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Autore: Lacus Clyne    01/08/2011    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera! >__< Altra parte del capitolo! Arriva un nuovo personaggio! >_< Buona lettura, aspetto pareri se vi va!! :D

 

 

Fu così che qualche ora più tardi mi recai all’ultima porta a cui mi sarei aspettata di bussare. Un appartamento, vicino alle scuole medie di Darlington e al nostro liceo. Mi ero accorta solo in quel momento che si trovava anche nei pressi del mio isolato. Suonai il campanello, dopo essermi data una veloce risistemata e dopo un paio di minuti, ad aprirmi fu Damien Warren.

- Ciao…

Dissi, nel notare la sua espressione perplessa.

- Pensavo tu… fossi andata via.

- Non ancora. Ti disturbo?

- No, non… che sei venuta a fare?

- Rispondi a una domanda con un’altra domanda.

- E’… è vero.

Era inaspettatamente a disagio, la cosa non era affatto da lui.

- Pensi di farmi stare sulla porta tutto il tempo o hai cinque minuti da dedicarmi?

Gli domandai, sperando in una risposta positiva, dal momento che era il solo a cui potevo rivolgermi in quel momento a mio rischio e pericolo. Per fortuna, in caso di problemi, avrei avuto Shemar appostato da qualche parte, ma pronto all’azione.

- Cinque minuti, va bene. Entra.

Disse, scostandosi e lasciandomi entrare.

Era un appartamentino piccolo, molto ordinato e ben pulito. Probabilmente la madre di Warren doveva essere una donna di buon gusto, dato che i diversi quadri appesi alle pareti erano raffigurazioni di paesaggi dalle tinte estremamente delicate e nitide. Le pareti avevano colori caldi, c’era molto legno, e di legno era anche il pavimento, coperto da tappeti.

- Hai una bella casa…

Osservai, mentre Warren faceva strada.

- Grazie.

Mi rispose.

Era tornato ad essere Mr Loquacità.

- Ho saputo che non sei andato a scuola in questi giorni…

- E sei venuta a sincerarti che non stia cospirando con mio padre, vero?

Colpita e affondata. Quel ragazzo aveva intuito, mio malgrado dovevo ammetterlo. Feci un enorme sforzo per non fargli capire che aveva ragione.

- Non busserei alla porta del nemico se così fosse, non pensi?

- Con le tue manie suicide non lo penso affatto.

Mi rispose, in tono assolutamente neutro. Feci un altro enorme sforzo per non gettargli le mani al collo e strozzarlo per quel commento, sopprimendo quella voglia con un gran respiro che gli strappò un nervoso sorriso.

Arrivammo nel salotto di casa, era molto diverso dal mio, aveva tinte più calde. Si sedette al divano, facendomi cenno di fare altrimenti. Lo feci, prendendo posto sul divano di fronte al suo, senza distogliere lo sguardo da lui. Avevo sempre più la netta impressione che fosse a disagio in mia presenza.

- Cosa posso fare per te, Aurore Kensington?

- Ho bisogno del libro… dell’Otello.

Gli dissi, sperando che capisse.

- E io cosa c’entro?

- L’ho cercato in biblioteca, ma non l’ho trovato. Ricordi? Era il libro che stavo cercando la settimana scorsa…

- Hai provato nella sezione “Letteratura”?

- In realtà non ho avuto tempo…

Sospirò, guardandomi.

- E quindi?

- Ho bisogno di quel libro entro stasera, è importante.

Confessai, stringendo l’orlo del mio giubbino tra le mani.

- Non so come aiutarti, mi spiace. Hai chiesto a Hammond?

- Ovviamente no, non voglio coinvolgerla!

Mi affrettai a rispondere.

- Ancora quella storia…

- Stasera… secondo Shemar il portale si aprirà, quindi… non ho più tempo… e quel libro mi serve.

- Non so se è più assurdo il fatto che tu voglia recarti in… insomma, in qualche luogo la cui esistenza è totalmente impossibile da credere o che voglia portarti l’Otello appresso.

Sgranai gli occhi, deglutendo nervosamente.

- Non sono venuta per farmi prendere in giro. Che tu ci creda o no, non mi importa, ma ho bisogno di quel libro! Per favore, Damien!

- Probabilmente è a casa di mio padre.

Disse, guardando distrattamente verso la finestra.

- Cosa?

Poi ricordai che Leonard Warren non viveva con suo figlio. Guardai la stanza, non c’erano neanche foto.

- Puoi portarmici?

- No.

- Ti prego!

- Non posso muovermi da casa, mi dispiace.

- Perché?!

- Perché no, basta.

