Capitolo
3
Jill capiva che per ovvie ragioni
Huan non poteva
venire a Edoras con loro. Ma che lei
dovesse camuffarsi era assurdo.
-
Vorremmo giungere fino a re Theoden
il più possibile indisturbati – le
aveva spiegato lo stregone – e tu attireresti troppo
l’attenzione. –
Lei aveva sollevato un
sopracciglio, indicando
Gimli, Legolas, Aragorn e infine lo stesso Gandalf, con fare allusivo.
Legolas aveva chinato il capo,
soffocando un
sorrisetto. In effetti la Corsara non aveva tutti i torti: di tutta la
Compagnia
non era affatto certo che fosse lei ad attirare maggiormente
l’attenzione.
-
Jill… - il tono del
Istar era paziente, ma non ammetteva repliche – re
Theoden non vede di buon occhio i Corsari e qui non siamo ad Umbar,
dove una
donna valorosa è considerata pari agli uomini… -
La rossa strinse i pugni, al
pensiero di non
venire accettata al cospetto di un re semplicemente perché
era una donna.
-
Per di più –
le si avvicinò – ho idea che gli Uruk-hai che
avevano
catturato Merry e Pipino avessero anche l’ordine di farti
prigioniera e
riportarti a Isengard. Viva. –
Legolas ripensò alla
battaglia presso le Cascate
di Rauros, durante la quale s’era accorto che gli attacchi
degli Orchi non
sembravano finalizzati ad ucciderla.
-
Non so quali siano le reali
intenzioni di Saruman – continuò lo
stregone – ma vorrei tenerti il più possibile
lontana dal suo sguardo. Dunque,
sapendo che se ti chiedessi di attendere al sicuro nella foresta non
potresti mai obbedirmi –
le sorrise – questo mi
pare un giusto compromesso, non ti pare? –
A malincuore, Jill
annuì.
Ma qualcun altro non era dello
stesso avviso.
-
Chiedo scusa – intervenne
Legolas – ma non sono d’accordo. –
Tutti si voltarono a guardarlo
stupiti: non
capitava spesso che il principe di Bosco Atro discutesse le decisioni
dei
compagni, men che meno quelle di Gandalf.
Eppure il sorriso dello stregone
non s’incrinò,
come se la cosa non lo meravigliasse affatto.
-
Potrei saperne il motivo, principe
Legolas? –
-
Se Saruman ha veramente intenzione
di catturarla, non dovresti
permetterle di venire con noi e correre il rischio di esporsi troppo.
Hai detto
che è riuscito a infiltrarsi nel regno di Rohan:
è uno stregone potente e ingegnoso,
non abbiamo idea di quali incantesimi abbia lanciato su quella corte e
quante
spie vi siano nascoste. Non comprendiamo ancora le sue reali
intenzioni, ma se
venisse a sapere che Jill si trova là è molto
probabile che tenterà di
concludere ciò che gli Uruk-hai non sono riusciti a portare
a termine. –
L’Elfo aveva parlato in
tono pacato ma serio e il
sorriso di Gandalf s’allargò. Un’altra
persona si sarebbe domandata il motivo
di quel gesto compiaciuto, ma Jill era già volta verso il
principe di Bosco
Atro, pronta a tempestarlo d’improperi.
Quasi le avesse letto nella mente e
anticipato la
sua arringa, il biondo si voltò a guardarla, mettendola a
tacere con uno
sguardo duro che la inchiodò al suo posto.
-
Potrai anche disprezzare il
pericolo, ma non puoi essere tanto egoista
da far rischiare la vita a tutta quella gente solo per un tuo
capriccio. Tu più di
chiunque altro dovresti sapere
quanto Saruman può essere spietato. –
Jill rimase pietrificata a quelle
parole.
Legolas la vide abbassare il capo,
abbattuta dalle
due dure parole. Per un attimo quel volto afflitto lo fece vacillare.
Tuttavia
mise rapidamente a tacere la voce del rimorso: era stato severo, ma
l’aveva
fatto per lei.
Non temeva che i tirapiedi di
Saruman potessero
realmente farle del male, tanto più che lui sarebbe stato al
suo fianco, pronto
a proteggerla. Piuttosto
era preoccupato
dall’ossessione dello stregone di Isengard per la sua ex
protetta: c’era
qualcosa in quella Corsara audace e impulsiva che poteva tornare utile
all’Istari. Qualcosa che, ne era certo, aveva a che fare con
quella misteriosa
entità che stava chiamando a sé la fanciulla.
