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Autore: Dira_    08/09/2011    16 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLI




 
 This is my life, It’s not what it was before
All these feelings I’ve shared
Somebody shake me, ‘cause I, I must be sleeping
(Far away, Staind)¹
 
26 Dicembre 2022
Scozia, Hogwarts, Lago Nero. Mattina.
 
Non era stato affatto semplice richiedere un permesso per perquisire il vascello di Durmstrang.
Naturalmente, politica.
Ron aveva passato un’intera, prima mattinata rimpallato tra l’Ufficio Cooperazione Magica Internazionale e quello dei Giochi e Sport Magici. Se nel secondo caso aveva trovato porte aperte e grandi sorrisi – la maggior parte dello staff era composto da vecchi compagni di Casa – naturalmente il Dipartimento di riferimento di Draco Malfoy – sebbene quest’ultimo fosse ancora in ferie - era stato più restio a concedergli la firma sul dannato modulo di permesso di indagine.
Nora in tutta quella trafila era stata molto utile. La sua influenza transnazionale e le sue chiamate rapide via camino all’ufficio centrale di Boston per contattare ‘amici di amici’ avevano snellito i tempi d’attesa.
Alla fine Ron era tornato in ufficio seguito dalla donna, nervoso ma trionfante, stringendo in pugno il cuoio che rivestiva le bolle ufficiali con tanto di firme-che-contavano.
Harry allora aveva chiesto se poteva accompagnarli, dato che dopotutto non era sua l’indagine. Era stato guardato dall’amico con divertimento, tanto quanto da Nora.
“Harry, pensavo fosse scontato…” Aveva ironizzato l’americana.
 
Così, una materializzazione ad Hogsmeade e una lunga camminata nel parco imbiancato di Hogwarts più tardi, si trovarono di fronte al vascello della scuola nordica. Era completamente sprangato e le vele ammainate. Sembravano non voler neppure comunicare con l’esterno.
Non penso stiano semplicemente dormendo.
“Da ragazzino mi faceva impressione.” Commentò Ron storcendo appena le labbra. “Mi sa che non ho cambiato idea.” Si scrollò poi la neve dal mantello e ordinò ai due giovani auror, una versione ridotta della sua squadra, di rimanere sulla banchina a tenere la guardia. Sembrava essere perfettamente concentrato sulle indagini, ma Harry sapeva quanto e come avesse la testa da tutt’altra parte.
Con quello che è successo ieri, temo sia normale.
Non se la sentiva di solidarizzare troppo con l’amico però, e dunque giustificarlo.
Dopotutto Scorpius, carattere esibizionista a parte, è un bravo ragazzo. Luzhin ho paura che non lo sia.
Ad un certo punto della serata peraltro aveva perso Lily di vista; solo grazie alle rassicurazioni di Hugo, che aveva detto lui fosse tornata alla Torre di Grifondoro, non era andata a cercarla forsennatamente per tutti i sette piani del castello.
Essere obbiettivo… è da un anno a questa parte che è un’opzione.
Prima Thomas, adesso Lily…
Ron nel frattempo si era avvicinato all’entrata principale. La passerella di imbarco era ancora lì, ma il boccaporto di ingresso era chiuso. Lanciò lui uno sguardo ed Harry gli fece cenno, un po’ scoraggiato, di bussare.
“Non credo vi sentiranno.” Obbiettò Nora.
“Credo che abbiano i loro modi, invece.” Replicò Harry, lanciando uno sguardo al cielo livido sopra le loro teste. Minacciava pioggia o molto più probabilmente, nuova neve. Inoltre, la superficie violacea del lago e il legname scuro di cui era fatta la nave aggiungevano cupi dettagli ad un quadretto già poco allegro.
Sono passate solo poche ore dal Ballo, ma sembra che Durmstrang se lo sia ben lasciato alle spalle.
Un rumore di chiavistello girato nella toppa li fece voltare. Dalla porta uscì un ragazzo, seguito da altri due che gli stavano alle spalle, in formazione di stampo militare.
Vedendoli, fece un breve inchino, imitato dagli altri due. “Il mio nome è Dionis Radescu.” Si presentò. “Primo Ufficiale di coperta. Posso fare qualcosa per voi?”
Il tono era garbato, ma Harry si accorse dello smarrimento negli occhi degli altri. Il giovane ufficiale era invece più calmo.

O più controllato.
“Capo-squadra Ron Weasley.” Si presentò Ron, un po’ sconcertato: non era certo abituato a rapportarsi in via ufficiale con ragazzi coetanei ai suoi figli. “Abbiamo bisogno di scambiare qualche parola con Sören Luzhin.”
Radescu stavolta tradì sorpresa, mostrando alla perfezione i suoi diciassette anni. “Luzhin…” Si riprese subito però, irrigidendosi maggiormente nella posizione di attenti. “Se è un inchiesta ufficiale devo vedere i permessi. Altrimenti non mi è concesso lasciarvi passare.”

