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Autore: Ninfea Blu    06/09/2011    16 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6 – Incrocio di sguardi

6 – Voci di palazzo e gioco di guardi

 

Sono tornata e scusate sempre l’attesa, ma ormai dovreste esserci abituate.

Un capitolo che io considero di transizione; nel prossimo forse arriverà qualche chiarimento tra Danielle e Oscar, dico forse, perché chissà cosa potrebbe accadere davvero. Purtroppo non sono riuscita a rispondere alle vostre belle recensioni, che ho apprezzato e gradito molto, perché sono un grande stimolo per me. Vi ringrazio tantissimo, e cercherò di essere puntuale nelle risposte in futuro.

Qualcuno di voi ha capito che Fersen non mi piace; beh, non ne ho mai fatto mistero di non avere una grande simpatia del personaggio, che cercherò comunque, di non snaturare troppo, ma ai fini della storia lui mi serve così.

Bene, vi lascio al capitolo e buona lettura.

 

*****

 

Ninette stava tirando i lacci del bustino mentre io trattenevo il fiato.

“Insomma Ninette, basta con questi misteri; mi vuoi dire cos’ hai sentito?”

Sbottai verso la mia cameriera un po’ spazientita, che mi teneva sulle spine e non si decideva a narrare i fatti in maniera chiara. Era strana la sua reticenza; di solito, la fedele Ninette non aveva misteri per me.

Forse voleva soltanto creare un po’ di tensione nel suo racconto; le piaceva mettere un po’ di mistero nei pettegolezzi che captava e mi riferiva. Attenta a voci di corridoio e quant’altro, Ninette era sempre una fonte sicura e discreta d’informazioni.

“Contessa, il vostro innamorato non potrà resistervi; sarete stupenda questa sera.”

Sorrisi al suo commento innocente; con la sua consueta sagacia, la mia cameriera aveva già capito tutto, solo non sapeva chi davvero volevo impressionare, sempre convinta che le mie attenzioni fossero per Fersen.

Mi stava aiutando a prepararmi per la serata che avevo organizzato per intrattenere i miei ospiti; aveva acconciato i miei capelli con grazia, in tanti riccioli maliziosi che cadevano in onde morbide sulla schiena. I capelli semisciolti mi davano un aspetto più somigliante a quello naturale di Oscar.

Stava ultimando il trucco del mio viso.

Non gradivo quello pesante usato da certe dame di corte, che le faceva apparire come dei mascheroni grotteschi; preferivo un velo di cipria insieme a una nota di colore rosato sulle guance, mentre ai miei occhi azzurri bastava una sfumatura tenue ad accendere la luce delle mie iridi.

Così, il quadro era perfetto e la mia bellezza emergeva superba con pochi dettagli curati sapientemente.

Ninette era davvero una maestra in questo.

 

 

Volevo fare colpo su André.

Avevo indossato un abito davvero grazioso scelto allo scopo.

La seta ricamata era di un delicato colore pastello, un verde chiaro che si intonava con il candore della mia carnagione e come gioielli avevo scelto dei pendenti a goccia con pietre di zaffiri, eleganti ma non pretenziosi.

In piedi davanti alla grande specchiera che occupava una parete della mia stanza, constatavo l’effetto d’insieme; ero perfetta. Altera come una regina, avrei potuto competere con Maria Antonietta in grazia, fascino ed eleganza.

Forse addirittura superarla.

Accarezzai lieve il tessuto della gonna, poi tornai a puntare il mio sguardo su Ninette che osservava con scrupolo e soddisfazione il frutto del suo lavoro. Attendevo che parlasse mentre aggiustava le pieghe del mio vestito.

“Ero in cucina che stavo preparando il té, quando li ho sentiti. All’inizio non ho riconosciuto subito le voci. Vostra sorella e il suo attendente stavano parlottando tra loro. Parlavano del conte di Fersen e di voi.”

Ascoltavo con una vaga inquietudine e pungolavo la ragazza quando s’interrompeva. La pregai di ricordare tutto con attenzione, anche il minimo dettaglio e lei mi riportò quasi fedelmente la loro conversazione.