-
Sono d’accordo con
Orecchie a Punta – intervenne Gimli infrangendo
quel silenzio pesante – però credo anche che sia
più saggio restare tutti
uniti. Abbiamo già visto alle Cascate di Rauros quanto possa
essere controproducente
separarsi. –
La Corsara sorrise riconoscente al
Nano, che le
strizzò l’occhio in segno d’intesa.
-
E poi – si rivolse
all’Elfo – Saruman sicuramente è a
conoscenza del
fatto che Jill sta viaggiando con la Compagnia. Se entrassimo a Edoras
senza di
lei intuirebbe che è nascosta nelle vicinanze e potrebbe
cogliere l’occasione
per tentare di catturarla prima del nostro ritorno. Come hai detto tu,
non
sappiamo di quali diavolerie sia capace quel maledetto stregone. Senza
offesa,
Gandalf! –
Con sommo dispiacere di Legolas,
Aragorn
condivideva i suoi timori ma era d’accordo col Nano: meglio
restare uniti e
camuffarla. Saruman era troppo calcolatore per tentare
un’offensiva contro di
lei ora che Gandalf era tornato al suo fianco, rischiando di mandare a
monte il
grande progetto che sicuramente aveva già architettato.
Jill esultò
interiormente.
Gandalf osservò lo
sguardo truce dell’Elfo e
represse un risolino divertito. Era chiaro a tutti, o meglio a quasi tutti, quali fossero state le sue
reali intenzioni e da che tipo di sentimenti fossero mosse.
“ Purtroppo per lui
però Jill è troppo ingenua ed
emotivamente immatura per rendersene conto.”
E qualora lei se ne
accorgesse…
“
Chissà…” rimuginò lo
stregone, abbracciando con
lo sguardo quella coppia tanto bizzarra.
Un principe scuro in viso e una
Corsara gongolante.
Un Elfo e una Donna.
Un lago tranquillo e un mare
impetuoso.
Gandalf cavalcava in testa al
gruppo sulla groppa
di Ombromanto, uno dei leggendari Mearas, Signori tra tutti i cavalli,
che
secondo le leggende erano stati condotti nella Terra di Mezzo da uno
degli
Undici Valar Supremi. Sia re Theoden che molti altri cavalieri avevano
tentato
di domarlo, ma l’animale aveva per deciso di lasciarsi
montare solamente da
Gandalf, che lo cavalcava con gentile fermezza, senza sella
né briglie.
L’Elfo fece scorrere lo
sguardo sul magnifico stallone
dal manto candido e la corporatura perfetta. I Mearas erano conosciuti
non solo
per la loro rara bellezza, ma anche per l’eccezionale forza e
velocità, nonché
intelligenza.
Gandalf montava avvolto in un
grigio e sgualcito mantello
per non lasciare trapelare la veste candida, simbolo del suo nuovo
titolo di
capo dell’Ordine degli Istari, da cui Saruman era stato
destituito una volta convertitosi
alla causa di Sauron.
Legolas cavalcava subito dietro,
con Gimli seduto
alle sue spalle. Alla sua sinistra lo affiancavano Aragorn e Jill.
“Di nuovo sulla stessa
cavalcatura.”
Aggrottò la fronte. Da
poco s’era reso conto
della natura di quella strana sensazione che provava ogni qual volta
vedeva
Jill in compagnia del Numenoreano e l’aveva identificata con
l’unico nome che,
aimè, potesse corrisponderle: gelosia. Non era stato facile
per lui ammettere
quella debolezza, un po’ per orgoglio un po’
perché mai vi si era imbattuto nei
suoi tremila anni di vita. Per quanto si fosse sforzato di ignorarla e
poi di
metterla a tacere, una vocina melliflua gli aveva insistentemente fatto
notare
quanta ammirazione e rispetto la Corsara provasse nei confronti
dell’Erede di
Isildur. Legolas si era ripetuto che in quello non v’era
nulla di insolito:
Aragorn suscitava profonda stima anche nei più grandi
condottieri e regnanti.
“ Peccato che lei sembri
preferire la sua
compagnia alla mia!”
A esser più precisi,
negli ultimi tempi Jill
sembrava preferire la compagnia di chiunque
alla sua. E ora aveva anche un valido motivo per essere arrabbiata con
lui, data
l’arringa che le aveva fatto poco prima per convincerla a
restare al sicuro
nella foresta anziché esporsi al pericolo seguendoli a
Edoras. Inutile dire che
il principe se l’era cercata e lo sapeva bene: ormai la
conosceva abbastanza da
sapere che la Corsara non se ne sarebbe stata con le mani in mano in un
nascondiglio ad attendere il loro ritorno come una donna qualsiasi.
