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Autore: LilithJow    03/09/2011    6 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Lucas provò a chiamarmi più e più volte, ma non era la sua chiamata che aspettavo. Aspettavo quella di Daniel, che invece non arrivò.
Quella sera dovevamo uscire. Aveva detto che sarebbe passato a prendermi alle sette. Erano le otto e lui ancora non era lì ed era strano, perchè non era un ritardatario. Il suo telefono continuò a squillare a vuoto. Mi ero arresa al fatto che non mi avrebbe risposto e decisi di uscire di casa per andare alla sua e chiedergli spiegazioni. Quando aprii la porta per uscire, però, me lo ritrovai davanti. La sua espressione era il ritratto della miseria.
“Sei qui” mormorai. Gli buttai le braccia al collo, ma lui rimase fermo, come un pezzo di ghiaccio. Così mi staccai e lo guardai, accarezzandogli il viso. “Hey, che hai?” osai chiedere.
Quando alzò lo sguardo, feci fatica a riconoscerlo. Quel velo grigio che tanto mi ero sforzata di levargli era tornato ed era più scuro, più cupo. “Che succede?” domandai ancora. Lui non rispose. Gli feci cenno di entrare e obbedì, meccanicamente. “Ti aspettavo un'ora fa. Tu sei sempre così puntuale, quindi iniziavo a..” feci per dire, ma Daniel mi interruppe: “A volte sono in anticipo anche di ore”.
La sua frase mi fece paralizzare. Che significava? Possibile che era lì, quando..
“Che intendi?” chiesi, allora, sperando che le mille supposizioni che stavano vagando nella mia mente, rimanessero tali.
“Io ti ho vista” disse lui, con un fil di voce.
Si avverarono tutte. Sarebbe stato troppo facile se fosse rimasto tutto un segreto, se fosse andato tutto bene.
“Daniel, quello..” balbettai, ma qualunque cosa avessi detto, non mi avrebbe giustificata. Sebbene non fosse del tutto colpa mia. Non sapevo fino a che punto lui avesse visto. Sicuramente non abbastanza, troppo poco, per fraintendere tutto. “Quello cosa? Non aveva importanza?” disse lui, serrando la mascella.
“Certo che non aveva importanza, io..”.
“Un bacio è sempre importante”.
“Non ciò che hai visto”. Avanzai nella sua direzione, ma istintivamente lui indietreggiò, posando di nuovo gli occhi a terra. “Perchè l'hai fatto?” chiese Daniel. Odiavo domande del genere. Non tutte le azioni hanno una razionale e logica spiegazione. “Lui ha baciato me e.. E io l'ho respinto, Daniel. Davvero, hai.. Hai frainteso tutto” provai a spiegare. Era vero, in quel momento non stavo mentendo, sebbene lo avessi fatto in precedenza.
“Provi ancora qualcosa per lui?” continuò a chiedere. Io sentivo di star per crollare. Sapevo del rischio che una situazione del genere avesse potuto verificarsi, ma non le avevo mai dato peso, non dopo essermi innamorata di quel ragazzo. “No, provo qualcosa per te” risposi, sicura, sebbene avessi voluto aggiungere 'non più', ma quelle due parole si sarebbero solo insinuate nelle sue incertezze.
“Puoi.. Puoi essere sincera, almeno per una volta?”. La sua voce era spezzata, avrebbe pianto da un momento all'altro, e ciò mi distruggeva lentamente.
La sincerità, nell'ultimo periodo, non era stata mia compagna. Forse dovevo cambiare, ma non sapevo se quello fosse il momento più opportuno. Probabilmente, no. Ma per mia sfortuna, Daniel era troppo intelligente, tanto da aver capito ogni cosa. “Sei ancora follemente innamorata di lui. Tu non te ne accorgi, ma gli sguardi che gli fai.. Parlano da soli” mormorò. “Pensavo fosse solo la mia immaginazione, perchè, diamine, tengo a te più che me stesso, ma non è così e me ne sono reso conto stasera”.