“Madamigella Oscar stava ammettendo di essere rimasta sorpresa. - Ho visto il conte sotto una luce che non conoscevo, ha detto. Si chiedeva se non l’avesse sempre giudicato in maniera poco obiettiva. Ci si può sbagliare così tanto su qualcuno?  - Ha aggiunto.”

“La risposta di André qual è stata?” chiesi curiosa.

“Oh, lui mi è sembrato accomodante. - A volte ci facciamo un’ idea imprecisa delle persone. Ma non farti impressionare troppo; credo in fondo, che Fersen sia un uomo migliore di tanti che si incontrano a Versailles, sicuramente pochi sono come lui. -  Così le ha risposto.”

Si interruppe per porgermi il mio ventaglio, poi proseguì.

“Inoltre madamigella diceva di aver accettato le sue scuse, ma di non riuscire a liberarsi della fastidiosa sensazione di essersi lasciata ingannare.  - Penso sia ancora un’ ottima persona, un sincero amico, - ha detto – ma forse, gli ho attribuito qualità che non possiede affatto.”

Ma Ninette era perplessa.

“Siete proprio sicura madame, che vostra sorella sia interessata al conte?”

“Abbastanza, sì… ma ora non è di questo che voglio preoccuparmi. Ninette, mi puoi dire qualcosa che non so? Hai detto che li hai sentiti parlare di me…”

“Sì, madame, è così.”

“E allora?”

“Ecco, Oscar ha detto che non capisce a che gioco voi state giocando, madame. Sembrava molto sospettosa. Ha interrogato André, ma lui sembrava cadere dalle nuvole.”

“Continua.” la incalzai impaziente, supponendo che il meglio doveva ancora venire.

“Beh, allora lei ha fatto una domanda strana. – Tu trovi che mia sorella sia una bella donna? Voglio il tuo parere da uomo. Potresti sentirti attratto da Danielle? – Lui non le ha risposto subito, e quando lo ha fatto, sembrava che non volesse risponderle.”

Ero fremente; mentre i battiti del mio cuore acceleravano, io cercavo di non apparire nervosa, non volendo palesare troppo il mio coinvolgimento. Ansia e aspettativa mi facevano tremare le gambe. Perché mia sorella aveva fatto una domanda del genere? Era solo l’ennesimo sintomo della sua insicurezza nei miei confronti, o era un tentativo maldestro di sondare il cuore dell’amico?

Anch’io avrei voluto conoscere gli angoli più intimi e segreti di quel cuore.

Entrarci dentro e farlo mio.

“E lui, come ha risposto?” Domandai a fior di labbra.

Così, Ninette mi riportò il dialogo intercorso fra loro e io quasi smisi di respirare.

 

Tua sorella è una donna bellissima, Oscar, è innegabile. D’altronde siete gemelle, dovresti saperlo.”

“Bellissima vuol dire anche attraente?”

“Non sempre le due cose coincidono; lei è molto attraente, invece.”

“Quindi ti piace!”

“A chi non piacerebbe? Neppure Fersen è insensibile al suo fascino.”

“Pensi che Fersen sia attratto da lei? Credi che sia qui per questo? Per soddisfare una sete di conquista?”

“Fersen è un uomo molto sensibile al fascino femminile; è una cosa risaputa. Non mi dirai che la notizia ti sorprende, vero?”

“Ma Fersen ama la regina…”

“Certo, ma non significa che ignori tutte le altre.”

“…”

“Comunque, non credo che tua sorella voglia cedere alle sue lusinghe.”

“Può essere… Anche tu, André, sei molto sensibile al fascino femminile? Sembravi in intimità con Danielle, poco fa.”

“Non capisco dove vuoi arrivare; non penserai che io voglia mettermi a corteggiare tua sorella? Mi sembra ridicolo.”

“Perché ridicolo?”

“Beh, mi pare ovvio.”

“E se fosse lei a voler corteggiare te?”

“Se hai voglia di scherzare, posso anche ridere! Ah ah ah!!”

“Sì, Andrè, ridi pure, ma… forse lei vuole avvicinarsi a te, per qualche motivo che non ho ancora compreso a fondo. Ne sono sempre più convinta.”