Lanciandole un’occhiata
le sue labbra si piegarono
in un sorriso sghembo.
“ Certamente ora non
potrebbe passare per una donna
qualsiasi.”
Gandalf aveva fatto ricorso alla
magia per
mascherare la sua identità e ora Jill assomigliava piuttosto
a un giovane
scudiere. Il viso era stato schiarito e cosparso di lentiggini, i
capelli
avevano assunto una colorazione quasi castana. Le spalle si erano
allargate, le
braccia inspessite e i fianchi ristretti quanto bastava a darle un
aspetto
virile. Persino gli occhi avevano assunto un’altra
tonalità: da blu come la
notte erano diventati marroni come la terra bagnata. Aveva avvolto
l’elsa della
spada con uno straccio e macchiato la lama per camuffarne il colore
sanguigno,
troppo particolare per non saltare all’occhio. Era stata
solamente indecisa su
cosa fare della scatola donatale da Dama Galadriel che custodiva nella
sacca,
ma Gandalf le aveva assicurato che nessun Uomo avrebbe mai potuto
aprirla,
quindi s’era risolta a portarla con sé.
Legolas sospirò,
tornando a volgere lo sguardo di
fronte a sé: certo così conciata nessuno avrebbe
potuto riconoscerla, ma quella
fastidiosa inquietudine non accennava a lasciare il suo cuore.
-
Il Nero Cancello di Mordor
– piagnucolò Smeagol, ritraendosi dietro
alle rocce come se la sola vista della muraglia bastasse a
terrorizzarlo.
Nemmeno Sam poté dargli
torto, poiché il nome non
bastava a rendere l’idea dell’imponenza della
costruzione: gli Orchi che
pattugliavano le mura sul cammino di ronda sembravano formiche. Il
termine
“inespugnabile” sarebbe stato riduttivo,
poiché Frodo era certo che nemmeno un
esercito aveva la benché minima possibilità di
aprirvi una breccia.
Un ritmico sferragliare e delle
urla di
incitamento gli fecero distogliere l’attenzione dalla
fortezza per posarlo sui
soldati che s’avvicinavano al Cancello. Procedevano in file
ordinate, reggendo
scudi rettangolari e lunghe lance; le corazze bronzee ne celavano
completamente
le fattezze eppure era sicuro che non fossero Orchi. L’Hobbit
non riconobbe i
simboli, ma i colori caldi degli stendardi gli fecero supporre che
appartenessero ai popoli del Sud.
Sconsolato, ripensò ai
compagni che s’era
lasciato alle spalle, alla loro profonda conoscenza della Terra di
Mezzo e
destrezza nel combattimento. Come spesso gli era capitato da quando lui
e Sam
si erano allontanati dalle Cascate di Rauros, sperò che
stessero tutti bene e
si chiese come lo avrebbero consigliato Aragorn, Gandalf,
Jill…
Il pensiero della Corsara lo fece
per un attimo
vergognare della sua insicurezza. Se solo lei fosse stata al suo
fianco, era
certo che sarebbe riuscito a ritrovare un po’ di coraggio.
“ Anche se qua”
si disperò, facendo scorrere lo
sguardo sul Nero Cancello “più del coraggio
servirebbe una buona dose di follia!”
Quasi avesse voluto dare ascolto ai
suoi
pensieri, Sam gli fece notare che il Cancello si stava aprendo per
lasciar
entrare il battaglione appena sopraggiunto e si sporse verso
l’orlo del dirupo,
cercando un modo per scendere.
Lo trovò. La roccia
sotto di lui era più friabile
di quanto sembrasse e l’Hobbit precipitò
giù per la scarpata.
Frodo fu rapido a correre in suo
soccorso, tra le
grida di protesta di Smeagol. Ma il rumore dei frammenti rocciosi che
ruzzolavano giù per il declivio e la polvere sollevata lo
tradì: un soldato si
accorse di quell’anomalia e, affiancato da un compagno, si
allontanò dallo
schieramento per perquisire l’area.
