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Autore: Lily White Matricide    04/08/2011    14 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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6.

The Waves

 

“There was a star riding through clouds one night, and I said to the star, ‘Consume me’” Virginia Woolf

Lily si lasciò andare sul letto, esausta, ma al settimo cielo per quanto accaduto in quella giornata ricca ed emozionante. Il cuore batteva placido, ma tramite ogni battito lento e misurato, la sensazione di benessere si spargeva dentro di lei, andando sempre più nel profondo. Per un attimo, però, pensò a Petunia, la sorella invidiosa, spilungona, secca e spigolosa. Ma che in fondo, rimaneva sempre parte di sé. Talvolta, era come se le mancasse terribilmente non avere più un rapporto con la sorella, dall’altro, si sentiva grata di poter fare quello che le piacesse di più, senza doverla avere addosso tutto il tempo. Si era sentita sola in quella famiglia, da quando aveva scoperto i suoi poteri magici e i suoi genitori chiaramente dovevano farla apparire come una ragazza prodigio, la ragazza prodigio che suonava il pianoforte, ufficialmente. Questo le faceva molto male, la rattristava, perché sembrava che i genitori si vergognassero di avere una figlia unica e speciale e sull’altro fronte aveva una sorella totalmente diversa da lei che desiderava tutta la magia posseduta da Lily. E per questo ogni volta cercava di schernirla, di farle scherzi cattivi, di intromettersi nelle sue attività magiche, negli esercizi, nei compiti che le assegnavano. Aveva desiderato a lungo qualcuno che la capisse, che fosse un amico o molto di più di questo. Sev era arrivato, era lì per lei, dopo un lungo cammino di crescita assieme. Si sentiva fortunata, era come se con quel bacio si fosse placato il turbinare delle sue preoccupazioni, che teneva ben chiuse nel suo cuore. In quel momento atteso, dentro di sé, la gabbia di uccellini teneri e spaventati, che continuavano a cinguettare in maniera sempre più stridula e grottesca, era stata aperta. Erano volati via, lasciando un canto sempre più aggraziato e remoto.

 

Respirò a fondo nell’oscurità, con solo qualche luce pallida proveniente dalla strada a delineare la sua figura sul letto e gli oggetti della stanza. Chiuse gli occhi e le parve di fluttuare, sull’acqua poco mossa. Fluttuava e veniva trascinata nel fiume dei ricordi, là dove tutto sembra essere dimenticato, ma basta una corrente diversa dal solito per far riaffiorare dall’oblio il dolore di una perdita, l’odio di un litigio, la sofferenza per la distanza tra due o più cuori. 

 

Tornò indietro di qualche anno, qualche giorno prima della partenza verso Hogwarts, dove avrebbe frequentato il primo anno di Scuola di Magia e Stregoneria.

 

Lily aveva appena preso la sua bacchetta magica da Olivander e la rimirava contenta, esaminandola attenta contro la luce del sole. Era fine e lunga, di legno scuro, contenente una squama di sirena e della polvere di giada. Si voltò e guardò ancora una volta i libri acquistati qualche ora prima. Incantesimi, pozioni, erbe magiche, creature fantastiche, divinazione, tutte materie estremamente affascinanti e nuove agli occhi smeraldini di quella bambina. E poi c’era lei, appoggiata allo stipite della porta. Quella figura lunga e troppo magra, dallo sguardo estremamente triste, come un fuoco appena appena estinto tra le ceneri, ma sempre pronto a riaccendersi e a ferire.

“Guarda guarda, abbiamo pure il coraggio di sventolare in giro la bacchetta magica in giro per casa” osservò acida Petunia. Sempre pronta ad attaccare per difendere le sue mancanze e il suo essere ordinaria. Lily di scatto la ripose nell’astuccio pregiato, dalle sfumature verde petrolio.

“Petunia, vattene via” disse seccamente. Era come se l’avesse invitata ad entrare con veemenza. Si sedette sdegnosa tra i volumi e ne prese uno e con tono di voce supponente, da insopportabile so-tutto-io, si mise a leggere qualcosa sugli incantesimi. Lily la ignorava e pensava a riordinare la stanza, con gesti nervosi e frenetici, non sapendo dove mettere le mani, se sulla scrivania, o nel guardaroba. Era un tentativo disperato di ignorarla, di farla smettere. La rabbia e lo sconforto per quell’atteggiamento da parte della sorella maggiore continuava a crescere feroce. 

“Lily? Mi stai ascoltando?” chiese Petunia, chiudendo il libro rumorosamente.

La sorella non rispose, afferrò i libri ed iniziò a buttarli convulsamente nel baule. 

“Lascia giù i miei libri, non sono tuoi e tanto oramai la magia non ti interessa più. Sei solo invidiosa” disse con una fitta al cuore la bambina dai capelli rossi. Le doleva essere così tagliente, ma non vedeva altra scelta. Voleva difendersi.