 

Ninette proseguì, raccontandomi di averli sentiti allontanarsi. Lei allora, era uscita dalla cucina col vassoio del té, e passando davanti alla porta dello studio, aveva colto nuovamente le loro voci. Un orecchio fino come il suo mi faceva davvero comodo e dovevo riconoscere che aveva un’ottima memoria. All’improvviso si fece silenziosa. Percepii che mi stava nascondendo qualcosa; c’era altro che avrebbe voluto dire, ma esitava come se fosse in imbarazzo.

“Ninette, cosa mi nascondi? Avanti, parla.” La esortai impaziente e lievemente in ansia.

“Ma no… non è nulla, signora.” balbettò.

“Ninette, voglio sapere tutto. Coraggio.”

Abbassò lievemente il capo, come se non avesse la forza di guardarmi dritta negli occhi mentre si tormentava le mani.

“Ecco, non so se posso dirvi questa cosa senza recarvi offesa, madame.”

Era ancora molto incerta; la sua reticenza dava molta importanza a quello che aveva udito e io dovevo assolutamente sapere. Cosa poteva esserci di così grave? Le sorrisi benevola.

“Non ti preoccupare. Non sentirti in difficoltà e raccontami quello che hai sentito. Di qualsiasi cosa si tratti, non me la prenderò certamente con te.”

Finalmente la convinsi e ciò che Ninette mi rivelò, mi lasciò totalmente sconcertata.

“Ecco, madamigella Oscar chiedeva al suo attendente se lui avrebbe accettato di trovarsi nella circostanza di diventare per ipotesi, il vostro amante, madame.”

Spalancai gli occhi per la sorpresa; con tutta la mia malizia, mai avrei immaginato che Oscar potesse pensare di me certe cose, benché lei sapesse delle mie disinvolte avventure. O forse, in quella straordinaria richiesta si celava un timore diverso? Davvero Oscar immaginava che io e André potessimo diventare amanti? Credeva che approfittando della mia posizione, volessi concupirlo? Aveva capito o sospettato il mio interesse verso di lui, prendendolo per l’ennesimo capriccio che volevo togliermi? Mi rifiutavo di credere che potesse avere così poca stima di me, da considerarmi alla stregua di una annoiata cortigiana. Era un’ idea che consideravo offensiva per entrambe. Oscar mi conosceva bene; ero una parte di lei. Le nostre anime, come i nostri corpi erano nati dallo stesso impasto. Sperai che Ninette avesse frainteso, o capito male.

“Sei proprio sicura? In che termini si è espressa mia sorella? Cerca di ricordare.”

“Oh, madame, non mi sono sbagliata. Non so come siano arrivati a parlare di questo, perché ho colto solo un brandello della loro conversazione, ma ho sentito chiaramente vostra sorella mentre parlava con André. – Se ti capitasse, accetteresti di essere l’amante di una nobildonna? Di una donna come Danielle, ad esempio? -  L’ho sentita dire questo, con le mie orecchie.”

“E lui? Lui cosa ha risposto?”

“C’ è stato un attimo di silenzio; l’ ho sentito ridere sommessamente, e poi dire di no.”

Ero ancora costernata, ma anche delusa nel mio intimo; non sapevo se più dai sospetti di Oscar, o dalla risposta negativa di Andrè che annullava ogni mia speranza di averlo per me. Ma dal racconto di Ninette, aveva esitato nel suo diniego. Forse aveva mentito? Era un uomo; magari avrebbe ceduto a delle possibili lusinghe. Ma per pudore, di fronte a Oscar non aveva voluto esporsi. Comunque, era possibile che stessi interpretando tutto in modo sbagliato.

“Mi dispiace davvero tanto, madame. Ero così allibita! Non avrei mai creduto che madamigella Oscar potesse pensare di voi…”

“Non dispiacerti, Ninette. Non è il caso.”

Rincuorata, la giovane prese a parlare di nuovo, mettendomi a parte di alcune sue considerazioni personali, a cui aggiunse inaspettati particolari che avevo ignorato fino a quell’istante.

