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Autore: AryYuna    01/09/2011    12 recensioni
“ « Il fatto strano, Harry, è che potevi non essere tu. La profezia di Sibilla poteva applicarsi a due giovani maghi: entrambi nati quell’anno alla fine di luglio, e i genitori di entrambi facevano parte dell’Ordine della Fenice ed erano sfuggiti a Voldemort tre volte. Uno, naturalmente, eri tu. L’altro era Neville Longbottom » ”
E se Voldemort avesse scelto Neville?
Rating alzato ad arancione per una scena del capitolo 13.
ATTENZIONE: questa fic non è stata abbandonata, ma è temporaneamente sospesa.
(messaggio aggiornato al: settembre 2015)
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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    Chiedo scusa per il ritardo! ^^
    Un rigraziamento gigante a chi ha letto e soprattutto a chi ha recensito lo scorso capitolo : Mirwen, Nymphy Lupin, _Jaya, Julia Weasley, Alohomora, Erodiade e fuckinmind. Grazie! ^^



Capitolo 3



    L’Inghilterra era stata piena di fiorenti cittadine di soli maghi, fino a quasi due secoli prima. Poi, con la rivoluzione industriale e la conseguente l’espansione delle città babbane, i maghi si erano ritrovati a scegliere: integrarsi con loro o vivere nascosti, ai margini delle loro metropoli.
   Poco lontano da Godric’s Hollow, sempre nel West Country, sorgeva il villaggio di Ottery St. Catchpole, dove ormai erano rimasti pochi maghi, e molto sparsi. Ma una famiglia, Purosangue da generazioni - e da altrettante generazioni incurante di tale purezza - viveva dietro la collina, coi suoi ben sette figli.
   Arthur Septimus Weasley, alto, rosso di capelli - il marchio di famiglia - dipendente del ministero, si sentiva l’uomo più felice della terra: aveva una moglie bella ed amorevole, sei figli maschi svegli e in buona salute e una bellissima bambina di quasi tre mesi, la prima figlia femmina Weasley da più di cento anni. Una famiglia semplice e tranquilla in una cittadina semplice e tranquilla. Non avrebbe mai potuto immaginare che quella guerra di cui sentivano e leggevano sul Profeta potesse arrivare anche a loro.
   Arthur era appena rincasato dal lavoro, dopo un’estenuante giornata trascorsa a rincorrere spine volanti che avevano terrorizzato un intero quartiere babbano, e gli era bastato fare il primo passo in giardino per capire che qualcosa non andava: le scope di Bill e Charlie giacevano abbandonate vicino al recinto, e dei loro proprietari non vi era alcun segno. Entrò esitante in casa, dove non trovò né Molly che sferruzzava, né Ronnie sul sediolone accanto alla cucina, né la piccola Ginevra nella culla che mamma Weasley faceva levitare dietro di sé ovunque andasse. Si diresse al salotto col cuore che già gli martellava nel petto. Non c’erano né i gemelli a giocare sul tappeto come loro solito né Percy a leggere sulla poltrona mentre li controllava, da bravo fratello maggiore.
   « Molly? Ragazzi? » chiamò con un filo di voce e senza attendere risposta sguainò la bacchetta e salì le scale che portavano al piano superiore. Quando trovò anche questo deserto, gemette, e abbandonando ogni cautela scese di sotto correndo, chiamando a gran voce la sua famiglia, terrorizzato. Fu per caso che passando accanto all’orologio di Molly notò che non mancava nessuna delle lancette, e che nessuna di queste si trovava su “pericolo mortale”. Che si fosse rotto? Non voleva pensarlo, e parzialmente rincuorato stava per evocare il suo Patronus e inviarlo alla ricerca della moglie quando fu preceduto da un coniglio d’argento che con la voce di Molly emise solo poche parole prima di svanire in uno sbuffo di vapore: « Al primo bacio. Stiamo tutti bene ».
   Arthur si lasciò cadere su una sedia per il sollievo, abbassando finalmente la bacchetta che aveva stretto come un’ancora di salvezza fino a quel momento.
   
