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Autore: Griph    23/07/2011    5 recensioni
Gli occhi le divennero lucidi. Aveva capito perfettamente a cosa mi stavo riferendo però rimase in silenzio e non potevo sopportarlo. Scosse la testa e riuscì a trattenere quelle lacrime che stavano per sfuggire al suo controllo. Mi avvicinai di più a lei. Col corpo, col viso. Mi abbassai, in modo che fossimo alla stessa altezza. I nostri nasi si sfioravano e potevo sentire il suo respiro accelerato.
Mi spostai verso il suo orecchio e sfiorai con le labbra la sua guancia. A quel piccolo contatto rabbrividì... e non per il freddo.
Le facevo ancora lo stesso effetto.
- Parlami. Dimmi qualcosa -.
La guardai negli occhi.
- Mi hai lasciata da sola -. Le tremava la voce. Stava per piangere. Non volevo che piangesse. Non per causa mia.
- Non per mia scelta -.
- E allora perché? -.
Mi portavo dentro quel peso da troppo tempo. Non potevo più mentirle. Lo avevo fatto una volta. Se lo avessi fatto anche adesso non me lo sarei mai perdonato.
Chiusi gli occhi e presi un lungo respiro. Poi, cominciai a raccontare.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lucius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Light in the Darkness
L i g h t  i n  t h e  d a r k n e s s


«Quello che volevo era che la mia metà,
la persona che mi aveva rapito,
che si era impossessata del mio cuore fosse al sicuro.

La cosa più brutta fu scoprire che non lo è mai stata



Pioveva.
A Londra pioveva sempre.
Mai come adesso quel tempo rispecchiava completamente il mio stato d'animo.
Cupo, lugubre, trepido, grigio. Nessuna traccia di luce, di felicità.
Camminavo per quelle strade della Londra Babbana che mi avrebbero portato al Paiolo Magico.
La mia mente, nel frattempo, vagava. Io, nel frattempo, pensavo.
Pensavo che volevo dimenticare. Dimenticare ciò che ero stato e tentare, almeno, di non avere nostalgia di ciò che avrei potuto essere.
La Gazzetta del Profeta continuava a parlare di me, della famiglia Malfoy e avevo come la sensazione che non si sarebbero stancati mai di parlarne.
Vedevo i miei genitori di tanto in tanto. Non mi sbilanciavo nelle visite. Non dopo quello che era successo.
Il mio sonno non era tranquillo ormai da un bel po', i miei sogni erano popolati da uomini incappucciati e minacciosi che volevano trascinarmi in un mondo che non mi apparteneva. Volevano farmi rivivere ciò che non volevo ricordare, che stavo provando con tutto me stesso a rimuovere dalla mia mente. Ma non era semplice. Troppe scelte sbagliate, troppe costrizioni e solo un paio di scelte giuste feci durante la mia adolescenza.
La mia era un'anima tormentata, che stava cercando di trovare la sua pace da troppo tempo e che stava perdendo la speranza.
Scoprii che i Babbani non erano poi così male. Inventarono aggeggi piuttosto utili e mi ricredetti sulle loro capacità.
Vivo in mezzo a loro da quasi due anni e tra i maghi ci torno solo per sbrigare qualche faccenda.
La mia meta, oggi, è la Gringott. Se non avessi avuto bisogno di soldi avrei evitato molto volentieri di andarci. Ho sempre odiato quel posto.
Quei folletti, così strani, così misteriosi. Sin da quando ero bambino ho sempre diffidato da loro. Mi hanno sempre dato la sensazione di essere persone, esseri, più che altro, traditori, ingannevoli. Questa convinzione l'ho adesso, che sono un uomo, e l'avrò dopo, quando sarò un vecchio.