“Il conte di Fersen è un gran bel giovane, ma bisogna ammettere che l’attendente di vostra sorella è davvero un uomo affascinante; ha due occhi stupendi che mettono soggezione per quanto sono profondi e intensi, un sorriso che scalda il cuore e poi è sempre molto gentile con tutti.”

“Senti senti… Abbiamo un debole per lui?” Chiesi con un pizzico d’ironia e un vago sospetto.

“Oh, no, madame. Dicevo solo che Andrè è un giovanotto molto avvenente, che attira l’attenzione delle signore; è una cosa che pensano in tanti. Se non fossi già impegnata e non dovessi competere con madamigella Oscar, anch’io ci farei un pensierino.”

Era un discorso astruso e piuttosto ambiguo. La mia curiosità fu stuzzicata di nuovo.

“Di cosa parli, ora? Come, 'competere con madamigella'…?  Spiegati meglio.”

Ninette aveva iniziato a sistemare la mia biancheria lavata e stirata negli armadi e nei cassetti.

“In confidenza, tra la vostra servitù madame, qualcuno pensa che l’attendente di madamigella Oscar abbia un altro ruolo di notte. Stavo pensando che forse è per quello che vostra sorella ha fatto tutte quelle strane domande.”

Restai di nuovo basita, ma non potei reprimere una risata che aveva il suono di una menzogna.

“Cosa? In casa mia c’è chi pensa che mia sorella, il severo Colonnello Oscar e Andrè siano amanti?! Stai scherzando, spero!”

“No, signora contessa, sono molto seria.”

Non riuscii più a contenermi. Ero spaventata e mi sforzavo di nasconderlo, manifestando un’ indignazione solo apparente.

“Credimi Ninette, non ho mai sentito una cosa più ridicola di questa. Mia sorella non cederebbe mai a certe pratiche con un servo, anche se affezionato. Inoltre, non farebbe una cosa simile con un uomo che per lei è quasi un fratello. Lei e Andrè sono cresciuti insieme; tra loro c’è un’amicizia sincera e profonda, ma niente altro. Ma come è venuta fuori un’idea del genere?”

“Una delle cameriere che serviva il pranzo ha sentito il Conte di Fersen fare quel commento sulle relazioni tra servi e padroni; subito dopo madamigella si è allontanata e qualcuno giurava che pareva mortalmente offesa, come punta sul vivo. Da lì è nato tutto. Aggiungete il fatto che lei e André sono spesso insieme…”

“Incredibile!! Ci sarebbe da ridere, tanto la cosa è assurda. Tutta colpa di Fersen e delle sue idee balzane!” Esclamai con eccessivo impeto.

Tra me, mi ripromisi di dare una strigliata energica alla servitù; non volevo che certe dicerie arrivassero all’orecchio del Conte Recamier, ai miei figli Monique e Bastien che nutrono una vera adorazione per la loro coraggiosa zia, o peggio alla stessa Oscar.

Ma se non fossero state semplici sciocchezze? Non avevo io stessa il dubbio che l’ amicizia particolare, troppo intima tra Oscar e Andrè fosse il preludio pericoloso a ben altro? Qualcosa che diventava così evidente anche a occhi estranei, non era indizio di un fatto reale?

Era un’ evenienza che avevo valutato anch’io, e che stavo cercando di verificare. Era qualcosa di concretamente possibile.

Ma soprattutto, era qualcosa con cui neppure io avrei potuto competere.

 

Ormai ero pronta; i miei ospiti mi attendevano nella sala della musica, un ambiente accogliente e raffinato dai toni sobri ed eleganti, dove passavo molte serate in compagnia di amici e conoscenti, dove invitavo musicisti e intellettuali.

Lasciai la mia stanza e mi incamminai senza fretta verso le scale che portavano al piano inferiore; per raggiungere la sala attraversai un ampio corridoio del mio palazzo. Sulle pareti a intervalli regolari, sfilavano in una lunga serie, i maestosi, cupi e autocelebrativi ritratti degli antenati della famiglia Recamier.

Il più antico risaliva al 1533 e rappresentava il vecchio arcigno Eugene Luis Simone, VI° Conte Di Recamier, diplomatico e ambasciatore del Re di Francia alle corti di mezza Europa.