Ormai al fianco
dell’amico, Frodo tentò di farlo
alzare, ma il corpo di Sam era sprofondato nei detriti e i soldati
s’avvicinavano sempre più. Preso dal panico,
l’Hobbit fece scorrere gli occhi
azzurri da un lato e dall’altro della vallata, in cerca di
una soluzione.
Come per magia, gli tornarono in
mente le parole
di Dama Galadriel:
-
C’è sempre una
speranza –
In un gesto più
disperato che razionale, Frodo
afferrò il suo mantello, dono della Signora di Lorien, e vi
si nascose sotto
insieme a Sam.
Entrambi trattennero il respiro. I
passi dei due
soldati s’arrestarono e gli Hobbit sollevarono appena il
mantello: fortuna
volle che gli uomini del Sud si fossero fermati a una spanna dal loro
nascondiglio.
Dopo secondi che parvero ore, i
soldati si
allontanarono.
Frodo scostò il mantello
e, una volta liberato
Sam, s’appostarono insieme dietro a una roccia, pronti a
scattare verso
l’ingresso che andava chiudendosi.
-
Dubito che i mantelli elfici
lì ci potranno nascondere. –
Purtroppo non poteva dare torto
all’amico, ma non
avevano altra scelta: l’Anello andava portato fino al Monte
Fato e lì
distrutto. Aveva preso un impegno e l’avrebbe portato a
termine, a tutti i
costi.
Quando balzarono in avanti, due
braccia ossute ma
forti li bloccarono, tirandoli indietro.
-
No Padrone, no! –
gracchiò Smeagol, quasi supplichevole – Ti
prendono,
ti prendono! Ti prego, non portarlo da Lui! –
Frodo lo guardò basito,
mentre alle sue spalle
l’esercito era quasi completamente entrato.
-
Lui vuole il Tesssoro, Lui lo
cerca! E il Tesssoro vuole tornare da
Lui… - il tono di voce della creatura cambiò,
diventando più bassa e sibilante
– Ma non dobbiamo permettergli di
averlo!
–
L’esercito del Sud era
ormai scomparso alla
vista. Frodo tentò un’ultima volta di avvicinarsi,
ma Smeagol lo bloccò
nuovamente, tornato implorante e disperato.
-
C’è
un’altra strada più sssegreta, una strada buia.
–
-
Allora perché non ce ne
hai parlato prima? – lo attaccò Sam.
-
Perché il Padrone non
l’ha chiesto! – piagnucolò
l’altro,
contorcendosi.
-
Trama qualcosa! –
Il Cancello si chiuse con un boato.
Frodo esitò, guardando i
suoi compagni. Comprendeva
i timori e la diffidenza di Sam, d’altro canto Smeagol li
aveva condotti fino a
lì. E senza di lui le speranze degli Hobbit di raggiungere
il Monte Fato si sarebbero
ridotte drasticamente. Forse avrebbero dovuto fidarsi ancora di
lui…
Ripensò alle parole di
Gandalf nelle miniere di
Moria, quando aveva fatto notare allo stregone la presenza della strana
creatura. Secondo lui Gollum aveva ancora un ruolo da giocare, nel bene
o nel
male. Frodo si era sempre fidato del giudizio del saggio stregone e
aveva
cominciato a pensare che il compito di Smeagol in quella vicenda fosse
di
condurli a Mordor.
Era senza dubbio un rischio: quella
creatura era
stata troppo tempo in possesso dell’Anello e il suo animo era
ormai corrotto,
probabilmente senza possibilità di redenzione. Ma una parte
di Frodo si
ostinava a vedere del buono in lui e a voler credere che la sua anima
potesse
ancora esser salvata. Senza contare che i pericoli sembravano esser
divenuti la
sua ombra da quando aveva lasciato la Contea: avere Smeagol come guida
in quel
tragitto non sarebbe stato il primo né l’ultimo
dei rischi.
-
Facci strada, Smeagol. –
Gli occhi accusatori di Sam lo
costrinsero a
distogliere lo sguardo.
-
Mio Signore – gli
accarezzò gentilmente una mano Eowyn – tuo figlio
è
morto… -
La voce della fanciulla quasi si
ruppe, non
ricevendo risposta, mentre le lacrime a lungo trattenute minacciavano
di
sgorgare.
-
Mio Signore… -
ritentò, con un velo di supplica nella voce rotta
– Zio…
–
Gli occhi lattiginosi di Theoden,
re di Rohan, la
guardarono senza vederla.
-
Non andrai da lui…
–
Non era una domanda. I suoi occhi
umidi rivolsero
una supplica al suo sovrano e zio. Inutilmente.
