sguardo indugiò un attimo su quel ultima tomba, scoperta e spoglia di fiori, come se fosse in placida attesa. Poi lei e Aragorn entrarono a Edoras.

 

Jill alzò lo sguardo verso il palazzo e scorse una candida figura dai lunghi capelli biondi e la postura fiera di una regina.

-          Trovi più allegria in un cimitero. – commentò Gimli.

Anche se avesse potuto, Jill non avrebbe trovato nulla da obiettare. Gli sguardi che li accolsero nella capitale di Rohan lasciavano intendere il sospetto e la paura di quella gente nei confronti dei forestieri. Due componenti che, come le aveva spiegato lo stesso Saruman, se miscelate potevano essere particolarmente pericolose.

Quando posò nuovamente gli occhi sulla dimora di Theoden, la fanciulla era scomparsa.

 

-          Non potete stare davanti al re così armati, Gandalf il Grigio – recitò il capitano delle guardie una volta che la Compagnia ebbe raggiunto le porte d’ingresso – per ordine di…Grima Vermilinguo. – aggiunse riluttante.

Jill abbassò leggermente il capo per nascondere il volto: i suoi lineamenti per un attimo si contrassero in un’espressione sinistra.

Gandalf annuì e fece segno ai compagni di seguire le disposizioni.

La Corsara slacciò la cinghia che assicurava il fodero di Carcharoth alla schiena, consegnandola con uno sguardo d’ammonimento a un soldato. Sfilò i lunghi pugnali dalla cinta e poi quelli più piccoli, di cui uno dal fodero legato alla sua coscia.

Sorrise candidamente al soldato perplesso e carico di lame. Se solo l’uomo avesse intuito che il ragazzo che aveva di fronte era in realtà una Corsara, le avrebbe perquisito gli stivali e magari anche la casacca. 

Il capitano si rivolse ancora a Gandalf.

-          Il tuo bastone. –

-          Oh – parve amareggiato lo stregone – non vorrai separare un vecchio dal suo appoggio per camminare. –

Jill si trattenne a stento dal ghignare: evidentemente i Corsari non erano gli unici a beffarsi degli ordini.

Il soldato esitò, per niente convinto, ma annuì e la Compagnia fece il suo ingresso.

 

Re Theoden sedeva in fondo alla sala sul trono rialzato. Il suo corpo era avvizzito e la schiena curva. Al suo fianco stava un uomo pallido vestito di nero, simile a un corvo appollaiato sul bracciolo del seggio e che andava sussurrando nell’orecchio del sovrano: con tutta probabilità Grima Vermilinguo.

Le porte si chiusero alle spalle della Compagnia. Gli occhi di Legolas individuarono il lento incedere di un gruppo di uomini alla loro destra: seguivano i movimenti dei forestieri con sguardo truce. Non indossavano le armature e i simboli del regno, dunque ipotizzò si trattasse di briganti.

Lanciò un’occhiata alla sua sinistra e notò che gli occhi della Corsara s’erano fatti scuri e l’espressione feroce. Seguì la direzione del suo sguardo fino all’uomo cereo accanto al trono.

Non diede a vedere di essersene accorto, ma s’avvicinò di un passo allo scudiero.

 

-          La cortesia del tuo palazzo è alquanto diminuita ultimamente – proruppe Gandalf – re Theoden. –

-          Perché dovrei darti il benvenuto – rispose il sovrano come se ogni parola gli costasse fatica – Gandalf Corvo Tempesta? –

-          Una giusta domanda, mio Signore – gli sussurrò Vermilinguo, per poi alzare il tono affinché tutti lo udissero – Tarda è l’ora in cui questo stregone decide di apparire! – si avvicinò a Gandalf – È un cattivo ospite… -

-          Silenzio! – lo mise a tacere l’Istaro – Tieni la tua lingua forcuta tra i denti. Non ho affrontato fiamme e morte per scambiare parole con un insulso verme. –

Sollevò il bastone puntandolo contro  Vermilinguo, che si ritrasse improvvisamente, come una bestia scottata dalle fiamme.

