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Autore: Myu_chan    04/09/2011    1 recensioni
Nelle strade della città di Osaka, si aggira una misteriosa organizzazione che ha il compito e il dovere di proteggere i suoi abitanti dai mostri che la popolano.
Solo perchè non li vedete, non vuol dire che non esistano.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pensieri sotto la pioggia
 

 
 
 
Il suono assordante della pioggia che batteva sui vetri della finestra di camera sua, la svegliò di soprassalto.
Se ne stava sotto le coltri, creando alla vista di uno sconosciuto un enorme fagotto di coperte non ben definito, da cui spuntava un piede sul lato destro del letto e un braccio che si agitava alla ricerca disperata di un qualcosa che avrebbe dovuto stare sul comodino adiacente, ma che a quanto pareva era scomparso.
Infastidita non poco, una testa tutta arruffata per l’agitata notte comparve vicino alla ringhiera del letto, ma forse ancora troppo assonnata, ci andò a sbattere in pieno, producendo un suono alquanto sinistro che venne prontamente soffocato da una colorita espressione.
Sbuffando a più non posso un paio di occhi si aprirono finalmente sul mondo terreno: scuotendo leggermente il capo e massaggiandosi la parte lesa delicatamente, la ragazza cercò con lo sguardo l’oggetto di tanto desiderio ed non trovandolo dove avrebbe dovuto essere, dedicò alla sua ricerca anche la visione dell’intera stanza.
Dopo qualche secondo in cui i suoi occhi avevano cercato di abituarsi alla tenue luce che anche il brutto tempo possedeva, trovò quello che cercava: questo non era altro che la sua sveglia che giaceva silenziosa e rotta sul pavimento accanto alla porta. Ancora non capiva il motivo per cui l’oggetto dal comodino era arrivato fin la, tenendo conto addirittura che era rotto, ma poi all’improvviso un ricordo le affiorò nella mente annebbiata: qualche ora prima la sveglia si era messa a suonare producendo un suono sgradevole per le sue povere orecchie che erano state coperte dal grosso cuscino nel vano tentativo di non sentire più l’urlo fastidioso, ma l’azione non aveva sortito il suo effetto, così presa da un moto di rabbia repressa aveva afferrato la sveglia e l’aveva scagliata senza tanti preamboli contro il muro, distruggendola.
 
 “Ops”, fu l’unica scusa che la ragazza riuscii a proferire.
 
Senza una ragione specifica continuò l’ispezione di camera sua, ma non trovandoci niente di interessante, decise che era il momento di alzarsi. Neanche fece in tempo a muoversi che il suo stomaco ruggì sonoramente per incitare la sua padrona di sbrigarsi e di andare a mangiare immediatamente.
Tra calci, pugni e districamenti vari, la ragazza finalmente riuscii a levarsi le coperte di dosso che prontamente finirono in un angolo che non era poi il loro posto, ed andò in bagno desiderosa di farsi una lunga doccia calda.
 
*dopo due ore*
 
Sin da quando era piccola le avevano sempre raccontato che quando pioveva voleva dire che i grandi dei stavano piangendo lacrime amare di dolore per loro poveri esseri umani.
Lei non ci aveva mai creduto.
Aveva sempre pensato che invece gli dei mandassero la pioggia per purificare gli uomini dai loro minor peccati ed era per questo che lei l’adorava: non aveva mai comprato un ombrello, non le importava se si bagnava o se la gente la guardava con facce strane, le interessava solo poter sentire l’acqua fresca e pungente batterle sul corpo, inzuppandola da capo a piedi, ma sicura di lavarsi da tutti i guai o problemi che le affliggevano il cuore.
Certo a volte era capitato che per colpa di questa sua mania si ammalasse gravemente, ma col tempo il suo corpo si era abituato a quella particolare situazione ed aveva imparato a difendersi da solo, permettendole di stare in pace e in silenzioso sotto il diluvio che le nuvole grigie riversavano fuori dai loro corpi soffici e corposi.
Stava ancora osservando incantata il cielo oscuro e spento, quando sentì la vibrazione del telefono sul tavolo della cucina: avvicinatosi appoggiò con delicatezza la tazza fumante di caffè, che si era giusto preparata qualche istante prima, ed osservò lo schermo illuminato. Storse il naso.
C’era una sola persona che le faceva quell’effetto e ponderò seriamente l’idea di non rispondere per farlo arrabbiare: scelta approvata. Con un sorriso strafottente stampato in volto che si allargava da un orecchio all’altro, lasciò il piccolo apparecchio a vibrare insistente sul ripiano lucido di legno, riprese la sua tazza da cui bevve un lungo sorso di quel liquido denso e decisamente forte che riusciva a svegliarla, gustandosi in beato silenzio le imprecazioni che non poteva udire, ma che era certa si stavano raccogliendo sulle labbra, per poi fuoriuscirne in modo sgradevole dalla persona odiata.
E dire che pensava che quella giornata fosse iniziata male.
 
