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Autore: BimbaTroppoCresciuta    02/09/2011    0 recensioni
Laura, una tredicenne con mille problemi. Francesco, il ragazzo di cui è innamorata. Una vita incasinata, fatta di amicizie, sofferenze, studio, litigi, nella quale solo con l'amore si può trovare un senso.....
Dal primo capitolo: Vedi, questa mattina io e alcuni miei amici…” cominciò esitante “…io e alcuni miei amici abbiamo fatto una scommessa. Non potevo fare la figura del codardo…”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con la testa ben premuta sul cuscino e gli occhi chiusi, ascoltavo i battiti regolari del mio cuore, cercando di respirare in sincrono con quella melodia naturale.
No, non li ascoltavo. 
Li percepivo. 
Li sentivo in ogni angolo del mio corpo, in particolare nel braccio destro che penzolava fuori dal bordo del letto. A volte mi capitava di riuscire a sentire chiaramente il mio cuore, quando mi trovavo in posizioni particolarmente scomode. 
Avrei potuto addormentarmi da un momento all’altro. 
Avrei potuto. 
Ma sapevo che non l’avrei fatto. 
Se il mio cuore e il mio respiro erano calmi, la mia mente volava a briglia sciolta. Non si formavano pensieri precisi, c’era solo un guazzabuglio di immagini, emozioni, sensazioni. Speravo di scivolare nell’incoscienza prima che quella confusione assumesse una forma definita, ma invano. 
Non avrei dormito finchè non avessi riordinato i miei pensieri. Spalancai gli occhi balzando a sedere e togliendomi le coperte di dosso per poter scendere, poi ci ripensai e mi sdraiai di nuovo, portando il piumone blu fino alla bocca. 
Distesa a pancia in sù, accantonai temporaneamente la pecorella rosa che abbracciavo tutte le notti dall’età di cinque anni e misi a tacere tutte le voci nella mia testa. Dovevo mettere ordine, analizzare con calma le cose, e mi serviva silenzio. 
Spostai lo sguardo sulla mia stanza, i mobili appena visibili nel buio, soffermandomi poi sul corridoio, ugualmente buio, segno che mia madre si era irrimediabilmente addormentata. 
Grande e grossa com’ero, la consapevolezza di essere l’unica sveglia in casa mi provocava ancora un po’ di fastidio misto a paura. 
Richiusi gli occhi, e con un sospiro mi accinsi ad analizzare i miei pensieri, uno per volta, e farne una lista ordinata. Era il modo più semplice per organizzare la mia mente. 
Il primo pensiero era certamente quel giorno, ciò che era accaduto, quel bacio così dolce e intenso che riuscivo ancora a sentire sulle labbra, così tanto atteso e desiderato da sembrare un sogno. E quello era un pensiero bello, che mi aveva tenuta euforica per tutto il pomeriggio, impedendomi di studiare in maniera decente (una volta chiarita la questione avrei dovuto mettermi d’impegno per recuperare, altrimenti i miei voti ne avrebbero risentito), un pensiero che certamente non ostacolava il mio sonno. 
Il secondo pensiero era l’idea che il giorno dopo si sarebbe rivelato tutta un’illusione, bellissima, ma sempre un’illusione, assaporata per troppo poco tempo, uscita dalla mia mente per farmi vivere una giornata meravigliosa e poi deludermi. A quello non potevo porre alcun rimedio, era destinato a ronzarmi in testa come una fastidiosa mosca finchè la lucidità non avesse lasciato posto all’incoscienza, se non oltre sottoforma di incubo. 
Sorrisi, pensando quanto tutto ruotasse intorno al sogno. Da quant’era che non sognavo? Dall’ultimo incubo che ricordassi erano passati anni, dall’ultimo sogno forse qualche mese….. 
Scossi la testa per allontanare le distrazioni e ritrovare la concentrazione. 
Il terzo pensiero. Il terzo pensiero era l’indecisione su come comportarsi con Francesco il giorno seguente. Ma era strettamente connesso con il secondo, quindi un cattivo pensiero, momentaneamente impossibile da archiviare, che dovevo solo provare ad isolare. 
Il quarto pensiero era la paura di essere giudicata se il tutto non si fosse rivelato un sogno. Non riuscivo a elaborare completamente l’idea di Laura insieme a un ragazzo, così lontana dalla solità realtà che ero abituata a vivere. Ma probabilmente presto avrei dovuto iniziare a farci i conti. Parlando in maniera ipotetica, se io e Francesco ci fossimo messi insieme, quando le voci sul nostro presunto primo bacio non si erano ancora spente, sarebbe stata la rovina. Odiavo gli sguardi, i pettegolezzi, e conoscevo fin troppo bene il trattamento riservato alle ragazze che alla mia età o addirittura prima intraprendevano una storia. Certo, c’era la distinzione tra i flirt, che duravano da un giorno a due o tre settimane, le storielle, da uno a tre mesi, e le storie “serie”, dai tre mesi in poi. Stranamente, il giudizio peggiorava con il passare del tempo. Bhe, effettivamente non era tanto strano, perché le coppie più durature divenivano per così dire esibizioniste, dando tutte le mattine mostra del loro “amore immenso e sconfinato”. 
Lo sconforto mi invase, mentre nella mia testa si rincorrevano vorticosamente i volti dei miei compagni di classe, gli altri ragazzi dell’istituto, i professori, la “folla” che tanto mi impauriva. 
Provai a tranquillizzarmi con il pensiero che in fondo avevo temuto anche la reazione dei miei genitori , in particolare di mio padre, rivelatasi come una serie di sguardi apprensivi e preoccupati e delle stupide raccomandazioni alle quali non avevo nemmeno voglia di ripensare, ma non funzionò. 
I miei genitori mi conoscevano, mi volevano bene, e non avevano alcun interesse a ferirmi o infastidirmi, anzi. La “folla”, come avevo presto imparato, aveva un unico interesse: ridurti in brandelli, tritarti il più finemente possibile e rigurgitarti. Con qualsiasi pretesto gli venisse fornito. 
Scossi forte la testa, voltandomi sul fianco destro, ben consapevole che continuando a pensare avrei passato la notte in bianco. 
Quello era il pensiero più tremendo, il timore più tremendo, che non si sarebbe dissipato né il giorno dopo né quello dopo ancora, tanto valeva non pensarci. 
Mi soffermai così su quel primo bacio, attirando a me la morbida pecorella, e in breve il pensiero si trasformò in sogno.