-          Il bastone… - farfugliò, quasi contorcendosi – Vi avevo detto di prendere il bastone dello stregone! – strepitò.

Ma i soldati di Rohan non si mossero, lasciando che fossero i soli briganti a scagliarsi sulla Compagnia.

Jill atterrò facilmente il primo bandito, per poi prepararsi ad affrontare il secondo, i pugni alti di fronte al viso pronti a colpire. Ma Legolas fu più lesto e con un solo colpo alla nuca lo tramortì.

La Corsara lo fulminò, ma l’Elfo le ammiccò di rimando.

“Maledizione!” imprecò fra sé, voltando le spalle a quel gesto e gettandosi sul prossimo avversario. Schivò con agilità i fendenti della spada, roteò su se stessa portandosi fuori tiro e affondò un calcio nel fianco del bandito. Questi andò a sbattere contro il muro, si voltò dolorante ma non fu abbastanza rapido ad alzare la guardia: un pugno forte e mirato lo raggiunse in mezzo al viso, spaccandogli il naso. Subito Jill si scansò per evitare l’affondo di un’altra lama. Saltellò di qua e di là evitando agilmente il pugnale, ma sufficientemente vicina per poter affondare calci e pugni al suo assalitore appena trovava uno spiraglio. Pareva quasi giocasse col suo avversario come un predatore con la facile preda. Appena l’uomo si sbilanciò troppo in avanti lo disarmò, gli piegò l’arto dietro la schiena e gli tagliò la gola.

 “Ah” inspirò soddisfatta, il sorriso ferino  “Un bel corpo a corpo come ai vecchi tempi!”

-          Re Theoden – avanzò Gandalf – figlio di Thengel! –

L’ultimo bandito stramazzò al suolo con un pugnale tra le spalle e Jill si voltò a cercare Vermilinguo. Lo individuò che tentava di raggiungere l’uscita e mettersi in salvo, strisciando sul pavimento tra i cadaveri dei briganti che egli stesso aveva sicuramente assoldato per la propria sicurezza. Con un solo balzo la Corsara calò sulla sua vittima, l’afferrò per il mantello e la scaraventò con forza ai piedi di una colonna.

-          Troppo a lungo sei rimasto nell’ombra – proseguiva intanto Gandalf – Ascoltami! –

I soldati e i membri della corte si avvicinarono al trono.

-          Io ti libero – lo stregone sollevò una mano aperta – dall’incantesimo. –

 

Il re rise. Un suono aspro e rauco, come se non provenisse realmente dalla sua gola.

-          Non hai alcun potere qui, Gandalf il Grigio. –

Lo stregone sollevò lo sguardo, puntandolo non sul volto del re, ma del parassita che si nascondeva tra le pieghe di quella pelle avvizzita. Lasciò cadere il mantello a terra e una candida luce parve sprigionarsi dalle sue vesti, abbagliando il sovrano improvvisamente sconvolto dal terrore.

-          Io ti estirperò, Saruman – tuonò il Bianco – come il veleno si estirpa dalla ferita! –

Puntò il lungo bastone verso il re, inchiodandolo al trono. Theoden si contorse, stringendo convulsamente i braccioli.

Una fanciulla dai lunghi capelli biondi tentò di soccorrere il sovrano, ma Aragorn la trattenne per un braccio.

-          Se io me ne vado – sibilò una voce maligna che non apparteneva al re – Theoden morirà. –

Come una biscia, Vermilinguo tentò di divincolarsi, ma bastò lo sguardo spietato degli occhi scuri del ragazzo che incombeva su di lui come la Morte su un lebbroso a inchiodarlo al suo posto. Terrorizzato, l’uomo cercò in un ultimo disperato tentativo di trovare una debolezza in quel giovane scudiero cui aggrapparsi.

E notò la cicatrice sulla sua gola.

 

Eowyn temeva per lo zio, ma fece come le aveva detto l’uomo che l’aveva fermata e restò al suo posto. In cuor suo voleva credere che vi fosse una possibilità di salvezza per il suo re. E per lei.