Arrivai al locale, non salutai. Andai dritto sul retro. Toccai con la bacchetta quei mattoncini che mi avrebbero aperto quel varco che affascina ogni bambino che lo vede apparire per la prima volta. Anche a me è capitato quando misi piede, quel giorno, a undici anni, a Diagon Alley.
Le persone non osavano guardarmi. Avevano timore di me. A volte si scusavano se per caso mi sfioravano al loro passaggio. Come se gli avessi potuto lanciare una Maledizione solo per avermi toccato.
Quello che loro, tutti, non sapevano è che ero cambiato e che se prima, probabilmente, avrei fatto una cosa del genere, adesso, un pensiero di questo tipo non mi sfiora nemmeno il cervello.
Vidi i Tiri Vispi Weasley. Sempre pieno, sempre attivo. Uno dei gemelli era morto e, da quanto ho sentito, la Piattola adesso aiuta quello sopravvissuto.
Vidi Olivander. Quando tutto tornò alla normalità riaprì il negozio di bacchette.
Salutai quelli che dovevo salutare, ignorai quelli che volevo ignorare e in men che non si dica arrivai alla Banca.
Mi feci accompagnare alla mia camera blindata, presi quello che dovevo prendere e uscii il più velocemente possibile da quel posto che tanto odiavo.
Una volta fuori, respirai l'aria fresca, pungente dell'inverno e un'idea mi balenò in testa.
Raggiunsi Hogsmeade nel giro di qualche secondo e, senza avere una meta ben precisa, cominciai a camminare.
Non ero un tipo nostalgico, non sentivo la mancanza di determinati posti frequentati quando ero più giovane, però qualcosa mi diceva di ritornare in quel luogo, anche solo per qualche minuto.
Vidi la Testa di Porco, Mielandia e i Tre Manici di Scopa.
Decisi di fermarmi proprio da quest'ultimo. Con quel freddo, l'idea di una calda Burrobirra mi allettava decisamente.
Mi sedetti in un tavolo lontano da tutti gli altri, in modo da poter stare tranquillo, e mi diedi un'occhiata in giro.
C'erano un paio di persone che conoscevo, vecchi studenti di Hogwarts, altri fuori per il fine settimana e... c'era lei.
Diamine, c'era lei. Proprio lei.
Non appena la vidi mi bloccai all'istante. Decine di ricordi stavano cominciando a riaffiorare. Alcuni di questi erano proprio quelli che non avrei più voluto ricordare.
Faceva troppo male.
Non riuscivo a respirare, a muovere nessun arto, un nodo allo stomaco mi si creò. Non sentivo più il mio corpo, le voci di chi mi stava vicino, non vedevo nemmeno le persone che mi circondavano. Esisteva solo lei. Lei e nessun altro.
Notai che non era cambiata per niente. Era rimasta la stessa. Era solo un po' più grande.
Fui indeciso se andarla a salutare oppure restarmene fermo lì dov'ero. Probabilmente non voleva vedermi, non voleva parlarmi, non voleva che la disturbassi.
Non voleva che esistessi.
Decisi di rimanere seduto. Poggiai il boccale mezzo pieno sul tavolino e continuai ad osservarla. Non mi feci nessun tipo di problema. Non mi preoccupai del fatto che lei se ne potesse accorgere, se l'avrei messa in imbarazzo nel caso in cui questo fosse accaduto, se l'avrei infastidita.
Avrei tanto voluto poterle parlare di nuovo, poter osservare di nuovo quegli occhi che avevo imparato a leggere.
Sarei stato ancora in grado di farlo, adesso?
La vidi osservare uno delle decine di fogli che la circondavano. Leggeva qualche riga, sottolineava qualcosa, appuntava quello che aveva letto e continuava a far scorrere gli occhi su quelle carte. Che fosse per lavoro o per semplice passatempo, annegava sempre in tutte quelle parole.
Mi era sempre piaciuto osservarla leggere.

L'aria primaverile mi circondava. Era palpabile, era lì con me ed era bellissimo. Quella frescura, quei raggi di sole un po' più caldi del solito, l'erba bagnata dall'umidità del mattino.