Tagliò corto, seccamente.

Non l’avevo mai visto così. Mi alzai, era stata una pessima idea rivolgermi proprio a lui.

- Grazie lo stesso.

Continuava a guardarmi, senza parlare. Il suo volto, una maschera priva d’espressione.

- Non so nemmeno perché continuo a sperare che tu mi capisca…

Dissi, sempre più consapevole che quel ragazzo non avrebbe mai neppure pensato di scendere dal suo dannatissimo piedistallo per muovere un dito. Era un vero despota, non sbagliavano a scuola. Pensai che sarebbe stata l’ultima persona al mondo di cui avrei sentito la mancanza, una volta giunta nell’Underworld, dove chissà, magari avrei incontrato suo padre. L’avrei quasi preferito.

Girai i tacchi, capacitandomi a ogno passo che facevo verso l’uscita. E poi, vidi qualcosa che mi stupì e che mi fece realizzare in un istante il motivo del disagio di Warren.

Un ragazzino smilzo, con indosso un pigiama e una giacca decisamente più grande di lui, i capelli scuri, più di quelli di Damien, quasi neri, ma altrettanto ricci, seduto su una poltrona di vimini nel soggiorno della casa. Mi guardava incuriosito.

- E tu… chi sei?

Chiesi, ma la risposta era quasi scontata.

Sollevò la mano, salutandomi.

Presa da quel momento non mi ero accorta che Warren si era alzato. Mi oltrepassò, raggiungendolo.

- Tutto bene, Jamie?

Jamie

Li raggiunsi anch’io, era un ragazzino davvero molto carino, aveva gli occhi grandi, di un azzurro cielo meraviglioso.

- Sto bene, ma questo libro non mi piace per niente.

Disse, con voce del tutto innocente, sollevando il libro di Pinocchio, che nelle sue manine sembrava davvero enorme.

- Davvero? Allora cercherò qualcosa di più gradevole, che ne dici?

Gli propose Damien, con un tono molto dolce, che strideva davvero molto con la freddezza di poco prima.

- Non piace nemmeno a me, sai? Le bugie sono davvero un brutto affare.

Commentai.

- Sì, son d’accordo!

Convenne il piccolo Jamie, rivolgendomi un enorme sorriso che costrinse Damien a voltarsi verso di me come se avesse visto un fantasma.

- Che c’è? E’ così, non mi piace quel libro. Non posso farci niente, è più forte di me.

Spiegai.

Jamie mi tese la manina, a occhio e croce quel bambino doveva avere nove o dieci anni. Gliela strinsi, era morbida e calda.

- Piacere, io sono Jamie Warren!

Si presentò.

Sorrisi, quel gesto così spontaneo e la voce gentile di quel bambino erano davvero una nota positiva dopo tutti gli eventi che avevo vissuto fino a quel momento.

- Piacere mio, io sono Aurore Kensington!

Gli risposi.

- Scusalo… mio fratello è scortese, vero?

Mi chiese, guardandolo.

- Lui non è sempre così… è solo nervoso perché sono ammalato.

- Davvero? Non preoccuparti, è normale, in quel caso…

Pensai a tutte le volte che avevo preso la febbre, Evan era sempre rimasto al mio capezzale, preoccupandosi per me. Era sempre lì, termometro e bagnoli pronti all’uso, non mi lasciava mai sola. Sorrisi a quel ricordo, anche se mi sentii triste.

- Che ne dici di tornare a letto ora?

Chiese Damien, prendendolo in braccio.

- No, aspetta!

Protestò il bambino, facendosi mettere giù.

- Che succede, Jamie?

Riprese il fratello, sistemandogli la giacca.

- Aurore, puoi abbassarti?

Mi domandò, e lo feci.

Sentii la sua boccuccia posarsi sulla mia guancia. Fu un gesto talmente inaspettato che rimasi perplessa e lo guardai non appena si scostò. Ricambiò educatamente lo sguardo, aggiungendo un sorriso.

- Sei davvero bella quando sorridi, dovresti farlo più spesso.

Mi suggerì, e rimasi stupita nel sentire quella richiesta. Un bambino, per giunta fratello di Damien Warren, mi aveva baciata e per giunta mi aveva fatto un complimento. Il mondo ogni tanto aveva uno strano andazzo.

- Jamie, non essere impertinente.

Lo riprese Damien, ma avrei giurato che fosse stupito forse più di me.

- Perché? E’ la verità.

Poi mi abbracciò, e un misto di sensazioni mi pervase. Era bello sentirsi importanti per qualcuno. Essendo poi la più piccola di casa, per me era qualcosa di completamente nuovo. Ricambiai quell’abbraccio, quel bambino era davvero incredibile.

