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Autore: Nykyo    23/03/2006    8 recensioni
Una storia che avevo iniziato a scrivere durante le vacanze, a Dicembre.
Che cosa penserà davvero il Professor Piton dei suoi più celebri allievi? E cosa pensa del Natale?
NB: Non so con precisione quando la storia si svolga. Non ha importanza collocarla temporalmente. Una cosa però è certa: siamo in un momento successivo al primo anno di Harry a Hogwarts, e precedente il suo sesto anno.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Neville Paciock, Ron Weasley, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight rage: Davvero non hai mai immaginato un Piton che riflette a questo modo sui suoi allievi? Bè, lieta di averti stupito e grazie dei complimenti. Continua a leggere e forse riuscirò a stupirti ulteriormente.

 

Alexia: Certo che parlerò di Harry. Eccolo qui Harry Potter, direttamente dalla mente di Severus.

Sono pensieri contorti quelli sul ragazzo, vedrai. Comunque io amo e odio Harry. In generale lo amo, ma relazionato a Piton lo odio. Certi suoi pregiudizi e atteggiamenti sono comprensibili per via dell’età, ma comunque non sopporto il suo non volersi guardare dentro quando c’è di mezzo Severus. E’ il suo capro espiatorio, tutto qui. Quanto a Ron, grazie. Sono certa anche io che Ron spiccherà il volo. Ha già iniziato nel 6° libro.

 

gothika85: Io ho sempre creduto che Piton sia uno che pensa tanto, anche troppo. Mi piace sin dal primo libro, e ho sempre pensato che stia dalla parte dei buoni e che il suo comportamento “bastardello” non sia dovuto esclusivamente al suo carattere, anche se Severus ci mette tanto di suo. Mi sono sempre chiesta cosa pensasse dei suoi studenti e ho sempre creduto che avesse più o meno le idee che ho scritto nel racconto. Se davvero ti ho fatto anche solo intravedere un “perché” del suo comportamento ne sono lusingata e felice.

 

Starliam: Harry è Harry, con un sacco di pregi e difetti. Mica facile scrivere di lui. Anche per questo l’ho lasciato per ultimo. Quanto a Piton, io lo credo “innocente” e temo fortemente che nel 7° libro, tanto per togliere il dubbio ai lettori, J.K.R. lo farà morire per salvare Potter. Ma spero sempre di sbagliarmi. Grazie anche a te dei complimenti, mi fanno sempre felice, non posso negarlo.

 

Suzako: No, non siamo mai d’accordo ;-) Abbiamo punti di vista molto diversi, è evidente.

Però su Ron hai le tue ottime ragioni. E’ vero quel che dici, ma credo non sia del tutto sbagliato nemmeno ciò che ho scritto io. Ron sa che grane riserva la vita, ma, fino al sesto libro, non le prova mai sui propri cari, a differenza di Harry o Neville. Inoltre, anche se non l’ho reso troppo esplicito, il mio personale Severus pensa che un po’ tutti gli studenti di Hogwarts siano tenuti troppo nella bambagia rispetto al mondo fuori (l’ho anche accennato nel prologo). E poi, calcare un po’ la mano su Ron era necessario per far emergere ancora di più il vissuto di Neville e, ora, di Harry. Chissà che ne dirai di questo nuovo capitolo? Scommetto che non condividerai la mia visione. Ma che importa? Non è forse divertente scambiarsi opinioni? Quindi buona lettura e grazie di aver detto sempre la tua.

 

Mavi: Grazie del commento. La Signora Weasley è davvero una chioccia, non c’è che dire. Ma forse lo sono un po’ tutte le mamme. Anche Narcissa si è rivelata tale, alla fine.

 

Nykyo

 

Harry

 

 

Dalla testa fiammeggiante di Ron alla zazzera ribelle di Potter il passo fu breve per gli occhi socchiusi del pallido insegnate.

Potter. Harry James Potter…

I pensieri turbinavano caotici nella mente di Piton ogni volta che posava lo sguardo sul “Ragazzo Sopravissuto” e sulla sua cicatrice a forma di saetta.