Prima delle lezioni andavo sempre nel parco per potermi rilassare un po' prima che la giornata diventasse frenetica.
Mentre mi avvicinavo al Lago scorsi delle gambe distese spuntare da dietro un albero. Quel vento leggero faceva apparire al lato del tronco qualche ricciolo castano scappato dalla coda della ragazza a cui apparteneva. Quello era il suo albero preferito: il più grande, il più vicino allo specchio d'acqua alla sua destra.
Avanzai lentamente e mi fermai poco distante da lei. Aveva un grosso tomo di chissà quanti anni poggiato sulle gambe. Era totalmente assorta ed era evidente che quello che stava leggendo le piaceva.
Stetti qualche minuto lì fermo, con le mani in tasca, a contemplarla. Poi non resistetti e mi avvicinai cautamente.
Le sfilai il libro di mano e mi fiondai sopra di lei, attento a non farle male.
- Buongiorno -. Le diedi un leggero bacio sulle labbra e appoggiai entrambe le mani ai lati del suo viso.
- Dovevo immaginarmi che eri tu -. Un sorriso le increspò le labbra.
- E chi altrimenti, Granger? -.
- Oh, beh, un'idea l'avrei -.
- Sì, certo -. Posai le labbra sul suo collo e lo percorsi tutto, dall'alto verso il basso, più volte, depositando baci appena accennati. La sentii sciogliere a quel tocco così leggero. Poi approfondii il contatto cominciando a leccare e a mordere alcune zone di quella che consideravo la parte del suo corpo che mi attirava più di tutto il resto. Oltre le sue labbra, ovviamente. Portò le sue mani sulla mia nuca e mi tirò a sé.
Un piccolo gemito le sfuggì dalla bocca senza che potesse contenerlo e, soddisfatto, sorrisi contro il suo collo.
- Malfoy... siamo fuori... se ci... se ci vedesse qualcuno... - risalii la giugulare dove potei sentire il suo battito accelerato, la mandibola, lo zigomo e poi, per ultima, la bocca.
- Ok -. Le depositai un ultimo bacio sulla fronte...

Dopo un po' le vidi alzare lo sguardo. Probabilmente si sentiva osservata. Perlustrò la sala. Poi si bloccò.
Mi ha visto. Ha avuto la mia stessa reazione.
Riuscii a capire cosa provava - riuscivo ancora a leggere quegli occhi - e non mi piaceva affatto. Erano pieni di sorpresa, di delusione.
L'avevo delusa.
Ci guardammo per un tempo che mi parve infinito. Poi distolse lo sguardo e distrattamente cominciò a raccattare quei fogli che la circondavano. Li infilò nella borsa e si alzò. La seguii con lo sguardo per circa due secondi, poi il mio corpo fece tutto da solo e si alzò anche lui.
Mantenevo non molta distanza da lei. Si accorse che la stavo seguendo e accelerò leggermente il passo.
Avevo una voglia irrefrenabile di toccarla, di avvicinarmi, di farle sapere che non l'avevo dimenticata.
Ma lei non sembrava del mio stesso avviso.
Di colpo si fermò e per poco non le finii di sopra.
- Cosa vuoi? -. Il suo tono era tagliente, freddo, distaccato come ai tempi di Hogwarts, quando non facevamo altro che litigare.
- Non lo so -.
Bugiardo.
- Perché mi stai seguendo? -.
- Non lo so -.
Bugiardo.
- Allora puoi benissimo lasciarmi in pace -. Si voltò e io maledissi me stesso per non aver risposto sinceramente a quelle due stupide, semplici domande.
Ma che dico? Quelle non erano delle stupide domande, e nemmeno semplici.
Non ho avuto il coraggio di dirle che volevo parlarle, non ho avuto il coraggio di dirle che volevo spiegarle com'erano andate realmente le cose... che volevo che tutto tornasse come prima.