- Ci vediamo presto, Aurore. La prossima volta giocheremo insieme, ti va?

Lo guardai, accarezzandogli il cespuglietto ribelle che aveva in testa. Chissà se avrei avuto quella possibilità, un giorno…

- Mi va, piccolo, mi va. Sogni d’oro, Jamie.

- Sogni d’oro anche a te.

Disse, sfiorando il mio ciondolo.

- E’ bello… spero che ti protegga sempre.

Si voltò verso il fratello, tendendogli le mani e Damien lo riprese nuovamente in braccio, mentre io mi rialzai. Lo speravo anch’io, ne avevo davvero bisogno.

- Torno subito.

Mi disse Damien, andando verso la stanza del fratellino, che nell’allontanarsi, faceva cenno di saluto con la manina. A volte la vita riserva incontri che portano la felicità. Jamie Warren era uno di questi. Sarebbe stato bello poterci parlare ancora, provare la sensazione di essere per una volta la sorella maggiore, per qualche minuto, mi aveva fatto pensare a cosa si provava, proprio io che avevo sempre avuto da mio fratello. E Damien, il despota, sembrava così premuroso verso il suo fratellino, come se per lui fosse un tesoro prezioso. In quell’istante capii che in realtà, lui sapeva molto bene come si sentiva Evan.

- Fratello mio…

Bisbigliai tra me e me, stringendo il mio ciondolo nel pugno. A qualunque costo, l’avrei ritrovato.

Attesi che Damien tornasse, guardandomi intorno. La casa era piuttosto ordinata, ma fino a quel momento avevo visto soltanto lui e il suo fratellino in giro. Raccolsi poi il libro, rimasto sulla poltroncina, sfogliandolo velocemente e rimasi stupita. Si trattava di una copia piuttosto datata, per giunta in italiano, una lingua che conoscevo, dato che nei nostri viaggi eravamo stati anche in Italia. Certo, non così bene da leggere un libro, ma me la cavavo un po’.

Damien non si fece attendere a lungo, tornò dopo pochi minuti, scusandosi per l’attesa. Poi, vedendomi col libro in mano e con quella faccia stupita, mi sventolò la mano davanti agli occhi.

- Non dirmi che hai cambiato programma e vuoi quel libro adesso.

- Eh?

Balbettai, restituendoglielo.

- Affatto, è solo che… Jamie capisce le lingue straniere?

- Che t’aspettavi, che fosse un bambino piccolo? Ha quasi tredici anni. E i libri gli piacciono.

- Quasi tredici anni? Sembra più piccolo…

- Sì, lo dicono tutti, la prima volta.

Spiegò, rassettando.

- Ah…

- Mi dispiace per tutto quello che è successo, Aurore.

Disse, inaspettatamente, voltandosi verso di me. Era incredibile quanto fossimo vicini, quasi come a casa di Violet, ma questa volta, non mi suscitò nessuna emozione. Riuscii a sostenere il suo sguardo, che a sorpresa, era incerto.

- Potrei darti la chiave dell’appartamento di mio padre, se vuoi. Verrei con te, però anche se ora Jamie è sfebbrato, non me la sento di lasciarlo solo. La nostra cameriera non si trattiene fino a tardi, solitamente mi occupo di lui quando torno da scuola e quindi…

Era sincero, lo si poteva capire dal suo tono, per la prima volta così spontaneo, mentre parlava del suo fratellino.

- Non preoccuparti.

Gli dissi.

- In fondo, forse nemmeno importa. Non so cosa stessi davvero cercando, pensavo che avere quel libro mi sarebbe stato di una qualche utilità, ma adesso non ne sono più così convinta.

- Cosa c’è di così importante in quel libro?

Dirgli tutto, poco prima di partire, avrebbe significato metterli in pericolo, probabilmente. E dopo aver conosciuto Jamie avevo capito che c’era del buono in suo fratello. Mi limitai a fare cenno negativo.

- Niente, era soltanto una compagnia.

Mi guardò attentamente, scrutando a fondo. Sentii per un attimo la sensazione dei suoi occhi fissi nei miei, per cui distolsi lo sguardo. Sapevo di stare mentendo, ma a volte, le bugie sono necessarie. Sarei stata un pessimo esempio per Jamie, dato che poco prima gli avevo detto che le bugie non mi piacevano, e lo pensavo ancora, ma ci sono casi in cui sono il solo modo per proteggere qualcuno.

