Lo stesso punto
indefinito fissai durante il viaggio di ritorno a Milano, con la differenza che
i miei occhi erano chiusi per via del sonno. Dormii quasi ininterrottamente per
tutto il tempo, mentre mio fratello Ermanno guidava e Chiara accanto a lui gli
parlava di tante cose. Parlava a bassa voce, e la sentii dire che sembravo
veramente un bimbo, mentre dormivo, e che presto o tardi avrebbe desiderato
anche lei cullare tra le braccia un cucciolo d’uomo. Nel dormiveglia, sentii
mio fratello mormorare che sì, avrebbero avuto anche loro un figlio, ma
avrebbero prima dovuto sistemarsi per bene, in quanto il suo stipendio di
impiegato tecnico alla società di informatica non sarebbe stato abbastanza
congruo per coprire tutte le spese che sarebbero sopravvenute.
Messi da parte per un
attimo i miei crucci riguardanti la dichiarazione espressa di Simone, pensai
“che figlio di…” in riferimento a mio fratello, che avevo visto benissimo
infrattarsi con quella bella ragazza bionda. Successivamente, durante una
fermata in una stazione di servizio, mentre Chiara era in bagno, l’avevo
chiaramente visto al telefono, tutto ingobbito che guardava per terra, come
facevo io quando ero ancora a casa e chiamavo dei ragazzi… Patetico. Mi venne
voglia di vomitare, ma dovetti resistere e continuare a recitare. Non potevo
dire nulla a mio fratello, ma il colpo che avevo ricevuto faceva abbastanza
male.
Cercai di pensare a
Francesco, che ero sicuro, quando sarei tornato mi avrebbe accolto a braccia
aperte e mi avrebbe raccontato di quanti bei ragazzi si era fatto durante la
mia assenza, posto che non fosse in uno dei suoi periodi di stallo in cui si
chiudeva in camera e chattava solamente… Il pensiero non mi rallegrò, ma fu
comunque una distrazione.
A distrarmi
ulteriormente, ci pensò il mio corpo. La mia vescica stava letteralmente
esplodendo, essendo io stato per troppo tempo in stato catatonico da non
riuscire a liberarmene…
Sostammo in un’area
di servizio poco lontana da Bergamo, dove io scesi dall’auto e corsi in bagno.
Mi rinchiusi in un gabinetto, mi slacciai la patta e tirai fuori il mio pene
eretto non dall’eccitazione, bensì dal troppo trattenere l’urina. Strizzai gli
occhi sforzandomi di espellere l’urina, che sprizzò fuori senza problemi dopo
pochi secondi. Mi sentii molto sollevato.
Uscito, trovai di
fronte a me la persona che meno mi aspettavo di trovare.
- Simone?!? –
esclamai.
- Ciao – disse lui,
neutro. – Come stai? –
Senza degnarlo di una
risposta, lo scavalcai e andai al lavandino a sensori per lavarmi le mani. Misi
le mani sotto il getto e le insaponai, mentre Simone mi guardava dallo
specchio.
- Scusami. Non volevo
dire quelle parole. Sono pentito. –
Io ancora non
risposi, continuando a lavarmi le mani e ad infischiarmene delle sue parole.
Ad un tratto, lui
scattò accanto a me e mi prese per il braccio, tirandomi via dalla mia pratica
igienica.
-Ah! Simone cosa
stai… - accennai, ma lui non mi lasciò il tempo di finire.
Mi trascinò di forza
in un gabinetto, quindi mi sbatté sul muro e si avventò su di me, baciandomi le
labbra con foga, come se l’indomani il mondo sarebbe dovuto finire.
- Mmmf! – mugugnai
io, impossibilitato a proferire parola. Non sapevo se gioire o meno, ma lui mi
zittì prontamente, sostituendo la sua bocca alla sua mano, che mi tappò le
labbra.