Non potevo lasciarmela scappare un'altra volta. Non sono così masochista, non godo nel vedermi sprofondare nel dolore, nella rovina. Questa volta sarei morto se l'avessi permesso.
La raggiunsi e la trascinai in un vicolo, lontano dal chiasso della strada.
- Che cosa fai, Malfoy? -. La misi contro il muro e l'intrappolai con le braccia tra questo e il mio corpo.
- Non... ho bisogno di parlarti -.
- Io no, non ho niente da dirti -.
- Ti conosco troppo bene, Granger -.
- E con questo che vorresti dire, scusa? -.
- In questo momento la tua testa è piena di domande che vorresti pormi. Quante volte te l'avrò detto che non sai mentire, Mezzosangue? -.
- Tu non mi conosci affatto, Malfoy -. Un sussurro era peggio di un qualsiasi urlo improvviso. Mi si era avvicinata - aveva lo stesso profumo di un tempo, ancora lo ricordavo -, assottigliò gli occhi. Voleva rendere il concetto chiaro, convincermi... convincersi che era così.
Non aveva idea di quanto si sbagliasse.
Aspettai qualche secondo, poi parlai. - Sei nervosa, lo capisco da come ti stai torturando il labbro inferiore. In questo momento vorresti respingermi, darmi uno schiaffo, farmi del male, ma non ci riesci: hai i pugni serrati. Quando dici una bugia gli occhi ti si allargano leggermente. Ti conosco meglio ti quanto pensi, Mezzosangue -.
Tutto quello che aveva detto era vero. Era nervosa e voleva respingerlo, e non era vero che non aveva neinte da dirgli. Voleva urlargli in faccia miliardi di cose, chiedergli perché l'avesse abbandonata, se sapeva quanto avesse sofferto, se sapeva che l'aveva pensato per mesi illudendosi che sarebbe tornato. Ma era troppo orgogliosa per dargli ragione.
- Questo non significa niente -.
- Tu dici? -.
- Sì, dico, Malfoy. Tu mi hai illusa, mi hai ferita e mi hai abbandonata. Mi hai usata e non te lo perdonerò mai. Mai -.
- Tu non puoi capire -. Come avrei potuto dirglielo? Mi odiava, glielo leggevo in faccia. Ero riuscito a farmi odiare, ma quello che lei non sapeva era che tutto quello che ho fatto l'ho perchè sono stato costretto.
Anche se glielo avessi detto, l'avrebbe mai capito? Mi avrebbe mai creduto?
- Hai ragione. Non c'ho capito niente allora e non ci sto capendo niente adesso. Quindi, se non ti dispiace, vorremi andarmene -.Tentò di spostare le mie braccia, di spostare tutto il mio corpo, di spingermi, ma non ci riuscì.
- Spostati, Malfoy -. Mise le mani sul mio petto e insistette mettendoci tutta la forza che aveva. - Ho detto di spostarti, maledizione! -.
Le presi i polsi, senza stringere troppo, per evitare di essere spintonato ancora e la portai nuovamente con le spalle al muro. La guardai, dritta negli occhi e per un momento volli essere sincero.
- Quella sera... dicevo sul serio -. Bastarono quelle poche parole. Aveva desistito e adesso mi guardava con degli occhi diversi. - Se non l'avessi pensato veramente non te l'avrei mai detto -.

Eravamo nascosti dietro una colonna di un corridoio. Era notte e ormai avremmo dovuto essere ognuno nei nostri Dormitori.
Eravamo Caposcuola ma non avremmo potuto usare questa scusa se ci avessero scoperto. Non era il giorno del nostro giro di ronda.
L'avevo trattenuta io lì. Lei voleva tornarsene in Sala Comune perchè aveva paura che ci potessero scoprire ma ero riuscito a convincerla.