Questi ragazzi si rapportano al mondo come fossero soldati. Merlino, sono felice che i miei figli siano tutti nati nell’orbita di Hogwarts.
“Devo farli vedere a te?” Non riuscì a trattenersi Ron. L’allievo non fece una piega e annuì cortesemente.
“Temo di sì, signore. Come ho detto, sono l’ufficiale in carica. Il nostro Direttore è al momento assente.”
“Dove?” Si intromise Harry.

“All’Istituto.” Fu la pronta risposta. “Preparativi, Signore.” E rimase in silenzio, attendendo.
Ron con uno sbuffo e un’occhiata esasperata nella sua direzione glieli tese. Il ragazzo li scorse con lo sguardo; dietro l’aria formale era smarrito, come un qualsiasi adolescente che aveva di fronte agenti della polizia magica.
Com’è normale, grazie a Merlino.
Riconsegnò loro i documenti. “Prego, da questa parte.” Disse, facendo cenno agli altri due di farli passare: essendo di stazza piuttosto considerevole, con la loro sola mole avevano bloccato l’entrata.
Entrarono dunque dentro la pancia ‘del mostro’: Lily l’aveva appellato così nella loro corrispondenza autunnale e Harry trovava che avesse centrato perfettamente il punto. Era quella l’impressione che si aveva camminandovi dentro. Radescu e compagni illuminavano loro la strada con la bacchetta, ma era un rimedio  esiguo per contrastare le tenebre umide e dal sapore salmastro che li circondavano.
Harry fu piuttosto sollevato quando finalmente varcarono un boccaporto accedendo ai piani superiori; c’era luce almeno, seppur poca e filtrata dagli oblò.
Quei corridoi non erano però più animati; si sarebbe aspettato più vivacità da una scolaresca maschile priva del suo Direttore. Invece non volava una mosca.
“Dove sono gli altri studenti?” Chiese Ron anticipando la sua domanda.  
“Nelle proprie cabine.” Fu la risposta. “La partenza è oggi, dobbiamo mettere ordine nei nostri effetti personali prima di salpare.”
Harry non ricordava così gli studenti di Durmstrang: li ricordava sì un po’ rigidi, ma non così formali, e non così privi di…
… non sembrano neppure ragazzi.
Non c’era spontaneità nell’espressione del giovane ufficiale Radescu né tantomeno in quelle dei suoi due subalterni. Questo non significava però che non vi fosse nulla.
C’è eccome.
Sembravano controllati. Controllati da qualcuno, ma non da un incantesimo. Non c’era nessun imperio, ma Harry sentiva l’aria tesa, costretta.
“Ehi, ma è questa la direzione delle cabine?” Chiese Ron all’improvviso. Harry, preso dai suoi pensieri, non si era ben accorto della direzione presa; in effetti non avevano oltrepassato le fitte porte dei dormitori.
“Pensavo avreste preferito accomodarvi nel nostro salotto degli ospiti.” Obbiettò Radescu.
“Preferiamo andare direttamente da Luzhin.” Replicò Ron spiccio. “Portaci alla sua stanza.”
 Questo si limitò ad annuire.
Tornarono indietro, e dopo una manciata di minuti furono davanti ad una porta. L’alloggio non sembrava più spazioso o migliore rispetto agli altri. Sembrava che nel vascello regnasse un clima egalitario, ben diverso dello smaccato trattamento di favore che Krum aveva avuto anni prima.
Radescu bussò alla porta due volte prima che gli venisse aperto. Non fu Luzhin a presentarsi però, ma un ragazzo bassetto, dalla barba caprina e gli occhi assonnati.
L’assistente. Quindi dividono anche la camera…
Si lanciò un’occhiata con Ron e intuì che l’amico aveva pensato alla stessa cosa.
Non può non essere coinvolto, se lo è Luzhin.
Il ragazzo si rivolse aspramente al giovane ufficiale, con un tono così irriverente che era chiaro che fosse qualche gradino sopra nella scala gerarchica. Poi li vide e l’espressione mutò completamente.
Ecco, questa è un’espressione spaventata come si deve.
“I Signori sono qui per parlare con Luzhin.” Spiegò calmo Radescu, in inglese. “Kiriev, falli passare.” Aggiunse poi con tono sbrigativo vedendo che l’altro non accennava nessun movimento.
“Dov’è Herr Direktor?” Chiese, e per tutta risposta si piazzò di fronte alla porta. Radescu serrò appena le labbra, in una chiara smorfia spazientita e nervosa.
“È fuori. Hanno i permessi di indagine. Dov’è Luzhin?”  
Stava accadendo qualcosa, intuì Harry. Era chiaro che il Primo Ufficiale volesse collaborare, forse per non attirare attenzione su di sé o forse perché loro erano adulti e tutto quello era ufficiale.
Quel Kiriev invece stava chiaramente facendo ostruzione, e la stava facendo perché era nel panico.  “Ragazzo, togliti di lì o penseremo che tu non voglia farci entrare.” Lo avvertì Ron stufo di doversi relazionare formalmente con ragazzi che avrebbe invece voluto sgridare.
“Io…”
“Che sta succedendo?” Una voce dall’interno della cabina lo fece ammutolire. Harry la riconobbe come quella di Luzhin. Poco dopo infatti entrò nella loro visuale; era stato probabilmente colto di sorpresa nelle sue abluzioni mattutine a giudicare dalle ciocche di capelli umidi e la mancanza della giacca dell’uniforme che sembrava parte obbligatoria del vestiario degli altri. Fece cenno all’assistente di spostarsi e quello lo fece senza fiatare.
“Posso esservi utile?” Chiese con la stessa formale cortesia di Radescu. Harry provò a trovare qualche segno di sorpresa o preoccupazione nella sua espressione. Non c’era. Di nuovo, non c’era niente.
Occluso anche stavolta?
Non deponeva certo a suo favore.
“Vorremo scambiare qualche parola con te, ragazzo.” Riprese Ron. “A proposito della Prima Prova.” Poi lanciò uno sguardo anche al caprino assistente. “E anche con te.”
Ancora nessuna reazione percepita da parte del tedesco. Harry lanciò un’occhiata a Nora, ma la donna gli rimandò uno sguardo privo di risposte.