-
Non farai nulla. –
Un’altra amara
affermazione.
Eowyn pianse a lungo sul corpo
ormai privo di
vita di Theodred, suo cugino e legittimo erede al trono di Rohan. Ora
che il
figlio del re era morto, il primo in linea di successione sarebbe stato
Eomer.
Se non che il fratello della fanciulla fosse appena stato esiliato.
Tremò, scossa da un
singhiozzo, travolta dalla
consapevolezza che i suoi incubi si stavano tramutando in
realtà: la sua casata
si stava sgretolando. E con essa tutti i suoi sogni.
Theoden pareva avesse la mente
ottenebrata e che
non fosse più in grado di distinguere gli amici dai nemici.
Come il viscido
Vermilinguo.
La principessa strinse i pugni. Non
s’era mai
fidata delle parole di quel consigliere fraudolento e il modo in cui la
guardava le dava la nausea. Non solo aveva plagiato la mente del re e
stava
mandando in rovina quel regno, ma Eowyn sapeva che la sua velenosa
presenza le
era sempre vicina. Troppo vicina.
Come se avesse udito i suoi
pensieri, Vermilinguo
strisciò nella stanza, avvicinandosi al letto su cui giaceva
Theodred. Eowyn
osservò la pallida figura del consigliere, le cui vesti
scure parevano
assorbire la calda luce delle candele e avvelenare di menzogne persino
l’aria.
-
Oh, egli deve essere morto durante
la notte. –
Eowyn aveva il forte sospetto che
Vermilinguo gli
avesse facilitato il trapasso. Ma non disse una parola: Theodred era
stato
gravemente ferito in battaglia e, probabilmente, non sarebbe comunque
sopravvissuto.
-
Che tragedia per il re perdere il
suo unico figlio ed erede. –
L’uomo si sedette sulla
sponda del letto, accanto
alla fanciulla inginocchiata.
-
Capisco –
sibilò Vermilinguo, sfiorando la spalla di Eowyn con una
mano – non è facile accettare la sua morte.
Specialmente ora che tuo fratello
ti ha abbandonata… -
-
Lasciami sola, serpente!
– saltò su lei, furiosa, terrorizzata e
disgustata da quel essere maligno.
-
Oh, ma tu sei
sola! – quasi
si prese gioco di lei il consigliere – Chi lo sa
cos’hai detto alle tenebre,
nelle amare veglie notturne – le girò attorno come
una bestia alla sua preda –
quando tutta la tua vita sembra contrarsi e i muri della tua dimora ti
si stringono
addosso. Una stia in cui si cela qualcosa di selvaggio… -
Eowyn non si mosse, scossa da
quelle parole
maligne che avevano colto nel segno: lei desiderava la gloria per
sé e la sua
casata. I re del passato avevano lottato con onore per donare
protezione e
prosperità al loro regno e per le loro gesta sarebbero stati
ricordati in
eterno. Ma da quando Theoden aveva perso la sua tempra anche i suoi
desideri
avevano cominciato a perdere forma. Le notti s’erano
affollate di incubi in cui
Eowyn si vedeva invecchiare tra le mura di quella confortevole prigione
fino a
diventare cenere, per poi venir portata via dal vento. Dimenticata.
-
Così bella –
sussurrò Vermilinguo, guardandola rapito –
così fredda –
le sfiorò il viso, scostandole un poco i lunghi capelli
biondi – come un
mattino di pallida primavera ancora legato al gelo
dell’inverno… -
Eowyn rabbrividì,
sentendo il sangue gelarsi
nelle sue vene. Inspirò a fondo, mentre la mano del
consigliere scendeva lungo
la sua bianca gola, e rialzò gli occhi su di lui. Fiera,
s’impose
autocontrollo: non gli avrebbe permesso di giocare con la sua mente
come aveva
fatto con quella del suo re. Il suo cuore apparteneva solo a lei e mai
avrebbe
permesso a quel viscido essere di averlo.
-
Le tue parole sono veleno
– e si scostò da lui, uscendo da quella
stanza e poi dal palazzo.
Fuori il vento le
scompigliò i capelli e
s’insinuò tra le pieghe della sua candida veste,
mentre le bandiere recanti lo
stemma di Rohan sferzavano l’aria. Una folata più
impetuosa ne strappò una, che
volteggiò nel cielo sgombro di nubi fino a scomparire al di
là della cinta di
Edoras.
