6 – Voci di palazzo e gioco di guardi
Sono tornata e scusate sempre
l’attesa, ma ormai dovreste esserci abituate.
Un capitolo che io considero di
transizione; nel prossimo forse arriverà qualche chiarimento tra Danielle e Oscar,
dico forse, perché chissà cosa potrebbe accadere davvero. Purtroppo non sono
riuscita a rispondere alle vostre belle recensioni, che ho apprezzato e gradito
molto, perché sono un grande stimolo per me. Vi ringrazio tantissimo, e
cercherò di essere puntuale nelle risposte in futuro.
Qualcuno di voi ha capito che Fersen
non mi piace; beh, non ne ho mai fatto mistero di non avere una grande simpatia
del personaggio, che cercherò comunque, di non snaturare troppo, ma ai fini
della storia lui mi serve così.
Bene, vi lascio al capitolo e buona
lettura.
*****
Ninette stava tirando i lacci del bustino mentre io
trattenevo il fiato.
“Insomma Ninette, basta con questi misteri; mi vuoi
dire cos’ hai sentito?”
Sbottai verso la mia cameriera un po’ spazientita,
che mi teneva sulle spine e non si decideva a narrare i fatti in maniera
chiara. Era strana la sua reticenza; di solito, la fedele Ninette non aveva
misteri per me.
Forse voleva soltanto creare un po’ di tensione nel
suo racconto; le piaceva mettere un po’ di mistero nei pettegolezzi che captava
e mi riferiva. Attenta a voci di corridoio e quant’altro, Ninette era sempre
una fonte sicura e discreta d’informazioni.
“Contessa, il vostro innamorato non potrà
resistervi; sarete stupenda questa sera.”
Sorrisi al suo commento innocente; con la sua
consueta sagacia, la mia cameriera aveva già capito tutto, solo non sapeva chi
davvero volevo impressionare, sempre convinta che le mie attenzioni fossero per
Fersen.
Mi stava aiutando a prepararmi per la serata che avevo
organizzato per intrattenere i miei ospiti; aveva acconciato i miei capelli con
grazia, in tanti riccioli maliziosi che cadevano in onde morbide sulla schiena.
I capelli semisciolti mi davano un aspetto più somigliante a quello naturale di
Oscar.
Stava ultimando il trucco del mio viso.
Non gradivo quello pesante usato da certe dame di
corte, che le faceva apparire come dei mascheroni grotteschi; preferivo un velo
di cipria insieme a una nota di colore rosato sulle guance, mentre ai miei
occhi azzurri bastava una sfumatura tenue ad accendere la luce delle mie iridi.
Così, il quadro era perfetto e la mia bellezza
emergeva superba con pochi dettagli curati sapientemente.
Ninette era davvero una maestra in questo.
Volevo fare colpo su André.
Avevo indossato un abito davvero grazioso scelto
allo scopo.
La seta ricamata era di un delicato colore pastello,
un verde chiaro che si intonava con il candore della mia carnagione e come
gioielli avevo scelto dei pendenti a goccia con pietre di zaffiri, eleganti ma
non pretenziosi.
In piedi davanti alla grande specchiera che occupava
una parete della mia stanza, constatavo l’effetto d’insieme; ero perfetta.
Altera come una regina, avrei potuto competere con Maria Antonietta in grazia,
fascino ed eleganza.
Forse addirittura superarla.
Accarezzai lieve il tessuto della gonna, poi tornai
a puntare il mio sguardo su Ninette che osservava con scrupolo e soddisfazione
il frutto del suo lavoro. Attendevo che parlasse mentre aggiustava le pieghe
del mio vestito.
“Ero in cucina che stavo preparando il té, quando li
ho sentiti. All’inizio non ho riconosciuto subito le voci. Vostra sorella e il
suo attendente stavano parlottando tra loro. Parlavano del conte di Fersen e di
voi.”
Ascoltavo
con una vaga inquietudine e pungolavo la ragazza quando s’interrompeva. La
pregai di ricordare tutto con attenzione, anche il minimo dettaglio e lei mi
riportò quasi fedelmente la loro conversazione.