Ancora troppo presto per farsi un’idea.
“Certo.” Dichiarò neutro. “Ma prima vorrei sapere…”
“Qual è il problema?” Sbottò l’altro, interrompendolo. “E poi, avete il diritto di stare qui?Questo è suolo di Durmstrang, e…”
“Hanno i permessi.” Si inserì Radescu, ma non guardò lui, ma Luzhin. “Li ho visionati io.”
Ci fu uno scambio di sguardi tra quest’ultimo e il giovane ufficiale. Poi Luzhin fece un lieve cenno della testa. “Va bene.” Disse. “Suggerirei però di spostarci nel salotto degli ospiti, temo che la nostra cabina sia troppo piccola.”

In effetti, l’ambiente non dava la possibilità di ospitare cinque persone. Conteneva a malapena due cuccette, una piccola scrivania e due bauli simmetrici aperti a mostrare un contenuto in linea con gli oggetti che avrebbe dovuto avere un qualsiasi studente. Lo sguardo di Harry però fu catturato da qualcosa di bianco che sporgeva dal baule alla sua sinistra. Una sciarpa bianca, stonata in tutti quei colori bosco, scuri.
La riconobbe: era la sciarpa che Lily aveva sferruzzato per buona parte delle vacanze di Natale.
Si sentì improvvisamente fissato. Si voltò verso Luzhin, ed era proprio lui: doveva aver intercettato il suo sguardo e l’oggetto che l’aveva colpito. Vi si frappose.
“Saremo da voi tra pochi minuti.” Disse il ragazzo. “Dateci solo il tempo di prepararci.”
Sappiamo entrambi che gliel’ha fatta mia figlia.
Non sapeva cosa significasse, ma sapeva una cosa: non gli piaceva.
 
****
 
“Cosa facciamo adesso?!”
Sören stava tentando di pensare, ma non era facile dato che Poliakoff stava avendo una vera e propria crisi di nervi.

“Sören, cosa facciamo!?” Si agitava, sudava e non voleva rimanere fermo nella cabina, riempendola di passi e parole. “Quelli sospettano di te, di noi! Hai visto come mi ha guardato il rosso! Maledizione, siamo…”
“Sta’ zitto.” Non serviva alzare la voce per farsi obbedire, se sapevi come usarla. E al momento l’ultima cosa di cui avevano bisogno entrambi, era urlare. Kirill infatti si bloccò, guardandolo in attesa. “Lascerai parlare me.” Aggiunse. “Risponderai solo se ti faranno delle domande dirette. Sii vago, non credo ti sarà difficile.”
Il russo serrò la mascella poco convinto. “Ti rendi conto di quello che sta succedendo?! Siamo nella merda!”
“Non lo saremo, se manterremo la calma.” Lo fermò, indossando la giacca e chiudendo gli alamari con cura. Era quello il trucco. Cura, perché non gli tremassero le mani.