Chissà se lo comprese, ma di lì a poco, lo vidi allontanarsi verso un comò di legno intagliato. Pensai che quei disegni sarebbero piaciuti a mia madre, se li avesse potuti vedere. Tornò tenendo tra le mani un mazzetto di chiavi, da cui prese quella dell’appartamento del padre.

- Cosa stai facendo?

Domandai.

Non rispose, mi prese la mano e posò sul mio palmo la chiave.

- Non cacciarti nei guai.

- Non capisco… prima hai detto che…

- Ho detto che non posso lasciare solo mio fratello. Ma se per te va bene e quel pazzo scriteriato del tuo amico non ha obiezioni in merito, potrebbe accompagnartici. L’appartamento è nei pressi della nostra scuola, a Chapman Street.

- Perché… lo fai?

- Piombi senza preavviso a casa mia, credendo che io sia in combutta con mio padre, è semplice, do conferma ai tuoi sospetti in modo da lasciarti il ricordo di me che più preferisci. Quello del despota senza alcun sentimento.

Quelle parole non me le aspettavo proprio, furono una zappata sui piedi, così tanto che non ne colsi neanche l’ironia.

- Io… ecco… scusami…

Mormorai, stringendo la chiave in mano.

- Grazie, Damien. Ma preferisco ricordare il volto del fratello premuroso.

Dissi, mentre un velo di lacrime confuse alla mia vista il volto di Damien con quello di Evan. Dovevo andare via, prima di rivelare ancora una volta la mia debolezza.

- Arrivederci, spero di rivedervi un giorno.

Sorrisi, correndo via.

Stavo fuggendo, ancora, fuggendo, ma in quel momento, non riuscii a capire per quale motivo lo stessi facendo. So soltanto che mi fermai nei pressi della scuola, mentre ormai era quasi l’imbrunire.

Non c’era nessuno per strada a quell’ora, tanto che mi sentii sola anch’io, ma sapevo, o almeno speravo, di non esserlo.

- Shemar!

Pronunciai, raggiunta da lui dopo pochi istanti.

- Mi sembrate stravolta, signorina.

Osservò, ma non avevo intenzione di replicare a quell’affermazione.

Gli detti la chiave, spiegandogli brevemente quello che mi aveva detto Damien Warren. Sapevo che non si sarebbe fidato, soprattutto quando le sue opinioni riguardo i Warren erano costellate di traditori, mercenari, pericolosi e la mia faccia stravolta non andava a mio favore. Tuttavia, che mi credesse o no, si limitò a chiedere l’indirizzo.

- Aspettatemi qui.

- No.

- Se c’è qualcuno in quella casa, sarà meglio che non vi veda.

- Mi hanno già vista, a quest’ora tutto l’Underworld saprà che faccia ho, quindi non mi interessa, prima o poi dovremo fronteggiarli.

-  Signorina Aurore…

- Mi sembra di avertelo già detto, Shemar. Si gioca alle mie condizioni.

- Preferirei condurvi viva nell’Underworld.

- Rimarrò viva abbastanza a lungo da ritrovare la mia famiglia. Quello che accadrà dopo, non mi interessa, per il momento. Non perdiamo tempo.

Conclusi, dirigendomi verso Chapman Street.

Fu facile trovare l’appartamento, era soltando il secondo della strada. Quando entrammo, non vi trovammo nessuno, Era molto diverso da quello dei figli, un monolocale quasi vuoto, con soltanto alcuni scaffali pieni di libri e un tavolino nella zona giorno, illuminata da una grande vetrata che dava sulla zona residenziale.

Mentre Shemar ispezionava scrupolosamente l’appartamento io mi misi alla ricerca del libro. Questo fu più difficile, dal momento che Leonard Warren possedeva testi dalle copertine molto simili e confondersi era facile.

- Sembra che da qui si intraveda la vostra casa, signorina.

Mi fece notare Shemar, vicino alla grande vetrata.

Mi avvicinai, scoprendo con non desiderata sorpresa che Shemar aveva ragione. Chissà da quanto tempo ci spiava quell’uomo. Le parole di Damien mi tornavano alla mente, ma c’era il rischio che fosse sulle nostre tracce da molto più tempo. Odiai ancora di più quell’uomo, poi tornai alla mia ricerca, scorgendo il libro che cercavo proprio sullo scaffale più alto.

- Eccolo!

Esclamai, sollevandomi sulle punte dei piedi per prenderlo, ma come al solito, mi fu impossibile. Mi voltai verso Shemar, che si voltò a sua volta. Chissà cosa stava pensando, se non si era nemmeno accorto della mia esclamazione.

- L’avete trovato?

Chiese, raggiungendomi.

- Sì, ma non ci arrivo. Puoi provarci tu?