La mattina dopo mi preparai in fretta e furia, come al solito, per cercare di arrivare in anticipo: avevo un bel po’ da fare. 
Innanzitutto dovevo parlare con Alessia, la sporca traditrice che però mi aveva fatto un favore. Il pomeriggio precedente non l’avevo chiamata, e nemmeno lei si era fatta sentire, certamente nel timore di avermi adirata. In effetti era così, o almeno lo era stato per dieci minuti, ma avevo intenzione di farla soffrire un po’. 
Come immaginavo, la trovai seduta fuori scuola, intenta a mostrare il disegno che avrebbe dovuto presentare al professore di tecnica alla quarta ora ad una compagna di classe, Jessica. Sorrideva, ma il riso si dissipò dal suo volto appena vide me. 
Avevo un’espressione seria, volutamente imbronciata, e mi mordevo l’interno del labbro per evitare di ridere. L’interlocutrice della mia migliore amica mi salutò con un sorriso, e dopo aver udito la mia risposta non altrettanto cortese (dovevo pur fingere di essere arrabbiata!) si allontanò. Io mi accomodai accanto ad Alessia senza però guardarla, anche se sentivo i suoi occhi puntati su di me. Gli angoli della mia bocca si sollevarono leggermente, ma riuscii prontamnte a recuperarne il controllo, scrutando con apparente disinteresse la miriade di studenti in cerca di un volto che, disgraziatamente, non c’era. 
Alessia, accanto a me, taceva. “Com’è… Com’è andata?” domandò infine, con una vocina così bassa che a stento riuscii a distinguere le parole. Decisa a farla soffrire fino in fondo, mi voltai lentamente, sempre la stessa espressione gelida sul volto, e rimasi a fissarla per qualche istante. Sarei andata ancora avanti con la recita, ma nel vedere la sua espressione così triste e dispiaciuta che sembrava stesse per piangere scoppiai a ridere.
“Bene è andata, benissimo!” le risposi, e lentamente anche sul suo volto comparve il sorriso.
“Significa che?” mi chiese, raggiante per non aver subito vendette o ritorsioni di alcun tipo. 
“Significa che se non ci muoviamo la prof ci mette una nota” le risposi, indicandole la massa di alunni che si accalcava alle porte mentre la campanella squillava ancora con allegria. 
Mantre varcavamo la soglia, le nostre mani unite e i nostri sorrisi lo specchio l’uno dell’altro, mi voltai un’ultima volta, ma non trovai ad accogliermi il sorriso che cercavo.


Ok, lo so, faccio pena. 
Far passare tre mesi per un capitoletto di due pagine di Word è un pò assurdo, ma ho delle giustificazioni. 
Prima ci sono stati la gita, l'esame, il saggio di danza, le vacanze, poi ho passato un mesetto buono senza riuscire nemmeno ad immaginare la storia, figuriamoci a metterla per iscritto. In pratica, un periodo un pò depresso, colpa di alcuni eventi troppo lunghi da descrivere e anche inutili, a parer mio. Fatto sta che una settimana fa ho ripreso l'inizio del quinto capitolo che avevo cominciato a scrivere, l'ho cancellato e ricominciato da capo. Ed eccolo qui. 
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che leggeranno questa mia stupida fantasia, chi avrà lavolgia di recensirla e chi la troverà tanto appassionante da inserirla nelle storie seguite o ricordate. Mi scuso ancora, sperando di poter essere in futuro più rapida.
P.S.: Ma sbaglio, oppure il mio modo di scrivere è leggermente cambiato? Non so, ma mi sembra così :)

  
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