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Autore: Lady Vibeke    05/08/2011    3 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20. FIORI DI SERRA

 

I'm blind and shaking
Bound and breaking
I hope I make it through all these changes

– Changes, 3 Doors Down –

 

 

Il pastrano di pelle nera che portava il ragazzo, molto simile nel taglio a quello di Lucius, solo largo la metà, odorava di ferro e alcuni dei cristalli che portava al collo avevano delle piccolissime macchie scure incrostate sulle sfaccettature perfette. Regan preferì non fare domande in merito, anche se si era già fatta un’idea di quali avrebbero potuto essere le risposte.

La depositò come fosse stata merce da scaricare di fronte a una casa sontuosa, se non altro rispetto al resto del villaggio. Grande, costruita su due piani, due lanterne lasciate a illuminare l’uscio per la notte, ma anche le luci all’interno erano accese. Una targa di bronzo sul muro diceva: La Serra.

Il ragazzo bussò tre volte. Poco dopo la porta laccata di rosso vermiglio si aprì. Ne emerse una donna riccamente vestita, ma in modo eccessivamente vistoso. Il trucco pesante e i gioielli d’oro giallo confermarono a Regan ciò che già aveva intuito a primo acchito: quella a cui avevano appena bussato era una casa chiusa.

– Loner – le labbra tinte di rosso della donna, circondate da una schiera di sottili rughe, assunsero la vaga forma di un sorriso. – Hai una nuova amichetta? –

Aveva una voce profonda, rauca e nasale, che ben si accompagnava alla sua figura imponente.

– Ha bisogno di un posto per la notte – disse il ragazzo, Loner, spingendo Regan in avanti, e lei, imbarazzatissima, avanzò tentennante senza alzare lo sguardo. – Quanto volete per tenerla qui? –

Gli occhi pallidi della donna vagarono su Regan per un momento con aria interessata.

– Potrei offrirti io una cifra interessante, se fosse per sempre. È graziosa, particolare… ai miei clienti piacerebbe. Un po’ troppo acerba, forse, ma ha ancora tempo per crescere. –

Regan inorridì al solo pensiero. Il ginocchio sanguinava e le faceva malissimo, ed era il solo dettaglio che la tratteneva dal tentare di fuggire.

Ma Loner intercedette per lei:

– Non vi conviene sperarci – La sua voce era morbida, carezzevole, non sarebbe stata fuori luogo in qualche ballata da chiaro di luna, o a sussurrare parole innamorate all’orecchio dell’amata, ma qualcosa diceva a Regan che nella vita di quel ragazzo non c’era posto per qualcosa del genere.

– Ha amici alla Lega – aggiunse infine.

Lì per lì Regan non ci fece caso, ma non gli aveva detto niente di sé, della Lega men che meno.

– Ma come sai che io… –

– Legge il pensiero come un libro aperto, questo mascalzone – ridacchiò la donna, le mani puntellate sui fianchi possenti, poi fissò Regan sospettosa: – Cosa ci fa una signorina perbene nei bassifondi, e conciata in questo modo, per giunta? Sei fuggita di casa, tesoro? –

– No – si limitò a rispondere lei.

– Ha avuto una brutta avventura – intervenne Loner, spiccio. – Nulla di grave, ma non posso occuparmi di lei, adesso. I suoi amici alloggiano da qualche parte nel villaggio, ma è confusa, non sono riuscito a vedere dove. –

– Mi troveranno loro, e presto – affermò Regan, convinta. Non sapeva cosa le avesse suscitato tanta fermezza: ne era semplicemente certa.

La donna parve poco convinta, ma alla fine sospirò, scuotendo il capo.

– Va bene, può rimanere. E tu puoi tenerti i tuoi soldi – aggiunse, rivolgendosi a Loner, la cui mano già stava dirigendosi verso la bisaccia che teneva alla cinta. – Consideralo un favore personale. –

Lui sogghignò, ma chinò comunque la testa in segno di ringraziamento.

– Arrivederci, Madame Vervaine – Poi si voltò verso Regan. – Addio, ragazza di Kauneus. Possa la Madre avere clemenza del tuo destino. –

Regan non si sentiva a suo agio sapendo che quel ragazzo poteva leggere indisturbato nei suoi pensieri senza che lei nemmeno se ne accorgesse. In genere occorreva un contatto fisico per un’operazione del genere ed era doloroso, se ci si opponeva. Persino Shin la aveva dovuta toccare per leggerle nella mente, e ora questo giovane demone non si faceva scrupoli a violarla.