Detestavo quei quadri, opere di oscuri e mediocri pittori, privi del guizzo genuino del vero talento; li avrei fatti togliere tutti, ma mio marito, del tutto privo di gusto artistico, non voleva rinunciare a quella pomposa ostentazione di illustre antica stirpe. Alcuni erano così detestabili ai miei occhi, così fasulli e retorici nella loro estetica che li avevo fatti coprire con dei drappeggi.

 

Arrivai davanti alla sala della musica.

Quella sera sarebbe stata Oscar a suonare per noi su mia richiesta, e lei aveva accettato di buon grado; percepii le note di Bach ancora prima di entrare nella stanza.

La trovai già seduta al piano, appena di fronte alla grande vetrata da cui entrava una luce crepuscolare. Un cameriere stava accendendo un candeliere posto su un tavolino in un angolo. Si inchinò al mio ingresso, per dileguarsi subito dopo aver terminato il suo lavoro.

Mia sorella sollevò il capo a incontrare il mio sguardo; le sue mani affusolate smisero di correre sui tasti ebano e avorio del pianoforte. Mi studiò un attimo e mi parve di leggere ammirazione nei suoi occhi inquieti.

Mi salutò cordialmente e io mi approssimai a lei.

“Che cosa vorresti ascoltare, Danielle?”

“Quello che vuoi tu, cara. Il conte di Fersen non ci ha ancora raggiunto?”

“Penso che sarà qui a breve; non rifiuterà certamente il tuo invito.”

Infatti comparve poco dopo, in tutto il suo splendore. Mi omaggiò esibendosi in un inchino cerimonioso, poi salutò Oscar con disinvoltura.

“Madamigella Oscar, non vedo l’ora di sentirvi suonare; sarà certamente appagante.”

L’apostrofò rivolgendole un ampio sorriso convincente, che mia sorella contraccambiò sincera.

Io aspettavo Andrè.

Non capivo perché non fosse ancora lì; di solito, seguiva Oscar ovunque e in ogni circostanza.

Non volevo chiedere di lui, manifestando così un interesse che non avrei dovuto avere e che non volevo rivelare di fronte a Oscar, che già pareva sospettosa.

Non tardò molto; ci raggiunse portando con sé alcuni fogli arrotolati e trattenuti da nastri rossi, che porse alla sua padrona.

“Ho chiesto ad André di procurarmi alcuni spartiti musicali che custodisci nella tua biblioteca; spero non ti dispiaccia Danielle.”

“Hai fatto benissimo. Sono ottime composizioni, ma vengono suonate assai di rado; un vero peccato.”

Andrè era in piedi, dietro Oscar seduta al piano; lo vidi indugiare qualche istante sul corpo di lei. La luce crepuscolare disegnava delle strane ombre sul suo viso e rendeva i suoi occhi verdi ancora più cupi.

Finalmente li alzò su di me; mi fissò a lungo, quasi incapace di distogliere lo sguardo e fui attraversata da un brivido di vero piacere, quando compresi che era ammirato. Indubbiamente gli piaceva ciò che stava guardando e io volevo piacergli.

Ma subito, si insinuò in me il maligno sospetto che stesse immaginando la donna che amava nello stesso modo, e tremai di disappunto. Non potevo sapere se mentre guardava me, lui pensasse a Oscar.

E con ogni probabilità era così.

 

Invitai mia sorella a suonare per noi e presi posto su una sedia.

Oscar attaccò il primo brano e restammo tutti in silenzio ad ascoltare il suo piccolo concerto; possedeva un grande talento naturale, un orecchio sopraffino per la musica e suonava il piano con la stessa naturale grazia con cui maneggiava la spada.

Fersen si era seduto poco distante; ogni tanto lanciava verso di me occhiate molto intense, tentando di attirare la mia attenzione. Io ricambiavo con sguardi discreti un po’ allusivi e gli regalavo i miei sorrisi più convincenti.

