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Autore: Alaire94    02/08/2011    2 recensioni
Si dice che le sirene anneghino i marinai trascinandoli nell’oscurità degli abissi. Si dice che basti uno sguardo per innamorarsi di una sirena, uno sguardo color del mare che porta con sé un legame eterno e indissolubile.
Eppure si dice anche che siano solo le leggende di un piccolo paesino carico di misteri, dove la luce di un faro illumina le acque cristalline della baia…
Era proprio bella quella baia: l’aria sapeva di antichità, delle lunghe battaglie in mare del passato e della salsedine delle reti dei pescatori.
Sembrava quasi di sentire ancora le urla dei mercanti sul molo e dei marinai sulle navi piene d’oro che si accingevano ad ormeggiare.
Aveva vissuto tempi di splendore, mentre ora non era altro che una baia dimenticata dall’uomo dove la natura brulla aveva avuto il sopravvento sulle attività umane.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Mi ritrovai sulla via principale  e senza guardarmi attorno presi a camminare veloce verso direzioni ignote. Cercai di liberare la mente, di non pensare a quel fuoco di rabbia che mi bruciava dentro. Mi concentrai invece solo sui passi, sulle suole che accarezzavano l’asfalto e sulla strada che scorreva sotto i piedi.

Lasciai che i raggi del sole sfiorassero col loro calore i miei capelli bruni, che la brezza marina li scompigliasse e che l’odore di salsedine mi solleticasse il naso.

Mi sentivo solo più che mai: nessuno sembrava essere mio amico, nessuno voleva aiutarmi. Gli sguardi malevoli della gente per strada che mi squadravano da capo a piedi come fossi un alieno, cominciavano già a starmi stretti. Qualcuno voleva che me ne andassi, che lasciassi a quel paese le sue dannate tradizioni e la mentalità chiusa.

Che ne sarebbe stato allora del faro? Chi avrebbe controllato la baia dall’alto e salvaguardato le navi dal naufragio sugli scogli?

Infine che ne sarebbe stato di me? Sarei tornato alla mia noiosa vita in città, in quel piccolo appartamento ordinato pieno di ricordi dolorosi.

Rallentai il passo. Ero giunto al molo; le assi scricchiolavano sotto i piedi e le barche ormeggiate ondeggiavano leggermente come galleggiassero sulle nuvole. Si trattava di barche di pescatori sporche di alghe da cui proveniva una rivoltante puzza di pesce. Eppure fra di esse vi erano anche alcune barche più pulite, usate da qualche paesano amante delle lunghe gite al largo.

Il mare era calmo, una liscia tavola cosparsa di brillantina, e verso l’orizzonte si intravedeva la sagoma di una piccola isoletta.

Il cielo, invece, cosparso di nuvolette candide e illuminato da un bel sole, si tuffava dietro l’orizzonte, congiungendosi col mare, come fossero amanti appena ritrovati.

Camminai lentamente, osservando le imbarcazioni a cui passavo di fianco. Sopra una di esse un pescatore a petto nudo sistemava le reti e quando passai si fermò per lanciarmi un’occhiata incuriosita, facendomi sentire ancora una volta a disagio.

Ben presto arrivai al limitare del molo, dove le assi di legno lasciavano il posto all’acqua del mare, lì un po’ torbida a causa dei residui lasciati dalle imbarcazioni.

Vi era davvero un’atmosfera tranquilla in quel luogo: era lontano dal paese e dal vociare della gente, già immerso nella natura marittima della baia.

Da lì potevo anche vedere il faro stagliarsi sul picco, circondato da stormi di gabbiani in cerca di cibo.

Rapito da quella vista mi sedetti sul bordo del molo, lasciando che i piedi ciondolassero a qualche centimetro dall’acqua e tirai un bel sospiro per tranquillizzarmi dopo ciò che era successo.

Era stato un altro duro colpo per me: mi ero sentito ancora una volta ignorato, come quando ero più piccolo.

A scuola ero uno di quei ragazzini mingherlini, dagli occhi nascosti da spessi occhiali da vista.

Anche da adulto li portavo, così come i capelli bruni pettinati da una parte e molti infatti sostenevano che negli anni non fossi cambiato di una virgola: gli stessi lineamenti infantili, la stessa fossetta sul mento.

L’unica cosa che era cambiata in me era lo sguardo. Da ragazzino i miei occhi erano sempre bassi, per proteggermi  dagli sguardi derisori della gente che spesso mi ignorava.

Per i miei compagni non ero altro che un bambino qualsiasi, di quelli che passati gli anni scolastici non ricordi neanche il nome. Per altri ero un passatempo, un ragazzino a cui fare dispetti ogni tanto.

Ero insomma uno di quei ragazzini che passavano inosservati: non ero bravo a scuola, non praticavo sport, non ero popolare. Non spiccavo in nulla.

Per questo i miei occhi erano abituati a guardare in basso, umili.

Da adulto invece il mio sguardo guardava dritto davanti a sé. Ero fiero di portare gli occhiali spessi, fiero di essere quello che ero perché la vita mi aveva insegnato che bisognava prendere coraggio e portare avanti la propria vita, senza aver paura di niente e di nessuno.