Aveva notato lo sguardo di Harry Potter la sera prima. E come se non bastasse, c’era anche quell’agente americano. Inspirò.
Dopo quello che era successo con Lily…
La mano sbagliò l’incastro con l’asola e scivolò sul bottone d’osso. Ripeté l’operazione e finì di chiudersi il colletto.
Dopo ciò che era successo con Lilian, tutto era passato in secondo piano. Si era dimenticato dell’agente americano e dello sguardo analitico di Harry Potter.
Avevano fatto presto, troppo presto dal nutrire sospetti all’interrogatorio ufficiale.
Speravo saremo salpati in tempo per lasciarceli alle spalle.
Ma così non era stato e ora poteva solo mantenere la calma e farlo fare anche a Kirill.
Poliakoff si passò i palmi delle mani sul viso sudato. “Il Direttore non c’è, dobbiamo chiamarlo!”
“L’avrà già fatto Radescu.” Ribatté. “Vorranno controllare le nostre bacchette, prendi la tua.”
“Sei impazzito?! Scopriranno…”
“Non scopriranno niente, se lascerai parlare me come ti ho detto.” Il suo cervello lavorava febbrile, ma  era una condizione che durava dalla sera prima; non aveva dormito affatto, anche se con Kirill in stanza aveva finto.

I suoi sentimenti in quel momento dovevano essere disciplinati. Uno di essi, uno solo, una smorfia, un’espressione, avrebbe potuto tradirlo.
Aveva la bocca secca e il cuore in gola, ma paradossalmente era meglio rispetto alla sera prima. Tutto era meglio rispetto alla sera prima.
Infilò la bacchetta dentro il fodero attaccato alla cintura.
La forma prima di tutto. La forma, la disciplina che deriva da essa.
Quel mantra l’aveva sempre aiutato a mantenere la calma e funzionò anche quella volta.
“Kirill.” Si rivolse al ragazzo. Quello lo guardò spaventato: comprensibile. Avevano ben tre agenti a cui rendere conto, uno dei quali era nientemeno che il leggendario Harry Potter. “Torna in te e rifletti. Se hanno dei sospetti su di noi, non vuol dire abbiano delle prove. Forse è una semplice procedura, forse anche gli altri Campioni sono stati interrogati.”
“E se non fosse così?” Deglutì.

Vedeva finalmente oltre il cieco desiderio di distinguersi agli occhi di suo zio?
Era ironico pensare che Hohenheim con ogni probabilità neppure ricordava il suo nome.
Siamo pedine e nessuno ci perdonerà per ciò che abbiamo fatto. Nessuno mi perdonerà.
“Sören, se non fosse così?” Lo incalzò Poliakoff. “Se ce l’avessero proprio con noi?”
Si riscosse. “Allora non daremo loro modo di metterci all’angolo.”

L’altro annuì più rincuorato. L’idea di scaricare la responsabilità e il rischio a qualcun altro doveva tranquillizzarlo enormemente. “Va bene. Allora… andiamo?”
“Andiamo.” Convenne.

 
****
 
Non era esattamente facile sgattaiolare fuori dal letto quando il tuo ragazzo ti avviluppava nella stretta possessiva del suo bicipite da stramaledetto portiere di Quidditch, nonché Campione del Tremaghi.
Rose fissò il soffitto del letto a baldacchino di Grifondoro con cipiglio riflessivo.
Passare la notte con Scorpius era stato dannatamente, fottutamente – ogni tanto serviva qualche espressione colorita – imperativo. 
Aveva aiutato il fatto che alcuni studenti, compresi tutti i suoi cugini, avevano deciso di dormire ad Hogwarts e rientrare a casa con l’Espresso del giorno dopo. Era stata una buona copertura con i suoi. Beh, con mamma… papà ha borbottato qualcosa e sono sicura di non volerlo sapere.
Ovviamente anche lei avrebbe trascorso gli ultimi giorni a casa, ma quella sera, beh…
Era nostra. È stata nostra. Alla grande.
Sorrise appena, lanciando uno sguardo al volto addormentato del suo ragazzo.
Mio. Ah! Scapolo d’oro un cazzo.
Non aveva ancora parlato con i suoi genitori – cifrato, suo padre – ma andava bene così. Dopo l’exploit del ballo aveva preferito sgattaiolare via con il compagno alla ricerca di un posto appartato in cui passare finalmente del tempo assieme.
Ci sarà tempo per le spiegazioni… e mi sa che sarà un tempo mooolto lungo. Ad iniziare da questo pomeriggio, temo.
Ma andava bene. Non aveva più paura ora che aveva saltato quel maledetto fosso, ora che tutti, ma proprio tutti sapevano che amava Scorpius Hyperion Malfoy e che era ricambiata.
… nonostante questo, doveva davvero andare in bagno.
Sgusciò con una certa abilità dalla presa del ragazzo e si guardò attorno.
Uh…
Era il dormitorio dei ragazzi del Settimo e per una strana serie di coincidenze, Scorpius e lei erano stati gli unici ad usufruirne quella notte. Questo non significava però che quella camera non fosse un casino e che non vedesse la sua biancheria. Né la sua bacchetta per appellarla.
E no, neanche una maledetta camicia maschile. Ma dove abbiamo messo tutto?
Per un attimo folle pensò ad uno scherzo di James prima di ricordarsi che era tornato a casa con Ted di fronte ai suoi occhi.
Odio la mia famiglia.
Ricordando James, l’associazione di idee la portò a Lily. Doveva andare a vedere come stava.
Questo dopo essere andata in bagno ed essermi messa qualcosa addosso. Qualsiasi cosa.
Sbuffò vinta, afferrando la trapunta rosso oro che copriva il letto e tirandola via dal peso di Scorpius. In punta di piedi e avviluppata nell’enorme coperta si diresse verso il bagno.
Dopo circa cinque nanosecondi la risata di Scorpius riempì la stanza.
“Rosie, ma che stai facendo?” Lo spettacolo di Scorpius beatamente seminudo e sdraiato sul letto valeva sempre la pena di una lunga occhiata.
“Cerco di andare in bagno.” Replicò con dignità.
“E devi andarci come se dovessi affrontare una tormenta di neve?” Ghignò. “Andiamo, ti ho guardata tutto il tempo stanotte, e pure quando dormivi! Un sacco!” Si aprì in un sorriso. “Visione mattutina?”
Rose si sentì avvampare come un idiota. “Sei un maniaco.”
“No, sono il tuo ragazzo!” Replicò allegro, tirandosi a sedere. “Ed ho freddo, quella è la mia trapunta.”