– Grazie – farfugliò. Era successo tutto così rapidamente che ancora non si era del tutto ripresa. – Addio. –

– Te ne vai di nuovo a caccia di Ladri di Anime, non è così? – berciò Madame Vervaine, agitando una mano con disappunto.

Loner fece come se non l’avesse sentita: voltò loro le spalle e se ne andò senza una parola.

La donna sospirò, scuotendo il capo rassegnata.

– Ah, benedetto ragazzo. Vieni dentro, signorina – disse poi a Regan. – Non hai un bell’aspetto. –

 

 

Il profumo emanato dai molti mazzi di fiori freschi sparsi ovunque era intenso e quasi fastidioso. L’arredamento era ricco, sui toni dell’oro e del rosso, legni scuri e tendaggi pesanti alle finestre, a separare l’atrio d’ingresso da altre sale da cui provenivano musica e risate. Una scalinata si arrampicava seguendo la linea quadrata del perimetro dell’atrio fino al secondo piano, che si affacciava di sotto da una ringhiera dorata tutta fronzoli e ghirigori.

– Da questa parte. –

Madame Vervaine non era particolarmente lieta di averla lì. La condusse di sopra reggendosi le gonne con le mani inanellate, la seta che frusciava a ogni passo affaticato. Andò verso una porta alta e bianca a due battenti e ne spalancò uno. Dall’interno giunse un’esclamazione di sorpresa.

– Occupatevi di lei. Non è qui per restare – disse la donna a chiunque ci fosse all’interno, poi prese Regan per un braccio e la spinse dentro, richiudendosi infine la porta alle spalle quando se ne andò senza aggiungere altro.

Regan si ritrovò così in un salottino più modesto rispetto a quel che aveva visto al piano inferiore, ma comunque piuttosto accogliente: un grande camino crepitava in mezzo a due ampie finestre dalle tende legate di lato da nappe dorate; tutto il pavimento era coperto da tappeti e due divani e una serie di poltrone di alto schienale occupavano lo spazio attorno a un tavolino da caffè ovale che ospitava un vassoio con teiera e tazzine e un intero piatto da portata stracolmo di biscottini a forma di fiore. Sulla poltrona più vicina al camino c’era raggomitolata una ragazzina che non poteva avere più di una trentina d’anni, bionda e riccioluta, il viso a forma di cuore acceso dal calore delle fiamme. Aveva un libro in mano e le pantofole giacevano ai piedi della poltrona, dimenticate. Altre due ragazze stavano sul divano sulla sinistra: una brunetta pelle e ossa stava intrecciando i capelli dell’altra, più in carne e più delicata di lineamenti. Tutte e tre la fissavano a bocca aperta.

Fu la più magra ad alzarsi per prima e a prendere la parola:

– Santo cielo, sei ridotta malaccio, eh? –

Regan non sapeva cosa dire.

– Mi chiamo Althea – le disse allora l’altra. Era meno giovane di quel che lei avesse creduto: doveva avere almeno una settantina d’anni. – Quella è Fraisie, e la mocciosa laggiù è Loto. –

Le altre due la salutarono con un cenno.

– Io sono Regan. –

– Vieni a sederti, ti prendo qualcosa per coprirti. –

Althea la fece accomodare sul divano accanto a Fraisie e le recuperò una coperta da una delle poltrone vuote. Regan se la strinse addosso con enorme sollievo.

– Grazie. –

Era decisamente strano ritrovarsi in mezzo a delle ragazze di quel tipo, così, senza nemmeno ben sapere come e perché ci fosse finita.

Althea squadrò con attenzione la sua sottoveste sudicia e strappata.

– Di’ un po’, come ci sei finita qui, piccola? Non è posto per una lady, questo. –

– Non sono una lady – le sembrò giusto precisare. – Sono stata aggredita, poco fa, non lontano da qui. Quel ragazzo di nome Loner mi ha salvata e portata qui. –

Un’espressione sognante e malinconica al contempo passò sui volti di tutte le presenti.