Petunia scattò in piedi, sistemandosi con cura i capelli chiari. 

“Lo sai che mamma e papà non sono troppo contenti di questa follia ...” esordì Petunia.

Lily gettò con rabbia dei libri nel baule e scattò verso la ragazza.

“Follia!? Quale follia!? Ho un dono e ho la fortuna di poterlo coltivare. ... Io, io capisco che mamma e papà siano diffidenti, ma vedrai quanto saranno felici di me, delle mie doti! Non avranno più bisogno di scuse! Non si dovranno inventare più bugie”.

Petunia sorrise beffarda: “Staremo a vedere, scherzo della natura, divertiti nella tua gabbia di matti ... Con quell’orrido ragazzo”. Si voltò e se ne andò via, sbattendo la porta.

 

A distanza di pochi anni, le faceva ancora molto male, tanto che le lacrime, ancora una volta le solcarono il volto, inumidendo l’enorme cuscino morbido di quel letto irlandese in legno scuro e spesso. Ora però non era più da sola a reggere quell’impalcatura pesantissima, fatta di dolore e di conflitto perenne. Certo, a volte Sev non era stato troppo tenero con sua sorella. Non si erano mai sopportati, sin dal primo istante, Petunia appena lo aveva a tiro cercava di fargli qualche scherzo pesante, di rubargli qualche libro dalle mani, di stuzzicarlo con qualche battuta al vetriolo. Talvolta sembrava di assistere ad una gara a chi dicesse più cattiverie: Lily temeva che si potesse arrivare alle mani, ma Sev non era il tipo, era semmai lei che provava quell’impulso, forte da farle mancare il respiro, di scuotere la sorella, di spaventarla, di farla pentire amaramente di tutta la sua invidia e gelosia. 

 

La bella Lily, diventava un fiore rabbioso, una pianta piena di spine: anche lei, come tutti, aveva il suo lato oscuro, quello che non vorresti mai far vedere a nessuno. Aveva paura di perdere il controllo, di far scappare la gente da sé. Tante volte di notte si era svegliata con un groppo alla gola, con un fortissimo senso di claustrofobia, come se si sentisse schiacciata tra due muri. E in quelle notti travagliate ed agitate, aveva deciso di vivere a compartimenti stagni, almeno con sua sorella. Lily a casa cercava di essere tranquilla ed il più accomodante possibile, evitando scontri con la sorella e non parlando nemmeno per sogno di argomenti magici. Ad Hogwarts era la strega Lily Evans. Le cose con i suoi genitori sembravano andare meglio, ad ogni modo: si sentivano comunque orgogliosi di lei, della sua bravura, del suo impegno ad Hogwarts. Non avevano respinto Sev e la sua presenza assidua: la mamma di Lily lo proteggeva un po’ come una chioccia affettuosa, aveva capito che quel ragazzo era terribilmente solo. Gli faceva qualche dolce speciale, a volte gli sistemava qualche vestito, d’altronde anche lui stava crescendo e aveva bisogno di una presenza materna, dato che la signora Eileen Prince sembrava essere un po’ assente nella crescita di quel ragazzo.

 

Ancora una volta, scivolando lentamente nel sonno, la sua mente andò a ricercare un ricordo significativo, un tizzone ancora ardente che poteva ustionarla. Perché non riusciva ad addormentarsi? La vita con sua sorella negli ultimi anni le passò davanti, veloce come un lampo, come un proiettile che ti trapassa da parte a parte. Lily ogni tanto vedeva quella scena un po’ crudele in qualche film western o qualche film giallo che i suoi genitori vedevano di tanto in tanto in televisione, un vero e proprio bene di lusso che avevano in casa da qualche tempo. Faceva male, faceva un male terribile vivere così, e se lo disse una, due, dieci volte, forse anche bisbigliandolo nell’oscurità, portandosi una mano al petto. Lily era ancora una volta vittima di una delle sue notti travagliate, dove non riusciva più a smettere di pensare, di rimuginare. Si rigirò nel letto, afferrò le coperte. Aveva freddo, poi caldo, non appena si scopriva, aveva voglia di ricoprirsi. Cercava di contare le pecore, si canticchiava qualche ninnananna o melodia rassicurante, ma nulla. I suoi tormenti la inseguivano. Ma non voleva cedere.

