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Autore: Emily Alexandre    10/07/2011    4 recensioni
È strano come il destino si diverta a giocare con le nostre vite, mescolando e confondendo le carte di un’eterna partita di cui noi, alla fine, non siamo nè vinti nè vincitori. O forse siamo entrambi.
Un antico castello scozzese, un ritratto ed un diario, una donna dimenticata ed una verità da portare alla luce.
Chi era la donna del quadro? Joséphine non può fare a meno di chiederselo: ha il suo stesso nome, le somiglia in maniera impressionante e, soprattutto, sembra essere scomparsa nel nulla senza lasciare tracce. E così inizia una caccia al tesoro dai risvolti inaspettati che porterà una sola risposta e infinite domande.
Una mini long sospesa tra un passato avvolto dal mistero ed un presente assetato di risposte.
"Mi sedetti sul letto e aprii finalmente il pacchetto: conteneva un ciondolo. Lo riconobbi subito: era quello del quadro, stessa grandezza, stesso colore, stessa forma a goccia. Lo posai con cautela accanto a me e aprii il libro con mani tremanti: era il diario di Joséphine. Con il cuore in gola per l’emozione cominciai a leggere."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà il nome amore
Platone, Simposio, 192e-193a


 

Hermione non sembrò sorpresa di vedermi lì a quell’ora tarda.
Mi sedetti un po’ timorosa accanto a lei e stavo cercando le parole quando mi precedette iniziando a parlare -Mi aspettavo di vederti, è da qualche tempo che osservo la caparbietà con cui cerchi di far luce sulla morte di Joséphine. Immaginavo che, andando nel paese vecchio, avresti scoperto qualcosa. No, ascolta- disse sbrigativamente quando aprii bocca per parlare -ascolta… è giusto che tu sappia. Non ho voluto interferire, né informarmi delle tue scoperte per un motivo semplice: mia madre, quando anche io e tua nonna cercavamo notizie su lei, ci ripeteva che solo la sua reincarnazione nel futuro avrebbe saputo la verità, come succede con chi muore e lascia dietro di sè un mistero. Forse potrai pensare che è solo superstizione, ma l’abbiamo sempre rispettata, nonostante fossimo inspiegabilmente affascinate da quella ragazza.La signora Joanne mi scrisse quando nascesti; mi disse che aveva avuto una strana sensazione, quando ti prese in braccio per la prima volta. Ti diede il suo nome. La stessa sensazione, credo, che provai io quando ti ho vista la prima volta: ho sentito che tu eri diversa dagli altri, e quando mi hai chiesto di lei ho avuto la conferma dei dubbi miei e della tua cara nonna.Forse sono solo i presentimenti di un’anziana signora, ma vai fino in fondo… fai riposare finalmente in pace la tua antenata.-
Avevo ascoltato attentamente il suo discorso, ma la mia mente si era focalizzata soprattutto su una parola. –Reincarnazione?-
Hermione sorrise del mio sguardo spaesato –Sei cresciuta in città, nella modernità, nell’era di internet... Ma io sono cresciuta qui, in Scozia, una terra piena di misteri e magia. Sì- affermò con più forza quando sgranai gli occhi –magia. La magia è intorno a noi, nella natura, ed è per questo che nella nostra epoca riesce a sopravvivere solo in luoghi ameni come questo. Le reincarnazioni sono sempre esistite per permettere alle anime di concludere ciò che in vita non poterono fare.-
-Pensavo fossero i fantasmi quelli.- borbottai.
La donna scoppio a ridere di cuore –Credi ai fantasmi e non alle reincarnazioni?-
In effetti la sua storia poteva reggere molto più dei fantasmi, ero combattuta tra quella parte di me che pensava fossero sciocchezze e quella convinta del contrario. Dopotutto, non ero stata sin da subito attirata dal mistero di Joséphine?
Inoltre nè lei né la nonna sapevano quanto somigliavo a Joséphine, non avendola mai vista, ma avevano sentito qualcosa quando avevano visto me. Era il mio destino, scoprire la verità?
Lo sperai ardentemente , reincarnazione o meno, perchè avevo bisogno di conoscerla. Tornai in camera poco dopo e rimasi ancora a rimuginare su quello che Hermione mi aveva detto, finchè non mi decisi a leggere
 