Sentimenti forti e contrastanti lo invadevano alla presenza del più celebre studente di Hogwarts e il mago non amava dar loro un nome, ma sapeva bene da cosa erano causati.

Harry era il figlio di James Potter, il suo nemico dei tempi di scuola, colui cui, suo malgrado, Piton doveva la vita, il giovane uomo che era morto, insieme a sua moglie, per causa sua.

Il professore di Pozioni avrebbe dato qualunque cosa per non essere mai stato salvato da James, quando Sirius l’aveva spinto a seguire Lupin in una notte di luna piena.

Ma avrebbe anche dato altrettanto, anzi molto di più, per non avere anche quelle due morti, proprio quelle due morti, sulla coscienza.

Piton aveva odiato il padre di Harry con tutto il cuore, covando rancore e desiderio di vendetta, ma la sua morte era stata la spinta finale del rimorso e del dolore che l’avevano spinto a rinnegare Voldemort.

Altre vite spezzate pesavano sull’anima del mago bruno, ma l’uccisione di James e Lily era stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso ormai colmo di amaro fiele da troppo tempo.

Loro non erano le vittime anonime che pure avevano riempito - e ancor oggi riempivano -  di orrore le notti di Piton, uccidendo i suoi sogni crudeli e sbagliati di giovane Mangiamorte ed anche tutte le sue speranze per il futuro.

I Potter erano persone note, volti che possedevano un nome, figli della sua stessa generazione. Lui li conosceva bene i genitori di Harry.

Lily e James, come Frank e Alice, erano stati il suo ultimo imperdonabile errore, che non poteva in alcun modo trovare rimedio.

Piton avrebbe mentito se avesse affermato che non provava più alcun rancore contro Potter Sr..

A distanza di anni, lo sferzante dileggio di James e dei suoi amici bruciava ancora, ricordando al pozionista che anche lui era un essere umano con fragilità e debolezze. No, non poteva negare che, molte volte, provocare Harry, metterlo in difficoltà, stuzzicarlo, era come fare tutte queste cose a James. Una piccola, umana, vendetta ormai inutile che non gli dava alcuna vera soddisfazione e aveva il gusto acre della delusione.

La fine terribile del suo rivale di un tempo, però, incideva emozioni, non meno profonde e dolenti dell’astio per ciò che aveva subito da James, nel cuore del professore.

Un terzo sentimento, in fine, si mescolava ai primi due, anche se Piton faticava ad ammetterlo:  qualcosa di simile alla gratitudine. Non per il salvataggio non troppo eroico di James dagli artigli del suo amico lupo mannaro. Non era questo il motivo per cui Piton avrebbe potuto ringraziare James Potter. Il vero motivo era che, forse, senza la morte del padre di Harry, lui sarebbe rimasto un Mangiamorte ancora più a lungo.

La scossa che aveva riportato nel comprendere l’effetto dirompente delle sue confidenze a Voldemort gli aveva, invece dato il coraggio, che già da tanto cercava, per tornare su i suoi passi.

Da troppo tempo l’alto mago bruno desiderava un appiglio per sfuggire all’orrore che aveva deciso di non perpetrare mai più, ma che non aveva saputo evitare. Non appena aveva intuito quali fossero le intenzioni dell’Oscuro Signore riguardo alla profezia, il mago aveva avuto la scusa per affrontare se stesso. Posto, più che mai brutalmente, davanti alle sue colpe, il giovane Piton aveva saputo scegliere definitivamente e seguitava a farlo, faticosamente e dolorosamente, ogni giorno da più di dieci anni.

Harry era il passato che si faceva carne. Un passato di umiliazioni e di sbagli. Un promemoria vivente di quanto illuso e sciocco era stato. Di quanto sangue innocente gli macchiava l’anima, indelebilmente. Di tutte le colpe che non avrebbe mai potuto cancellare. Perché ci sono macchie che non possono essere lavate, mai più. Harry Potter era come un Marchio Nero che non si faceva mai meno nitido sotto i suoi occhi scuri.