   Più a sud di Ottery St. Catchpole, a Sidmouth, viveva un’altra famiglia magica, i Tonks. Si erano stabiliti lì da ormai quasi dieci anni, da quando cioè si erano sposati appena maggiorenni. All’inizio non era stato particolarmente facile: la famiglia di Andromeda l’aveva cercata per mesi, nel disperato tentativo di evitare lo scandalo, e loro avevano passato tutto quel periodo barricati in casa, protetti dagli incantesimi posti da zio Alphard, l’unico Black che li avesse appoggiati, e riforniti di cibo e generi di prima necessità dai genitori di Ted, che all’inizio avevano abitato con loro per sfuggire eventuali rappresaglie da parte della famiglia di Andromeda.
   Dopo quasi due anni, poi, le ricerche dei Black si erano diradati fino a fermarsi del tutto, come aveva loro comunicato lo zio Alphard, e Andromeda ne aveva subito compreso il motivo, nonostante lo zio non ne avesse mai fatto cenno: lei non era più una Black, era solo una bruciatura sull’arazzo. E aveva finalmente la libertà, la libertà di non avere più un cognome pesante, la libertà di essere una Tonks. Aveva baciato suo marito come mai prima di allora e, mentre lo zio Alphard ridacchiando si congedava, aveva continuato a baciarlo, felice.
   Quella notte Andromeda e Ted Tonks avevano concepito la loro prima figlia, una bellissima Metamorfomaga cui avevano dato nome Ninfadora.
   
   Ormai Dora aveva quasi otto anni, controllava bene le sue capacità e aveva iniziato a presentarsi ai genitori con sembianze buffe ripetendo che voleva un fratellino o una sorellina, al che i genitori alzavano gli occhi al cielo e rispondevano « Può darsi » sfiorando il nasino che la bambina aveva preparato per l’occasione.
   « Mammina! » chiamò anche quel pomeriggio Dora, saltellando in salotto con i capelli turchesi legati in due lunghissime trecce e il muso di un gattino. « Mammina, dai, mi fai un fratellino? » tornò alla carica sbattendo le lunghe ciglia sugli occhi grandissimi.
   Andromeda rise. Non si stancava mai di quello spettacolino, anche perché la figlioletta aveva una grandissima fantasia e riusciva a creare faccine sempre nuove e graziose - ed era abbastanza sicura che anche Dora si divertisse, in fondo.
   La accarezzò, e stava per risponderle come faceva sempre, quando un sonoro pop in giardino la fece sobbalzare.
   « Vai di sopra, Dora, la mamma arriva subito » disse prendendo la bacchetta.
   « Che succede? » si spaventò la bambina.
   « Nulla, tesoro, sarà ancora il cane dei vicini, lo sai, quelli lo tengono sempre libero. Lo incanterò e lo farò tornare a casa sua, come sempre. Vai di sopra, intanto. Io ti raggiungo, ok? »
   Dora non sembrò molto convinta, ma ubbidì.
   Andromeda uscì circospetta in giardino, la bacchetta sguainata davanti a sé, pronta a difendere con la vita la sua famiglia. Erano passati quasi dieci anni da quando aveva lasciato la sua casa a Londra e il mondo Purosangue in cui era cresciuta, ma il terrore che i Black la trovassero e facessero del male a Ted prima e a lui e Dora poi non era mai sparito, nonostante tutte le rassicurazioni che più volte le aveva dato lo zio Alphard prima di morire.
   Era pronta a Schiantare - perfino a uccidere - quando voltò l’angolo, e le prese un colpo quando si trovò davanti una giovane donna circondata da ben sette bambini, tutti con gli stessi capelli rossi della madre.
   « Cosa… Chi Salazar siete? » esclamò indecisa se abbassare la bacchetta o tenerla ancora irragionevolmente puntata contro lo strano gruppetto - chiaramente innocuo.
   « Mi perdoni signora. Lo so che sembra un’invasione, ma non sapevo dove altro andare… Siamo di Ottery St Catchpole, il paese è stato attaccato… Mangiamorte ovunque… La sua è la famiglia magica più vicina… » ansimò la donna, stringendo forte a sé la neonata che portava in braccio. Il più piccolo dei maschietti tirava forte la manica della madre, sporgendosi dalle braccia del maggiore dei fratelli, mentre gli altri più grandi tenevano per mano i gemellini.
   « Mangiamorte? » ripeté inorridita Andromeda. La donna annuì.
   « Le chiedo ospitalità per qualche ora… Alle sei mio marito tornerà dal lavoro e andremo via, ma fino ad allora vorrei rimanere nei paraggi, per essere certa che quelle persone lascino il paese… Altrimenti dovrò avvertirlo al lavoro… Oh, Godric, come farò a mandargli un Patronus al Ministero? Dovrei aspettare che… »
   Andromeda si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla, interrompendo il fiume di spiegazioni e ragionamenti.
   « Va tutto bene, ora siete al sicuro, e potrete rimanere qui per tutto il tempo che servirà. Volete una pozione calmante? »
   La donna sorrise debolmente, rilassandosi un poco.
   « Un tè, magari, grazie. Oh, mi perdoni, non mi sono nemmeno presentata, mi chiamo Molly Weasley e questi come vede sono i miei figli ».
   Andromeda non sapeva se ridere: quella donna era chiaramente - e comprensibilmente - sconvolta e pensava a scusarsi per la mancanza di educazione. I Weasley erano davvero strani come si diceva nella sua famiglia.
   « Andromeda Tonks, prego entrate ».
   Fece accomodare i fuggiaschi nel salotto, e si sorprese nel constatare che tutti e sei i bambini fossero innaturalmente tranquilli - effetto della paura, certamente. Mentre offriva un tè alla signora Weasley, notò che Dora sbirciava da sopra le scale gli strani invasori, poi assicuratasi che erano pericolosi scese le scale serenamente e si presentò loro con la mano tesa e, fortunatamente, un aspetto normale.
   « Piacere, sono Tonks. In realtà è il mio cognome, ma il mio nome non mi piace, quindi preferisco farmi chiamare così. Tranne da mamma e papà » disse quasi tutto d’un fiato. Andromeda alzò gli occhi al cielo, versando il tè in una tazzina.
   « Signora Weasley… Mi può raccontare cosa è successo? » chiese poi. Non era sicura fosse una domanda da fare davanti ai bambini perciò aggiunse « Dora, perché non porti i ragazzi in giardino e li fai giocare un po’ con te? »
   Mentre la figlia prendeva la sua scatola dei giochi e ubbidiva, contenta di avere finalmente un po’ - un po’ tanta - di compagnia, la donna si preparò ad ascoltare il racconto di come i Mangiamorte avevano invaso Ottery St. Catchpole, pregando che tra loro non ci fosse anche sua sorella Bellatrix.
   