“Madamigella Oscar stava ammettendo di essere
rimasta sorpresa. - Ho visto il conte sotto una luce che non conoscevo,
ha detto. Si chiedeva se non l’avesse sempre giudicato in maniera poco
obiettiva. Ci si può sbagliare così tanto su qualcuno? - Ha aggiunto.”
“La
risposta di André qual è stata?” chiesi curiosa.
“Oh,
lui mi è sembrato accomodante. - A volte ci facciamo un’ idea imprecisa
delle persone. Ma non farti impressionare troppo; credo in fondo, che Fersen
sia un uomo migliore di tanti che si incontrano a Versailles, sicuramente pochi
sono come lui. - Così le ha
risposto.”
Si
interruppe per porgermi il mio ventaglio, poi proseguì.
“Inoltre madamigella diceva di aver accettato le sue
scuse, ma di non riuscire a liberarsi della fastidiosa sensazione di essersi
lasciata ingannare. - Penso sia
ancora un’ ottima persona, un sincero amico, - ha detto – ma forse, gli
ho attribuito qualità che non possiede affatto.”
Ma Ninette era perplessa.
“Siete proprio sicura madame, che vostra sorella sia
interessata al conte?”
“Abbastanza, sì… ma ora non è di questo che voglio
preoccuparmi. Ninette, mi puoi dire qualcosa che non so? Hai detto che
li hai sentiti parlare di me…”
“Sì, madame, è così.”
“E allora?”
“Ecco, Oscar ha detto che non capisce a che gioco voi
state giocando, madame. Sembrava molto sospettosa. Ha interrogato André, ma lui
sembrava cadere dalle nuvole.”
“Continua.” la incalzai impaziente, supponendo che
il meglio doveva ancora venire.
“Beh, allora lei ha fatto una domanda strana. – Tu
trovi che mia sorella sia una bella donna? Voglio il tuo parere da uomo.
Potresti sentirti attratto da Danielle? – Lui non le ha risposto subito, e
quando lo ha fatto, sembrava che non volesse risponderle.”
Ero
fremente; mentre i battiti del mio cuore acceleravano, io cercavo di non
apparire nervosa, non volendo palesare troppo il mio coinvolgimento. Ansia e
aspettativa mi facevano tremare le gambe. Perché mia sorella aveva fatto una
domanda del genere? Era solo l’ennesimo sintomo della sua insicurezza nei miei
confronti, o era un tentativo maldestro di sondare il cuore dell’amico?
Anch’io
avrei voluto conoscere gli angoli più intimi e segreti di quel cuore.
Entrarci
dentro e farlo mio.
“E lui, come ha risposto?” Domandai a fior di
labbra.
Così, Ninette mi riportò il dialogo intercorso fra
loro e io quasi smisi di respirare.
“Tua sorella è una donna bellissima, Oscar, è
innegabile. D’altronde siete gemelle, dovresti saperlo.”
“Bellissima vuol dire anche attraente?”
“Non sempre le due cose coincidono; lei è molto
attraente, invece.”
“Quindi ti piace!”
“A chi non piacerebbe? Neppure Fersen è insensibile
al suo fascino.”
“Pensi che Fersen sia attratto da lei? Credi che sia
qui per questo? Per soddisfare una sete di conquista?”
“Fersen è un uomo molto sensibile al fascino
femminile; è una cosa risaputa. Non mi dirai che la notizia ti sorprende,
vero?”
“Ma Fersen ama la regina…”
“Certo, ma non significa che ignori tutte le altre.”
“…”
“Comunque, non credo che tua sorella voglia cedere
alle sue lusinghe.”
“Può essere… Anche tu, André, sei molto sensibile al
fascino femminile? Sembravi in intimità con Danielle, poco fa.”
“Non capisco dove vuoi arrivare; non penserai che io
voglia mettermi a corteggiare tua sorella? Mi sembra ridicolo.”
“Perché ridicolo?”
“Beh, mi pare ovvio.”
“E se fosse lei a voler corteggiare te?”
“Se hai voglia di scherzare, posso anche ridere! Ah
ah ah!!”
“Sì, Andrè, ridi pure, ma… forse lei vuole
avvicinarsi a te, per qualche motivo che non ho ancora compreso a fondo. Ne
sono sempre più convinta.”