- Shh. – sibilò lui -
… Voglio chiederti scusa per essermi comportato da idiota. Voglio venire con
te, il mio ex non conta più nulla, voglio venire con te a Bologna e restarci
per sempre. Per sempre. Per sempre. –
Zittito com’ero dalla
sua bocca, l’unico mezzo per comunicare con lui erano i miei occhi. Erano
sgranati di sorpresa, come una vittima che ha paura del suo carnefice, ed erano
gonfi di lacrime. Paura o felicità? Era forse l’ultimo sentimento quello
preponderante.
- Lascia che io
ripari al mio errore – disse poi Simone toccandomi la patta, dove il mio pene
appena svuotato dall’urina era ancora un po’ inturgidito.
Sempre impedendomi di
parlare, ma questa volta tornando a baciarmi, iniziò ad armeggiare con la zip
dei miei pantaloni, fino a che non l’abbassò completamente e tirò fuori il mio
membro ormai definitivamente turgido. Guardandomi poi negli occhi, si abbassò
lentamente, e lo prese in bocca. Mi guardò ancora una volta, quindi si
concentrò su quello che stava facendo.
Io chiusi gli occhi,
e finalmente…
- Donatello? – una
voce mi chiamò. Era una voce femminile. Socchiusi gli occhi. Nella penombra,
riuscii a distinguere il visino dolce di mia cognata.
- Chiara…? Hmmm… Che
… Che ore sono? – domandai, stiracchiandomi. Ero letteralmente anchilosato.
Nonostante l’auto di mio fratello fosse una familiare molto comoda, dormire per
così tanto tempo in una posizione innaturale, mi aveva causato un po’ di
intorpidimento.
- E’ mezzanotte meno
un quarto. Siamo arrivati in anticipo di un’oretta buona. – rispose lei
sorridendo.
Io le sorrisi di
rimando, ma fu un sorriso artato, in quanto ero consapevole di aver fatto un
sogno. Un sogno molto realistico, ma pur sempre un sogno. Mio fratello era
dietro l’auto, a scaricare i bagagli.
- Oh, si è svegliato
il principino – esordì, scherzosamente. Io lo salutai con la mano, abbozzando
un sorriso.
- Ciao bello – lo
salutai – scusate se non vi ho tenuto compagnia durante il viaggio. –
- Figurati. Anche
Chiara ti ha dato man forte, comunque… ha dormito come una marmotta in letargo
anche lei! – rispose mio fratello ridacchiando, mentre Chiara gli mollava un
buffetto sul braccio.
Io ridacchiai,
dirigendomi verso il bagagliaio per prendere le mie cose. Mentre Ermanno si
allontanava con la loro parte di bagagli, io mi toccai la patta. Mi accorsi che
ero letteralmente bagnato. Il sogno che avevo fatto era stato molto più
realistico di quanto avevo pensato, infatti il rapporto orale onirico che
Simone mi aveva generosamente largito era bastato per farmi venire nelle
mutande.
Arrossii, quindi
presi di fretta le mie cose e chiusi il portellone della Laguna di mio
fratello, che lampeggiò due volte e si chiuse ermeticamente. Raggiunsi Ermanno
e Chiara che stavano già salendo al loro appartamento.
Quella notte non
dormii, frastornato com’ero. Soltanto poche ore prima avevo ricevuto l’ennesimo
calcio nei denti della mia vita, e ancora non riuscivo a capacitarmene. In più,
Fiorella era in ferie, ed avrei dovuto aspettare fino a Settembre per poter
parlare con lei. Settembre, di nuovo lui.
Quand’ero piccolo
Settembre significava per me scuola, quindi dolore, compagni idioti e
cattiveria assortita. Ora che ero adulto, sembrava che i ruoli del tempo si
fossero invertiti: mai come ora bramavo l’arrivo di Settembre, che avrebbe
fatto tornare Fiorella e che mi avrebbe detto come sarebbe andato il colloquio
con quella Fondazione Rambaldi che mi aveva inviato l’invito a comparire per un
colloquio. Un lavoro. Altra fonte di gioia… e di dubbi. Sarei mai stato un bravo
insegnante? Oppure avrei fatto schifo come facevo schifo a tutti i ragazzi che
incontravo? Decisi di non pensarci, e di pensare che in fondo Settembre non era
poi così lontano. Restavano soltanto Luglio e Agosto da passare, ma per me che
ero un ragazzo in gamba, sarebbero passati in fretta.