 

Non era sola, non era affatto sola, doveva ricordarselo, ora e sempre. Questa volta non avrebbe tenuto Severus all’oscuro dei suoi tormenti. Era finalmente parte di sé, totalmente alla luce del sole, sarebbe stato più che felice di aiutarla a farla stare meglio. Risoluta, si alzò in piedi e camminò lentamente, stando ben attenta a non far scricchiolare il pavimento in legno. Aprì la porta e si accertò che tutti dormissero profondamente. Aveva perso la cognizione del tempo. Furtiva, camminò verso la porta di Sev. Vide qualche bagliore, uno sfarfallio di candele, pareva: Sev era ancora in piedi, molto probabilmente, a leggere uno dei suoi libri, a studiare qualche strana pozione, come sempre. Forse l’amore gli aveva dato qualche incentivo a darsi ancora più da fare nello studio. 

Lily voleva guardarlo di soppiatto, solo per qualche istante. Ecco che già quel ronzio fastidioso fatto di ricordi spiacevoli si placava. Aprì leggermente la porta, stando attenta che la luce non inondasse il corridoio e rimase ad osservarlo.

 

Era lì, sdraiato sul letto, a pancia in giù, con il suo libro appoggiato al cuscino. I capelli lunghi e neri sfioravano le pagine un po’ ingiallite di quel volume: probabilmente era di sua madre. Lo sguardo era attento e concentrato. Si sentiva a malapena il suo respiro tranquillo, vedevi però che era rilassato. Il lento movimento delle spalle e della schiena andava sempre dall’alto verso il basso, e viceversa, con regolarità. La ragazza, invece, tratteneva il fiato, per non spezzare quest’equilibrio delicato. Era una delle poche volte in cui Lily si trovava nella parte dell’osservatrice in incognito e Sev era l’osservato speciale. Quante volte Sev aveva osservato e seguito Lily, prima che si facesse avanti? La giovane sorrise tra sé e sé, osservando le dita di Sev che seguivano una didascalia, un paragrafo, o semplicemente, voltavano pagina. Il rumore della pagina rompeva quel silenzio. Ad un certo punto, però, Sev chiuse il libro soddisfatto e allungò un braccio per metterlo sul comodino. Lily si riscosse dall’incanto e sobbalzò. Aprì la porta con attenzione e sussurrò: “Sev, sono Lily!”

Sev si voltò di scatto e la guardò sorpreso, facendole segno di venire pure avanti. Lei chiuse lesta la porta e fece molta attenzione ad avvicinarsi a lui. Appena fu abbastanza vicina, il ragazzo le rivolse la parola.

“Lily, che ci fai qua? Non stavi dormendo?”

“Non riuscivo a dormire. A ... A volte ... Mi succede” spiegò lei, sedendosi a bordo letto, accanto a Sev, che si mise subito a sedere con le gambe incrociate.

Il giovane rimase in silenzio, sondando la mente di Lily, scrutando gli occhi verdi un po’ agitati, velati di tristezza.

“C’è qualcosa che non va .... Tua sorella, per caso? Ha ancora fatto qualcosa?” sibilò un po’ rabbioso.

Lily lo prese per mano. “No, cioè ... Ecco, non proprio. Penso spesso a ... Al nostro rapporto. Lei è gelosa, è invidiosa, ma ... Ma a me spiace tanto che sia così cattiva nei miei confronti. E’ ... E’ sempre mia sorella, lei.”. 

Sev le cinse le spalle con un braccio e le fece appoggiare la testa sulla sua spalla.

“Lily, dimmi tutto, ma davvero tutto. Sei turbata. A volte vedo che non dormi la notte ... Adesso ... Adesso che ... Uhm ...” non aveva mai pronunciato quelle parole, le aveva semplicemente sognate nei suoi sogni più folli. Tacque un secondo e prese la sicurezza necessaria per pronunciarle. 

“Sì, adesso che stiamo assieme, voglio aiutarti ancora di più, voglio starti vicino ancora di più”.

Lily era rimasta un po’ contratta, ma si rilassò e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Sev la prese sulle ginocchia e le cinse la vita con le braccia. Vuotò il sacco, bisbigliando, sussurrando, a volte non controllando per nulla il tono di voce. Gesticolò, si arrabbiò, pianse, e rise quando Sev le diede qualche bacio sulle guance un po’ rigate dalle lacrime, un po’ arrossate dallo sfogo e dalle emozioni. Lui rimaneva serio, in silenzio. Talvolta annuiva, altre volte la esortava ad andare avanti. Era un buon ascoltatore, più che un buon oratore. Leggeva più la mente, i gesti, le espressioni facciali. In questo era diverso da Lily, diversissimo. 

 

Persero la cognizione del tempo, la candela di cera si consumò, fino a diventare una pozza informe ed ustionante. Lily diventava sempre più leggera e spensierata, gli occhi tornavano a risplendere sereni. Si ritrovarono sdraiati l’uno accanto all’altra. Si presero per mano, con la ragazza che parlava sempre più lentamente, dicendo cose senza un filo logico, oramai nel mondo dei sogni. Crollarono addormentati, teneramente aggrovigliati.

   
 
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