Ninette proseguì, raccontandomi di averli sentiti
allontanarsi. Lei allora, era uscita dalla cucina col vassoio del té, e
passando davanti alla porta dello studio, aveva colto nuovamente le loro voci.
Un orecchio fino come il suo mi faceva davvero comodo e dovevo riconoscere che
aveva un’ottima memoria. All’improvviso si fece silenziosa. Percepii che mi
stava nascondendo qualcosa; c’era altro che avrebbe voluto dire, ma esitava
come se fosse in imbarazzo.
“Ninette, cosa mi nascondi? Avanti, parla.” La
esortai impaziente e lievemente in ansia.
“Ma no… non è nulla, signora.” balbettò.
“Ninette, voglio sapere tutto. Coraggio.”
Abbassò lievemente il capo, come se non avesse la
forza di guardarmi dritta negli occhi mentre si tormentava le mani.
“Ecco, non so se posso dirvi questa cosa senza
recarvi offesa, madame.”
Era ancora molto incerta; la sua reticenza dava molta importanza a quello che aveva udito e io dovevo assolutamente sapere. Cosa poteva esserci di così grave? Le sorrisi benevola.
“Non ti preoccupare. Non sentirti in difficoltà e
raccontami quello che hai sentito. Di qualsiasi cosa si tratti, non me la
prenderò certamente con te.”
Finalmente la convinsi e ciò che Ninette mi rivelò,
mi lasciò totalmente sconcertata.
“Ecco, madamigella Oscar chiedeva al suo attendente
se lui avrebbe accettato di trovarsi nella circostanza di diventare per
ipotesi, il vostro amante, madame.”
Spalancai gli occhi per la sorpresa; con tutta la
mia malizia, mai avrei immaginato che Oscar potesse pensare di me certe cose,
benché lei sapesse delle mie disinvolte avventure. O forse, in quella
straordinaria richiesta si celava un timore diverso? Davvero Oscar immaginava
che io e André potessimo diventare amanti? Credeva che approfittando della mia
posizione, volessi concupirlo? Aveva capito o sospettato il mio interesse verso
di lui, prendendolo per l’ennesimo capriccio che volevo togliermi? Mi rifiutavo
di credere che potesse avere così poca stima di me, da considerarmi alla
stregua di una annoiata cortigiana. Era un’ idea che consideravo offensiva per
entrambe. Oscar mi conosceva bene; ero una parte di lei. Le nostre anime, come
i nostri corpi erano nati dallo stesso impasto. Sperai che Ninette avesse
frainteso, o capito male.
“Sei proprio sicura? In che termini si è espressa mia sorella? Cerca di ricordare.”
“Oh, madame, non mi sono sbagliata. Non so come
siano arrivati a parlare di questo, perché ho colto solo un brandello della
loro conversazione, ma ho sentito chiaramente vostra sorella mentre parlava con
André. – Se ti capitasse, accetteresti di essere l’amante di una
nobildonna? Di una donna come Danielle, ad esempio? - L’ho sentita dire questo, con le mie
orecchie.”
“E lui? Lui cosa ha risposto?”
“C’ è stato un attimo di silenzio; l’ ho sentito
ridere sommessamente, e poi dire di no.”
Ero ancora costernata, ma anche delusa nel mio
intimo; non sapevo se più dai sospetti di Oscar, o dalla risposta negativa di
Andrè che annullava ogni mia speranza di averlo per me. Ma dal racconto di
Ninette, aveva esitato nel suo diniego. Forse aveva mentito? Era un uomo; magari
avrebbe ceduto a delle possibili lusinghe. Ma per pudore, di fronte a Oscar non
aveva voluto esporsi. Comunque, era possibile che stessi interpretando tutto in
modo sbagliato.
“Mi dispiace davvero tanto, madame. Ero così
allibita! Non avrei mai creduto che madamigella Oscar potesse pensare di voi…”
“Non dispiacerti, Ninette. Non è il caso.”
Rincuorata, la giovane prese a parlare di nuovo,
mettendomi a parte di alcune sue considerazioni personali, a cui aggiunse inaspettati
particolari che avevo ignorato fino a quell’istante.