- Qual è?

- Su, quello con la copertina nera, è il quindicesimo da destra.

Per sicurezza, lo indicai con il dito, sperando che la numerazione nell’Underworld non fosse diversa dalla nostra.

Rivolse una veloce occhiata, poi lo prese, porgendomelo.

- E’ questo?

Riconobbi la copertina, ma lo sfogliai per avere conferma. Le rune erano ancora lì, così girai il libro verso Shemar, mostrandoglielo.

- Puoi dirmi cosa leggi?

Lo osservò attentamente, poi mi guardò.

- Voi non riuscite a leggerlo?

- Se te lo sto chiedendo è perché non ci riesco, no?

- Capisco. In ogni caso si tratta di un vecchio testo sacro. Soltanto raccolte di antiche preghiere, solitamente erano utilizzate per esorcizzare i peccati.

- E riesci a riconoscere la canzone?

- Quella di cui avevate parlato alla signorina Violet?

Annuii, poi gli ripetei le parole che ormai conoscevo fin troppo bene.

- La pierre qui brille dans le noir… suivez la route qui mène au lac des diamants… ici la Croix reste…

Ici la Croix reste… la Croix du Lac.

- No, qui non c’è niente del genere, mi spiace.

Lo guardai sconvolta. Non potevo sbagliarmi, il libro era quello, le rune, anche se non riuscivo a leggerle, erano proprio le stesse che mi aveva mostrato. Cosa mai poteva voler dire? Doveva esserci uno sbaglio da parte di Shemar, una mancanza, come il fatto che non conoscesse quella canzone.

- Mi prendi in giro?!

Sbraitai.

- No, niente affatto. Mi dispiace, non conosco quelle parole, ma qui non ci sono.

Continuò a sfogliare il libro, fornendo una descrizione dettagliata e una traduzione sicura di tutto ciò che c’era, ma niente somigliava alle parole della canzone.

Lo ascoltai, in silenzio, cercando di trovare una spiegazione che non riuscivo a darmi.

- Signorina Aurore?

- Mi ha presa in giro…

Bisbigliai, realizzandolo improvvisamente.

- Mi dispiace…

- Che scema, ci sono cascata in pieno…

- Vi avevo detto di non fidarvi dei Warrenheim, signorina…

Annuii, guardando il libro e ignorando l’ultima parte.

- Mi spieghi perché riesco a vedere quelle rune?

- Perché possedete l’ametista.

- No, è accaduto prima che la mamma mi desse il ciondolo…

- Davvero?

- Secondo mio fratello, è una specie di inchiostro simpatico…

- Non so di cosa si tratti, a dire il vero.

- E’ un tipo d’inchiostro che reagisce al cambio di temperatura, lasciando comparire scritti che normalmente non si potrebbero vedere.

- Ma vostro fratello era in grado di leggerle, non è vero?

Sollevai lo sguardo verso di lui.

- Come? No, lui non…

- Se si è accorto di questo “gioco”, significa che in ogni caso, era capace di notare la differenza. Diversamente, avrebbe visto soltanto ciò che questo libro è per gli umani.

- L’Otello

Evan mi aveva mentito… perché? Presi quel maledetto libro, riponendolo nello scaffale più vicino alla mia altezza.

- Andiamo via. Non abbiamo più niente da fare qui.

- Come desiderate.

Uscii, mentre i dubbi si affollavano velocemente nella mia mente cancellando la delusione per il raggiro di Leonard Warren.

- Riporta la chiave a Damien, ti aspetto a casa. Ho bisogno di fare una doccia, quindi non tornare prima di almeno un’ora.

Ordinai a Shemar, che mi seguiva.

- Permettete almeno che vi riaccompagni a casa.

- No. Voglio fare quattro passi da sola. Ti prometto che starò alla larga dal parco, ma non voglio che tu mi segua, sono stata chiara?

- Va bene.

Acconsentì di malavoglia, facendo un breve inchino e allontanandosi verso casa di Damien Warren.

Sospirai, ero davvero sola.

Mi incamminai verso casa, a passo lento. Sapevo che Shemar ci avrebbe messo poco e sarebbe stato più probabile rientrare e trovarlo lì, più che attendere il suo arrivo. Non che mi importasse più di tanto, ormai stavo per lasciare tutto quanto e quell’ultima delusione non era certo stata il migliore degli auspici per ciò che sarebbe venuto. Tuttavia, aspettarmi dei successi era altrettanto improbabile, dato che chiunque agisse nell’ombra faceva bene il suo lavoro. Una volta arrivata nell’Underworld, magari la situazione mi sarebbe stata più chiara.

  
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