La baciavo da più di mezz'ora e lei tentava invano di trattenere quei gemiti che non riusciva a controllare.
Lei, quella situazione, era troppo strana. Se qualche anno fa mi avessero detto che sarei stato fino a notte fonda a pomiciare in corridoio con una Mezzosangue, anzi, con Hermione Granger, mi sarei fatto una grassa risata.
Ma quello, per me, non era solo pomiciare. Ormai ero ossessionato da quella ragazza, era diventata come una droga per me. Una droga dalla quale non potevo separarmi, dalla quale non
volevo separarmi. Avere quel corpo tra le mani, quella bocca sulla mia... era qualcosa d'indescrivibile.
Tornare a scuola, dopo la Guerra, per completare il mio settimo anno fu una fortuna perché la rincontrai.
Potei conoscerla veramente, riuscì a cambiarmi.
Cambiò il mio modo di pensare, il mio modo di vedere le cose, il mondo,
lei. Tutto ruota intorno a lei, ormai.
Sono un'altra persona grazie a lei. Sono migliore.
Ci siamo avvicinati. Nemmeno mi ricordo com'è successo ma adesso è qui, è insieme a me, e m'importa solo di questo.
- Malfoy... s-se ci dovessero scoprire... -.
- Tranquilla, Granger. Non c'è questo pericolo -. A quanto pare, quella volta, non l'avevo convinta. Mi allontanò il viso e mi costrinse a guardarla negli occhi.
Quanto mi costò sopportare una tale lontananza da quelle labbra.
Appoggiai la fronte sulla sua e l'ascoltai.
- E' rischioso stare qui fuori. Non sappiamo... non siamo sicuri al cento per cento. Metti caso ci becca... -.
- Ti amo -. Il mio fu poco più di un sussurro ma lei lo percepì perfettamente. Sapeva quanto mi venisse difficile esternare i miei sentimenti, esprimerli a parole, ma la domanda che seguì, sapevo, le sorse spontanea e le sfuggì prima ancora di poterla fermare.
- Cos'hai detto? -.
- Mi hai sentito bene, Granger -. La fioca luce delle candele appese ai muri mi permise di vedere quel sorriso che poco a poco le spuntò in viso.
Hermione portò le sue mani sul mio volto e poi dietro la nuca. Mi accarezzò i capelli alla base di questa. Sapeva quanto mi piacesse e chiusi gli occhi per godermi quel momento. Un tocco appena accennato bastava per farmi perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Niente m'importava se non quello che avevo tra le braccia.
Mi baciò. Lentamente all'inizio, più in profondità dopo.
Quando si staccarono per riprendere fiato sentì di doverlo fare, di doverlo a lui, a lei. Voleva farlo perché si sentiva pronta.
- Ti amo -. Quell'alito freddo gli fece venire i brividi, quel bisbiglio gli fece perdere la testa, quella ragazza che era appoggiata su di lui era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Gli occhi le divennero lucidi. Aveva capito perfettamente a cosa mi stavo riferendo però rimase in silenzio e non potevo sopportarlo. Scosse la testa e riuscì a trattenere quelle lacrime che stavano per sfuggire al suo controllo. Mi avvicinai di più a lei. Col corpo, col viso. Mi abbassai, in modo che fossimo alla stessa altezza. I nostri nasi si sfioravano e potevo sentire il suo respiro accelerato.
Mi spostai verso il suo orecchio e sfiorai con le labbra la sua guancia. A quel piccolo contatto rabbrividì... e non per il freddo.
Le facevo ancora lo stesso effetto.
- Parlami. Dimmi qualcosa -.
La guardai negli occhi.
- Mi hai lasciata da sola -. Le tremava la voce. Stava per piangere. Non volevo che piangesse. Non per causa mia.
- Non per mia scelta -.
- E allora perché? -.