“Il conte di Fersen è un gran bel giovane, ma
bisogna ammettere che l’attendente di vostra sorella è davvero un uomo
affascinante; ha due occhi stupendi che mettono soggezione per quanto sono
profondi e intensi, un sorriso che scalda il cuore e poi è sempre molto gentile
con tutti.”
“Senti senti… Abbiamo un debole per lui?” Chiesi con
un pizzico d’ironia e un vago sospetto.
“Oh,
no, madame. Dicevo
solo che Andrè è un giovanotto molto avvenente, che attira l’attenzione delle
signore; è una cosa che pensano in tanti. Se non fossi già impegnata e non
dovessi competere con madamigella Oscar, anch’io ci farei un pensierino.”
Era un discorso astruso e piuttosto ambiguo. La mia curiosità fu stuzzicata di nuovo.
“Di cosa parli, ora? Come, 'competere con
madamigella'…? Spiegati meglio.”
Ninette aveva iniziato a sistemare la mia biancheria
lavata e stirata negli armadi e nei cassetti.
“In confidenza, tra la vostra servitù madame,
qualcuno pensa che l’attendente di madamigella Oscar abbia un altro ruolo di
notte. Stavo pensando che forse è per quello che vostra sorella ha fatto tutte
quelle strane domande.”
Restai di nuovo basita, ma non potei reprimere una
risata che aveva il suono di una menzogna.
“Cosa? In casa mia c’è chi pensa che mia sorella, il
severo Colonnello Oscar e Andrè siano amanti?! Stai scherzando, spero!”
“No, signora contessa, sono molto seria.”
Non riuscii più a contenermi. Ero spaventata e mi
sforzavo di nasconderlo, manifestando un’ indignazione solo apparente.
“Credimi Ninette, non ho mai sentito una cosa più
ridicola di questa. Mia sorella non cederebbe mai a certe pratiche con un
servo, anche se affezionato. Inoltre, non farebbe una cosa simile con un uomo
che per lei è quasi un fratello. Lei e Andrè sono cresciuti insieme; tra loro
c’è un’amicizia sincera e profonda, ma niente altro. Ma come è venuta fuori
un’idea del genere?”
“Una delle cameriere che serviva il pranzo ha
sentito il Conte di Fersen fare quel commento sulle relazioni tra servi e
padroni; subito dopo madamigella si è allontanata e qualcuno giurava che pareva
mortalmente offesa, come punta sul vivo. Da lì è nato tutto. Aggiungete il
fatto che lei e André sono spesso insieme…”
“Incredibile!! Ci sarebbe da ridere, tanto la cosa è
assurda. Tutta colpa di Fersen e delle sue idee balzane!” Esclamai con
eccessivo impeto.
Tra me, mi ripromisi di dare una strigliata energica
alla servitù; non volevo che certe dicerie arrivassero all’orecchio del Conte
Recamier, ai miei figli Monique e Bastien che nutrono una vera adorazione per
la loro coraggiosa zia, o peggio alla stessa Oscar.
Ma se non fossero state semplici sciocchezze? Non
avevo io stessa il dubbio che l’ amicizia particolare, troppo intima tra Oscar
e Andrè fosse il preludio pericoloso a ben altro? Qualcosa che diventava così
evidente anche a occhi estranei, non era indizio di un fatto reale?
Era un’ evenienza che avevo valutato anch’io, e che
stavo cercando di verificare. Era qualcosa di concretamente possibile.
Ma soprattutto, era qualcosa con cui neppure io
avrei potuto competere.
Ormai ero pronta; i miei ospiti mi attendevano nella
sala della musica, un ambiente accogliente e raffinato dai toni sobri ed
eleganti, dove passavo molte serate in compagnia di amici e conoscenti, dove
invitavo musicisti e intellettuali.
Lasciai la mia stanza e mi incamminai senza fretta
verso le scale che portavano al piano inferiore; per raggiungere la sala
attraversai un ampio corridoio del mio palazzo. Sulle pareti a intervalli regolari,
sfilavano in una lunga serie, i maestosi, cupi e autocelebrativi ritratti degli
antenati della famiglia Recamier.
Il più antico risaliva al 1533 e rappresentava il
vecchio arcigno Eugene Luis Simone, VI° Conte Di Recamier, diplomatico e
ambasciatore del Re di Francia alle corti di mezza Europa.