Rose gliela lanciò praticamente in testa, con una mira che avrebbe reso suo fratello, il piccolo maniaco di Quidditch, orgoglioso e poi si tuffò in bagno tra le risate del deficiente.
Ehi, ognuno ha il proprio senso del pudore!
Tornare a letto e stringere Scorpius in un abbraccio e sentirlo così rilassato contro il suo seno però fu bello. Non ce la faceva proprio a rimanere arrabbiata con lui, anche se era un ridanciano cretino. Si beò di un suo lungo bacio, quello del buongiorno.
Adesso capiva perché Al, nel primo periodo del ritorno di Thomas, era sempre pronto ad eclissarsi.
La mancanza fisica diventa dipendenza.
“Buongiorno fiorellino di cactus.” Le sorrise Scorpius strofinando il naso contro la sua guancia. “Possiamo barricarci qui dentro per le prossime quarantotto ore?”
“Temo di no. Impegni familiari.” Ad uno sbuffo scontento, sospirò. “Sai come sono i miei impegni familiari. Non posso scappare, verrebbero a sfondarmi la porta.”
“Avete un karma schifoso, voi Potter-Weasley.”
“Mai stata più d’accordo.” Gli accarezzò i capelli, più corti sulla nuca e ancora più biondi. “… È Lily, sai.”
Scorpius alzò la testa, corrugando le sopracciglia. “Ah… già.” Ammise. “Ieri sera è stata piuttosto allarmante. Sembrava in preda alla Sindrome di Stoccolma.”

“Quella riguarda rapimenti o roba del genere…” Ricordò nebulosamente, scuotendo la testa. “No, sembrava più una specie di fidanzata maltrattata che non vuole denunciare il suo ragazzo. Lily non si è mai comportata così. I ragazzi…”
“… li comanda a bacchetta, ho notato. Però ha pur sempre quindici anni.” Sorrise appena Scorpius attorcigliando la catenina, suo regalo, attorno ad un dito. “… e possono esserci delle spiegazioni.”
“Scusa? Chi era pronto a fare la pelle a Luzhin ieri sera?”
“Ehi bambina, sono un Grifondoro, sono impulsivo.” Si strinse nelle spalle. “Ma, se come dici, la Piccola Potter non è quel genere di ragazza, allora forse la faccenda non è solo bianca o nera.”
Rose ci rifletté: Scorpius come al solito aveva ragionato ed aveva notato qualcosa che a lei invece era sfuggito alla grande.

“Lils di sicuro è cotta di Luzhin.” Disse infine. Era l’unica cosa che aveva chiara in quella faccenda. Non aveva in effetti idea di che tipo fosse il durmstranghiano. In quei mesi era stato l’ombra di Lily.
Di un’ombra non si capisce mai molto.
Scorpius rotolò al suo fianco per stiracchiarsi al meglio. Poi afferrò il cuscino, ficcandoselo sotto la testa e voltandosi verso di lei. “Beh, questo è normale.” Osservò. “Voi ragazze andate pazze per i belli e tenebrosi… guarda Dursley. È umanamente agghiacciante eppure tutte gli muoiono dietro.”
“Non io.”
“Per questo ti amo.” Replicò tutto un sorriso. Rose accantonò momentaneamente il discorso Lily per farsi baciare e stropicciare a dovere. In fondo il letto era caldo e loro erano ancora avviluppati nelle maglie del primo risveglio.