“14 Febbraio 1896      
Il lungo silenzio di Jack è finalmente finito. Questa mattina appena sveglia ho trovato mia madre nel mio salottino che metteva nell’acqua un enorme mazzo di gigli; mi ha spiegato che erano arrivati poco prima e che li aveva portati qui per non farli vedere a papà. Prima che potessi domandarle qualcosa ha aggiunto  che non c’era nessun biglietto e che dovevo stare attenta, poi è uscita.
Ho capito subito che me li mandava lui, sapeva che li adoravo, inoltre tra gli steli ho trovato un piccolo biglietto con su scritto “Aspettami”; il mio cuore ha preso a battere velocissimo e sono rimasta ad ammirarli finché una domestica non è venuta a chiamarmi perché mi aspettavano nella Sala Bianca.
Li ho trovati tutti riuniti e la cosa mi ha lasciata sconcertata per un istante: i miei genitori, Louis, Meg e Vincent. Mio padre ha preso  la parola dicendo di avere due notizie: la prima era che Louis era prete a tutti gli effetti e che lo stavano già aspettando a Londra. Abbiamo iniziato tutti  a congratularci, ma mio padre con un gesto ci ha messo a tacere e ha continuato affermando che ad aprile Margaret e Vincent si sposeranno.
Alla fine si è girato verso di me e guardandomi con quell’espressione che sembra poter leggere nel profondo delle persone e dicendo che rimanevo solo io da sistemare; io volevo urlare che non c’era proprio niente da sistemare e che io mi sarei sposata per amore, ma sono rimasta in silenzio a pregare che Jack si sbrigasse a tornare. Diario,  le mie preghiere sono state esaudite.
La sera, alla Festa del Raccolto che si tiene ogni anno in paese, in cui è usanza che padroni e popolani si uniscano tra danze e canti, ho intravisto una figura famigliare tra gli alberi:  mi sono avvicinata e l’ho visto! Jack è tornato. Non è potuto rimanere ma ci vedremo domani, al solito posto e alla solita ora.”
            
         
“15 Febbraio 1896
Oggi, dopo pranzo, ci siamo visti: è dimagrito, ma è sempre bellissimo. Non saprei descrivere cosa ho provato quando l’ho visto, è stata una sensazione estremamente forte e coinvolgente, come se tutti i pezzi della mia vita fossero tornati al giusto posto. Ho trascorso due ore indimenticabili insieme a lui e questo anche grazie al suo regalo. Mentre sedevamo sotto il nostro albero mi ha mostrato una piccolo ritratto: era raffigurata una donna piccola ma dall’aspetto regale, con del lunghissimi capelli corvini che le incorniciavano il viso ovale e incredibilmente affascinante. Fu però la sua collana ad attirare la mia attenzione: era uno zaffiro a goccia. -La donna del ritratto è Anna Bolena e credo che tu ora abbia la sua collana. È una delle rare raffigurazioni in cui non porta la nota B della sua famiglia al collo.- fu la spiegazione di Jack; fissai incredula il ritratto per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Se mio padre avesse saputo a chi è appartenuta questa collana non credo che me l’avrebbe regalata: Anna Bolena, lo scandalo della cristianità, e sua figlia la regina Elisabetta, sono esattamente il tipo di donna che mio padre detesta. Per lui la donna deve essere sottomessa all’uomo ed Elisabetta ha osato governare per quarantacinque anni da sola, senza sposarsi; la madre, poi, mio padre la chiama semplicemente la concubina… una donna dai costumi molto facili, secondo lui, che ha osato tradire il re. Per me invece sono due donne forti, proprio come vorrei essere io, e forse è destino che il ciondolo di Anna capitasse nelle mie mani. Prima di separarci , infine,mi ha dato la notizia che attendevo maggiormente: partiremo per le Americhe il 20 marzo con la nave del mattin,  ha già preso i biglietti. Vivremo in una fattoria abbastanza grande; non come la mia casa, ma accogliente, e la dirigeremo insieme. Sono felice.”
 