Detestavo quei quadri, opere di oscuri e mediocri
pittori, privi del guizzo genuino del vero talento; li avrei fatti togliere
tutti, ma mio marito, del tutto privo di gusto artistico, non voleva rinunciare
a quella pomposa ostentazione di illustre antica stirpe. Alcuni erano così
detestabili ai miei occhi, così fasulli e retorici nella loro estetica che li
avevo fatti coprire con dei drappeggi.
Arrivai davanti alla sala della musica.
Quella sera sarebbe stata Oscar a suonare per noi
su mia richiesta, e lei aveva accettato di buon grado; percepii le note di Bach
ancora prima di entrare nella stanza.
La trovai già seduta al piano, appena di fronte alla
grande vetrata da cui entrava una luce crepuscolare. Un cameriere stava
accendendo un candeliere posto su un tavolino in un angolo. Si inchinò al mio
ingresso, per dileguarsi subito dopo aver terminato il suo lavoro.
Mia sorella sollevò il capo a incontrare il mio
sguardo; le sue mani affusolate smisero di correre sui tasti ebano e avorio del
pianoforte. Mi studiò un attimo e mi parve di leggere ammirazione nei suoi
occhi inquieti.
Mi salutò cordialmente e io mi approssimai a lei.
“Che cosa vorresti ascoltare, Danielle?”
“Quello che vuoi tu, cara. Il conte di Fersen non ci
ha ancora raggiunto?”
“Penso che sarà qui a breve; non rifiuterà
certamente il tuo invito.”
Infatti comparve poco dopo, in tutto il suo
splendore. Mi omaggiò esibendosi in un inchino cerimonioso, poi salutò Oscar
con disinvoltura.
“Madamigella Oscar, non vedo l’ora di sentirvi
suonare; sarà certamente appagante.”
L’apostrofò rivolgendole un ampio sorriso
convincente, che mia sorella contraccambiò sincera.
Io aspettavo Andrè.
Non capivo perché non fosse ancora lì; di solito,
seguiva Oscar ovunque e in ogni circostanza.
Non volevo chiedere di lui, manifestando così un
interesse che non avrei dovuto avere e che non volevo rivelare di fronte a
Oscar, che già pareva sospettosa.
Non tardò molto; ci raggiunse portando con sé alcuni
fogli arrotolati e trattenuti da nastri rossi, che porse alla sua padrona.
“Ho chiesto ad André di procurarmi alcuni spartiti
musicali che custodisci nella tua biblioteca; spero non ti dispiaccia
Danielle.”
“Hai fatto benissimo. Sono ottime composizioni, ma
vengono suonate assai di rado; un vero peccato.”
Andrè era in piedi, dietro Oscar seduta al piano; lo
vidi indugiare qualche istante sul corpo di lei. La luce crepuscolare disegnava
delle strane ombre sul suo viso e rendeva i suoi occhi verdi ancora più cupi.
Finalmente li alzò su di me; mi fissò a lungo, quasi
incapace di distogliere lo sguardo e fui attraversata da un brivido di vero
piacere, quando compresi che era ammirato. Indubbiamente gli piaceva ciò che
stava guardando e io volevo piacergli.
Ma subito, si insinuò in me il maligno sospetto che
stesse immaginando la donna che amava nello stesso modo, e tremai di
disappunto. Non potevo sapere se mentre guardava me, lui pensasse a Oscar.
E con ogni probabilità era così.
Invitai mia sorella a suonare per noi e presi posto
su una sedia.
Oscar attaccò il primo brano e restammo tutti in
silenzio ad ascoltare il suo piccolo concerto; possedeva un grande talento
naturale, un orecchio sopraffino per la musica e suonava il piano con la stessa
naturale grazia con cui maneggiava la spada.
Fersen si era seduto poco distante; ogni tanto
lanciava verso di me occhiate molto intense, tentando di attirare la mia
attenzione. Io ricambiavo con sguardi discreti un po’ allusivi e gli regalavo i
miei sorrisi più convincenti.
