Con la testa ben
premuta sul cuscino e gli occhi chiusi, ascoltavo i
battiti regolari del mio cuore, cercando di respirare in sincrono con
quella
melodia naturale.
No, non li ascoltavo.
Li percepivo.
Li sentivo in ogni angolo
del mio corpo, in particolare nel braccio destro che penzolava fuori
dal bordo
del letto. A volte mi capitava di riuscire a sentire chiaramente il mio
cuore, quando mi trovavo in posizioni particolarmente
scomode.
Avrei potuto addormentarmi da un
momento all’altro.
Avrei potuto.
Ma sapevo che non l’avrei fatto.
Se il mio
cuore e il mio respiro erano calmi, la mia mente volava a briglia
sciolta. Non
si formavano pensieri precisi, c’era solo un guazzabuglio di
immagini,
emozioni, sensazioni. Speravo di scivolare nell’incoscienza
prima che quella
confusione assumesse una forma definita, ma invano.
Non avrei dormito finchè
non avessi riordinato i miei pensieri. Spalancai gli occhi balzando a
sedere e
togliendomi le coperte di dosso per poter scendere, poi ci ripensai e
mi
sdraiai di nuovo, portando il piumone blu fino alla bocca.
Distesa a pancia in
sù, accantonai temporaneamente la pecorella rosa che
abbracciavo tutte le notti
dall’età di cinque anni e misi a tacere tutte le
voci nella mia testa. Dovevo
mettere ordine, analizzare con calma le cose, e
mi serviva silenzio.
Spostai lo sguardo sulla mia stanza, i mobili
appena visibili nel buio, soffermandomi poi sul corridoio, ugualmente
buio,
segno che mia madre si era irrimediabilmente addormentata.
Grande e grossa
com’ero, la consapevolezza di essere l’unica
sveglia in casa mi provocava
ancora un po’ di fastidio misto a paura.
Richiusi gli occhi, e con un
sospiro mi accinsi ad
analizzare i miei
pensieri, uno per volta, e farne una lista ordinata. Era il modo
più semplice
per organizzare la mia mente.
Il primo pensiero era certamente quel giorno, ciò
che era accaduto, quel bacio così dolce e intenso che
riuscivo ancora a sentire
sulle labbra, così tanto atteso e desiderato da sembrare un
sogno. E quello era
un pensiero bello, che mi aveva tenuta euforica per tutto il
pomeriggio,
impedendomi di studiare in maniera decente (una volta chiarita la
questione
avrei dovuto mettermi d’impegno per recuperare, altrimenti i
miei voti ne
avrebbero risentito), un pensiero che certamente non ostacolava il mio
sonno.
Il secondo pensiero era l’idea che il giorno dopo si sarebbe
rivelato tutta un’illusione,
bellissima, ma sempre un’illusione, assaporata per troppo
poco tempo, uscita
dalla mia mente per farmi vivere una giornata meravigliosa e poi
deludermi. A
quello non potevo porre alcun rimedio, era destinato a ronzarmi in
testa come
una fastidiosa mosca finchè la lucidità non
avesse lasciato posto
all’incoscienza, se non oltre sottoforma di incubo.
Sorrisi, pensando quanto
tutto ruotasse intorno al sogno. Da quant’era che non
sognavo? Dall’ultimo
incubo che ricordassi erano passati anni, dall’ultimo sogno
forse qualche
mese…..
Scossi la testa per allontanare le distrazioni e ritrovare la
concentrazione.
Il terzo pensiero. Il terzo pensiero era l’indecisione su
come
comportarsi con Francesco il giorno seguente. Ma era strettamente
connesso con
il secondo, quindi un cattivo pensiero, momentaneamente impossibile da
archiviare, che dovevo solo provare ad isolare.
Il quarto pensiero era la paura
di essere giudicata se il tutto non si fosse rivelato un sogno. Non
riuscivo a
elaborare completamente l’idea di Laura insieme a un ragazzo,
così lontana
dalla solità realtà che ero abituata a vivere. Ma
probabilmente presto avrei
dovuto iniziare a farci i conti. Parlando in maniera ipotetica, se io e
Francesco ci fossimo messi insieme, quando le voci sul nostro presunto
primo
bacio non si erano ancora spente, sarebbe stata la rovina. Odiavo gli
sguardi,
i pettegolezzi, e conoscevo fin troppo bene il trattamento riservato
alle
ragazze che alla mia età o addirittura prima intraprendevano
una storia. Certo,
c’era la distinzione tra i flirt, che duravano da un giorno a
due o tre
settimane, le storielle, da uno a tre mesi, e le storie
“serie”, dai tre mesi
in poi. Stranamente, il giudizio peggiorava con il passare del tempo.
Bhe,
effettivamente non era tanto strano, perché le coppie
più durature divenivano
per così dire esibizioniste, dando tutte le mattine mostra
del loro “amore
immenso e sconfinato”.