Il diario proseguiva con brevi note che si susseguivano a distanza di qualche giorno, come se sua vita vorticasse ormai attorno ad un unico centro, Jack, e non sentisse più il bisogno di scrivere,  o non avesse tempo per farlo.
 
“2o Febbraio 1896
In questi ultimi cinque giorni Jack ed io ci siamo visti tutti i giorni dopo pranzo: io giustifico le mie uscite dicendo che voglio leggere all’aperto e invece passo il mio tempo con l’unica persona con cui vorrei essere. Certo, ci vediamo poco, però tra meno di un mese staremo sempre insieme. Quando sono con lui  rimaniamo sotto l’albero a fantasticare e progettare il nostro futuro, pieno di amore e di bambini; oppure andiamo a cavalcare lontano, tra distese interminabili di neve e sono quei momenti che mi fanno trovare la forza per affrontare la vita a casa. ”
 
“23 Febbraio 1896
Casa nostra in questi giorni è piena di gente a causa del matrimonio di Meg e della professione di Louis. Phillip è immancabile e continua ad invitarmi a passeggiare e mio padre sembra entusiasta.. inizio a sospettare il perchè, ma preferirei non fosse così. Phillip è un caro ragazzo, mi dispiacerebbe fargli del male.”
 
“27 Febbraio 1896
Sono preoccupata, diario, il mio idillio sembra essersi incrinato. La partenza si avvicina, ma Jack è sempre stanco e dimagrisce a vista d’occhi; lui mi assicura che è solo un malessere causato dal cambiamento d’aria, ma io non gli credo; arrivati in America lo porterò da un medico. Per fortuna manca poco.”
 