   Lo aveva notato subito. Lui aveva tredici anni, era alto, aveva i capelli rossi e tutto il fascino che un vero Grifondoro - sfrontato, sicuro di sé - poteva avere su una bambina di undici anni per la prima volta lontana da casa.
   Lo aveva notato subito, e in effetti erano pochi a non conoscerlo: Arthur Weasley non perdeva occasione per mettersi in mostra con le sue bravate ai danni dei Serpeverde o con le sue strambe magie sui manufatti babbani che studiava nelle ore di babbanologia. E lei era talmente incantata da lui che una volta aveva acquistato un filtro d’amore pensando che un giorno avrebbe potuto versarglielo senza farsi vedere nel succo di zucca.
   Ciò che non sapeva, però, era che il giovane Weasley vivesse a pochi metri da casa sua. Lo scoprì durante le vacanze di Pasqua del suo primo anno, quando si trovò per la prima volta faccia a faccia con lui mentre, sfruttando la presenza dei tanti parenti adulti in casa, faceva esperimenti magici sui manufatti babbani nel cortile di casa. Lei era uscita un po’ per sfuggire l’isteria pre-pranzo pasquale nella quale era sprofondata come ad ogni festività la sua famiglia, e vagando per il quartiere lo aveva visto seduto nel giardino di una casetta dall’aspetto strano, che giocava con degli strani piatti neri rigati. Divisa tra la curiosità di capire cose stesse facendo e l’imbarazzo di avvicinarsi rimase ferma impalata sul marciapiede, osservandolo da lontano. Non considerò però che Arthur alzasse gli occhi dalla sua strana occupazione e incrociasse proprio il suo sguardi.
   « Ehilà! » la salutò, e lei divenne all’istante dello stesso colore dei propri capelli, mentre cercava disperatamente una via di fuga. Non trovandola, rispose un timido « Ciao » facendo qualche passo incerto verso il ragazzo. « Prewett, giusto? Primo anno » chiese Arthur affabile, e lei annuì. « Io sono Arthur Weasley » si presentò tendendole la mano.
   « Molly » mormorò lei prendendola titubante. Aveva caldo al viso.
   « Abiti da queste parti? » le chiese lui.
   « Uh-uh » fu l’unico suono che lei riuscì ad emettere.
   « Non ti ho mai vista. Non esci mai di casa? »
   « Uh » mormorò lei. Poi fece un respiro profondo e cerco di articolare una risposta migliore, ma nuovamente non riuscì a dire nulla.
   A toglierla d’impiccio però giunse suo fratello Fabian, che, a quanto pareva, la cercava già da un bel po’.
   « Molly, eri qui allora! Io e Gideon ti abbiamo cercata ovunque! Oh, tu sei Arthur Weasley, del terzo, giusto? »
   Il ragazzino annuì sorridendo.
   « E tu sei Fabian Prewett, battitore dei Grifondoro e responsabile del Bolide che ha disarcionato Lestrange cosicché potessimo prendere il Boccino! » rispose tendendo la mano al nuovo arrivato. « Molly, andiamo, gli zii arriveranno tra poco e la mamma inizierà a dare di matto come sempre. Ci vediamo a Hogwarts, Weasley, è stato un piacere incontrarti! »
   « Anche per me. E anche te, Molly, spero ci rivedremo » fu la risposta del ragazzino.
   Molly divenne ancora più rossa, ma un sorriso enorme le si distese sul volto mentre trovava il coraggio di rispondere, seppure con un filo di voce, « Anche io. Ciao » prima di seguire suo fratello.
   « Oh, e buona Pasqua! » gridò loro dietro Arthur.
   Era iniziata così.
   Poi a scuola lui l’aveva avvicinata una domenica, e le aveva chiesto di fare una passeggiata lungo il Lago Nero, e lei era riuscita a trovare la voce per accettare. Una, due volte, tre si era ripetuta la cosa, e lei aveva imparato a sciogliersi.
   Alla fine della scuola, erano entrati nello stesso scompartimento ed erano scesi a King’s Cross tenendosi per mano.
   Il 10 luglio, lui era andato a prenderla a casa con una bicicletta babbana a cui aveva illegalmente praticato un incantesimo librante e, dopo aver sorvolato il paese con lei, era atterrato al limitare del paese vicino, e l’aveva baciata all’ombra di un albero.