*altro luogo*
 
Un cellulare ultimo modello e per giunta nuovo di zecca, andò incontro alla stessa fine che aveva fato la sveglia della ragazza; solo che questa volta a scagliarla contro il pavimento non era stata lei, ma la persona che poco prima la stava chiamando ed a cui lei non aveva intenzione per il momento di rispondere.
 
“Maledizione! Perché diavolo non risponde quell’idiota?”, tuonò una voce maschile parecchio furiosa.
“Cerca di calmarti Jin, forse sta ancora dormendo”, cercò invano un’altra pacata e con un fondo di ironia.
 
Infatti li dentro sapevano tutti che la ragazza non stava affatto dormendo; molto più probabilmente stava bellamente ignorando la chiamata, facendo arrabbiare oltre ogni misura l’uomo.
Il suddetto individuo stava per l’appunto camminando avanti e indietro per l’intera stanza infuriato e colse pienamente la traccia di divertimento che aleggiava come fumo trasparente tra i presenti che mai mancavano di fargli notare, seppur con modestia, che la sua allieva, perché quello era la giovane, lo prendeva sempre in giro ed aveva lo sfacciato coraggio di non portargli rispetto.
 
“Perché non provi a far chiamare me? Forse mi risponde…?”
 
La frase venne pronunciata e lasciata in sospeso dal tono gentile e calmo dallo stesso uomo che prima aveva cercato di far calmare i bollenti spiriti che possedevano la mente e il corpo del suo amico.
Infondo succedeva sempre così dopo una missione: l’allieva la portava termine in modo perfetto, poi non si presentava alla consegna della richiesta lasciando quel compito ingrato ai suoi compagni che dovevano sempre subirsi le scenate di Jin, arrabbiato perché non avevano costretto la ragazza a venire con loro. Dopo un paio di ore si calmava e lasciava correre, ma la mattina successiva pretendeva che lei si presentasse alla base, cosa che non capitava mai, motivo per cui si dava inizio alle loro litigate giornaliere.
Ogni volta toccava sempre a lui risolvere la situazione, ma era da qualche tempo che la ragazza amava campar grane ovunque e sfacciatamente ignorava anche i suoi ordini, senza però mai mancargli di rispetto.
Mentre era perso nei suoi pensieri, l’uomo aspettava pazientemente che il suo amico gli desse il consenso per fare quello che aveva proposto, ma contro ogni sua previsione Jin quel giorno si era davvero stancato del comportamento di lei.
“No. Stavolta non la chiamerai affatto Kai. Verrà qui che lo voglia o meno”, il tono deciso e stranamente tranquillo con cui pronunciò quelle poche parole, fecero preoccupare seriamente l’altro che osservò incapace di fare o dire qualsiasi altra cosa, l’uomo allontanarsi con uno feroce ghigno in volto.
 
“Kami-sama aiutaci tu”, furono le flebili parole che si dispersero nel silenzio della pioggia, che incessante cadeva senza lasciare scampo a qualunque lordura sporcasse il mondo.
 