Erano giunti alle pesanti porte
della città,
quando uno stendardo volò accanto alle zampe del cavallo di
Aragorn. Il Ramingo
si soffermò a guardare la stoffa che fuggiva
sull’erba dell’altura, mossa dal
vento.
L’occhio di Jill cadde
invece sulle morbide
sporgenze erbose che affioravano ai lati del sentiero e cui non aveva
prestato
attenzione durante la salita. Li riconobbe come dei tumuli e
ipotizzò che al
loro interno riposassero i re di Rohan che, generazione dopo
generazione,
avevano governato su quelle terre. Ognuno di essi era cosparso di
piccoli
candidi fiori, i Ricordasempre. Tutti tranne uno.
Il suo sguardo indugiò
un attimo su quel ultima
tomba, scoperta e spoglia di fiori, come se fosse in placida attesa.
Poi lei e
Aragorn entrarono a Edoras.
Jill alzò lo sguardo
verso il palazzo e scorse
una candida figura dai lunghi capelli biondi e la postura fiera di una
regina.
-
Trovi più allegria in un
cimitero. – commentò Gimli.
Anche se avesse potuto, Jill non
avrebbe trovato
nulla da obiettare. Gli sguardi che li accolsero nella capitale di
Rohan
lasciavano intendere il sospetto e la paura di quella gente nei
confronti dei
forestieri. Due componenti che, come le aveva spiegato lo stesso
Saruman, se
miscelate potevano essere particolarmente pericolose.
Quando posò nuovamente
gli occhi sulla dimora di
Theoden, la fanciulla era scomparsa.
-
Non potete stare davanti al re
così armati, Gandalf il Grigio – recitò
il capitano delle guardie una volta che la Compagnia ebbe raggiunto le
porte
d’ingresso – per ordine di…Grima
Vermilinguo. – aggiunse riluttante.
Jill abbassò leggermente
il capo per nascondere il
volto: i suoi lineamenti per un attimo si contrassero in
un’espressione
sinistra.
Gandalf annuì e fece
segno ai compagni di seguire
le disposizioni.
La Corsara slacciò la
cinghia che assicurava il
fodero di Carcharoth alla schiena, consegnandola con uno sguardo
d’ammonimento
a un soldato. Sfilò i lunghi pugnali dalla cinta e poi
quelli più piccoli, di
cui uno dal fodero legato alla sua coscia.
Sorrise candidamente al soldato
perplesso e
carico di lame. Se solo l’uomo avesse intuito che il ragazzo
che aveva di
fronte era in realtà una Corsara, le avrebbe perquisito gli
stivali e magari
anche la casacca.
Il capitano si rivolse ancora a
Gandalf.
-
Il tuo bastone. –
-
Oh – parve amareggiato lo
stregone – non vorrai separare un vecchio
dal suo appoggio per camminare. –
Jill si trattenne a stento dal
ghignare:
evidentemente i Corsari non erano gli unici a beffarsi degli ordini.
Il soldato esitò, per
niente convinto, ma annuì e
la Compagnia fece il suo ingresso.
Re Theoden sedeva in fondo alla
sala sul trono
rialzato. Il suo corpo era avvizzito e la schiena curva. Al suo fianco
stava un
uomo pallido vestito di nero, simile a un corvo appollaiato sul
bracciolo del
seggio e che andava sussurrando nell’orecchio del sovrano:
con tutta
probabilità Grima Vermilinguo.
Le porte si chiusero alle spalle
della Compagnia.
Gli occhi di Legolas individuarono il lento incedere di un gruppo di
uomini
alla loro destra: seguivano i movimenti dei forestieri con sguardo
truce. Non
indossavano le armature e i simboli del regno, dunque
ipotizzò si trattasse di
briganti.
Lanciò
un’occhiata alla sua sinistra e notò che
gli occhi della Corsara s’erano fatti scuri e
l’espressione feroce. Seguì la
direzione del suo sguardo fino all’uomo cereo accanto al
trono.
Non diede a vedere di essersene
accorto, ma s’avvicinò
di un passo allo scudiero.
-
La cortesia del tuo palazzo
è alquanto diminuita ultimamente –
proruppe Gandalf – re Theoden. –
-
Perché dovrei darti il
benvenuto – rispose il sovrano come se ogni
parola gli costasse fatica – Gandalf Corvo Tempesta?