Povera Joséphine, così impaziente, così speranzosa e pronta ad iniziare una nuova vita; probabilmente Jack cominciava a dare i primi segni della malattia che l’avrebbe ucciso.
Nessuno dei due avrebbe mai visto l’America.
Molte domande rimanevano ancora senza risposta e il 19 marzo si avvicinava. A cosa si riferiva il padre quando disse che andava sistemata? Voleva farla sposare? Forse il prescelto era proprio quel Phillip. La madre sapeva di loro? E Margaret e Louis? Tante domande mi si affollavano nella mente senza trovare risposta e vista l’ora tarda decisi di dormire, ma fu una notte agitata: sognai di trovarmi in un labirinto e alla fine vedevo una luce, ma correvo, correvo e non riuscivo mai a raggiungerla.
Un sogno orribile che mi fece capire una cosa, la mattina la mia mente era piena di un solo assordante pensiero. 
È Joey che scrive il diario, quindi non potrà mai dirmi com’è morta.
Gemetti sgomentata, mi alzai velocemente e corsi a guardare il diario, l’ultima data era quella del 19 Marzo.
Non ci volevo credere!
Quasi impazzita, dimentica di qualsiasi discrezione e contegno mi voltai verso il quadro e le urlai di dirmi come era morta, guardai il ciondolo, il tavolo su cui aveva posato i fiori di Jack; caddi sul divano stordita: non potevo crederci, tutto quel lavoro, quella fatica, quella passione... Per cosa? Non avrei mai conosciuto il pezzo più importante.
Mi sembrava di sprofondare in un baratro senza fine. Tutto quell’amore dove sarebbe andato a finire?
Rimasi per almeno mezz’ora in uno stato catatonico, senza avere la forza di reagire, ma i rumori provenienti dall’esterno mi riscossero e cercai di calmarmi.
In fondo, anche se non avessi mai conosciuto la fine, l’amore di Joséphine per Jack mi aveva fatto scoprire sentimenti meravigliosi. Avevo vissuto, attimo per attimo, la vita di una giovane donna, forte e coraggiosa, che mi aveva insegnato a non mollare, a non arrendermi.
Decisi innanzitutto di finire il diario, poi avrei cercato qualcosa, qualunque cosa, che potesse svelarmi il mistero. Se davvero Hermione aveva ragione sulle reincarnazioni Joey mi avrebbe aiutata.
Mi cambiai e scesi in cucina, dove trovai il resto della mia famiglia: papà ci propose di andare in paese e accettammo volentieri, io soprattutto... Avevo bisogno di prendere aria.
Iniziammo a girovagare per negozietti e io mi dedicai alle compere, facendo qualche regalo per le mie amiche e acquistando qualcosa per me; comprai una collana  di pietre azzurre, un vestito rosa antico con le maniche di pizzo nero e un paio di sandaletti neri. Avevo perso gli altri praticamente poco dopo il nostro arrivo in paese, ma li raggiunsi presso un ristorante che mi avevano indicato all’ora di pranzo e assaggiammo dei tipici cibi scozzesi, magari non splendidi da vedere però sicuramente succulenti.
Eppure, proprio in quel momento l’euforia che mi aveva pervaso per tutta la mattina mi abbandonò poco a poco e la mia mente tornò a Joséphine e al suo destino.
Joséphine non sapeva di morire quindi non avrà pensato al fatto che il suo successore non avrebbe mai saputo la fine della sua storia.
Era morta, si, ma come? Perché? Che ne era stato di tutto quello che la riguardava?
I miei interrogativi però erano destinati ad aspettare ancora.
Scoprimmo che in paese la sera vi sarebbe stata una festa così rientrammo giusto in tempo per fare lavarci e cambiarci. Quando uscii dalla doccia mi sedetti al tavolino per sistemarmi i capelli; guardai la mia immagine riflessa nel vetro legando i capelli in alto e d’un tratto sobbalzai alzandomi velocemente dalla sedia e poggiando una mano sul cuore che batteva furioso. Per un attimo, un velocissimo istante, mi era parso di vedere, invece del mio volto, quello di Joséphine, i capelli raccolti e qualche ciuffo sparso…
Scossi la testa dandomi della sciocca, volevo impormi di credere che avevo immaginato tutto, eppure le parole di Hermione non mi abbandonavano mai.
Avevo davvero visto Joséphine?