– Loner è un caro ragazzo – disse Fraisie, gli occhioni blu rivolti al soffitto. – Un vero peccato… –

– Che cosa è un vero peccato? –

– È morto dentro – disse la più piccola, Loto, senza staccare gli occhi dal suo libro. – I Ladri di Anime gli hanno ucciso il fratello, sei anni fa. Da allora il dolore lo ha reso sconsiderato e assetato di vendetta. –

– Sentitela, parla come se sapesse tutto lei! – esclamò Althea, divertita.

– Be’, è la verità – soggiunse Fraisie. – Yari era tutto, per lui, da quando è morta Iris, e adesso non ha più nessuno. –

– Iris era la madre – precisò Loto, indifferente, proprio mentre Regan iniziava a chiedersi se non stessero parlando di un’innamorata perduta. – Lei lavorava qui. Ci ha passato quasi tutta la vita in questo posto. Loner e Yari sono due bastardi. Be’, Yari lo era.

– Da quando Yari fu assassinato e la sua anima trafugata, Loner dà la caccia ai Ladri li uccide personalmente nei modi più lenti e dolorosi che conosca – raccontò Althea, e il suo tono era inconfondibilmente intrigato.

Ora Regan capiva la collezione di ciondoli: trofei.

– Non ha più nessuno al mondo, poverino – sospirò Fraisie.

– Questo perché non vuole avere nessuno – puntualizzò cinicamente la piccola Loto. – Quando il destino ti porta via troppo, va a finire che preferisci consumare i tuoi giorni marcendo nella solitudine, piuttosto che rischiare di patire altro dolore. –

Regan era profondamente colpita: poteva anche essere poco più che una bambina, ma era molto saggia.

Si sentì male per essere uscita nel cuore della notte in quel modo, senza alcuna considerazione. Lucius e Shin stavano facendo di tutto per tenerla lontana dai pericoli e lei se l’era andato a cercare personalmente. Era stata egoista a non curarsi di cosa avrebbero pensato loro, se si fossero svegliati senza trovarla.

– A cosa pensi? –

Regan si riscosse. Gli occhi blu e curiosi di Fraisie la fissavano a un palmo dal suo naso.

– A niente di particolare – Regan non aveva alcuna voglia di parlare di sé, quindi decise di improvvisare. – Mi chiedevo solo se è un caso che abbiate tutte e tre nomi di fiori. –

Dalla sua poltrona, Loto sbuffò e roteò gli occhi.

– Non che non è un caso. Non hai visto che la casa si chiama La Serra? Tutte le ragazze che lavorano qui hanno nomi di fiori. Nomi d’arte, per così dire, ovviamente. –

– Agli uomini piace – aggiunse Althea, accavallando le gambe lunghe e sottilissime. – Anche le nostre stanze portano i nostri nomi. Anzi, sarebbe più corretto dire che siamo noi a portare i nomi delle stanze. Dà un tocco poetico a un posto tutt’altro che romantico, no? – ed esplose in una risata vuota.

Regan non capiva come potessero parlare con tanta incuranza del loro mestiere. Secondo quel che le aveva trasmesso Derian, i lupanari erano luoghi promiscui e abbietti, pieni di gente immorale, ma quelle ragazze, seppur non particolarmente raffinate, le sembravano brave persone.

– So cosa stai pensando – le disse Althea. – Probabilmente mamma e papà ti hanno sempre messa in guardia dalla gentaglia come noi e ora temi che la nostra condotta immonda possa… –

– No – negò lei, offesa. – Non so chi siano i miei genitori e per quel che ne so potrei benissimo essere una bastarda, come avete detto voi. La mia vita, fino a poco tempo fa, consisteva in una clausura perpetua contro la mia volontà. Non penso di essere poi tanto diversa da voi. –

Le salì un groppo alla gola nel parlare. Dirlo ad alta voce la faceva sentire ancora di più una nullità, e al contempo rinsaldava l’affetto e la riconoscenza che nutriva verso Lucius, e Shin, e tutte le altre persone che da settimane a quella parte avevano fatto di tutto per darle qualcosa a cui appoggiarsi per ricostruire daccapo un’esistenza interrotta.