   
   Dora portò i cinque fratelli Weasley più grandi in giardino, dove organizzò un minitorneo a Sparaschiocco all’ombra del grande albero che si protendeva al di sopra del recinto che delimitava la proprietà.
   « Voi come vi chiamate? » chiese ai suoi nuovi compagni sedendosi all’ombra e aprendo la scatola dei giochi.
   « Io sono Bill » rispose il maggiore. Doveva avere dieci o undici anni, in che significava che l’anno successivo avrebbe iniziato la scuola. Dora, come tutti i bambini figli di maghi, non vedeva l’ora che toccasse anche a lei. « Loro sono Charlie » continuò presentando il più grande degli altri fratelli, « Percy » il successivo in ordine d’età, « e Fred e George » i gemellini, che dovevano avere più o meno tre anni, e quindi erano troppo piccoli per lo Sparaschiocco. Dora, da brava bambina grande, diede loro dei giocattoli di legno incantato che a quanto ricordava aveva usato lei quando aveva più o meno la loro età, e i due bambini batterono le mani divertiti dalle scintille colorate che i pupazzetti sprizzavano se venivano toccati. I bambini più grandi invece si unirono a lei nel torneo, anche se Bill, notò Dora, alzava ogni tanto lo sguardo verso i fratellini o verso il recinto, come in attesa di qualcuno.
   « Siete tanti » osservò dopo un poco la bambina. « Io invece sono figlia unica. Però ho chiesto a mamma e papà di farmi un fratellino o una sorellina, e spero di convincerli prima o poi ».
   « Se vuoi possiamo essere noi i tuoi fratelli, siamo tanti » fu la risposta di Charlie mentre distribuiva le carte. « E l’anno prossimo Bill va a Hogwarts, quindi a noi mancherà un membro, tu puoi sostituirlo »
   La bambina si aprì in un largo sorriso.
   