Ma dal Conte, il mio sguardo si allontanava e vagava
per la stanza con apparente noncuranza; distratto si posava sulla tappezzeria,
ne seguiva gli arabeschi floreali; scendeva su un oggetto qualsiasi dell’arredamento,
magari l’arpa posta sull’angolo opposto, il fiocco che tratteneva una tenda o
il prezioso orologio d’oro con i putti alati posato su una mensola. Ma da
qualsiasi direzione, come fosse attirato da una potente calamita, tornava
sempre su André.
E lì si fermava per lunghi istanti, incapace di
fuggire da ciò che lo attirava.
Le note armoniose del pianoforte non le sentivo più.
Sentivo solo il mio cuore che batteva furioso e
pareva volesse uscirmi dal petto, e il mio respiro si bloccava per un secondo e
lo spazio attorno sembrava dilatarsi e poi restringersi; Andrè combatteva,
opponeva resistenza ma non abbassava i suoi occhi quando incontravano i miei.
Incredulo per quello che aveva compreso, mi scrutava attraverso il verde
ombroso delle iridi, riflesso della sua anima taciturna e tormentata, dove mi pareva
di poter leggere una muta straziante domanda.
O forse, era una supplica.
Non tentarmi, ti prego. Non chiedermi di tradirla.
Credevo di poter indovinare i suoi pensieri.
Ricordavo le sue parole di poche ore prima; André aveva intuito per chi batteva il mio cuore.
Sapeva che non era per il nobile svedese, anche se all’occorrenza, fingevo di essere affascinata da lui. Sapeva che indossavo una maschera di fronte a Fersen, e pure di fronte a Oscar, ma davanti a lui mi ero mostrata nuda.
Quasi non mi accorsi del momento in cui la musica si interruppe; mi ridestai in tempo per non farmi sorprendere da Oscar in quello stato di abbandono. Ma non l’avrei ingannata a lungo.
Mi giunse la voce allegra e senza pensieri di Fersen
che si complimentava con lei.
Oscar gli aveva sorriso appena.
Un cameriere era comparso con un vassoio su cui
c’erano dei calici di vino; mia sorella ne aveva preso uno, aveva bevuto un
sorso e poi lo aveva posato di fronte a
sé, sul piano lucido e nero.
Poi attaccò a suonare un altro brano, ma più corto.
Nello spazio della sua breve esibizione, io
continuai a osservare Andrè senza accorgermi delle occhiate oblique di Oscar,
che intercettavano la direzione del mio sguardo. Era rimasto sempre fermo al
suo posto, poco distante dalla finestra, non troppo lontano da Oscar.
Avvertivo nell’aria un’ insolita tensione, come se
dovesse scoppiare un temporale da un momento all’altro, ma il cielo era
apparentemente sereno e senza nuvole all’orizzonte.
Mi alzai dal mio posto per sedere accanto a Fersen,
solo per poter essere più vicina ad Andrè. Nel compiere quei pochi passi,
nascosi dietro il ventaglio una parte del mio viso, nel tentativo di velare
l’occhiata fuggevole che rivolsi all’attendente.
Fersen mi disse qualcosa che non afferrai completamente;
forse fu un complimento e finsi di esserne compiaciuta, rivolgendogli un
grazioso cenno del capo, ma la calamita continuava inesorabile ad attirarmi
come il sole attira i girasoli. Continuavano a sfuggirmi gli sguardi sospettosi
di Oscar, un errore che non avrei dovuto fare.
Ero sempre stata scaltra in questo genere di
situazioni, ma il mio trasporto appassionato era tale, che sottovalutai la
prudenza. Soprattutto sottovalutai Oscar e il suo acuto spirito d’
osservazione.
Fui troppo sicura di me e della mia capacità di
condurre il gioco con astuzia.
Tradivo gesti ed emozioni; passavano sul viso
impertinenti e l’unico che le fraintendeva era Fersen, che si fece addirittura
più audace nei suoi approcci.
“Danielle, posso osare dirvi quanto siete dolcemente
affascinante stasera? Siete stupenda. Sarà un peccato per voi passare la notte
da sola; una donna come voi non merita la solitudine di un letto vuoto e
freddo.” Mi sussurrò all’orecchio con fare provocatorio, sfoderando il tono di
voce più sensuale.
Forse, in una circostanza diversa, sarebbe anche
riuscito a sedurmi.