Derian era morto, e lei lo avrebbe vendicato a ogni costo, ma non avrebbe mai voluto restare sola per il resto dei suoi giorni, come aveva scelto di essere Loner. Forse era lei quella debole, in fin dei conti, ma non era certo una novità. Se voleva ottenere giustizia per Derian, le cose dovevano cambiare, da parte sua per prima, e stavolta davvero: si sarebbe rimboccata le maniche, avrebbe ingoiato i capricci da bambina e si sarebbe buttata anima e corpo nell’addestramento. Era l’una cosa che potesse fare.

In quella, il suo stomaco emise un gorgoglio, facendola arrossire fino alle orecchie.

– Non mangi da un bel po’, vero? – ridacchiò Althea. – Sei smorta come uno straccio. –

– Prendi qualcuno dei miei biscotti! Sono una cuoca fantastica! – cinguettò Fraisie, scattando verso il tavolino.

Regan rimase a farsi imbottire di the e biscotti alla cannella senza fiatare, un po’ per cortesia, un po’ perché aveva davvero fame e Fraisie aveva ragione a vantarsi di essere una brava cuoca.

Scoprì che tutte le ragazze del La Serra, diversamente da quel che accadeva in altre case chiuse, erano lì in qualità di donne libere, per scelta spontanea e personale, e che Madame Vervaine aveva una gran considerazione per loro e la loro libertà: percepiva una percentuale dei loro guadagni, ma dall’alba al tramonto permetteva loro di vivere la vita che preferivano. Loto era la più giovane della casa, aveva scelto lei di essere portata lì, piuttosto che rimanere nell’orfanotrofio in cui aveva sempre vissuto a Cittanuova, e al momento si guadagnava vitto e alloggio aiutando le domestiche, e nel frattempo Madame Vervaine la istruiva alla lettura e alla musica, in attesa che raggiungesse ma maggiore età. Intanto Fraisie, che era un angelo, fece del suo meglio per guarirle la ferita al ginocchio, anche se il risultato fu piuttosto scarso.

– Sei fortunata ad essere capitata proprio oggi. È una nottata tranquilla, non c’è nulla di sconveniente che possa turbare questi tuoi begli occhioni innocenti – ridacchiò Althea.

– A proposito, mi piacciono i tuoi capelli! – disse Fraisie, accarezzandoglieli. – Come hai fatto a ottenere questo colore? –

– Io… –

Fortunatamente non fu costretta a inventarsi una bugia, e tutto grazie al provvidenziale bussare alla porta. Era una delle sguattere che portava nuova legna da aggiungere al fuoco.

Regan si era perfettamente acclimatata al tepore della stanza e al suo leggero profumo di incenso. Per purificare l’ambiente, le aveva detto Fraisie. Stava così bene lì, accoccolata sul divano confortevole sotto alla coperta soffice, che, senza rendersene conto, chiuse gli occhi e scivolò nell’oblio.

 

 

Lucius guardò scettico prima la facciata della casa poi Shin.

– Sei sicuro? –

– Assolutamente. –

Lucius restava perplesso: i drappi rossi e pesanti alle finestre non lasciavano tanti dubbi circa la funzione di quel posto e come ci fosse finita Regan lì dentro era proprio curioso di saperlo. Bussò, e ad aprire si presentò una donna di presenza imponente che li adocchiò entrambi con un mezzo ghigno deliziato.

– Ma bene, che bei giovanotti! Le mie ragazze faranno a gara per ottenere la vostra compagnia –

– Temo ci sia un equivoco – si affrettò a specificare Lucius, mentre Shin si sforzava di non ridere. – Stiamo cercando una ragazza, questo è vero, ma non una delle vostre. –

– Oh, siete voi, dunque. Sarò sincera, non pensavo sareste arrivati. Non così in fretta di sicuro. –

Le sopracciglia di Lucius si sollevarono stupite.

– La bambolina ha detto che sareste venuti a cercarla – lo precedette la donna. – Seguitemi. –

Si presentò come Madame Vervaine. Lucius entrò con riluttanza nella casa. Posti come quello gli ricordavano tempi che avrebbe preferito cancellare, quando Gerjen e i suoi lo portavano, ancora ragazzino, a cercare la compagnia di donne a cui lui non era minimamente interessato. All’epoca tutto ciò che gli era importato era diventare potente, conoscere, apprendere, migliorare; aveva usato parecchie di loro per esercitarsi con la sua abilità di scrutare i pensieri ed era persino riuscito a sviluppare una certa disinvoltura nel prendere possesso della mente e governarla secondo la propria volontà per non più di qualche minuto, e per piccole cose futili, ma era già stata una conquista, perché quasi nessuno ne era in grado. In tutta la vita, aveva custodito quel segreto con gelosia e ben si era guardato dal metterne al corrente la Lega, e Castalia in particolare.