“Daniel, tu non..”.
“Cosa? Non capisco? Ovviamente non capisco, perchè sono solo un ragazzino, no? Scommetto che stare vicino a me, nella tua mente, fosse un modo per tornare da lui.. Non.. Non mi sorprenderebbe”.
Non aveva solo intuito, aveva compreso ogni cosa. A differenza di ciò che riteneva pensassi, Daniel non era un ragazzino, era persino più adulto di me. Io restai in silenzio, il che non fece altro che confermare la sua tesi. Abbassai lo sguardo e lo vidi, con la coda dell'occhio, andare verso la porta e uscire di casa.
“Daniel, aspetta” esclamai, seguendolo. Il suo passo era svelto, fin troppo. Quando varcai la soglia, lui aveva già percorso tutto il vialetto di casa mia, fino al marciapiede. “Daniel, ti prego!” mi ritrovai ad urlare, ma non si fermò, camminò ancora. Mise fine al suo cammino solo quando io stavo per perdere le speranze. Tirai un sospiro di sollievo e lo raggiunsi, ritrovandomi a pochi centimetri da lui. “Lasciami.. Lasciami spiegare, per favore..” mormorai.
Daniel scosse ripetutamente il capo e abbassò lo sguardo. Non voleva guardarmi negli occhi e non lo biasimavo.
“Accompagnami.. Accompagnami solo a casa. Non voglio sentirti parlare, voglio solo andare a casa” singhiozzò.
Mi fece sentire peggio, come se le conseguenze delle mie azioni mi stessero crollando addosso, tutte nello stesso istante. Mi limitai ad annuire e ad accordarlo. Non era nelle condizioni adatte per sostenere un discorso e nemmeno io. Forse era troppo presto per raccontargli ogni cosa che avevo fatto, pensato e perchè. Ma avevo intenzione di raccontargli ogni cosa, sperando che lui mi capisse, o almeno non mi odiasse.
Recuperai le chiavi della macchina in casa. Daniel era già salito in auto e allacciato la cintura.
Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, con i suoi silenzi e io con niente da dire. Solo che in quel momento non potevo improvvisare frasi stupide da dire e, anche se lo avessi fatto, non gli avrei strappato nessun sorriso.
Il mio sguardo si spostava da lui alla strada e viceversa. Teneva le mani sulle ginocchia tremanti, così come il resto del corpo. “Mi dispiace” fu l'unica cosa da dire che mi venne in mente, ma tutte le scuse del mondo non sarebbero bastate a farmi perdonare. Daniel non fiatò. Io mi voltai verso di lui, cercando di captare un qualsiasi segnale che dimostrasse il fatto che non era tornato ad essere quel fantoccio apatico di qualche mese prima. “Daniel, io..” feci per riprendere a parlare, ma lui mi precedette.
“Attenta!” urlò. Mi ero talmente persa nei suoi lineamenti, che non avevo badato alla strada. Quando mi girai, vidi solo una forte luce, che mi annebbiò la vista. D'istinto, girai il volante, per evitare qualsiasi cosa ci stesse venendo addosso. Ma lo feci troppo forte e alla fine persi il controllo dell'auto.
Non ricordo bene cosa successe dopo che mi accorsi che la macchina non rispondeva ai miei comandi. Accadde tutto troppo in fretta, fummo sballottati da una parte all'altra più e più volte. Mi ritrovai, una frazione di secondo dopo, a testa in giù, con un forte dolore alla fronte. Realizzai subito che l'auto era capottata e che mi ero tagliata, tanto che riuscivo a sentire il sangue scorrermi sul viso. Il mio primo pensiero, tuttavia, non fu per la mia incolumità, fu per quella di Daniel. Mi voltai subito verso il lato passeggero. Lui si trovava nella mia stessa posizione, tenuto su dalla cintura di sicurezza, con gli occhi chiusi..
Anche la mia era ben salda e riuscii a liberarmene a fatica. Dovetti fare la stessa cosa con la sua. Il fatto che fosse incosciente complicò le cose.