Lo sconforto mi invase, mentre nella mia testa si
rincorrevano vorticosamente i volti dei miei compagni di classe, gli
altri
ragazzi dell’istituto, i professori, la
“folla” che tanto mi impauriva.
Provai
a tranquillizzarmi con il pensiero che in fondo avevo temuto anche la
reazione
dei miei genitori , in particolare di mio padre, rivelatasi come una
serie di
sguardi apprensivi e preoccupati e delle stupide raccomandazioni alle
quali non
avevo nemmeno voglia di ripensare, ma non funzionò.
I miei genitori mi
conoscevano, mi volevano bene, e non avevano alcun interesse a ferirmi
o infastidirmi,
anzi. La “folla”, come avevo presto imparato, aveva
un unico interesse: ridurti
in brandelli, tritarti il più finemente possibile e
rigurgitarti. Con qualsiasi
pretesto gli venisse fornito.
Scossi forte la testa, voltandomi sul fianco
destro, ben consapevole che continuando a pensare avrei passato la
notte in
bianco.
Quello era il pensiero più tremendo, il timore
più tremendo, che non si
sarebbe dissipato né il giorno dopo né quello
dopo ancora, tanto valeva non
pensarci.
Mi soffermai così su quel primo bacio, attirando a me la
morbida pecorella, e
in breve il pensiero si trasformò in sogno.
La mattina dopo
mi preparai in fretta e furia, come al solito, per cercare
di arrivare in anticipo: avevo un bel po’ da fare.
Innanzitutto dovevo parlare con Alessia, la
sporca traditrice che però mi aveva fatto un
favore. Il pomeriggio precedente
non l’avevo chiamata, e nemmeno lei si era fatta sentire,
certamente nel timore
di avermi adirata. In effetti era così, o almeno lo
era stato per dieci minuti,
ma avevo intenzione di farla soffrire un po’.
Come immaginavo, la trovai seduta
fuori scuola, intenta a mostrare il disegno che avrebbe dovuto
presentare al
professore di tecnica alla quarta ora ad una compagna di classe,
Jessica. Sorrideva, ma il riso si
dissipò dal suo
volto appena vide me.
Avevo un’espressione seria, volutamente imbronciata, e mi
mordevo l’interno del labbro per evitare di ridere.
L’interlocutrice della mia
migliore amica mi salutò con un sorriso, e dopo aver udito
la mia risposta non
altrettanto cortese (dovevo pur fingere di essere arrabbiata!) si
allontanò. Io
mi accomodai accanto ad Alessia senza però guardarla, anche
se sentivo i suoi
occhi puntati su di me. Gli angoli della mia bocca si sollevarono
leggermente,
ma riuscii prontamnte a recuperarne il controllo, scrutando con
apparente disinteresse
la miriade di studenti in cerca di un volto che, disgraziatamente, non
c’era.
Alessia, accanto a me, taceva.
“Com’è…
Com’è andata?” domandò
infine, con una
vocina così bassa che a stento riuscii a distinguere le
parole. Decisa a farla
soffrire fino in fondo, mi voltai lentamente, sempre la stessa
espressione
gelida sul volto, e rimasi a fissarla per qualche istante. Sarei andata
ancora
avanti con la recita, ma nel vedere la sua espressione così
triste e
dispiaciuta che sembrava stesse per piangere scoppiai a ridere.
“Bene è andata,
benissimo!” le risposi, e lentamente anche sul suo volto
comparve il sorriso.
“Significa
che?” mi chiese, raggiante per non aver subito vendette o
ritorsioni di alcun
tipo.
“Significa che se non ci muoviamo la prof ci mette una
nota” le risposi,
indicandole la massa di alunni che si accalcava alle porte mentre la
campanella
squillava ancora con allegria.
Mantre varcavamo la soglia, le nostre mani unite
e i nostri sorrisi lo specchio l’uno dell’altro, mi
voltai un’ultima volta, ma
non trovai ad accogliermi il sorriso che cercavo.
Ok, lo so, faccio
pena.
Far passare tre mesi
per un capitoletto di due pagine di Word è un pò
assurdo, ma ho delle giustificazioni.
Prima ci sono stati la
gita, l'esame, il saggio di danza, le vacanze, poi ho passato un
mesetto buono senza riuscire nemmeno ad immaginare la storia,
figuriamoci a metterla per iscritto. In pratica, un periodo un
pò depresso, colpa di alcuni eventi troppo lunghi da
descrivere e anche inutili, a parer mio. Fatto sta che una settimana fa
ho ripreso l'inizio del quinto capitolo che avevo cominciato a
scrivere, l'ho cancellato e ricominciato da capo. Ed eccolo
qui.
Ringrazio ancora una
volta tutti coloro che leggeranno questa mia stupida fantasia, chi
avrà lavolgia di recensirla e chi la troverà
tanto appassionante da inserirla nelle storie seguite o ricordate. Mi
scuso ancora, sperando di poter essere in futuro più rapida.
P.S.: Ma sbaglio,
oppure il mio modo di scrivere è leggermente cambiato? Non
so, ma mi sembra così :)