Shin, invece, guardava in giro con genuina e contegnosa curiosità. Sembrava così stridente, lui, lì dentro, così paradossale: il ritratto della purezza nella dimora della perdizione.

Più Lucius si lambiccava il cervello a chiedersi in quale assurdo modo e per quale altrettanto assurdo motivo Regan fosse arrivata in una “casa di compagnia”, meno riusciva a immaginare qualche spiegazione anche solo vagamente plausibile. Forse lei era uscita – e se così fosse stato, si sarebbe presto subita tutte le sue ire più funeste – e per strada si era imbattuta in qualcuno del posto che, scambiandola per qualcuna delle ragazze di Madame Vervaine, la aveva portata al suo presunto legittimo posto. Così si sarebbe anche spiegata la reazione di paura che aveva svegliato Shin un’ora prima.

La donna si fermò di fronte a una porta chiusa del primo piano e bussò. Una voce femminile dall’interno la invitò a entrare.

– Ci sono visite per te, tesoro – annunciò la donna, facendosi da parte per lasciar passare Lucius e Shin e poi se ne andò.

Regan sedeva su un divano assieme a altre due ragazze, una terza in disparte su una poltrona, e aveva un aspetto tanto trasandato che Lucius temette le fosse accaduto qualcosa di molto brutto.

– Cerbiattina! Come ti sei ridotta in quello stato? –

Anche se palesemente assonnata, lei saltò su come una molla, pallidissima e sporca di fango, i capelli bagnati. Sembrava sollevata di vederlo, ma non così sconvolta da aver passato quello che aveva temuto lui.

– Stai bene? – volle sapere Shin. – È un’ora che ti cerchiamo. –

– Luciferus? –

Tutti si voltarono verso Althea: si era alzata dal divano e ora fissava Lucius a bocca spalancata.

Lui corrugò la fronte, perplesso, e fece lo stesso con lei.

– Perdonatemi, ma non credo di… – Poi la sua espressione cambiò repentinamente. – Faylee? –

Lei rise civettuola, muovendo la mano come per scacciare una mosca invisibile.

– Mi chiamano Althea, adesso. Santo cielo, sei diventato grande, eh? – si avvicinò con confidenza e gli mise le mani sulle spalle. – Senti qui che muscoli… eri un lattante pelle e ossa l’ultima volta che ci siamo visti! –

Anche lui rise. Le fece educatamente abbassare le mani e la squadrò.

– Tu non sei cambiata affatto, invece. –

Era così strano rivederla. Era come se un pezzo dimenticato del suo passato fosse saltato fuori all’improvviso da un baule polveroso. Faylee – Althea, per meglio dire – era una di quelle donne che a suo tempo lui aveva conosciuto tramite Gerjen, una delle poche con cui aveva davvero condiviso qualcosa: diversamente dalle altre, lei non lo aveva mai deriso per la sua giovane età, per la sua inesperienza; si era limitata ad assecondarlo, e avevano parlato quando lui aveva avuto voglia di parlare, e giocato a carte quando aveva avuto bisogno di distrarsi, e avevano anche fatto altro, in un paio di occasioni, anche se ora Lucius non riusciva a pensarci senza riderne, e probabilmente per lei era lo stesso.

– Non mi dirai che sei qui per il bocciolino di rosa, vero? –

Althea si voltò a guardare Regan e Lucius capì che si riferiva a lei.

– In effetti sì. La signorina ha parecchie cosette da spiegarmi – e lanciò alla diretta interessata un’occhiataccia eloquente.

– Perché non vi sedete? – propose Fraisie, la cui attenzione si era fossilizzata sul Shin dall’esatto istante in cui lui aveva messo piede nella stanza.

– Mi spiace, ma non abbiamo molto tempo – si scusò Lucius, sbrigativo. – Domattina ripartiamo e il bocciolino di rosa deve trovare una scusa convincente che giustifichi tutto questo – e con un gesto della mano indicò lei, strapazzata com’era, seduta sul divano di una casa chiusa. – Saluta le tue nuove amiche, cerbiattina. È quasi l’alba e a quest’ora anche le bambine cattive dovrebbero essere a letto. –

Regan biascicò qualche saluto verso le ragazze e fece per lasciare la coperta, ormai bagnata, ma Fraisie le disse di tenerla, in ricordo della bizzarra nottata. Lei ringraziò e seguì Lucius e Shin fuori dalla stanza. Althea li scortò di sotto.