Non quarantotto ore, ma una mezz’oretta sì, miseriaccia …
 
Quando scesero per colazione, la Sala Grande era di nuovo tornata alla normalità. L’unico segno che la sera prima si era tenuta la festa erano i ghiaccioli ancora avviluppati alle travi che sostenevano la volta. Molti degli studenti erano già tornati a casa, ma i suoi cugini erano ancora tutti lì.
Osservò preoccupata la piccola Meike circondata da ben quattro serpeverde, il cui unico elemento adatto ad una bambina era suo cugino. L’aggiunta della Parkinson-Goyle e di Dominique non migliorava la situazione. L’undicenne però sembrava divertirsi un mondo tra quei loschi ceffi, a giudicare da come chiacchierava animatamente.
Al intercettò il suo sguardo e le sorrise, facendole cenno di unirsi a loro.
Ma anche n…
“Uniamoci a loro, mia diletta.” Replicò Scorpius passandole un braccio attorno alle spalle. Rose capitolò, dato che quel giorno il suo buonumore era tale da esser difficilmente scalfito.
“Avete passato una bella serata, vedo…” Ghignò Zabini intento a servirsi il the con precisione da piccolo lord qual’era. Smontava un po’ la sua espressione. “I vostri vestiti parlano per voi.”
“Gran serata! Un divertimento pazzo!” Convenne Scorpius, evitando una sua gomitata densa di imbarazzo e scostandole la sedia. “E voi?”
“Nessun ha ferite permanenti, quindi alla grande.” Esclamò Dominique tra sguardi sconcertati.

“Non eravamo in un’arena, razza di primitiva.” Sbuffò Violet. Rose le guardò: sì, erano davvero assurde di primo acchito, ma curiosamente sua cugina aveva un’aria meno matta affiancata alla francese.
“Parla per te, io mi ci sono sentita.” Rimbeccò Domi, prima di gettarsi sulla colazione.
Rose lasciò perdere le due – doveva ancora abituarsi all’idea bizzarra che la Veela-per-un-quarto avesse un interesse amoroso, al di là del sesso del suddetto – per guardare il tavolo occupato.
Lily non c’era. Guardò altri tavoli e vide Hugo in compagnia di amici, ma solo lui.

“Lils?” Chiese ad Al, che si strinse nelle spalle.
“Non è ancora scesa.”
Rose intercettò lo sguardo di Scorpius.

Allora non sta bene…
Sfortunatamente Tom intercettò il loro. “Le è successo per caso qualcosa?” Chiese, intempestivo come un Nato Babbano ad un raduno di Mangiamorte. Difatti l’intera tavolata ammutolì, Meike compresa.
Dannazione!
Era pessima a tenere i segreti, e tra parentesi neanche voleva tenerlo, uno come quello. Avrebbe voluto dire tutto a James ed Al perché facessero giustizia piuttosto.
Giustizia di muscoli e cervello da fratelli maggiori.
“Credo abbia litigato con il suo cavaliere.” Fu lesto a rispondere Scorpius, mago nelle bugie dette a metà.
“Con Luzhin?” Si intromise Al, con una delle sue famose espressioni calcolatrici che giustificavano la spilla che aveva appuntata al petto. “Nulla di grave, spero.”
“Non ci è sembrato grave, no.” Sorrise Scorpius, prima di servirsi una generosa porzione di torta alla melassa. “Ma dovreste chiederlo a lei… noi l’abbiamo solo riaccompagnata alla Torre, vero fiorellino?”
In effetti…

Al avrebbe di certo chiesto spiegazioni alla sorella a giudicare dalla sua espressione e Rose si sentì un filino meno colpevole. “Sì.” Una semplice sillaba poteva dirla. Detto questo, preferì riempirsi la bocca con la colazione piuttosto che usarla per parlare.
Non mi piace. Non mi piace questa storia… perché Al ha quella faccia lì?
Evitò con cura di guardare nella direzione del cugino. Aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, ma sperava, per la prima volta in vita sua, che la sua espressività l’avesse già tradita alla grande.
 
****
 
“Possiamo offrirvi qualcosa da bere? Vino, un distillato?”
Forse c’era un corso opzionale a Durmstrang sul come mantenere la calma fino a rendersi insopportabili, rifletté Harry. Luzhin li aveva fatti accomodare in un salottino sfarzoso, dove il colore predominante era il rosso vinaccia e il verde militare dello stendardo della scuola. Ron, alla sua destra, sembrava trovare la poltrona molto scomoda. Harry poteva capirlo: il cuoio di cui era rivestita era duro come un osso.
Certo non hanno l’ospitalità nel sangue …
“No grazie.” Replicò senza sorridere, imitato da Nora e l’amico.
Luzhin annuì leggermente. “Come preferite.”
Il silenzio cadde come una coperta pesante. Ron si schiarì la voce. “Iniziamo dalla Prima Prova…” Esordì. “Cos’è successo dopo che sei rientrato nella tenda?”
Il ragazzo rifletté brevemente. “Sono stato curato dall’infermiera per una ferita al braccio. Mi sono seduto sul lettino che mi era stato assegnato e poi ho aspettato la conclusione delle prove degli altri due concorrenti.”
“Non hai notato niente di strano durante quel lasso di tempo?”
“No, non direi.” Scosse la testa. “Inoltre non mi era concesso allontanarmi dalla tenda.”  