Mi portavo dentro quel peso da troppo tempo. Non potevo più mentirle. Lo avevo fatto una volta. Se lo avessi fatto anche adesso non me lo sarei mai perdonato.
Chiusi gli occhi e presi un lungo respiro. Poi, cominciai a raccontare. - Non so se ti ricordi, ma qualche settimana prima dei M.A.G.O. non partecipai alle lezioni per due giorni -. La vidi annuire. - Mio padre voleva che lo raggiungessi al Manor perché voleva parlarmi. Non appena arrivai capii subito che qualcosa non andava. Lo trovai furente. Non appena mi vide mi lanciò una tale occhiata che se avesse potuto uccidermi sarei morto in quel momento, nel salotto di casa mia. Era venuto a sapere che noi ci frequentavamo. Non so come, so solo che non gli piacque per niente. Mi ordinò di non incontrarmi più con te, mi disse che non dovevo avere più nessun tipo di rapporto con te, che dovevo fare come se non esistessi... -.
- E tu l'hai fatto -.
- No, cioè sì, ma inizialmente mi opposi. Le sue condizioni non mi piacevano, non volevo più fare quello che mi ordinava. Per non replicare, in passato, gli permisi di farmi divenatare un Mangiamorte. Quella volta volevo fare come dicevo io e, nei miei piani, tu eri compresa -.
La vidi esitare un momento. - E perché, allora, l'hai fatto? -.
Sospirai. - Mi... mi disse che ti avrebbe fatto del male. Mi ha ricattato. Sapeva che non l'avrei permesso e che avrei fatto di tutto per evitare una cosa del genere. Già era successo in passato a causa di un membro della mia famiglia e, anche se a quel tempo non provavo per te gli stessi sentimenti che provai dopo qualche mese, non avrei tollerato che accadesse di nuovo. Così, obbedii -.
Era rimasta senza parole. Era prevedibile e me lo aspettavo. Sicuramente non si aspettava una risposta del genere ma mi aveva chiesto la verità e io l'accontentai.
Speravo vivamente che non si ritraesse ma che mi lasciasse fare. Osai. Spostai le mie mani sul suo viso e glielo alzai leggermente in modo che mi guardasse.
- Capisci, adesso, perché smisi di parlarti? Perché feci davvero come se non esistessi? -.
Una lacrima sfuggì da quegli occhi fissi nei miei. Gliel'asciugai con un dito e poi sentii qualcosa posarsi sulla mia mano: la sua, calda, tremava leggermente. Mi avvicinai ancora di più e le sfiorai le labbra. Quanto le adoravo. Morbide, calde, delicate. Sapevano di ciliegia. Me lo ricordo ancora. Mi ricordo tutto.
Adoravo riconoscere quel sapore quando la baciavo in passato.
Quando mi staccai l'ossevai per capire se l'avevo turbata, se era quello che anche lei voleva. Mi bastò un battito di ciglia come risposta e mi persi in quella bocca, assaporai quella lingua, godetti del calore che mi trasmetteva.
Quando ci staccammo per riprendere fiato era come se mi mancasse l'ossigeno. Quello mi serviva, certo, ma baciarla... era quello che volevo.
Non riaprii gli occhi. Le rimasi vicino, attaccato quasi a quella labbra, tanto che potevo sfiorarle.
- Non ti ho mai dimenticata -.
- N-nemmeno io. Mai -.
Dopo tanto tempo mi sentii di nuovo a casa.

***

Stemmo insieme per più di qualche mese. Avremmo dovuto fare un anno tra poco più di due settimane.
Ci ricongiungemmo e recuperammo quel tempo che avevamo perso stando lontani.
Ma si sa... i sogni durano poco.
Quel segreto rimasto celato, tanto nascosto, per tutto quel tempo venne fuori all'improvviso.
Venimmo scoperti, di nuovo.
L'ira di mio padre era incontrollabile. Le mie spiegazioni non avevano potuto vincere sui suoi pregiudizi, gli stessi che mi aveva infilato in testa durante tutta l'infanzia ma che una sola persona era riuscita a distruggere.