– È stato un piacere rivederti dopo tanto tempo, Luciferus – disse, sulla soglia.

Lui sorrise.

– Anch’io adesso ho un nome diverso: mi chiamano Lucius. –

– Lucius – Althea si leccò le labbra come se pronunciare quel nome vi avesse lasciato sopra qualche sapore particolare. – Sì, lo trovo molto più adatto a te. C’è una ragione per cui lo hai cambiato? –

– Diciamo che ho cambiato radicalmente orizzonti. –

– Certo, capisco. – Lo sguardo di Althea indugiò sulla Stella al collo di Lucius. – Meglio così, devo dire. Eri sprecato a fare quel che facevi, te l’ho sempre detto. –

Althea si avvicinò a lui e per un attimo Lucius credette che lo avrebbe baciato sulle labbra, in onore dei vecchi tempi, ma poi, all’ultimo, forse percependo la sua rigidità, lei si fermò e ci ripensò, inclinando il capo per lasciare il bacio sulla guancia.

– Chiunque lei sia – gli sussurrò all’orecchio, appena prima di allontanarsi da lui, appoggiandogli una mano sul cuore. – Spero che sappia quant’è fortunata. –

Lo lasciò così, compiaciuta di averlo sconvolto con un’osservazione così acuta e ben mirata, e soprattutto imprevedibile. Ma non avrebbe dovuto stupirsi tanto: Althea era una donna di carattere, rude e spesso sboccata, ma nascondeva una sensibilità che sapeva sorprendere.

– Addio, bimba – disse la donna a Regan, poi sorrise maliziosa. – Portata via nella notte da due ragazzi così affascinanti… hai tutta la mia invidia. –

E con una strizzatina d’occhio li congedò definitivamente, ritirandosi.

Per un po’ rimasero tutti e tre a guardare la porta chiusa lievemente sbigottiti.

– Com’è che conosci una… – cominciò Regan, ma Lucius sollevò un dito per zittirla.

– Qui le domande le faccio io – decretò, minaccioso. – E farai meglio a darmi delle risposte convincenti, perché in caso contrario la mia prossima mossa sarà eleggerti a schiava personale di Eleonora fino al resto dei tuoi giorni. –

 

 

L’uomo dal cappello a larghe falde, avvolto stretto nel suo mantello, attese nascosto dietro un angolo che la piccolo comitiva si allontanasse. Li avrebbe seguiti da un’adeguata distanza.

Gli era difficile vedere bene di notte, ora che aveva perso un occhio, ma quello sano aveva imparato in fretta a compensare e, con suo stupore, anche gli altri sensi si erano vagamente acuiti e questo, talvolta, poteva essere più vantaggioso che disporre di due occhi perfettamente sani.

Stava seguendo quei tre da ormai settimane ma non aveva ancora avuto modo di scoprire che cosa ci facessero da quelle parti. Aveva facilmente intuito che c’era sotto qualcosa, perché quando erano tornati dalla Foresta di Ferentaur il demone dai capelli neri aveva con sé un grosso involto che all’andata non c’era. Non era riuscito a seguirli in quell’intrico ostile di vegetazione: la Foresta era come un labirinto pieno di trappole, trabocchetti e ostacoli imprevedibili, e solo seguendo un tracciato preciso era possibile addentrarvisi senza rischiare la pelle. Era riuscito a pedinarli per qualche minuto, ma poi, trattenuto da radici che spuntavano in ogni dove e gigantesche foglie appiccicose, li aveva persi ed era stato abbastanza saggio da ammettere che proseguire alla cieca non sarebbe stato opportuno.

Li aveva aspettati fuori e naturalmente aveva poi ripreso a seguirli, ma ora c’era lo svantaggio di non sapere cosa avessero fatto a sua insaputa e che cosa contenesse l’involto di panno con cui erano riapparsi. Un libro forse.