“Sì, questo lo sappiamo.” Ron fece un gesto evasivo con la mano, poi si rivolse all’assistente. “E tu dove ti trovavi?”
Lì era tutta un’altra storia. Harry poteva vedere il sudore condensarsi sulla fronte del ragazzo e da come teneva le mani ancorate ai braccioli era chiaro si frenasse dal torcerle l’una contro l’altra.
Nervoso. Non che sia indice di colpevolezza, ma comunque…
“In tenda. Suono asistente, dovevo… insomma… asistere?” Mormorò incespicando sulle vocali. “Io…”
“È stato con me tutto il tempo.” Si intromise Luzhin quietamente. Rispondeva a Ron, ma Harry sentiva lo sguardo su di sé. Era chiaro che lo ritenesse il suo vero interlocutore. Ogni tanto qualche occhiata era riservata anche a Nora.  

Ron inarcò le sopracciglia. “Ah. Però i Tiratori di guardia alla tenda hanno detto che ti sei allontanato, ad un certo punto…”
“Duovevo andare in bagno!” Esclamò frettoloso. “In tenda no c’era!”

“Certo, certo.” Lo rassicurò Ron, usando il suo famigerato tono ironico, famoso per far perdere la calma alla maggior parte dei suoi interrogati. “E sei tornato subito?”
“No.” Fu di nuovo Luzhin a rispondere. “Poi c’è stato l’attacco dei Dissennatori.”
“Mi piacerebbe che rispondesse il tuo amico.” Lo riprese Ron.

“Mi scusi.” Fu la cortese risposta. Ad Harry però non sfuggì il lieve cenno di permesso che diede al russo.
Può essere anche rigida gerarchia scolastica, ma è chiaro qui chi tiri le fila, dei due.
“Come ha detto Sören…” Borbottò Poliakoff. “… è diventato tuto nero. Mi sono spaventato e sono scapato verso castello, cuome tutti.”
All’occhiata interrogativa di Ron, Luzhin diede la sua risposta. “Sono rimasto nella tenda finché non ci ha aggrediti un Dissennatore. Qualcuno deve aver castato dei patronus. Nella fuga ho sbattuto contro qualcosa, non si vedeva nulla. Ho perso i sensi. È l’ultima cosa che ricordo.”
Quel ragazzo non usava subordinate. Frasi staccate piuttosto, frasi esatte. Forse era per via della barriera linguistica, ma Harry non ne era del tutto sicuro.
Merlino, parla come un robot.
“Un ricordo comodo.” Commentò Ron a mezza bocca. La reazione, prevista e voluta, però non arrivò; Luzhin si limitò a guardarlo incolore, aspettando evidentemente la prossima domanda.
Dava enormemente ai nervi.
“Non ricordi proprio nulla di quel lasso di tempo?” Gli chiese allora Harry. “Sei stato trattato per un aggressione da Dissennatore. Qualcuno deve averti soccorso.”
La mano posata casualmente sul bracciolo si contrasse appena sulla punta delle dita. “No.” Disse però con voce chiara. “Ero incosciente. Suppongo sia stato uno dei vostri.”
Harry sospirò impercettibilmente: non c’erano appigli, né tentennamenti. L’anello debole era chiaramente l’assistente, ma era chiaro che la presenza di Luzhin lo controllasse abbastanza da non farlo cadere in contraddizione.
Avremo dovuto interrogarli separatamente, dannazione. Ormai è troppo tardi.
 “Abbiamo saputo…” Continuò Ron. “… che non era la prima volta che visitavi l’infermeria di Hogwarts.”
“È vero.” Confermò. “Ho avuto un malore mentre mi allenavo. I rischi di essere un Campione…” Sorrise appena. Un’aggiunta oculata, distensiva.
Questo ragazzo non risponde alle domande. Gioca una dannata partita a scacchi!
“Eri molto lontano dal terreno concesso per gli allenamenti ai Campioni stranieri.” Obbiettò Ron. “Sei stato ritrovato ai cancelli di Hogwarts. Può dirci perché eri lì?”
“Mi ero allontanato per prepararmi su un terreno accidentato, quale quello del bosco è.” Spiegò. “Non mi ero reso conto di essermi allontanato tanto. È stata una fortuna che Potter e Dursley mi abbiano trovato.”