–
-
Una giusta domanda, mio Signore
– gli sussurrò Vermilinguo, per poi
alzare il tono affinché tutti lo udissero – Tarda
è l’ora in cui questo
stregone decide di apparire! – si avvicinò a
Gandalf – È un cattivo ospite… -
-
Silenzio! – lo mise a
tacere l’Istaro – Tieni la tua lingua forcuta
tra i denti. Non ho affrontato fiamme e morte per scambiare parole con
un
insulso verme. –
Sollevò il bastone
puntandolo contro Vermilinguo,
che si ritrasse improvvisamente,
come una bestia scottata dalle fiamme.
-
Il bastone… -
farfugliò, quasi contorcendosi – Vi avevo detto di
prendere
il bastone dello stregone! – strepitò.
Ma i soldati di Rohan non si
mossero, lasciando
che fossero i soli briganti a scagliarsi sulla Compagnia.
Jill atterrò facilmente
il primo bandito, per poi
prepararsi ad affrontare il secondo, i pugni alti di fronte al viso
pronti a
colpire. Ma Legolas fu più lesto e con un solo colpo alla
nuca lo tramortì.
La Corsara lo fulminò,
ma l’Elfo le ammiccò di
rimando.
“Maledizione!”
imprecò fra sé, voltando le spalle
a quel gesto e gettandosi sul prossimo avversario. Schivò
con agilità i
fendenti della spada, roteò su se stessa portandosi fuori
tiro e affondò un
calcio nel fianco del bandito. Questi andò a sbattere contro
il muro, si voltò
dolorante ma non fu abbastanza rapido ad alzare la guardia: un pugno
forte e
mirato lo raggiunse in mezzo al viso, spaccandogli il naso. Subito Jill
si
scansò per evitare l’affondo di un’altra
lama. Saltellò di qua e di là evitando
agilmente il pugnale, ma sufficientemente vicina per poter affondare
calci e
pugni al suo assalitore appena trovava uno spiraglio. Pareva quasi
giocasse col
suo avversario come un predatore con la facile preda. Appena
l’uomo si
sbilanciò troppo in avanti lo disarmò, gli
piegò l’arto dietro la schiena e gli
tagliò la gola.
“Ah”
inspirò soddisfatta, il sorriso ferino “Un
bel corpo a corpo come ai vecchi tempi!”
-
Re Theoden –
avanzò Gandalf – figlio di Thengel! –
L’ultimo bandito
stramazzò al suolo con un
pugnale tra le spalle e Jill si voltò a cercare Vermilinguo.
Lo individuò che
tentava di raggiungere l’uscita e mettersi in salvo,
strisciando sul pavimento
tra i cadaveri dei briganti che egli stesso aveva sicuramente assoldato
per la
propria sicurezza. Con un solo balzo la Corsara calò sulla
sua vittima, l’afferrò
per il mantello e la scaraventò con forza ai piedi di una
colonna.
-
Troppo a lungo sei rimasto
nell’ombra – proseguiva intanto Gandalf –
Ascoltami! –
I soldati e i membri della corte si
avvicinarono
al trono.
-
Io ti libero – lo
stregone sollevò una mano aperta –
dall’incantesimo.
–
Il re rise. Un suono aspro e rauco,
come se non
provenisse realmente dalla sua gola.
-
Non hai alcun potere qui, Gandalf
il Grigio. –
Lo stregone sollevò lo
sguardo, puntandolo non
sul volto del re, ma del parassita che si nascondeva tra le pieghe di
quella
pelle avvizzita. Lasciò cadere il mantello a terra e una
candida luce parve
sprigionarsi dalle sue vesti, abbagliando il sovrano improvvisamente
sconvolto dal
terrore.
-
Io ti estirperò, Saruman
– tuonò il Bianco – come il veleno si
estirpa
dalla ferita! –
Puntò il lungo bastone
verso il re, inchiodandolo
al trono. Theoden si contorse, stringendo convulsamente i braccioli.
Una fanciulla dai lunghi capelli
biondi tentò di
soccorrere il sovrano, ma Aragorn la trattenne per un braccio.
-
Se io me ne vado –
sibilò una voce maligna che non apparteneva al re
–
Theoden morirà. –
Come una biscia, Vermilinguo
tentò di
divincolarsi, ma bastò lo sguardo spietato degli occhi scuri
del ragazzo che
incombeva su di lui come la Morte su un lebbroso a inchiodarlo al suo
posto. Terrorizzato,
l’uomo cercò in un ultimo disperato tentativo di
trovare una debolezza in quel
giovane scudiero cui aggrapparsi.