- Lei è una Mezzosangue, Draco! Non puoi mescolarti con quella feccia! Siamo Purosangue, noi! -. Lucius Malfoy camminava, adirato, per tutta la stanza.
- Papà, ma ti senti? " Mezzosangue" e "Purosangue" ormai non contano più niente! -.
- Cosa penserebbe tutta la Comunità Magica se... -.
- Penserebbe che siamo ancora degli stupidi razzisti che, dopo la Guerra, si fanno ancora degli scrupoli anche solo a parlare con gente dal sangue impuro! Ecco cosa penserebbe! -.
- Già una volta ne avevamo parlato, Draco. Ti ricordi cosa ti dissi? Bene, perché lo stesso vale per adesso -.
- Tu mi disgusti -.
- A me disgusta lei! -. Si fermò e mi fissò. Poi prese un lungo respiro, esasperato, e si diresse verso la vetrina degli alcolici, si versò un bicchiere di FireWhiskey e parlò di nuovo, questa volta senza guardarmi. - Sai come la penso. Fai come ti dico e lei verrà risparmiata. Non ubbidirmi e gravi saranno le conseguenze -.

Questo mi aveva detto. Questo mi sono sentito dire. Ho sentito mio padre offendere l'unica persona che mi aveva salvato dall'insalvabile, che mi aveva aiutato ad uscire da un tunnel buio, tenebroso, che per me era senza fine. Lei era la luce alla fine di quel tunnel.
Nessun'altra ragazza avrebbe potuto eguagliarla, avrebbe potuto minimamente essere come lei, superarla né tantomeno raggiungerla. Nessuna ragazza avrebbe potuto, nemmeno una Purosangue.
Ma questo lui non lo capì.
Non riuscii a sentire nient'altro. Mentre quelle persona a cui avevo voltato le spalle aveva appena smesso di sbraitare, di insultare, di bestemmiare, io me ne andai prendendo la mia decisione. Solo poco tempo dopo mi resi conto che feci l'unica cosa che non avrei dovuto fare.
Avevo provato a nasconderla, a proteggerla in qualsiasi modo ma niente vi aveva potuto.
Lui, seguace di una delle persone più pazze, più folli che io abbia mai conosciuto, la trovò... e me la portò via.
Sarei stato pronto a dare la mia vita pur di salvarla ma qualcun altro decise per me e, invece di scegliere la mia, scelse la sua, di vita.
Lei era diventata il mio tutto e dopo che quell'essere disumano me la strappò dalle braccia, non capì che portò via gran parte del mio essere.
Non potei più guardarlo in faccia, non ne ebbi più il coraggio. Mi disgustava. Lo odiavo.
Mia madre era rimasta impassibile davanti a quell'orrore. Non si schierò, non mi difese né appoggiò le strambe idee di mio padre.
Di lei non m'interessava. Volendo, era sempre stata innocua nelle sue decisioni. Solo poche di queste furono giuste.
Decisi di prendermi la mia vendetta. Portai via la vita a colui che mi sottrasse la mia unica ragione di vita e poi agii nell'unico modo che ritenni più giusto: mi ricongiunsi con colei che mi guarì, che mi redense e, forse, fu l'unica decisione che in tutta la mia vita presi soltanto per far stare bene la mia persona, me stesso, la mia anima.
Prima di sparire anch'io, mi bastò darle un bacio d'addio, uno soltanto, e poi vidi solo il buio.

Da una droga non ci si può separare e se qualcuno ce la prta via, spesso, questo ci conduce verso la morte.
La mia mi fu stata tolta contro la mia volontà e quello che trovai dopo fu solo la distruzione, la fine di ogni cosa... e, dopotutto, anche la continuazione di ciò che fu all'inizio... solo che in un'altra vita.
  
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