Sentii il bisogno di uscire alla svelta dalla torre così indossai le scarpe che avevo comprato quella mattina, abbinate al vestito nuovo, e scesi all’ingresso dove trovai mia sorella che faceva svolazzare il nuovo vestito bianco a fiori rosa, mentre mio fratello si era messo la tenuta che credeva lo rendesse irresistibile: jeans, una maglia sbracciata bianca e le scarpe da ginnastica.
Un’iniezione di realtà era ciò che mi serviva in quel momento.
Il paese sembrava aver cambiato volto, colorato e pieno di luci com’era: mangiammo qualcosa tutti insieme poi ci separammo, i miei genitori ed Elena andarono da una coppia di italiani che avevano una figlia dell’età di mia sorella, ed io girovagai per un po’ tra le bancarelle.
Vidi mio fratello e un suo amico circondato da alcune ragazze e sorrisi, vedendo tutte quelle ragazze incantate dal suo accento straniero e dai suoi colori scuri, inusuali per quel posto.
Attorno a me famiglie, ragazzi, bambini ridevano e scherzavano... Assaporai il suono di quella lingua che tanto amavo.
Camminavo da mezz’ora quando mi sentii toccare su un braccio, mi girai e mi trovai di fronte uno splendido ragazzo, abbronzato, biondo e con degli stupendi occhi chiari.
-Ciao- disse imbarazzato -è un po’ che ti guardo camminare da sola. Sei straniera?-
-Italiana- risposi -sono in vacanza con la mia famiglia-
-L’Italia! Amo l’Italia... ci sono stato l’estate scorsa: Firenze, Napoli, il mare sardo, ma soprattutto Roma.- era partito in quarta, come si suol dire, e io sorrisi.
-E’ da lì che vengo… Roma-
-Dove alloggi?-
-Al castello McCarter, mia madre l’ha ricevuto in eredità-
-Il castello. Ci sono stato ogni tanto, Hermione era la mia balia.-
-Hermione- ripetei, pensando a quanto la vita fosse strana -la conosco. Mi sono fermata a parlare con lei ogni tanto. È una donna meravigliosa-
-Sono d’accordo. Ah, comunque- continuò tendendomi la mano -io sono William.-
-Piacere, Joséphine-
-Joséphine… Che splendido nome. E cosa fai nella vita, Joséphine?-
Iniziammo a parlare delle rispettive vite finchè non arrivammo al lago e ci sedemmo sull’erba. Stavo bene, nonostante conoscessi da poco quel ragazzo
- E così non sei arrivata per rimanere…-
- No, sono solo in vacanza. Tra poco tornerò a Roma.-
- E ti dispiace?-
- Beh, non posso negare di essermi affezionata a questi luoghi e alle persone…  Hermione soprattutto mi mancherà, ma so di poter tornare quando vorrò.-
- Hermione è speciale…- lasciò un attimo la frase in sospeso  e guardò le montagne. Lo imitai e dopo un  po’ riprendemmo a parlare, mi disse di lui, del suo desiderio di fare l’università a Roma, tanto se ne era innamorato, della sua passione per il calcio; parlò poco della sua famiglia e io non chiesi nulla. In compenso parlò molto della sua infanzia con Hermione, mi raccontò molti aneddoti accorgendosi di quanto mi risultasse gradito quell’argomento. In fondo, quella donna era pur sempre un mistero… Sapevo così poco di lei. Non so come ci ritrovammo a parlare dei misteri del castello e fui molto colpita quando scoprii che conosceva la storia di Joséphine.
-Non ricordavo il nome, in realtà, però Hermione mi ha raccontato spesso di questa ragazza sparita senza lasciare tracce, del mistero che l’avvolge.-
-Tu credi nella magia, William?-
Lui mi guardò sorridente e, imprevedibilmente, annuì –Lo faresti anche tu se fossi cresciuta qui.-
Non potevo dargli torto, quei posti erano davvero intrisi di mistero e, perchè no, magia.
-E che tipo era? Me la sono sempre immaginata bionda, bellissima e con due stupendi occhi azzurri-
-Somiglia a me- risposi dopo un po’
Mi guardò per un attimo, poi continuò -Beh, allora non ho sbagliato del tutto: bellissima lo era.-
Rimanemmo a guardarci per un tempo che avrei voluto non finisse più; fu lui a spezzare il silenzio alla fine, chiedendomi se conoscevo le costellazioni; alla mia risposta negativa ci sdraiammo e me ne fece vedere alcune.
Lo conoscevo da un paio d’ore, ma non mi ero mai trovata così bene con qualcuno come con lui: era come se le nostre anime si fossero riconosciute subito, completandosi a vicenda.
Il mito dell’androgino mi tornò alla mente prepotentemente facendomi sorridere mentre William mi mostrava la costellazione della Lira e di Cassiopea.
 