-          Non hai ucciso me – proseguì Gandalf, immune alle parole velenose di Saruman – non ucciderai lui. –

-          ROHAN È MIA! –

-          Vattene! – gli ordinò Gandalf.

-          MIO SIGNORE! – strillò Vermilinguo – È LEI! È QUA! –

Per un istante Gandalf perse la concentrazione e Saruman puntò gli occhi sul giovane uomo che teneva il viscido consigliere fermo a terra.

Con un urlo re Theoden si scagliò in avanti e una potente onda d’urto si scagliò sullo scudiere, che venne scaraventato indietro. Avrebbe sbattuto violentemente la schiena contro una delle colonne se l’Elfo non si fosse frapposto, accogliendolo fra le sue braccia.

Eowyn sgranò gli occhi, sconvolta: quello che fino a pochi secondi prima era un giovane uomo del Nord, ora era senza dubbio una fanciulla del Sud.

Riavutosi dall’attimo di sorpresa, Gandalf si voltò con occhi colmi di rabbia verso il nemico e menò un violento affondo del bastone che apparentemente sferzò solo l’aria. Eppure Theoden s’afflosciò sul trono ed Eowyn fu lesta nel corrergli incontro.

 

Jill scosse il capo, stordita da quella scarica di magia cui non era preparata. Le ricordò la prima volta che era stata colpita dal boma di una nave poiché non era stata sufficientemente attenta al cambio di direzione del vento. Solo che questa volta non era atterrata sul sudicio e puzzolente ponte di un’imbarcazione, ma sull’ampio petto di Legolas.

“M…mu…schio?”

Una parte della sua mente si chiese se tutti gli Elfi Silvani avessero lo stesso profumo. Che dipendesse dal materiale di cui erano fatti i loro indumenti?

“ Stai bene?”

Gli occhi della Corsara misero a fuoco quelli dell’Elfo, vicini e colmi di sincera preoccupazione, ma la ragazza fu lesta a distogliere lo sguardo, imbarazzata e stordita.

 “ Sì… Sì io sto bene…”

Si voltò a guardare Vermilinguo, che era stato afferrato da un furibondo Gimli per il colletto.

“ Ma qualcun altro tra poco starà molto male…” sibilò, furiosa.

Grima si contorse disperato, tentando di divincolarsi dalla ferrea presa del Nano.

Ma le braccia del principe tennero stretta Jill, impedendole di liberarsi. Per un attimo la fanciulla si stupì di quanto fossero forti nonostante l’aspetto esile dell’Elfo.

“ Legolas! Lasciami andare!”

“ No.”

Il suo tono era serio, ma Jill lo ignorò, contorcendosi nel tentativo di liberarsi.

“ Ti ho detto di lasciarmi!”

“ Non voglio che tu ti macchi del sudicio sangue di quella serpe.”

“ Me ne infischio di cosa vuoi tu! Quella carogna merita la morte per tutto ciò che ha fatto e io…”

Un rapido colpo alla nuca le fece perdere i sensi.

-          Era proprio necessario? – lo accusò il Nano con un’occhiataccia.

-          Sì. – rispose il principe di Bosco Atro, sollevandola tra le braccia.

Vermilinguo fu evidentemente sollevato dal gesto dell’Elfo, ma questi si chinò su di lui, gli occhi freddi come due pezzi di ghiaccio e taglienti come diamanti.

-          Non l’ho certo fatto per te, verme… – gli sussurrò all’orecchio, gelandogli il sangue nelle vene – E se al suo risveglio vengo a sapere che hai fatto del male anche a lei… sappi che non ci sarà rifugio in grado di celarti né fortezza in grado di arrestarmi. Ti troverò e ti ucciderò nella maniera più dolorosa che conosco. –

L’uomo rabbrividì, sperando che la fanciulla non si riprendesse molto presto: il suo istinto di preservazione gli suggeriva che, forse, sarebbe stato meglio morire per mano della focosa Corsara piuttosto che del glaciale Elfo.

 

 

 

Continua…

  

  
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