   Giocarono per qualche ora, poi un pop alle loro spalle attirò la loro attenzione. Dora stava per correre in casa e chiamare la madre, ma Bill si alzò di scatto esclamando « Papà! » in direzione dell’uomo appena Materializzatosi. Attirate dal suono della Materializzazione, Molly e Andromeda raggiunsero i bambini in giardino, mentre Arthur scavalcava la recinzione per abbracciare i suoi figli e la moglie.
   « State tutti bene, grazie al cielo! Mi sono spaventato così tanto, non vedendovi! Ma cosa è successo? »
   « Mangiamorte. Hanno… » iniziò a rispondere Molly, ma si interruppe perché non voleva parlare davanti ai bambini. Andromeda invitò i due a seguirla in casa, lasciando nuovamente i bambini al loro torneo.
   « Mangiamorte? » chiese Arthur quando furono in salotto.
   « Sì. Hanno invaso il paese, catturato dei babbani… Credo ne abbiano anche torturati alcuni, si sentivano le urla anche dal nostro lato della collina… » rispose sua moglie rabbrividendo, mentre Andromeda, che aveva già sentito il raccontom, osservava dalla finestra i bambini tornare a giocare. « Quando ho visto levarsi in alto del fumo ho avuto paura che arrivassero anche a noi, così ho preso i bambini e mi sono Smaterializzata. La signora Tonks è stata così gentile da ospitarci fino ad ora » concluse Molly.
   Arthur prese in braccio Ronnie e sedette su una poltrona di fronte alla moglie, che stringeva a sé la piccola Ginny, addormentata.
   « La ringrazio molto, signora » disse poi come ricordandosi improvvisamente di qualcosa di importante.
   « Andromeda. Siamo dalla stessa parte, lasciamo stare i formalismi » sorrise la donna lasciando il suo posto accanto alla finestra.
   Arthur sorrise a sua volta.
   « Andromeda, allora. Ti ringrazio per aver dato ripato a mia moglie e ai miei figli, ti sarò debitore a vita. Per qualsiasi cosa, non esitare a chiedere ». Andromeda scosse la testa. « Ora andiamo. Grazie ancora ».
   « Dove andrete? »
   Arthur non rispose subito.
   « Non lo so » rispose dopo averci pensato un po’. « Di tornare a casa non se ne parla, non ho fatto caso al resto del paese, mi sono Materializzato direttamente a casa, ma ho idea che non sia il caso di tornarer a Ottery St. Catchpole. E anche se il resto del paese fosse tranquillo, potrebbero nornare, non credo fossero lì per caso » aggiunse stancamente.
   Molly sussultò.
   « Ma noi non… »
   « Siamo traditori del Sangue Puro, Molly » spiegò Arthur, e Andromeda annuì tristemente: ricordava fin troppo bene le parole con cui nei sotterranei di Serpeverde si accennava ai Weasley, e gran parte di quelli che erano stati suoi compagni di Casa avevano finito per unirsi ai Mangiamorte. Senza contare Regulus, Bella e Rodolphus e, sospettava, anche Cissy e suo marito. « Probabilmente i Mangiamorte torneranno a Ottery St. Catchpole per vedere se siamo tornati. Magari no, magari è solo una mia idea, e davvero erano lì solo per divertirsi, ma non si sa mai… »
   « Hai ragione, non possiamo sapere cosa facessero lì » considerò Andromeda, poi dopo quache secondo di riflessione continuò. « Mio cugino fa parte dell’ordine della Fenice. Sono certa che Silente vi aiuterà ».
   Molly ebbe un attimo di esitazione, al pensiero dell’Ordine - erano già passati due anni da quando… - ma non poté che sorridere grata insieme a suo marito.
   
