Capitolo 7
Dietro agli occhi
blu
No one knows what it's like
To be the bad man, to be the sad man
Behind blue eyes
Behind Blue Eyes – The Who
Passò
qualche giorno dalla visita a casa di Giacomo prima che rividi Elena, e
successe per puro caso. La professoressa di matematica mi aveva detto di
raggiungerla in ricreazione nella classe della terza F per riconsegnarle
l’ultima verifica. Io non potevo sapere che quella classe fosse la stessa di
Elena.
Arrivai
e nemmeno mi accorsi di lei.
«
Prof, le ho portato la verifica… »
«
Bravo Riccardo » mormorò lei prendendomi di mano il foglio protocollo e
controllando che ci fosse la firma dei miei genitori.
Alzai
lo sguardo e osservai distrattamente i ragazzi dentro all’aula. Nessuno
sembrava fare troppo caso a me: alcuni stavano risolvendo un esercizio alla
lavagna, c’era un gruppetto di ragazze che stava in un angolo a parlottare e
qualcuno che era seduto al proprio banco che stava scrivendo frettolosamente.
Probabilmente stavano copiando i compiti dell’ora successiva.
E
poi, la vidi. La testa china, mentre scriveva sul suo quaderno, concentrata, inconfondibile.
Fu
più forte di me; non resistetti alla tentazione e mi avvicinai, anche solo per
vederla meglio. Al collo portava ancora quella collana, ma cercai di non
pensare a quello.
«
Ehi » mormorai per salutarla.
Si
alzò di scatto e mi imbarazzai molto. Probabilmente ce l’aveva ancora con me
per la domanda che le avevo fatto sulle scale qualche giorno prima.
«
Ciao Riccardo » mi salutò invece, sorridendo. « Che ci fai qui? »
«
Sono venuto a portare alla Razzon il mio compito di
matematica. Tu che fai? » le chiedi cortesemente, ben grato al fatto che non mi
avesse mandato via.
«
Sto copiando latino » mi disse con una smorfia. « Non ci capisco niente, è
arabo per me ».
«
E credi di imparare qualcosa in questo modo? »
Si
zittì all’improvviso e mi guardò con un’espressione indecifrabile.
«
Non hai niente da dire? » le chiesi senza pensare. Fatale errore. La stavo
rimproverando esattamente come faceva mia madre ogni giorno con me. Anzi, no.
Molto peggio. Stavo rimproverando Elena.
E
allora capii che sentimento era dipinto nei suoi occhi: rabbia.
«
Lasciami stare » rispose togliendo lo sguardo. « Tu non hai idea…
Lasciami in pace » concluse tornando a scrivere la frase che aveva lasciato a
metà.
«
Contenta tu » alzai le spalle, girandomi, ma capii all’istante che non avrei
mai dovuto fare così.
«
Tu cosa hai fatto ieri, Riccardo? » La sua voce tremava dalla rabbia.
«
Tu cosa hai fatto ieri? » ripeté, mentre gli occhi le si inumidivano. « Io sono
rimasta qui a scuola a studiare scienze e inglese che mi dovevano interrogare,
ho fatto tutto italiano e lo schema di arte. Sono tornata a casa alle cinque e
mezza, con l’intento di fare queste due benedette versioni, ma mio padre mi ha
chiesto di andare ad aiutarlo a lavorare sulla casa, fino alle sette. Poi siamo
andati a fare la spesa, perché a casa non c’è rimasto più niente da mangiare.
Sono tornata all’appartamento alle otto, ho cenato e ho finito di studiare
inglese, perché volevo recuperare il mio cinque. Ho finito alle undici, ho
lavato i piatti e me ne sono andata a letto ».
Aveva
detto tutto questo stringendo i denti e parlando sottovoce, tremante. Avrei
preferito che mi urlasse dietro quelle parole, perché così sussurrate in quel
modo cadevano lentamente come macigni nello stomaco.
«
Perciò, tu che hai fatto ieri, Riccardo? Tu, che riesci sempre a fare tutti i
compiti ed eccelli in ogni campo, ieri hai lavorato? Sei rimasto a scuola? »
L’avevo
ferita. Sentivo la sua delusione in ogni parola. Si tratteneva per non urlare,
ma avrebbe voluto scoppiare, forse uccidermi.
Mi
girai a guardarla, e la colsi mentre una lacrima le rigava il viso, ma lei non
sembrava volerci dedicare attenzione; era tornata a copiare.
Mi
avvicinai con l’intento di toglierle la lacrima, ma lei mi bloccò la mano prima
che potessi sfiorarla, ed in quel momento suonò la campanella.
«
Vattene » disse.
Mi
accorsi solo allora che alcune sue compagne ci stavano osservando. Me ne andai
con un peso al cuore, come se avessi appena ingoiato l’intera ruota del London Eye.