Sapeva solo che quando erano usciti dalla Taverna, appena fuori Lumbar, una settimana dopo, non lo avevano più. Lo avevano sicuramente barattato, ma cosa avessero ottenuto in cambio non era riuscito a scoprirlo.

Genesis non ne era stato felice.

Quando, di guardia alla locanda dove la ragazza alloggiava con i due compagni, la aveva vista uscire nel cuore della notte, era stato colto da un fiotto in speranza, ma poi aveva notato di non essere il solo a sorvegliarla e aveva dovuto rinunciare alla gloriosa prospettiva di poterla riportare all’Ordine quella notte stessa. Anche il tizio losco con il volto coperto da una sciarpa lurida aveva l’aria di essere uno che sapeva come muoversi nella notte; Alioth aveva avveritito le vibrazioni di energia che si sprigionavano in modo innaturale da lui e allora aveva capito: un Ladro di Anime.

La ragazza si era mossa quasi in uno stato catalettico, come se stesse seguendo una scia solo a lei conosciuta, e un tizio irriconoscibile l’aveva seguita, lo stesso che poco più tardi, quando un branco di Dannati la aveva aggredita (sicuramente attratti dall’intensità dell’aura da lei emanata), la aveva anche aiutata a scampare al pericolo. Era stato abile a disfarsi di quelle creature immonde, ma da lì era scomparso e non si era più visto: se era ancora nei paraggi, si stava nascondendo molto bene. Fin troppo, per una semplice spia.

Il quadro generale si stava facendo sempre più contorto e confuso.

Che sia qualcuno che ha a che fare con quello che era successo ad Aurin trent’anni fa?

La prima deviazione forzata del piano originale, che per secoli era filato liscio senza in minimo intoppo, era avvenuta poco meno di sei lustri prima, quando Sharlit aveva tradito e la bambina dai capelli di sangue era disgraziatamente caduta in mani ignote, che ne avevano fatto completamente perdere le tracce. Da allora, i cinque prescelti dell’Ordine, lui incluso, non erano più riusciti a riportare il corso degli eventi entro il loro controllo.

Era stato un puro colpo di fortuna che si fosse trovato a Somerge proprio la notte in cui tutto era avvenuto: avrebbe potuto riconoscere lo sprigionarsi di quell’energia sovrannaturale anche se si fosse trovato sepolto sei piedi sottoterra.

Ora che la ragazza era stata ritrovata, dovevano agire con la massima prudenza: erano mille anni che l’Ordine non aveva a che fare con un obiettivo di età così matura. Tutti gli altri erano stati neutralizzati dai loro predecessori quando ancora in fasce o poco più che lattanti.

Tutti, tranne uno. Ma lì la storia si confondeva con il mito e quasi nessuno sapeva più la verità.

Dopo giorni di pazienza, nemmeno questa volta sarebbe riuscito nel compito che il Priore gli aveva affidato, e ciò non gli avrebbe giovato, soprattutto dopo che anche Arith e Dianthe avevano fallito la loro missione, la notte del Solstizio, e più i tempi si allungavano, maggiore diventava il rischio, non solo per loro, ma dovevano agire con la massima prudenza: una sola mossa sbagliata poteva condurre a una catastrofe.

Alioth inghiottì l’umiliazione come un boccone amaro e si calcò il cappello sul volto.

Avrebbe dovuto riferire a Genesis che qualcun altro stava seguendo la ragazza e i suoi compari, e la notizia non sarebbe stata la benvenuta.


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A/N: le vacanze sono iniziate un po' per tutti, ormai, e per qualcuno, come me, sono anche già finite. ^^ Sono stata una settimana in Finlandia, a luglio, ed è stato un po' come vagare per Norden e le sue foreste, in mezzo ai suoi laghi... se qualcuno dovesse avere qualche vaga intenzione di fare una piccola vacanza da quelle parti, lo consiglio vivamente. ;) E ora eccomi di ritorno, ispirata come non mai e pronta ad aggiornare (dopo secoli, lo so XD). Prima di tutto i dovuti ringraziamenti:

stellaskia: sono felice che la storia ti stia piacendo. Spero che ti piacerà ancora entro la fine. ;)

 cupcake_chan: a te mi rifiuto di rispondere, perché sono quasi sicura che tu sia la mia beta reader in incognito e in realtà tutte queste tue brillanti deduzioni siano tali solo perchè hai già letto tutta la storia. O_O Una cosa però te la posso dire: il nuovo personaggio, Loner, non ha assolutamente nulla a che fare con Shin o la sua famiglia. :)


