Capitolo
1
Miss independent
Miss self-sufficient
Miss keep your distance
Miss unafraid
Miss out of my way
Miss don't let a man interfere, no
{Miss Independent
– Kelly Clarkson}
Olivier
Milla Armstrong non era una donna normale.
Lei per prima lo diceva e ne andava assolutamente fiera: non aveva
hobby
inutili, quale cucito o ricamo; non andava in giro a sperperare denaro,
come
faceva sua sorella minore Catherine; non andava a ballare e non le
importava un
accidente delle marche di vestiti, borse, scarpe, occhiali e tutte
quelle
baggianate lì. E non le interessava neanche trovarsi un
uomo, convinta che
l’amore offuscasse la mente in battaglia.
Ecco,
la battaglia
era l’unica cosa che le interessava. La battaglia, la spada,
poter dar sfogo
alle sue doti da guerriera liberamente, senza che nessuno la giudicasse
un
maschiaccio.
Aprì
il getto dell’acqua e si mise sotto,
concedendosi una doccia rilassante dopo essere tornata da Briggs. In
quel
periodo di Pace, Miles le aveva regalato un mese di silenzio e
tranquillità
lontana dal fronte. Non che stesse bene in casa Armstrong da sola, ma,
anche se
per poco, era quasi rinfrescante starsene senza fare niente, senza
dover
pensare a strategie di guerra o a come mantenere il controllo della
fortezza e
sui suoi soldati.
Uscì
dalla doccia, si legò l’asciugamano attorno al
petto e si strizzò i capelli nel
lavandino. Lanciò un’occhiata allo specchio,
guardandosi negli occhi. Forse,
dopotutto, poteva concedersi un periodo di pausa più spesso:
Briggs di certo
era forte anche senza di lei, e sicuramente Miles era un degno
sostituto.
Scosse
violentemente la testa e sorrise: stava
cominciando a pensare come una scansafatiche, starsene con le mani in
mano non
faceva per lei.
Uscì
dal bagno e
venne inondata dall’aria fresca della sera che non
riuscì a smuovere i suoi
lunghi capelli biondi resi pesanti dall’acqua. Percorse il
lungo corridoio,
fino ad arrivare alla sua stanza, dove si infilò il suo
pigiama (molto simile
alla divisa militare, ovvero un paio di pantaloni blu con delle righe
bianche
ed una maglietta blu scuro) e si trascinò
in soggiorno.
Quella
sera il
silenzio era quasi assordante e rimbombava per tutta la grande sala,
ancora
mezza vuota da quando avevano tentato il colpo di Stato con Mustang.
Erano
addirittura risuonati i suoi passi a piedi nudi mentre attraversava la
sala per
arrivare al divano.
Suonarono
alla porta
e lei scattò immediatamente in piedi: infilò le
ciabatte, afferrò il suo
fioretto, appoggiato delicatamente sul tavolino di fianco al divano, e
si diresse
bruscamente alla porta, pronta a fare a fettine chiunque
l’aveva importunata.
Spalancò
la porta,
attendendosi di vedere una persona di fronte a lei, ma non vide niente
all’infuori del buio di Central City. Fece per fare un passo
fuori, ma appena
fu pronta ad appoggiare il piede, sentì un vagito.
Un
vagito?
Spalancò
gli occhi celesti e vide un cesto dal
quale proveniva un rumore molto simile ad un miagolio di un gattino.
Col
fioretto ancora nella custodia mosse leggermente la copertina e si
scontrò con un
paio di occhi verde smeraldo, quasi brillanti.
<<
Di chi è questo? >> urlò: di sicuro
la persona che aveva lasciato lì il bambino non poteva
essere andata molto
lontana. Però non ottenne risposta, così fu
costretta a prendere il cesto e
portarlo in casa. Lesse il biglietto che stava sulla pancia del
bebè (“Lei
starà molto meglio con te, grazie.”)
e lo srotolò dalle coperte, per poterlo vedere tutto. Era da
quando era nata
sua sorella Catherine che non vedeva un neonato, e comunque neanche con
lei era
stata una specie di babysitter. Come poteva fare?
<<
Chi sei? >> chiese alla bambina,
che di tutta risposta si mise a ridere. << Non ridere,
mocciosa, chi
sei?? >> riprovò, senza ottenere una risposta
diversa dalla prima, anzi,
sembrava che la rabbia di Olivier non facesse altro che accrescere il
divertimento della neonata. Sbuffando, la fece sedere sul divano e
andò a
prendere il telefono.
Ma
chi poteva chiamare in una situazione così
assurda come quella? Di certo non poteva chiamare al fronte di Briggs,
a loro
non interessava e non avrebbero saputo aiutarla. Il Comandante Supremo
Grumann,
anche lui non aveva interesse nel sapere che qualcuno le aveva fatto
trovare un
bambino di fronte alla porta. Posò di nuovo la cornetta e si
mise a riflettere:
aveva bisogno di una donna che
sapesse comportarsi in diverse situazioni, ma non la conosceva.
Perciò,
sospirando esasperata, chiamò l’unica persona che
potesse, anche se
lontanamente, considerare un amico.
<<
Pronto?
>>
<<
Colonnello Mustang, sono il Maggiore
Generale Armstrong. >>
<<
Maggiore!
Come sta? Ha cambiato idea sull’appuntamento? >> Mustang
ridacchiò dall’altra parte
della cornetta, aspettandosi una serie di insulti pressoché
infinita
accompagnata da minacce alla sua vita.
Olivier
respirò per mantenere la calma. <<
No, Colonnello, ma devo comunque chiederle di venire qui. E
accompagnato dalla
donna di cui si fida di più. >>
ordinò perentoria, lanciando uno sguardo
alla neonata che stava mordicchiando il bracciolo del divano con quella
sua boccuccia
sdentata.
<<
Ma
che è successo? È un’emergenza? >>
provò di nuovo Mustang, questa
volta un po’ più preoccupato. In genere, Olivier
non lo chiamava mai se non per
insultarlo su qualche missione finita con delle esplosioni o cose
simili,
quindi non perché avesse
bisogno
d’aiuto.
La
donna sospirò di nuovo, passandosi una mano tra
i capelli ancora umidicci. << La prego
– sembrava molto più una minaccia che una supplica
– di fare il più in fretta
possibile. Sì, è un’emergenza: ho un
bambino. >>