Ma dal Conte, il mio sguardo si allontanava e vagava per la stanza con apparente noncuranza; distratto si posava sulla tappezzeria, ne seguiva gli arabeschi floreali; scendeva su un oggetto qualsiasi dell’arredamento, magari l’arpa posta sull’angolo opposto, il fiocco che tratteneva una tenda o il prezioso orologio d’oro con i putti alati posato su una mensola. Ma da qualsiasi direzione, come fosse attirato da una potente calamita, tornava sempre su André.

E lì si fermava per lunghi istanti, incapace di fuggire da ciò che lo attirava.

Le note armoniose del pianoforte non le sentivo più.

Sentivo solo il mio cuore che batteva furioso e pareva volesse uscirmi dal petto, e il mio respiro si bloccava per un secondo e lo spazio attorno sembrava dilatarsi e poi restringersi; Andrè combatteva, opponeva resistenza ma non abbassava i suoi occhi quando incontravano i miei. Incredulo per quello che aveva compreso, mi scrutava attraverso il verde ombroso delle iridi, riflesso della sua anima taciturna e tormentata, dove mi pareva di poter leggere una muta straziante domanda.

O forse, era una supplica.

 

Non tentarmi, ti prego. Non chiedermi di tradirla.

 

Credevo di poter indovinare i suoi pensieri.

Ricordavo le sue parole di poche ore prima; André aveva intuito per chi batteva il mio cuore.

Sapeva che non era per il nobile svedese, anche se all’occorrenza, fingevo di essere affascinata da lui. Sapeva che indossavo una maschera di fronte a Fersen, e pure di fronte a Oscar, ma davanti a lui mi ero mostrata nuda.

Quasi non mi accorsi del momento in cui la musica si interruppe; mi ridestai in tempo per non farmi sorprendere da Oscar in quello stato di abbandono. Ma non l’avrei ingannata a lungo.

Mi giunse la voce allegra e senza pensieri di Fersen che si complimentava con lei.

Oscar gli aveva sorriso appena.

Un cameriere era comparso con un vassoio su cui c’erano dei calici di vino; mia sorella ne aveva preso uno, aveva bevuto un sorso e poi lo aveva posato di fronte  a sé, sul piano lucido e nero.

Poi attaccò a suonare un altro brano, ma più corto.

Nello spazio della sua breve esibizione, io continuai a osservare Andrè senza accorgermi delle occhiate oblique di Oscar, che intercettavano la direzione del mio sguardo. Era rimasto sempre fermo al suo posto, poco distante dalla finestra, non troppo lontano da Oscar.

Avvertivo nell’aria un’ insolita tensione, come se dovesse scoppiare un temporale da un momento all’altro, ma il cielo era apparentemente sereno e senza nuvole all’orizzonte.

Mi alzai dal mio posto per sedere accanto a Fersen, solo per poter essere più vicina ad Andrè. Nel compiere quei pochi passi, nascosi dietro il ventaglio una parte del mio viso, nel tentativo di velare l’occhiata fuggevole che rivolsi all’attendente.

Fersen mi disse qualcosa che non afferrai completamente; forse fu un complimento e finsi di esserne compiaciuta, rivolgendogli un grazioso cenno del capo, ma la calamita continuava inesorabile ad attirarmi come il sole attira i girasoli. Continuavano a sfuggirmi gli sguardi sospettosi di Oscar, un errore che non avrei dovuto fare.

Ero sempre stata scaltra in questo genere di situazioni, ma il mio trasporto appassionato era tale, che sottovalutai la prudenza. Soprattutto sottovalutai Oscar e il suo acuto spirito d’ osservazione.

Fui troppo sicura di me e della mia capacità di condurre il gioco con astuzia.

Tradivo gesti ed emozioni; passavano sul viso impertinenti e l’unico che le fraintendeva era Fersen, che si fece addirittura più audace nei suoi approcci.

“Danielle, posso osare dirvi quanto siete dolcemente affascinante stasera? Siete stupenda. Sarà un peccato per voi passare la notte da sola; una donna come voi non merita la solitudine di un letto vuoto e freddo.” Mi sussurrò all’orecchio con fare provocatorio, sfoderando il tono di voce più sensuale.

Forse, in una circostanza diversa, sarebbe anche riuscito a sedurmi.