Quando degli agenti dell’organizzazione arrivarono a casa sua, lei era già pronti ad aspettarli.
Certo non si aspettava il comportamento che le riservarono: per prima cosa con suo grande disappunto le scardinarono con un calcio violento la porta principale, facendola volare fino a sbattere contro il muro della cucina atterrando con brusco rumore; poi entrarono in più di una ventina d’uomini armati fino ai denti, manco stessero andando in guerra e per ultimo le puntarono addosso i fucili facendola sembrare un nemico da tempo ricercato e finalmente catturato.
Nonostante la sicurezza con cui erano entrati, quando si trovarono di fronte la ragazza che li osservava con sguardo truce il coraggio venne loro meno: va bene che erano in molti, ma lei non era famosa per la sua gentilezza o per la bontà d’animo; anzi semmai proprio il contrario. Ma chi erano loro per disubbidire al proprio comandante, nonché sensei della ragazza, che faceva quasi più paura della giovane?
Si quasi, perché tutti loro avevano visti all’opera entrambi e se l’uomo agiva per la rabbia, lei era crudele e diciamolo bastarda fin dentro alle ossa.
Infatti era ben visibile sul suo volto che quel trattamento le diede parecchio fastidio, ma preferì non pronunciare parola e rimase ad osservare in silenzio, mentre finiva tranquillamente la sua tazza di caffè, l’entrata in scena del grande capo: Jin.
Suo maestro da quando era entrata in quell’organizzazione lo trovava una persona spregevole ed irritante, si arrabbiava troppo facilmente e molte volte le aveva tappate le ali nonostante sapesse perfettamente che era più che pronta ad affrontare delle missioni pericolose.
Qualche tempo dopo finalmente era stata assegnata nell’esercito dell’amico del maestro cioè Kai: lui la rispettava, riconosceva sempre il suo valore in battaglia e non aveva il minimo timore di affidarle la responsabilità di richieste alquanto complicate.
Fatto sta che quando al suo cospetto si presentarono entrambi i suoi insegnati, sui loro volti gravava un’espressione del tutto differente: il primo stava quasi gongolando per la sorpresa fatta e non mancava certo di sfotterla apertamente quel suo ghigno maledettamente ridicolo da cui si stava sforzando non poco di non ridergli davanti; mentre invece il secondo era preoccupato e lanciava lunghe occhiate dalla giovane al suo compagno.
Lei dal canto suo sapeva che mettersi a discutere era inutile e poco appropriato, ma l’orgoglio e anche la testardaggine ebbero la meglio sulla sua razionalità.
 
“Jin… a che cosa devo la tua gradevole visita?”, pronunciò, calcando appositamente sull’espressione gradevole e chiamandolo per nome, come se fosse al suo stesso grado.
 
La reazione desiderata ebbe immediatamente effetto: Jin divenne all’improvviso viola dalla rabbia e con una violenza impressionante scagliò l’elmetto che teneva sottobraccio contro la parete sfiorandole il bel volto di striscio, tracciando un graffio sottile sullo zigomo rosato, ma lei non si mosse e rimase ferma nella sua posizione per fargli comprendere che non aveva affatto paura di lui.
Con calma innaturale poi appoggiò la tazza sul tavolo e continuò imperterrita a fissare negli occhi il proprio maestro che stava letteralmente schiumando per l’esasperazione ed invano cercava di calmarsi prendendo profondi respiri.
Kai invece scosse gentilmente il capo, lasciando che i suoi lunghi capelli dorati circondassero il bellissimo volto, sfigurato dalle rughe di apprensione nei confronti della sua allieva che aveva il diletto di far esasperare perfino un santo.
 
“Razza di ingrata! Come diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo? Io sono il tuo insegnante, perciò vedi di portarmi rispetto!”, urlò impazzito Jin.
 