Quando sentii le dita della sua mano solleticarmi il
polso e risalire verso il gomito, sotto il pizzo della manica del mio vestito,
provai un moto di profondo fastidio che mi imposi di nascondere. Doveva
continuare a credere di avere un certo ascendente su di me e che io volessi
soltanto prolungare il gioco del corteggiamento.
Alzai il ventaglio di seta cangiante all’altezza
delle mie labbra vermiglie e sorridenti, e risposi con pari audacia alla sua
provocazione.
“E vorreste essere voi a scaldare la mia alcova,
conte?”
“Solo se lo volete anche voi.”
Mi prese una mano e la baciò.
“Forse troverete soddisfazione, ma dovrete
guadagnarvela. Quando lo vorrò, ve ne accorgerete.”
E lo lasciai nell’ansia, nell’attesa fremente della
promessa di una notte.
“Debbo confessarvelo; spero sia presto.” Sospirò un
po’ deluso, ma ancor più acceso di aspettativa.
Aspettativa che non avrei mai soddisfatto.
Oscar aveva continuato la sua esecuzione al piano,
ma fu interrotta dall’ingresso tumultuoso dei miei figli che volevano salutare
la loro zia prima di andare a dormire. Ninette aveva cercato di bloccarli, per riportarli
nelle loro stanze, ma con scarsi risultati.
“Scusatemi, madame. Stavo per metterli a letto, poi
la contessina ha insistito per dare la buonanotte a madamigella Oscar e ha
trascinato con se il fratellino.”
Monique si era avvicinata al piano dove Oscar
l’accolse con un sorriso.
“Domani giocherete con me, vero Oscar? Prendo le
spade finte di mio fratello e giochiamo ai pirati.”
“No, le mie spade no! Non vanno bene per le
femmine!” Protestò corrucciato il piccolo Bastien.
Oscar rise.
“Domani, Monique. Ora vai a dormire, piccola mia.
Anche tu, Bastien. Da bravi, seguite la vostra governante.”
Salutai i miei bambini con un bacio, prima di
vederli sparire dietro le gonne della fedele e paziente Ninette.
Una strana euforia gravitava nell’aria, pregna dell’
odore impercettibile della cera sciolta che si mischiava perdendosi con quello
dei mazzi di fiori posti nei vasi ai quattro angoli della stanza.
L’atmosfera un po’ eccitante, mi fece desiderare di
ballare; volevo muovermi, liberare la strana energia che mi scorreva sotto la
pelle; volevo che André guardasse i movimenti del mio corpo, volevo che capisse
che danzavo per lui. Così, chiesi a Oscar di suonare qualcosa che avesse un
ritmo diverso.
Lei mi assecondò e non immaginai che avrebbe
approfittato di quell’ innocuo espediente con studiato calcolo.
Fersen mi invitò a danzare e io accettai con
entusiasmo e innocente malizia; lo spazio non era molto, quindi eseguimmo
alcune semplici figure al centro della stanza, accostando le nostre mani.
Fersen mi sorrideva affascinato e non risparmiava
complimenti e adulazioni.
“Avete una luce particolare negli occhi, contessa.
Sembrate così viva, questa sera.”
“Forse, perché mi sento così.” dissi girando su me
stessa, mentre di sottecchi cercavo la figura di André.
Non avevo pensieri, solo la gioia di ballare che mi
alleggeriva il cuore, unita al piacere di essere ammirata dall’uomo che mi
faceva tremare il cuore.
Ma Oscar, all’improvviso smise di suonare.
“Conte di Fersen, so che anche voi siete un valente
musicista; perché non suonate voi, al posto mio?”
“Volentieri, se la cosa non disturba Madame
Recamier, che sono certo preferirebbe ascoltare voi.”
“Non ti dispiace, vero Danielle?”
“No, Oscar. – Risposi - Vi prego conte, mi farebbe
piacere ascoltarvi. Non ditemi di no.”
“Non potrei mai negarvi qualcosa, contessa. Ma vi
avverto, non sono bravo come madamigella Oscar.”
“Oh, non siate modesto; sappiamo che siete un uomo
dai molti talenti.” Lo incoraggiò lei.
Ma il tono che aveva usato mi parve ambiguo.