Quando sentii le dita della sua mano solleticarmi il polso e risalire verso il gomito, sotto il pizzo della manica del mio vestito, provai un moto di profondo fastidio che mi imposi di nascondere. Doveva continuare a credere di avere un certo ascendente su di me e che io volessi soltanto prolungare il gioco del corteggiamento.

Alzai il ventaglio di seta cangiante all’altezza delle mie labbra vermiglie e sorridenti, e risposi con pari audacia alla sua provocazione.

“E vorreste essere voi a scaldare la mia alcova, conte?”

“Solo se lo volete anche voi.”

Mi prese una mano e la baciò.

“Forse troverete soddisfazione, ma dovrete guadagnarvela. Quando lo vorrò, ve ne accorgerete.”

E lo lasciai nell’ansia, nell’attesa fremente della promessa di una notte.

“Debbo confessarvelo; spero sia presto.” Sospirò un po’ deluso, ma ancor più acceso di aspettativa.

Aspettativa che non avrei mai soddisfatto.

 

Oscar aveva continuato la sua esecuzione al piano, ma fu interrotta dall’ingresso tumultuoso dei miei figli che volevano salutare la loro zia prima di andare a dormire. Ninette aveva cercato di bloccarli, per riportarli nelle loro stanze, ma con scarsi risultati.

“Scusatemi, madame. Stavo per metterli a letto, poi la contessina ha insistito per dare la buonanotte a madamigella Oscar e ha trascinato con se il fratellino.”

Monique si era avvicinata al piano dove Oscar l’accolse con un sorriso.

“Domani giocherete con me, vero Oscar? Prendo le spade finte di mio fratello e giochiamo ai pirati.”

“No, le mie spade no! Non vanno bene per le femmine!” Protestò corrucciato il piccolo Bastien.

Oscar rise.

“Domani, Monique. Ora vai a dormire, piccola mia. Anche tu, Bastien. Da bravi, seguite la vostra governante.”

Salutai i miei bambini con un bacio, prima di vederli sparire dietro le gonne della fedele e paziente Ninette.

 

Una strana euforia gravitava nell’aria, pregna dell’ odore impercettibile della cera sciolta che si mischiava perdendosi con quello dei mazzi di fiori posti nei vasi ai quattro angoli della stanza.

L’atmosfera un po’ eccitante, mi fece desiderare di ballare; volevo muovermi, liberare la strana energia che mi scorreva sotto la pelle; volevo che André guardasse i movimenti del mio corpo, volevo che capisse che danzavo per lui. Così, chiesi a Oscar di suonare qualcosa che avesse un ritmo diverso.

Lei mi assecondò e non immaginai che avrebbe approfittato di quell’ innocuo espediente con studiato calcolo.

Fersen mi invitò a danzare e io accettai con entusiasmo e innocente malizia; lo spazio non era molto, quindi eseguimmo alcune semplici figure al centro della stanza, accostando le nostre mani.

Fersen mi sorrideva affascinato e non risparmiava complimenti e adulazioni.

“Avete una luce particolare negli occhi, contessa. Sembrate così viva, questa sera.”

“Forse, perché mi sento così.” dissi girando su me stessa, mentre di sottecchi cercavo la figura di André.

Non avevo pensieri, solo la gioia di ballare che mi alleggeriva il cuore, unita al piacere di essere ammirata dall’uomo che mi faceva tremare il cuore.

 

Ma Oscar, all’improvviso smise di suonare.

 

“Conte di Fersen, so che anche voi siete un valente musicista; perché non suonate voi, al posto mio?”

“Volentieri, se la cosa non disturba Madame Recamier, che sono certo preferirebbe ascoltare voi.”

“Non ti dispiace, vero Danielle?”

“No, Oscar. – Risposi - Vi prego conte, mi farebbe piacere ascoltarvi. Non ditemi di no.”

“Non potrei mai negarvi qualcosa, contessa. Ma vi avverto, non sono bravo come madamigella Oscar.”

“Oh, non siate modesto; sappiamo che siete un uomo dai molti talenti.” Lo incoraggiò lei.

Ma il tono che aveva usato mi parve ambiguo.