Milou_: ebbene, penso che tu abbia scoperto da sola leggendo questo capitolo che avevi quasi ragione sul "ragazzo misterioso". ;) Purtroppo Regan si porterà dentro il lutto per Derian molto a lungo, perché lui è stato la prima persona a volerle bene di cui lei abbia veramente memoria e la sua perdita l'ha profondamente segnata, in tanti sensi, ma di questo si riparlerà verso la fine. :)

Xx Kin YourichixX: premetto che non merito i complimenti per la mia cosiddetta costanza nello scrivere, perché Innocence è un romanzo a cui ho lavorato per più di un anno e nella stesura sono stata ridicolmente incostante, con alti e bassi di ispirazione e voglia di mettere per iscritto una valanga di idee facili da avere in testa ma difficili da esprimere a parole. Ho iniziato a pubblicare solo dopo averlo terminato, quindi ogni nuovo capitolo è già pronto... ci metto secoli ad aggiornare perché la mia pigrizia è monumentale. XD Grazie mille per i complimenti, mi hanno fatto molto piacere! Spero davvero di riuscire a pubblicare questa storia, prima o poi, perchè il il mio sogno di sempre e sarebbe una grandissima soddisfazione, per me, vedere una mia creatura in libreria, anche se mi rendo conto che come tipologia di trama si discosta molto da quelli che sono i trend di oggi: non ci sono coppiette melense che si giurano amore eterno e cercano di farsi ammazzare più volte per proteggersi l'un l'altra. Century Child nasce per comporsi di 5 libri e ovviamente il romance ci sarà, andando avanti, ma il mio timore è che le case editrici non si interesseranno mai a un prodotto che è così in controtendenza. Sperare e tentare non costa nulla, però. ^^

defy: quando si legge "romantico" come tag alle mie storie bisogna sempre prenderlo con le pinze, perché il mio concetto di romanico è abissalmente diverso da quello che va di moda di questi tempi. Sono una che odia e detesta i romanticismi esasperati in stile Twilight, per me l'Amore, quello con la A maiuscola, non è vedere due ragazzi che sono ossessionati l'uno dall'altra e non sanno pensare ad altro e si dicono "Ti amo, non posso vivere senza di te, sei tutta la mia vita!" ogni momento. L'Amore, a mio personalissimo parere, è un'altra cosa e si dimostra in ben altri modi, ha altre manifestazioni, perciò, anche quando il romance apparirà a tutti gli effetti inCentury Child, non sarà del tipo melenso che si è abituati a vedere oggi. In effetti questa storia ha alle radici un commento che mia sorella ha fatto una volta mentre eravamo in libreria: io passavo in rassegna Fantasy e Paranormal Romance e continuavo a lamentarmi che erano tutti uguali, sempre la stessa storia stucchevole in tutte le salse, e lei, stanca di sentirmi borbottare, a un certo punto è sbottata con un "Scrivitelo tu, uno che ti piaccia, a questo punto!"... e così è stato. quindi mi fa piacere che la pensiamo allo stesso modo su queste cose, perché siamo decisamente in poche. :) Quindi grazie ancora di cuore, spero di risentirti. ;)

Un grazie generico anche a tutti gli altri che leggono e aggiungono la storia tra i preferiti. Un commento fa sempre piacere, non serve che lo dica, quindi se ne vorrete lasciare uno, ne sarò ben felice.

Per concludere, un assaggio del prossimo capitolo:


Le girava la testa. Era insopportabile, come se ci fosse tutta una storia scritta davanti a lei in una scrittura troppo sfocata perché fosse leggibile.

Era notte ma c’era il sole… non un sole di luce, ma un sole di metallo… un sole d’oro…

Si accostò una mano alla fronte, strinse gli occhi.

– Regan? –

Il sole d’oro dai raggi serpeggianti, nel suo sogno e sull’anello di Renise…

Regan boccheggiò

Com’era possibile che non fosse riuscita a collegare prima le due cose? Come aveva potuto non riconoscerlo?

– Il sole – esalò, senza fiato, le mani artigliate al bordo del tavolo, increspando il fine merletto.

– Il sole? Che significa? – fece la voce perplessa di Lucius.

   
 
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