Un tempo - egli dice - gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all'antica perfezione.
 
Così aveva scritto Platone e forse era la realtà. Eravamo davvero alla perenne ricerca della metà di noi stessi.
 Cominciai a capire cosa provava Joséphine, anche lei vedeva quelle stelle mentre viveva il suo amore.
Fu Elena ad interrompere l’idillio, raggiungendomi e dicendo che dovevamo tornare al castello.
La mandai via, dicendo che li avrei raggiunti subito, e mi voltai verso William che ne frattempo si era alzato come me.
-Spero di rivederti- mi disse-
-lo spero anch’io- gli sorrisi sincera, senza timidezza, ma avvampai quando si avvicinò pericolosamente vicino al mio volto.
Mi diede un bacio, vicino, molto vicino, alle labbra e se ne andò.
Io rimasi un po’ a guardarlo allontanarsi, poi mi diressi verso i miei genitori.
Quando arrivammo al castello salii subito sulla torre, mi sedetti sul divano ma non ripresi a leggere: per una volta volevo pensare al mio, di amore.
Ero sicura di essermi presa una gigantesca cotta per Will.
Non mi ero mai trovata così bene con un ragazzo, nonostante avessi avuto qualche storia in passato.
Forse era  il luogo, l’atmosfera, le stelle.
Mi addormentai felice.
La mattina dopo mi vestì velocemente e andai in cucina: Hermione era affaccendata a dirigere le attività delle altre domestiche, ma quando mi vide, sorrise e mi condusse fuori.
-Ho conosciuto William.- le dissi senza tanti preamboli
-Lo so- notò il mio sguardo stupito e aggiunse -mi è venuto a trovare questa mattina presto.-
-Oh- non riuscii a nascondere la mia delusione.
-Gli ho detto di aspettare un po’, perché ti saresti svegliata da un momento all’altro, ma non poteva. È  partito con i suoi genitori per qualche giorno. Ti lascia questo.- aggiunse consegnandomi un foglietto.
Fu un colpo al cuore, venni assalita dallo sconforto e presi il foglio rigirandolo tra le dita senza trovare la forza di aprirlo. Solo alla fine mi decisi a chiedere -Cosa ti ha detto?-
Mi guardò sorridendo  -Poco, ma non mi servivano parole per comprendere che qualcosa era successo. Qualcosa di importante. Lo conosco da quando era un fagottino che piangeva tra le mie braccia. L’ho visto crescere, diventare uomo, ma solo ora, a diciannove anni, ho visto per la prima volta i suoi occhi brillare… Quando parla di te-
Ci sorridemmo, poi lei dovette tornare dentro.
Mi sedetti su un roccia e aprii il foglio.
"Aspettami"
 Anche io avrei aspettato, come la mia antenata. Era l’ennesimo segno del destino? Dovevo tornare da Joséphine, ne avevo bisogno.
 
“ Primo Marzo 1896
Questa notte ho fatto un sogno stranissimo: mi trovavo nella mia stanza vestita con abiti non comuni, una camicia bianca senza ricami e molto stretta, dei pantaloni di un blu strano lunghi e larghi e delle scarpe aperte, con  il tacco; stavo aprendo la cassapanca, estraendone  il mio diario, solo che era sbiadito e rovinato, e un pacco avvolto in una tela rossa; quando la ragazza del sogno si è girata ho notato che non ero esattamente io, ma che mi assomigliava tantissimo. Sono scossa, diario. Era una reincarnazione? E se così è, perchè? Cosa lascerò in sospeso su questa terra?”
 
Chiusi il diario violentemente, nella speranza che il mio respiro e il battito del mio cuore ritornassero regolari: la ragazza del sogno ero io, ricordavo perfettamente che, quando ho trovato il diario e il ciondolo, indossavo la camicia bianca, i jeans e i sandali alti. E Joséphine lo aveva sognato cento anni prima. E anche lei parlava di reincarnazioni. Mi mancava l’aria, ancora una volta benchè mi sarei dovuta essere abituata a certe cose dopo tutto quel tempo... Così non era, evidentemente. Ero davvero destinata a sapere la verità su di lei, ormai ne avevo la certezza.


Note: Avrei dovuto rispondere prima alle recensioni, ma sono giornate frenetiche causa studio, il capitolo era pronto e mi dispiaceva farvi attendere oltre. Ad ogni modo, risponderò, questo è certo! 
La citazione viene dal Simposio di Platone, così come la frase iniziale. Per le costellazioni non sono esperta, ho chiesto ad amiche e cercato su internet, mi dispiace per eventuali errori, ho cercato di essere il più precisa e verosimile possibile.
Dal 25 luglio tutte le mie storie saranno sospese, parto e non avrò internet per cui sarò costretta a smettere di pubblicare; spero di riuscire a farvi leggere un altro capitolo prima, ma se così non fosse vi auguro sin da ora delle splendide vacanze. Vi lascio come sempre il link del mio gruppo su facebook, anche perchè ho internet sul cellulare quindi magari lì troverete qualche spoiler di tanto in tanto!
 Un abbraccio,
Emily Alexandre

   
 
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