Harry lo odiava quanto l’aveva odiato James, e Piton odiava il ragazzo come aveva detestato suo padre e come odiava se stesso. Ma l’odio non era il solo sentimento che l’uomo provava per il giovane mago, così come non era l’unico sentimento che provava per il suo defunto padre.

Potter Jr. gli somigliava – l’insegnante ne era consapevole – più di quanto con l’allievo non avrebbe mai ammesso.

Harry sapeva cosa significa essere emarginato, segnato dalla diversità. Come Neville, anche lo spettinato mago dagli occhiali rotondi conosceva il disprezzo e la derisione altrui. Derisione gratuita, proprio come quella di suo padre per Piton. Come quella di Draco per Harry.

Harry, a differenza di Ron, aveva già avuto modo di comprendere quanti tranelli e sofferenze la vita può celare. Il suo passato e il suo presente erano segnati da dolore e sofferenze molto forti.

Harry Potter conosceva bene anche il rimorso e il rimpianto, sebbene tendesse a scordare il primo, ogni volta che gli era possibile.

Potter era uno che sa cos’è il pericolo. Si cacciava continuamente nei guai, anche quando non erano i guai ad andare a cercarlo.

Però, se l’era cavata sempre in ogni occasione a causa della sua sfacciata fortuna – pensava il Professor Piton – più ancora che della sua abilità.

L’insegnante non aveva mai conosciuto nessun altro che fosse, nel contempo, così sfortunato e così baciato dalla buona sorte.

Harry aveva perduto i suoi genitori, era cresciuto a casa degli zii, sopportando le loro angherie – a quanto diceva Silente - aveva l’enorme responsabilità di essere sopravvissuto a Voldemort, cosicché in tanti lo guardavano con sospetto, mentre altri si aspettavano da lui cose mirabolanti. Tutto questo non rappresentava certo un vantaggio. Aveva dei bei pesi sulle spalle quella giovane peste. Un ragazzino non dovrebbe avere un passato, solo un presente da vivere e un futuro da sognare e costruire, invece, Harry possedeva un ingombrante passato.

Ma il ragazzo cadeva sempre in piedi, a volte decisamente per un insieme di coincidenze positive, altre per i suoi meriti e, in generale, non senza qualche aiuto dall’esterno. Oh, Piton ne sapeva qualcosa…

Potter si credeva in grado di affrontare qualunque prova e superarla. In questo era uno sbruffone tale e quale a suo padre. Bastava vedere come correva dietro al boccino d’oro con la stessa incosciente grinta, per non avere dubbi al riguardo.

E non conosceva regole. No, le regole erano per i comuni mortali, per gli sciocchi senza midollo, non per Harry Potter. Il “Ragazzo Sopravvissuto” era al di sopra delle regole e poteva infrangerle a piacimento, da solo o con i suoi amici.

Questo Piton non riusciva proprio a sopportarlo.

La disciplina, per l’insegnante di Pozioni, era fondamentale, perché con essa si imparava il rispetto. Rispetto per determinati valori e, soprattutto, rispetto per le persone e per il loro ruolo.

Harry avrebbe dovuto imparare a non sentirsi superiore e a obbedire, quando ciò era dovuto e necessario. Il professore non avrebbe mai smesso di cercare di fargli entrare in testa questo concetto. Poteva fare qualche concessione a Potter in altri campi, ma alla fine, se la cosa fosse stata in suo potere, Piton gli avrebbe insegnato l’importanza delle regole. E, se solo Silente non fosse stato così parziale nei confronti del ragazzo, forse – pensò il mago – lui ci sarebbe già riuscito da un pezzo e Harry sarebbe stato un allievo un po’ più simile alla sua amica Hermione Granger.

Ma Harry Potter avrebbe dovuto conoscere molte più cose, avrebbe dovuto aprire ancora di più gli occhi, dietro alle lenti rotonde, ed assaggiare ancora di più l’amaro della vita, fino in fondo.

Se fosse dipeso dal professore, sarebbe stato così. Perché questo avrebbe fatto del male al giovane, ma l’avrebbe reso più forte, totalmente cosciente di ciò cui poteva essere destinato ad andare incontro.