   Andava avanti e indietro nel suo studio, inquieto. Non aveva dormito la notte precedente, e aveva trascorso la giornata a Woolstone con gli Auror per fare luce sugli avvenimenti, e ora era tormentato dall’atrocità di una consapevolezza: Voldemort sapeva della profezia.
   Benché la cercasse, non trovava altra possibilità. Perché uccidere il bambino, altrimenti? Restava da capire quanto avesse scoperto: sapeva che i Longbottom non erano gli unici a cui la profezia poteva riferirsi? Conoscendolo, probabilmente aveva cercato solo tra i Purosangue, quindi era lecito supporre che Harry - e con lui le speranze del mondo, magico e non - fosse al sicuro.
   Certo, ammesso che la profezia fosse vera. Ma a parte i dubbi sull’attendibilità della predizione, c’era ancora l’incertezza sul destino dei Potter: e se la talpa di cui da tempo sospettavano l’esistenza avesse riferito a Voldemort che lui aveva nascosto due famiglie? No, non lo aveva fatto finora, perché farlo proprio adesso? Ma, ancora una volta, non aveva certezze, quindi meglio agire d’anticipo. Prese una manciata di Polvere Volante, e stava per gettarla nel camino per recarsi da Sirius Black, quando fu distratto dallo sbatacchiare d’ali di un gufo, che fece il suo ingresso dalla finestra aperta, lasciò cadere una busta chiusa da un sigillo di cera rossa dall’aria familiare, ed uscì.
   Silente posò nuovamente la Polvere Volante, e prese la busta. Aveva appena strappato il sigillo del Ministero e letto le prime due righe - che accennavano ad un’aggressione di Mangiamorte da qualche parte nel West Country, quando la sua attenzione fu nuovamente distratta da una testa apparsa con un leggero pop nel suo camino.
   La testa di Sirius apparve nel suo camino pochi minuti dopo il suo ritorno da Godric’s Hollow.
   « Che succede? » gli chiese Silente.
   « Ottery St. Catchpole è stata attaccata oggi, poco dopo le tre del pomeriggio. Mia cugina dice che due maghi si sono rifugiati da lei a Sidmouth, nel frattempo, ma hanno figli - parecchi, a quanto dice - e non se la sentono di tornare a casa. Mi ha chiesto se possiamo fare qualcosa per loro ».
   Silente tornò un attimo alla lettera, in cui tra i vari villaggi attaccati era nominato anche Ottery St. Catchpole, prima di rispondere. « Capisco. Vai da lei, allora, nel frattempo. Vi mando Remus il più presto possibile ».
   Il ragazzo annuì e stava per andaresene quando Silente lo fermò.
   « Aspetta, ho un favore da chiederti ».
   « Un favore? Sicuro, dimmi ».
   « So che avevamo deciso di non condividere quest’informazione per non rischiare che giungesse a orecchie indiscrete, ma ho bisogno che tu mi dica dove si trovano James e Lily » illustrò l’anziano mago.
   « Oh. E… come mai? »
   Silente alzò un sopracciglio, spiazzato dalla risposta - o meglio dalla mancata risposta - di Sirius, la cui testa sembrava improvvisamente a disagio.
   « Ho le mie ragioni » disse lentamente, e il ragazzo capì che avrebbe fatto bene a spiegarsi in fretta, o avrebbe rischiato di essere cruciato nel camino all’istante.
   « Giusto. Scusa, è che… non sono io il Custode Segreto. Ci siamo scambiati. Peter ed io, intendo ».
   « Scambiati? » ripeté Silente alzando l'altro sopracciglio.
   « Sì… Una trappola per i Mangiamorte. Io sarei stato una scelta scontata, mentre Peter è insospettabile ».
   « Capisco. Un buon piano, devo ammetterlo » considerò l’anziano mago, sospirando al pensiero di quella giornata che sembrava non voler finire. « Avrei preferito saperlo, però. Sai dove si trova Peter? È sempre dai suoi o… ? »
   « No, è a Kew, quartiere babbano. Mortlake Road 101 ».
   « Molto bene. Allora vai da tua cugina e aspetta lì ».
   Il ragazzo annuì nuovamente e con un pop sparì dalle fiamme verdi.
   Rimasto solo, Silente spedì un Patronus, poi uscì dal territorio di Hogwarts per recarsi da Peter.
   
   Silente si Materializzò a casa sua quando erano ormai quasi le otto di sera, e già questo di per sé avrebbe preoccupato chiunque. Nel caso di un Grifondoro non particolarmente coraggioso, la preoccupazione - che somigliava tanto a terrore - si tradusse in uno strillo acuto, e Peter Minus si rintanò dietro il divano invocando lo Scudo più potente di cui era capace, quando sentì pop dietro di sé.
   « Sono io, Peter » sorrise Silente con aria rassicurante.
   « Si-Silente? Cosa… Cosa fai… qui? » squittì il ragazzo terrorizzato. Ecco, era giunto il suo destino, l’Ordine lo aveva scoperto e Silente in persona era arrivato per portarlo ad Azkaban. O per ucciderlo.
   « Sirius mi ha detto che vi siete scambiati » rispose affabile Silente, lisciandosi la barba.
   « Ah ».
   « Mi serve di sapere dove si trovano James e Lily ».
   « Oh. Certo. Sicuro ».
   Peter prese un lungo respiro. Ormai non poteva più fuggire, e il suo unico vantaggio era ormai perso: ora che Silente sapeva che era lui il Custode Segreto, lui aveva perso l’unica informazione utile con cui barattare eventualmente la sua via coi Mangiamorte. D’altra parte, però, così guadagnava la protezione del mago più potente d’Inghilterra, e l'unico di cui - si diceva - il Signore Oscuro avesse pausa.
   « Godric’s Hollow. La casa al termine della stradina che porta fuori dal villaggio, dopo le villette babbane ».
   Silente ringraziò con un cenno e si Smaterializzò senza dare troppe spiegazioni.
   