E come fare per far
passare questi mesi?
Un obiettivo. Dovevo
avere un obiettivo, qualcosa da fare che mi tenesse occupato per almeno due
mesi. Dunque, cosa potevo fare…?
Ma era così ovvio,
no? A Settembre avrei avuto quel colloquio, giusto? Giusto. E lì come minimo mi
avrebbero richiesto di presentare qualcosa di mio, giusto? Giusto. Bene! Allora
perché dannarsi tanto a cercare una soluzione?
Seguendo questo
ragionamento avevo previsto che una volta tornato a Bologna avrei subito
ricominciato a lavorare sui miei disegni, per presentare dei disegni di tal
nome al colloquio. Sarebbe stata dura, ma in due mesi potevo farcela, se
contavo sul mio impegno commisto alla mia bravura di disegnatore.
Sì. Li avrei stupiti.
Ne ero sicuro.
Il progetto mi
stuzzicò abbastanza, ma non abbastanza da farmi dimenticare Simone. Infatti,
passai la notte insonne a ricordare tutti i bei momenti passati con lui.
Momenti nei quali io ero stato, anche se per poco, il fidanzato di qualcuno.
La mattina, il sole
mi svegliò dolcemente, con la sua luce diafana filtrata dallo smog di Milano. Poi
arrivò Ermanno. Era un po’ scuro in volto, come mai l’avevo visto. Io lo
guardai sollevando un sopracciglio perplesso, ma lui si era già allontanato. Un
po’ titubante, scesi dal letto e mi vestii, pronto a raggiungerlo.
- Ti sei divertito,
allora? – mi domandò Ermanno. Stava spalmando del burro su una fetta
biscottata.
Io posai la tazza di
caffellatte che mi ero preparato e annuii, sorridendogli. Tuttavia il mio
sorriso si spense subito dopo quando ripensai a Simone.
- Sai, ho notato che
sei stato molto vicino a quel ragazzo… com’è che si chiama…? Ah sì. Simone… -
in quel momento, le parole di mio fratello mi colpirono come una fucilata.
Annuii, non sapendo bene cosa dire.
- Qualcuno dice che
sia gay. – disse mio fratello, masticando la sua fetta biscottata imburrata e
condita con marmellata di ciliegie.
Non sapendo cosa
rispondere, io feci spallucce. Non era il tono di voce di mio fratello,
prettamente indagatorio, a farmi impressione, quanto il pensiero di Simone, che
mi aveva fatto così male.
Ermanno mi guardò
attentamente, mentre con la mano destra prendeva un’altra fetta da imburrare e
spalmare di marmellata – Dì la verità, ti sei divertito…? – mi chiese, con un
tono abbastanza secco. Notai che aveva alzato un sopracciglio.
Per la prima volta in
tanti anni che parlavo con mio fratello, mi sentii male. Sentivo il suo sguardo
sopra di me, così carico di un sentimento che io non capivo… O forse la mia era
solo paura, paura di ciò che avrebbe potuto dirmi se avesse saputo che…
- S… sì… - balbettai.
Le mani mi tremavano, tanto che bevvi un ultimo sorso di caffellatte e allungai
la mano verso il sacchetto dei biscotti. Ne presi uno, e me lo portai alla
bocca, guardando verso la finestra. – E’… è veramente bello, quassù… si riesce
a vedere tutto… proprio come… -
- Donatello. Non
cambiare discorso. Ti sei divertito, oppure no? – disse Ermanno.
E fu in quel momento
che il mondo mi crollò addosso. Non ce la feci più, ingollai il biscotto e mi
alzai dalla tavola, andando verso la veranda. Lì mi portai le mani al viso ed
incominciai a singhiozzare.
Immediatamente,
Ermanno si alzò, venendomi vicino. Anziché consolarmi, mi prese per il braccio,
e mi guardò intensamente negli occhi. Io faticai a sopportare il suo sguardo,
le labbra mi tremavano, e così anche le ginocchia. Temevo che da un momento
all’altro sarei potuto crollare.