“Tsk”
 
Questo era l’ultimo affronto: quella mocciosa non poteva prenderlo in giro davanti ai suoi uomini; era venuto il momento di insegnare le buone maniere a quell’impertinente.
Con un movimento fluido allungò il proprio braccio destro e senza esitazione chiuse a pugno la mano: ogni ombra che c’era in quella stanza obbedì immediatamente al suo ordine e come un sol uomo bloccarono la ragazza alla sedia. O per lo meno ci provarono.
Non appena aveva visto il braccio dell’altro allungarsi, lei si era prontamente spostata con un piccolo salto ed era finita sopra il tavolo, spostando poi leggermente il piede all’indietro fece partire un poderoso colpo del dorso del piede che andò a centrare la tazza poggiata prima, che schizzò velocissima contro l’uomo che ancora troppo occupato a capire dove diavolo era finita, si era deconcentrato e stava per essere colpito in pieno dall’oggetto.
Nulla però di quello che pensava accadde: infatti, cosciente che la ragazza avrebbe risposto prontamente l’attacco, era intervenuto Kai che afferrò saldamente con una sola mano la tazza e la ridusse in frantumi con una lieve pressione delle dita.
Lo stupore dipinto sul volto del compagno era pienamente visibile, ma quello non si preoccupò minimante dell’espressione che al momento aveva stampata in faccia: osservava in silenziosa rabbia l’oggetto che distava dal suo petto massiccio di qualche centimetro e stavolta toccava a lui passare lo sguardo da lei all’altro, senza però muovere un solo muscolo troppo stupefatto per fare altro.
Il giovane dai capelli dorati invece era davvero arrabbiato: anche lui alla fine si era stancato del comportamento dell’allieva, doveva imparare a portare rispetto anche alle persone che non lo meritavano ed ad abbassare la testa quando era conveniente per evitare di scatenare lotte del genere.
Tutto questo la ragazza leggeva negli occhi freddi e del colore del ghiaccio del suo insegnante ed intuii che forse aveva esagerato, ma mai avrebbe chiesto scusa, l’orgoglio era più potente della razionalità e molte volte la soggiogava completamente.
 
“Miryu. Adesso. Tu. Vieni. Con. Noi. Chiaro?”, le parole furono scandite per bene ed anche se era stata formulata come domanda, sapeva perfettamente che quello era un ordine.
 
Fissò ancora gli occhi cerulei fissi nei suoi azzurri, come il cielo in un giorno d’estate; poi con estrema lentezza scese dal tavolo e dopo essersi avvicinata, afferrò con un leggero tremore la mano che gentilmente Kai le offriva sentendo subito la stretta vigorosa che le stritolò le dita come segno di ammonimento per qualunque bravata le ronzasse nella testa.
 
Fuori la pioggia ancora scrosciava lungo le pareti della sua casa, sull’asfalto delle strade e dagli alberi posti lungo la via ed Miryu sperò che trascinasse via i sentimenti repressi e non che la avvolgevano come un mantello pesante da cui non si riesce a liberarsi.
Non sapeva che punizione le avrebbero assegnato per la grande cavolata commessa, ma in cuor suo già aveva il presentimento che quel cielo che tanto amava, così colmo di lacrime, non le sarebbe stato concesso di vedere per un po’.
Come ultimo segno di saluto alzò il viso verso l’alto beandosi delle gocce fredde e pungenti che gentili le scivolavano addosso augurandole buona fortuna, prima che una grossa cappa nera la ricoprì interamente togliendole l’ultimo privilegio di sentirsi veramente a casa.
 
  
N.d.A

Finalmente mi è tornata l’ispirazione grazie, guarda caso la pioggia XD
Volevo poi aggiungere un paio di cose: primo questa storia all’inizio doveva essere un fumetto, ma alla fine non c’è più stata la voglia e quindi il progetto è stato abbandonato; secondo mi sono accorta che la storia originale aveva parecchi buchi nell’acqua perciò ho deciso di cambiarla abbastanza e questo vuol dire che appena mi arriva l’ispirazione scrivo. Per ultimo in questo capitolo non succede quasi nulla, lo so; ma molto probabilmente più tardi ne aggiungerò un altro, quindi semmai ci sentiamo dopo.
Avevo detto che avrei aggiunto un nuovo capitolo, ma alla fine mi sono resa conto che era la continuazione di quello che avevo scritto prima, perciò ho deciso di unirli.
Beh come scritto prima l'ispirazione me l'ha data la pioggia, anche se qui è quasi un diluvio universale ancora un po'.
Buona lettura a tutti quanti!

Myu_chan
  
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