Lo svedese si avvicinò al piano e Oscar si alzò per
cedergli il posto.
Io stavo per sedermi, ma la voce ferma di Oscar mi
bloccò sul posto.
“Mia sorella vuole danzare, Fersen. Suonate qualcosa
di adatto, ve ne prego.”
Le mani del conte iniziarono a volare sui tasti, prima
lentamente, poi aumentando il ritmo.
“Vorrà dire che dovrò danzare con te, Oscar. Sarà
divertente.”
Commentai con un sorriso, che finì per morire sulle
mie labbra.
“E perché mai? André può essere il tuo cavaliere. -
Mia sorella si voltò verso il suo attendente che fino a quel momento era
rimasto fermo e silenzioso a osservare tutta la scena; dalla sua espressione,
anche lui pareva stupito. – André, per favore, danza con Danielle.”
Una richiesta che aveva tanto l’aria di un ordine.
Fui colta da un brivido che mi corse veloce sulla
pelle, mentre gli occhi di Andrè carichi di dubbi, si posavano prima su di me e
poi su Oscar, la cui espressione era indecifrabile: il suo volto appariva
rilassato, non una ruga solcava la sua fronte distesa, ma la strana luce fredda
che le balenava nello sguardo mi inquietò.
André si dimostrò indeciso per pochi secondi.
Quando a passi lenti avanzò verso di me, il mio
cuore tremò un istante ed ebbi paura; lo stomaco si contrasse in uno spasimo e
una strana agitazione mi prese. Il mio respirò accelerò, sollevando il mio
petto costretto nel bustino dell’abito. Come si fa a non tradire se stessi nei
momenti cruciali? Le mie mani sudavano mentre stringevo convulsa il ventaglio.
Tentavo disperatamente di dominare il potente turbamento che bloccava le mie
gambe e la mia lingua, incapace di pronunciar parola.
Attorno un silenzio che pareva dilatarsi nei nostri
sguardi che si incontravano.
Poi sentii le sue mani sfiorare gentilmente il mio
corpo, allacciarsi alla mia vita. E fui trasportata solo dalla musica del
pianoforte che invitava i nostri corpi alla danza. La luce soffusa, tremolante
delle candele rendeva l’atmosfera irreale, quasi fatata. Le mie gambe e le mie
braccia seguivano i movimenti di Andrè, il mio sguardo si perse a lungo in quel
fuoco verde in cui sarei potuta annegare, dimentica di ogni altra cosa o
persona che fosse in quella stanza, tra quelle quattro pareti. André mi teneva
tra le braccia e il suo sguardo mi seguiva, mi circondava e mi catturava, mi
stregava annebbiando quasi la mia mente e in un istante sentii che anche lui
avrebbe potuto perdersi in quel nostro abbraccio.
Che cosa vedesse lui in me in quell’attimo perfetto,
lo ignoravo totalmente; forse ero solo il fantasma meraviglioso della gemella
che lui amava. Forse ero il sogno proibito e più segreto delle sue notti
solitarie, una creatura evanescente come l’aurora, uscita dal buio della sua
esistenza. Mi bastava appartenere ai suoi sogni e magari col tempo mi sarei
trasformata in qualcosa di vero, in una donna fatta di carne e sangue, emozioni
palpitanti e passioni brucianti.
Ma l’incanto non durò a lungo, si frantumò come un
sortilegio maligno nell’istante esatto in cui colsi iridi turchesi come le mie,
guardarmi fisso; in un passo di danza, André si era trovato di spalle a Oscar,
e io avevo puntato i miei occhi nella sua direzione.
Forse, in un moto inconscio, avevo cercato quello
sguardo.
Per sfida o per gioco.
Il sangue si gelò nelle mie vene, di fronte alla
gelida furia che straripava da quello sguardo.
Un’ ira silenziosa, cupa come il rombo di un tuono
che si coglie in lontananza.
Mi attraversò l’anima come una folgore.
Mi fece male.
Oscar, il mio riflesso, lo specchio in cui potevo
riconoscermi mi restituiva un’immagine ignota.
Non ricordavo che in tutta la vita, mi avesse mai
guardato così.
Oscar era furente e mi fece paura.
Continua…