- Devi dirmi
qualcosa, Donatello?!? – disse lui alzando la voce.
- Io.. io sto.. sto
male, Ermanno. Sto male. Sto molto male! –
- E non piangere come
una femminuccia! L’ho capito che cosa hai combinato lassù con quel frocio, sai?
– mi urlò in faccia. Io scoppiai a piangere, e lui per tutta risposta mi
scacciò via.
Non capendo, io ebbi
soltanto la forza di domandare – C… cosa…? Che vuoi … che vuoi dire? –
- Mi hanno
telefonato. Una persona che conosce Simone, mi ha detto tutto. Ed io sono molto
incazzato con te, Donatello. Parecchio. –
Sentire che una
persona era incazzata con me, mi faceva male. Deglutii, ma la gola mi faceva
male. Tutto mi faceva male, tutto il mio corpo. Ermanno si appoggiò al marmo
della cucina, dandomi le spalle.
- Non puoi essere tu,
mio fratello – disse, sibilando – non esiste che tu mi abbia fatto certe cose
con… con un ragazzo! – Si portò una mano alla fronte, disperato.
A quel punto, io
sbottai.
- Q… qual è il tuo
problema? C… Che a me piaccia f…farmi i - i.. i.. ragazzi anziché le ragazze???
– balbettavo per il dolore e la tristezza. Ermanno non rispose, ma si limitò a
voltarsi di scatto, come un cane rabbioso, e a venire verso di me, per
prendermi per il colletto della camicia.
- Allora lo ammetti
pure, eh? – mi sibilò contro il naso. Il suo alito sapeva di marmellata – Mi
fai schifo. Mi fai solo schifo. – mi mollò di nuovo con veemenza, e lì io
raccolsi i pezzi di me stesso e singhiozzando mi diressi verso la mia camera.
Chiusi la porta e raccolsi le mie cose, piangendo e singhiozzando.
Giù nel cortile,
buttai tutte le mie cose nella mia Audi che era rimasta lì ad aspettarmi per
tutto quel tempo. Mi misi al posto di guida e girai la chiave nel quadro. Nella
fretta, non mi accorsi che la marcia era inserita, quindi l’auto fece un balzo
in avanti. Imprecai ad altissimo volume, e i condomini che mi videro si
girarono stupefatti.
Mi diressi verso
l’uscita, che era chiusa dal cancello. Imprecai nuovamente, presi il cellulare
e composi il numero di mio fratello.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Alla fine chiusi la
comunicazione, e, furente ed amareggiato, mi attaccai al clacson.
Peeeee!
Peeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Squillò la mia auto. Anche se al
settimo piano, Ermanno avrebbe dovuto sentire ed aprirmi il cancello. Aspettai
cinque secondi, poi altri cinque, poi riprovai.
Peeeeeeeeeeeeeeeeeee!
Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Suonai nuovamente, e
questa volta si affacciarono un bel po’ di condomini.
- La vuoi finire di
scassare il cazzo??? Sono le otto del mattino, porca puttana! – mi apostrofò
una donna sulla quarantina.
- Basta!!! Se non la
piantate, chiamo i carabinieri!!! – disse un uomo da un balcone.
- E allora apritemi
questo cazzo di cancello!!! – sbraitai io, e come per magia, il cancello si
aprì. Guardai verso l’appartamento di mio fratello, e lui era lì, alla
finestra, a guardare con occhio vitreo ciò che stava succedendo. Il suo sguardo
era truce.
Io gli restituii lo
stesso sguardo, finché lui non si voltò e non scomparve dietro la finestra che
dava sulla veranda.
- Fanculo! –
esclamai, sbattendo una mano sul volante e provocando un altro squillo di
clacson.
Una volta che il
cancello fu aperto del tutto, io schiacciai l’acceleratore e mollai la frizione
tanto repentinamente che l’auto partii in sgommata. Tornavo a casa, ma ci
tornavo più ferito di quanto già non fossi.