Eppure, anche dopo anni, quando venivo ignorato mi pareva di tornare bambino, a girovagare come un fantasma nella mia enorme scuola, debole e sprovveduto.

- Stai attento ragazzo! – irruppe una voce rauca alle mie spalle che mi fece sobbalzare, rischiando di farmi cadere in acqua.

Mi voltai di scatto e i miei occhi incontrarono una figura tozza che arrancava sul molo, producendo rumori secchi ogni volta che accennava un passo. Era un signore piuttosto strambo che sembrava essere spuntato direttamente da uno di quei vecchi film sui pirati: i capelli brizzolati erano lunghi e legati dietro la nuca, le labbra grosse e screpolate rivelavano una fila scomposta di denti gialli, mentre una striscia di stoffa gli attraversava il volto rugoso, coprendo l’occhio destro.

- Allontanati dall’acqua! Non vorrai mica essere divorato dalle sirene! – gridò l’uomo, giungendo con non poca fatica fino in fondo al molo.

Trattenni a stento una risata nell’udire quelle parole: perfino un bambino sapeva che le sirene non erano altro che creature fantastiche.

Il signore mi porse una mano per aiutarmi a ritornare al sicuro coi piedi sulle solide assi. Decisi di assecondarlo: probabilmente la vecchiaia doveva avergli causato qualche problema mentale.

- Sei nuovo di qui, vero? Devi essere il guardiano del faro… - disse una volta che mi fui alzato in piedi.

- Sì, esatto – risposi, mentre osservavo meglio il vecchio lupo di mare; dalla camicia a scacchi spuntava un rigoglioso ciuffo di peli su cui si posava un ciondolo a forma d’ancora.

- Piacere, Cristiano Coralli, detto “il Pirata” – si presentò sorridendo e porgendo la mano.

- Alex Alfieri – dissi afferrandola.

- Non dovresti avvicinarti troppo all’acqua, ragazzo… nella baia si nascondono branchi di sirene – spiegò, pronunciando con enfasi l’ultima frase. Probabilmente cercava di spaventarmi, ma forse non si era reso conto che non si stava rivolgendo a un bambino.

Mi scappò una leggera risata che questa volta non riuscii a trattenere.

Cristiano scosse la testa con disapprovazione, facendo dondolare la coda.

- Ah! Purtroppo è una realtà, giovanotto… quando hanno fame spuntano dall’acqua, ti incantano con la loro bellezza e un secondo dopo ti ritrovi nelle profondità marine e di te non rimane che un mucchietto di ossa – disse, questa volta quasi con rassegnazione.

Sorrisi bonariamente. – Ormai non credo più alla vecchie storie – affermai tornando serio e cercando di andare via.

- E’ stato un piacere conoscerla, signor Coralli – aggiunsi dirigendomi verso l’inizio del molo, ma l’uomo mi afferrò per un braccio.

Cominciavo a spazientirmi: non mi piacevano le persone insistenti. Avevo detto chiaramente che non mi interessavano le sue storie e non avevo nessuna intenzione di ascoltarle.

L’uomo però si era fatto cupo e mi scrutò con l’unico occhio che aveva. Era verdognolo con qualche venatura color castagna. Non sapevo il motivo, ma quando lo guardai ci scorsi qualcosa che non riuscii a spiegare, qualcosa che mi spinse a fermarmi.

- Era bella, sai… gli occhi erano i diamanti più splendenti e la bocca così piccola e rosea… mi sporsi per guardarla meglio, ma lei mi afferrò, cercò di trascinarmi in acqua, quella brutta strega! – raccontò, pronunciando quelle ultime parole come un insulto a sé stesso più che alla sirena.

- Sono vivo per miracolo, ma la sirena si tenne qualcosa di mio – aggiunse. Senza altre parole si scostò la benda dall’occhio e ciò che vidi mi impressionò notevolmente.

Al posto dell’occhio vi era un solco piuttosto profondo causato da un graffio obliquo ormai cicatrizzato, come se l’occhio insieme ad altri pezzi di carne fosse stato strappato con forza da un dito artigliato.

Avrei voluto dire qualcosa, ma la gola pareva essersi seccata: non trovavo la forza di far uscire parole dalla mia bocca, completamente paralizzato da quella vista impressionante. Il silenzio era calato su di noi come una spessa coltre, rotto solamente dal regolare sciabordio delle onde.

- Questo è reale, vero? Non sembra più una semplice storiella… - commentò Cristiano coprendosi nuovamente l’orrenda cicatrice.

Cercai ancora una volta di dire qualcosa, ma la gola continuava ad essere riarsa. Così, senza quasi accorgermene, cominciai a indietreggiare. L’uomo non mi seguì, ma restò fermo immobile al limitare del molo.

- S-scusi, devo andare – riuscii infine a balbettare prima di voltarmi e cominciare a camminare veloce, ritornando al paese più scosso che mai.

***

Angolo autrice: 

come sempre ringrazio chi ha letto lo scorso capitolo e in particolare Iloveworld che ha recensito, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento :) 

Purtroppo devo annunciare che questa storia procederà lentamente in quanto sono occupata nella stesura di altre, ovvero: 

Irreale

Ciao a tutti quanti e alla prossima!

   
 
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