Lo svedese si avvicinò al piano e Oscar si alzò per cedergli il posto.

Io stavo per sedermi, ma la voce ferma di Oscar mi bloccò sul posto.

“Mia sorella vuole danzare, Fersen. Suonate qualcosa di adatto, ve ne prego.”

 

Le mani del conte iniziarono a volare sui tasti, prima lentamente, poi aumentando il ritmo.

“Vorrà dire che dovrò danzare con te, Oscar. Sarà divertente.”

Commentai con un sorriso, che finì per morire sulle mie labbra.

“E perché mai? André può essere il tuo cavaliere. - Mia sorella si voltò verso il suo attendente che fino a quel momento era rimasto fermo e silenzioso a osservare tutta la scena; dalla sua espressione, anche lui pareva stupito. – André, per favore, danza con Danielle.”

Una richiesta che aveva tanto l’aria di un ordine.

Fui colta da un brivido che mi corse veloce sulla pelle, mentre gli occhi di Andrè carichi di dubbi, si posavano prima su di me e poi su Oscar, la cui espressione era indecifrabile: il suo volto appariva rilassato, non una ruga solcava la sua fronte distesa, ma la strana luce fredda che le balenava nello sguardo mi inquietò.

André si dimostrò indeciso per pochi secondi.

Quando a passi lenti avanzò verso di me, il mio cuore tremò un istante ed ebbi paura; lo stomaco si contrasse in uno spasimo e una strana agitazione mi prese. Il mio respirò accelerò, sollevando il mio petto costretto nel bustino dell’abito. Come si fa a non tradire se stessi nei momenti cruciali? Le mie mani sudavano mentre stringevo convulsa il ventaglio. Tentavo disperatamente di dominare il potente turbamento che bloccava le mie gambe e la mia lingua, incapace di pronunciar parola.

Attorno un silenzio che pareva dilatarsi nei nostri sguardi che si incontravano.

Poi sentii le sue mani sfiorare gentilmente il mio corpo, allacciarsi alla mia vita. E fui trasportata solo dalla musica del pianoforte che invitava i nostri corpi alla danza. La luce soffusa, tremolante delle candele rendeva l’atmosfera irreale, quasi fatata. Le mie gambe e le mie braccia seguivano i movimenti di Andrè, il mio sguardo si perse a lungo in quel fuoco verde in cui sarei potuta annegare, dimentica di ogni altra cosa o persona che fosse in quella stanza, tra quelle quattro pareti. André mi teneva tra le braccia e il suo sguardo mi seguiva, mi circondava e mi catturava, mi stregava annebbiando quasi la mia mente e in un istante sentii che anche lui avrebbe potuto perdersi in quel nostro abbraccio.

Che cosa vedesse lui in me in quell’attimo perfetto, lo ignoravo totalmente; forse ero solo il fantasma meraviglioso della gemella che lui amava. Forse ero il sogno proibito e più segreto delle sue notti solitarie, una creatura evanescente come l’aurora, uscita dal buio della sua esistenza. Mi bastava appartenere ai suoi sogni e magari col tempo mi sarei trasformata in qualcosa di vero, in una donna fatta di carne e sangue, emozioni palpitanti e passioni brucianti.

 

Ma l’incanto non durò a lungo, si frantumò come un sortilegio maligno nell’istante esatto in cui colsi iridi turchesi come le mie, guardarmi fisso; in un passo di danza, André si era trovato di spalle a Oscar, e io avevo puntato i miei occhi nella sua direzione.

Forse, in un moto inconscio, avevo cercato quello sguardo.

Per sfida o per gioco.

Il sangue si gelò nelle mie vene, di fronte alla gelida furia che straripava da quello sguardo.

Un’ ira silenziosa, cupa come il rombo di un tuono che si coglie in lontananza.

Mi attraversò l’anima come una folgore.

Mi fece male.

Oscar, il mio riflesso, lo specchio in cui potevo riconoscermi mi restituiva un’immagine ignota.

Non ricordavo che in tutta la vita, mi avesse mai guardato così.

Oscar era furente e mi fece paura.

 

 

Continua…

 

 

 

 

   
 
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