Sapevo che, in casi come quelli, la persona non doveva essere mossa, ma l'odore di benzina era troppo forte e temetti che l'auto avesse potuto esplodere da un momento all'altro, con noi dentro.
Così, con un grande sforzo, uscii da quell'abitacolo e tirai fuori Daniel. Dovevo trascinarlo via da lì, era quella la cosa più importante. Lo presi da sotto le braccia e lo trasportai a qualche metro di distanza.
Mi guardai attorno, ma per la poca luce che c'era, non riuscii a riconoscere in che posto ci trovavamo. Sicuramente, non eravamo più sulla strada, perchè il rumore delle auto ancora in corsa sembrava molto lontano.
Sentii Daniel gemere, sdraiato tra le mie braccia. “Hey” mormorai. Era ridotto male. Il viso era circondato da strisce colorate di rosso, e lui faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Cercai immediatamente il mio cellulare in tasca, ma non c'era. Doveva essermi caduto in auto.
“Hey, devo.. Devo andare a cercare aiuto, ma.. Ma torno subito, torno e..” singhiozzai. Non dovevo piangere. Le lacrime stanno a significare che qualcosa va male, che sta per succedere qualcosa di irrimediabile, e non era quello il caso. Non poteva, non doveva. Mi convinsi che Daniel sarebbe stato bene e cominciai ad immaginare tutto ciò che sarebbe successo dopo.
Sarebbe andato tutto bene. Era così che doveva andare.
“No.. No, tu.. Tu resta con me” mormorò lui, con un sospiro. “Non.. Non posso, io devo portarti via da qui, tu..” disse allora io. Per quanto mi stessi sforzando di trattenere le lacrime, esse cominciarono a sgorgarmi dagli occhi, senza freno. Fu inevitabile ed ebbe inizio un pianto silenzioso. Sarebbe durato a lungo, nel mio inconscio, ne ero già consapevole.
H-hush now, don't.. Don't you cry.. Wipe away the.. The teardrop from your eyes..”. Daniel mormorò qualcosa, dei versi di una canzone. Non la riconobbi subito, solo dopo qualche secondo. Lo strinsi di più a me, in modo che poggiasse la testa sul mio petto. Non mi importava il fatto che mi stessi imbrattando di rosso, in quel momento più niente contava.
You're lying safe in bed. It was all a bad dream, spinning in your head”. Continuai per lui la canzone e mi sorrise quando lo feci, o perlomeno, tentò di sorridere. Si trasformò presto in una smorfia e tossì.
Daniel, devo andare a..” iniziai la frase. Dovevo cercare aiuto, qualcuno che ci tirasse fuori da lì, ma lui mi impediva di muovermi. Si aggrappò a me, con la poca forza che aveva. Gli accarezzai il viso, tirandogli indietro i capelli sporchi di terra e sangue. “Your.. Your mind..” sussurrò ancora.
Perchè non mi lasciava andare? Perchè non mi permetteva di salvarlo? Sarebbe bastato poco, così poco.
Mi tratteneva lì, con quella canzone, che incrementava solo le mie lacrime.
Tricked you to feel pain of someone close to you, leaving the game of life”. Andai avanti a cantare, perchè era l'unica cosa che mi era concessa, per non sprofondare nel dolore.
Il suo dolore, che in quel momento sentivo come se fosse il mio.
So here is it and..”. Mi interruppi.
Ero abituata al silenzio, ma di quel genere, non l'avevo mai sentito. Forse perchè il vero silenzio non esisteva, l'aria sarebbe stata sempre attraversata dal lieve battito dei cuori delle persone, dai soffi dei loro respiri, dal battito delle loro ciglia. Ma Daniel non possedeva niente di tutto ciò.
Lo scossi, leggermente, convinta che fosse solo la mia immaginazione a vederlo immobile, inerme.
Non era così.
Daniel..” mormorai, con un filo di voce.
Lui non rispose.
Aveva gli occhi chiusi.
Dormiva.
Avrebbe dormito per sempre.

  
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