Sì, Piton avrebbe davvero desiderato che Harry diventasse sempre più forte, ancora più coraggioso, realmente consapevole dei propri limiti e delle proprie notevoli potenzialità.

Perché un giorno Voldemort sarebbe tornato e questa volta non ci sarebbe più stata sua madre a proteggerlo, quando l’Oscuro Signore avesse deciso di portare a termine ciò che aveva cominciato tanti anni prima.

Lily Evans non avrebbe più potuto difendere suo figlio, ed era sua la colpa, solo sua, di Severus Piton. Di un ventenne sciocco, accecato dalle proprie distorte illusioni, che ora, adulto, lo tormentavano notte e giorno, lambendolo con dita insanguinate.

Il mago scrutò la cicatrice sulla fronte dell’allievo, coperta solo in parte da un ciuffo ribelle che lo rendeva, ancora una volta, così simile a suo padre, e, come sempre, sentì un brivido gelargli la spina dorsale e salire a trafiggergli il cuore.

Nessuno degli studenti potè accorgersene, perché dal volto aguzzo dell’uomo non traspariva alcuna emozione. Il professore era fin troppo abituato a celare i propri sentimenti con naturalezza.

A volte, però, proprio come in quel momento, avrebbe preferito non provarne affatto.

Se solo il gelo di cui si ammantava non fosse stato solo esteriore – si disse Piton – ora non avrebbe sofferto, nel desiderare che Harry non alzasse gli occhi dal proprio calderone.

Gli occhi di Lily, che da quando il ragazzo era arrivato ad Hogwarts erano tornati a fissarlo, come quando erano compagni di scuola.

Ma allora in quello sguardo verde e limpido c’era stata compassione, mentre adesso, quelle stesse iridi, incastonate nel volto di un giovane James Potter, lo guardavano con odio, misto a condanna, rinfacciandogli le sue enormi mancanze.

Il mago si era sentito umiliato dalla pietà che leggeva nello sguardo di Lily Evans, sua non richiesta

paladina, eppure quel dolore ormai lontano era niente al confronto del ricordo di come lui l’aveva ripagata.

No, Piton non voleva la morte della giovane maga, e non desiderava che James cadesse in quel modo ingiusto, e – doveva riconoscerglielo – finalmente eroico.

Per quanto avesse odiato il suo rivale di un tempo, il giovane, immaturo Severus desideroso di rivalsa, non aveva mai desiderato che Harry Potter diventasse un orfano. Che orribile vendetta aveva inflitto senza volerlo. Che pena straziante si era comminato uccidendo i Potter con la sua delazione.

Harry lo odiava? Sì, era giusto che fosse così, perché lui odiava se stesso ogni volta che aveva davanti il ragazzo. Quell’emblema vivente della sua anima perduta, quell’unica creatura, che grazie all’amore fondeva in sé Lily e James, permettendo loro di tornare dalla morte a giudicarlo impietosamente, meritatamente.

Forse avrebbe dovuto comportarsi diversamente con il ragazzo, tentare di instaurare con lui un rapporto, o almeno fargli comprendere che non era solo disprezzo quello che traboccava dai suoi occhi neri, ogni volta che incrociavano quelli verdi di Harry.

Forse. Ma non era ancora venuto il tempo in cui ciò sarebbe stato possibile. Piton aveva ancora troppe cose da insegnare alla “piccola celebrità” del mondo magico. Insegnamenti che sentiva di potergli impartire più efficacemente con la durezza. Per la dolcezza, per l’affetto e la comprensione, bastava Silente.

Al professore di Pozioni spettava un altro compito e il mago riteneva di meritarlo appieno.

Del resto, che Harry Potter lo volesse o meno, Piton non avrebbe smesso di proteggerlo, non meno intensamente del Preside, nel suo modo cupo e rancoroso.

L’avrebbe difeso proprio come Lily Evans aveva voluto fare con un adolescente troppo magro e solo, proprio come Lily non poteva più fare con il proprio bambino.

 

   
 
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