   Gli incantesimi di controllo di James scattarono proprio mentre Lily entrava nella cameretta di Harry per controllarlo ancora una volta.
   « Mamma » chiamò contento di vederla, alzandosi in piedi nella culla con le manine aggrappate alle sbarre di legno.
   « Tesoro, sei già sveglio » lo salutò la ragazza prendendolo in braccio. Harry tirò una ciocca di capelli e iniziò a giocarci rapito.
   « Ha buon gusto, si vede proprio che è figlio mio » commentò James che li osservava fermo sotto l’arco della porta. « Le rosse sono le migliori, ricorda ».
   Lily roteò gli occhi, ma furono in quel momento interrotti dal campanello.
   James fece per andare ad aprire, ma Lily lo fermò.
   « Controlla chi è ».
   Il ragazzo sbuffò - un Mangiamorte non avrebbe mai bussato - ma prese ugualmente la bacchetta e si avvicinò cauto alla porta.
   « Chi è? » chiese.
   « Albus Silente. Peter mi ha detto dove trovarvi » rispose l’anziano mago, e il ragazzo aprì, tutt’altro che rincuorato.
   « Silente! Che ci fai qui? Cos’è successo? Stanno tutti bene? »
   Silente non rispose, non era il momento di raccontare le cattive notizie, così si limitò a riconsegnare a James il suo mantello argenteo e a chiedere ai due di seguirlo. James prese il mantello distrattamente, occupato a cercare di decifrare l’espressione di Silente per ricavarne informazioni: era certo che il suo vecchio preside gli stesse nascondendo qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. E aveva il terrore di capirlo. Lily osservò a sua volta il mago, cercando di comrpendere il perché di quello strano invito - non aveva forse detto che dovevano nascondersi? Cosa era cambiato?
   « Cosa è successo? » chiese Lily.
   « I Mangiamorte hanno attaccato dei villaggi babbani, stanotte, e abbiamo una famigliola di maghi in fuga. Vorrei che ti occupassi di loro » rispose rivolto alla donna. « Rimarranno al sicuro alla base dell’Ordine » rassicurò poi James, vedendo che il ragazzo stava per obiettare qualcosa. « Tu invece dovresti seguirmi, ci sono pochi membri dell’Ordine liberi, ho bisogno di tutto l’aiuto possibile: i Mangiamorte si sono dati un po’ troppo alla pazza gioia, ci sono decine di babbani incantati sparsi per tutta la Gran Bretagna e gli Auror non sono abbastanza ».
   I due ragazzi accantonarono i loro dubbi per annuire decisi, Silente trasformò un soprammobile in Passaporta per Lily e Harry - insisteva col dire che per un bambino così piccolo la Materializzazione poteva risultare fastidiosa - e si Smaterializzò con James.
   



    Capitolo diffiiiiiiiicile, l’avrò scritto sette o otto volte, e inizialmente non volevo essere così buona con la rossa famiglia, poi però mi sono venute idee migliori (o peggiori, a seconda dei punti di vista *risatina sadica*)
    Spiegazioni di capitolo: a Ottery St. Catchpole dovrebbero vivere anche i Lovegood, dal canon. Ma se metto nella storia un altro bambino piccolo (Luna) diventa un asilo XD Scherzi a parte, ho pensato sembrasse un po’ forzato mettere tutti i personaggi esattamente nei luoghi in cui abiteranno quindici anni dopo, ergo la mia idea è che magari i Lovegood si siano trasferiti a Ottery St. Catchpole successivamente. Se l’idea non vi piace, pensate che gestire tanti bambini piccoli era impossibile e ho trovato una scappatoia XDXD
    Per altri dubbi, sono qui per rispondere ^^
    Il prossimo capitolo non sarà online prima del 20, data in cui dovrei finalmente dare uno stupido esame di cui, come sempre, non si sa il programma -.- Mah!

   
 
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