Durante
tutto il tragitto fino al mio ritorno in classe continuai a darmi dello stupido
senza fermarmi un momento. Ma perché avevo detto quelle cose? Perché davanti a
lei dovevo sempre e solo fare delle incredibili figuracce? Cercai di ricordare
un po’ com’erano andate le cose tra me e Elena fino a quel giorno: non c’era
stato neppure un momento in cui le avevo fatto una buona impressione. Mi ero
fatto accordare la chitarra perché ero troppo agitato, avevo fatto la figura
dell’idiota a conoscere solo The Final Countdown
degli Europe, per non parlare di come era andata al
negozio di musica, di quando avevo scoperto dell’incendio, dell’incontro sulle
scale e adesso quello.
Ma
perché? Per quale assurdo motivo diventavo così stupido quando c’era lei nei
paraggi? Con Sofia non mi era mai successo. Ero stato spavaldo e normale sin
dal primo incontro, non mi ero mai sentito in soggezione con lei.
E
poi, perché dovevo paragonarla a Sofia? Cosa c’entrava con lei? Quelle due
ragazze non avevano nulla a che vedere insieme. Non potevano coesistere nello
stesso pensiero, non aveva senso.
Adesso
smettila,
mi ritrovai a pensare, serrando i pugni. Quella situazione mi stava facendo
letteralmente impazzire.
Arrivai
in classe e sbattei la porta dietro di me con veemenza, senza che però nessuno
ci facesse caso; la maggior parte di loro infatti era in angolo a giocare a
carte di nascosto, aspettando l’arrivo della professoressa d’inglese. Solo
Giacomo mi fissava con un’espressione indecifrabile.
«
Ho fatto un casino » gli comunicai mentre mi sedevo al suo fianco.
«
No, ne hai fatti due » rispose lui con semplicità.
Vedendo
la mia perplessità, aggiunse: « Sofia è stata qui, poi ti spiego. Prima dimmi
il tuo casino. Scommetto che c’entra quella Elena ».
Da
quando Giacomo era diventato così perspicace? La cosa un po’ mi inquietava.
«
Sì » ammisi, e cominciai a raccontargli tutto ciò che era successo. La sua
espressione dura mentre mi intimava di andarmene, la severità con cui io le
avevo rivolto la parola… Alla fine mi sentti un po’ più libero, ma ancora più in colpa di prima.
«
Ti facevo meno stupido, amico » mi disse di tutta risposta quando conclusi. «
Pensa a quante volte abbiamo copiato noi due i compiti di latino. E pensa cosa
avresti detto ad una persona che ti veniva lì a rimproverare ».
In
effetti non ero mai stato una cima quando si trattava di traduzioni. La
letteratura in generale (lo studio degli autori, della storia, degli usi e dei
costumi) mi veniva bene, ma molte volte lasciavo perdere le traduzioni e le
copiavo in classe, gli anni scorsi. E allora perché cavolo ero andato a dirle
quelle cose? Più i secondi passavano, più mi sentivo sbagliato.
«
E comunque, Sofia non è molto contenta di questa cosa » aggiunse. Mi risvegliai
dalla trance da cui ero caduto, chiedendomi per un momento chi fosse Sofia.
«
In che senso? » domandai allarmato.
«
Si è accorta che sei un po’ distante. Oggi in ricreazione è venuta qui non per
parlare con te, ma con me » spiegò. « Di te » aggiunse, notando il mio sguardo
attonito.
«
E… Cosa ti ha detto? » chiesi, anche se non ero molto
sicuro di voler sapere la risposta.
«
Mi ha domandato cosa ti passa per la testa in questo periodo. Dice che si è
accorta che qualcosa non va e mi ha chiesto se vuoi lasciarla ».
«
Ma questo è assurdo, perché dovrei lasciarla?! » sbuffai contrariato. Perché le
ragazze dovevano sempre farsi mille paranoie?
«
Forse per la tua nuova ossessione ».
Quello
era un colpo basso, aprii la bocca per ribattere, ma la serrai quasi subito.
Non avevo nulla da dire. In effetti era strano tutto quel pensare ad Elena, ma
di sicuro non avrei mai pensato di sostituire Sofia con lei. Forse.
«
Amico, posso darti un consiglio? » Giacomo stava bisbigliando.
«
Spara » risposi, sconsolato.
«
Pensa a Sofia ».
Lo
guardai dritto negli occhi per un pezzo, capendo cosa voleva dire.
«
Lo farò » promisi. « Ma prima voglio sistemare con Elena ».
Giacomo
sbuffò, scuotendo la testa.
«
Poi non venire a me da piangere però, perché l’unica cosa che riceverai come
risposta sarà: “Te l’avevo detto” ».
Lo
guardai a lungo, ma lui mi ignorò per il resto della lezione ed io evitai di
ritirare fuori l’argomento. Odiavo quando Giacomo faceva così, soprattutto
quando aveva ragione.
{ Spazio HarryJo.
Devo essere sincera, non
immaginavo che avrei aggiornato oggi, ma una persona mi ha praticamente
obbligata a farlo. Per questo la ringrazio di cuore, e le voglio dedicare
questo capitolo che ha tanto atteso.
A missohara,
ovvero Cecilia, che è convinta che questa sia la mia migliore storia e per la
quale cercherò di aggiornare più spesso. Grazie di cuore, cara. ♥
Beh, fatemi sapere cosa ne
pensate di questo capitolo se ancora qualcuno sta seguendo la storia, a presto,
Erica :3