E notò la cicatrice
sulla sua gola.
Eowyn temeva per lo zio, ma fece
come le aveva
detto l’uomo che l’aveva fermata e restò
al suo posto. In cuor suo voleva
credere che vi fosse una
possibilità di salvezza per il suo re. E per lei.
-
Non hai ucciso me –
proseguì Gandalf, immune alle parole velenose di
Saruman – non ucciderai lui. –
-
ROHAN È MIA! –
-
Vattene! – gli
ordinò Gandalf.
-
MIO SIGNORE! –
strillò Vermilinguo – È LEI!
È QUA! –
Per un istante Gandalf perse la
concentrazione e
Saruman puntò gli occhi sul giovane uomo che teneva il
viscido consigliere
fermo a terra.
Con un urlo re Theoden si
scagliò in avanti e una
potente onda d’urto si scagliò sullo scudiere, che
venne scaraventato indietro.
Avrebbe sbattuto violentemente la schiena contro una delle colonne se
l’Elfo
non si fosse frapposto, accogliendolo fra le sue braccia.
Eowyn sgranò gli occhi,
sconvolta: quello che fino
a pochi secondi prima era un giovane uomo del Nord, ora era senza
dubbio una
fanciulla del Sud.
Riavutosi dall’attimo di
sorpresa, Gandalf si
voltò con occhi colmi di rabbia verso il nemico e
menò un violento affondo del
bastone che apparentemente sferzò solo l’aria.
Eppure Theoden s’afflosciò sul
trono ed Eowyn fu lesta nel corrergli incontro.
Jill scosse il capo, stordita da
quella scarica
di magia cui non era preparata. Le ricordò la prima volta
che era stata colpita
dal boma di una nave poiché non era stata sufficientemente
attenta al cambio di
direzione del vento. Solo che questa volta non era atterrata sul
sudicio e
puzzolente ponte di un’imbarcazione, ma sull’ampio
petto di Legolas.
“M…mu…schio?”
Una parte della sua mente si chiese
se tutti gli
Elfi Silvani avessero lo stesso profumo. Che dipendesse dal materiale
di cui
erano fatti i loro indumenti?
“ Stai bene?”
Gli occhi della Corsara misero a
fuoco quelli
dell’Elfo, vicini e colmi di sincera preoccupazione, ma la
ragazza fu lesta a
distogliere lo sguardo, imbarazzata e stordita.
“
Sì… Sì
io sto bene…”
Si voltò a guardare
Vermilinguo, che era stato
afferrato da un furibondo Gimli per il colletto.
“ Ma qualcun altro tra
poco starà molto
male…” sibilò, furiosa.
Grima si contorse disperato,
tentando di
divincolarsi dalla ferrea presa del Nano.
Ma le braccia del principe tennero
stretta Jill,
impedendole di liberarsi. Per un attimo la fanciulla si
stupì di quanto fossero
forti nonostante l’aspetto esile dell’Elfo.
“ Legolas! Lasciami
andare!”
“ No.”
Il suo tono era serio, ma Jill lo
ignorò,
contorcendosi nel tentativo di liberarsi.
“ Ti ho detto di
lasciarmi!”
“ Non voglio che tu ti
macchi del sudicio sangue
di quella serpe.”
“ Me ne infischio di cosa
vuoi tu! Quella carogna merita la
morte per tutto ciò che ha fatto e io…”
Un rapido colpo alla nuca
le fece perdere i sensi.
-
Era proprio necessario? –
lo accusò il Nano con un’occhiataccia.
-
Sì. – rispose
il principe di Bosco Atro, sollevandola tra le braccia.
Vermilinguo fu
evidentemente sollevato dal gesto dell’Elfo, ma questi si
chinò su di lui, gli
occhi freddi come due pezzi di ghiaccio e taglienti come diamanti.
-
Non l’ho certo fatto per
te, verme…
– gli sussurrò all’orecchio, gelandogli
il sangue nelle vene – E se al suo risveglio
vengo a sapere che hai fatto del male anche a lei…
sappi che non ci sarà rifugio in grado di celarti
né fortezza
in grado di arrestarmi. Ti troverò e ti ucciderò
nella maniera più dolorosa che
conosco. –
L’uomo
rabbrividì,
sperando che la fanciulla non si riprendesse molto presto: il suo
istinto di
preservazione gli suggeriva che, forse, sarebbe stato meglio morire per
mano
della focosa Corsara piuttosto che del glaciale Elfo.
Continua…