“Avevi del ghiaccio sulle scarpe, Luzhin.” Ron scoccò quella freccia con maestria, facendoglielo semplicemente notare. Non era ancora un’accusa. “Non faceva così freddo. La nostra idea è che tu ti sia materializzato fuori dai cancelli e lo sforzo ti abbia fatto perdere i sensi.” Fece una pausa. “Dov’eri andato?”
Lo sguardo del ragazzo perse di colpo ogni espressione gentile. Quello l’aveva messo in allarme, finalmente. Sorrise, ma era una smorfia meccanica, senza nessun calore. “Da nessuna parte. Correggetemi se sbaglio, ma i cancelli di Hogwarts sono di norma protetti da incantesimi. Come avrei fatto a materializzarmi allo stremo delle forze e forzare subito dopo il cancello?”
Buon punto…
“Forse hai perso i sensi dopo.” Obbiettò Ron senza scomporsi. “Quel che è evidente è che non ti stavi allenando.”
“Quel che è evidente, con tutto il dovuto rispetto agente, è che non avete prove per dimostrarlo.” Ribatté. Il tono aveva perso la calma di prima. Era chiaro che non si aspettava sapessero della sua piccola fuga.  

“Non abbiamo prove, ma…”
“No, non le avete.” Lo interruppe. “Come non ne avete che io o il mio assistente abbiamo portato i Dissennatori ad Hogwarts.”
Tutte le carte erano in tavola ed erano state brutalmente calate. Ron gli lanciò un’occhiata, quella definitiva, del passaggio del testimone.

Harry prese quindi la parola. “Ammetterai Sören, che una sparizione priva di spiegazioni e il fatto che il tuo assistente si sia assentato proprio prima dell’attacco diano da pensare.”
“La mia sparizione è ancora da dimostrare e Kirill non era l’unica persona ad essere fuori dall’arena in quel lasso di tempo.” Il tono vibrava di molte cose non dette e la calma ormai aveva fatto posto all’aggressività. Ma sempre controllata, come un cane a cui stavano tirando il guinzaglio.

Ad Harry diede quell’impressione anche se forse l’immagine non era molto rispettosa.
“Stiamo soltanto facendo il nostro lavoro ragazzo. È anche nel tuo interesse che il colpevole sia preso.” Rimbeccò Ron. “Dovreste collaborare.”
“Lo stiamo facendo. Non ci siamo rifiutati di rispondere alla vostre domande.”

Harry fece cenno a Ron di non ribattere. “Sì, è vero.” Rispose. Com’era vero che quel colloquio non stava portando a nulla. Spunti, forse, ma nessuna risposta certa. In pratica un buco nell’acqua. Così Ron giocò la loro ultima carta.
“Dovremo chiedervi le vostre bacchette adesso.”
Il russo si agitò e, nonostante l’occhiata ammonitrice dell’altro. “Mi rifiuto!” Sbottò. “Non avete diritto di chiedere nostre bacchette, voi inglesi!”
“Kirill.” Mormorò Luzhin. “Ce l’hanno, hanno un mandato.” Si alzò in piedi, estraendo la propria dal fodero e porgendola a Ron dalla parte del manico. “Prego.” Vedendo che l’altro esitava gli fece un cenno piuttosto imperioso aggiungendo qualcosa in tedesco, un ordine esplicito probabilmente.

Il russo fece una smorfia e obbedì.
Ron eseguì l’incantesimo di reversione su entrambe le bacchette. Sotto i loro sguardi si avvicendarono lampi rossi, bianchi, molti incantesimi, la maggior parte dei quali di difesa, nel caso della bacchetta del Campione. E poi una serie ravvicinata di schiantesimi da quella del russo. Harry ne contò ben tredici.
Il numero di Tiratori Scelti di pattuglia all’arena.
Ron sembrò pensare la stessa cosa. “E tutti questi schiantesimi?”
“Kirill mi ha aiutato negli allenamenti. Li ha lanciati a me.” Spiegò Luzhin stringendosi nelle spalle. “Come avete potuto constatare negli ultimi tempi ho eseguito molti incantesimi difensivi.”
Sfortunatamente il Prior Incantatio non dava tempistiche. Inoltre dalla bacchetta del tedesco non risultava nessuna magia sospetta. Anzi; quella bacchetta non aveva un solo briciolo di magia oscura nel suo nucleo.
Luzhin la riprese, rinfoderandola con cura. “Se non c’è altro, agenti, dovremo tornare nella nostra cabina per gli ultimi preparativi prima della partenza.” Era di nuovo privo di espressione. Aveva vinto, capì Harry, e quindi si era tranquillizzato. “Chiamo Radescu per farvi accompagnare all’uscita.”
Dannazione.
L’irritazione era tale che dovette trattenersi. Al e Tom non si erano sbagliati, quel ragazzetto era storto da capo a piedi. Sembrava un soldato dedicato ad una causa, e la Thule era proprio il tipo di setta che prevedeva tipi del genere.
“Conosciamo la strada.” Disse Ron, allacciandosi il mantello. Nora non aveva aperto bocca per tutta la durata del colloquio ma Harry era certo, o meglio aveva la speranza che avesse altro da aggiungere usciti di lì.
Perché maledizione, stiamo brancolando nel buio.
Sören aprì loro la porta. Harry ebbe voglia di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’intimidazione non era trai suoi diritti di Capo dell’Ufficio Auror.
Non con gli stessi doveri era però Ron. Afferrò il tedesco per un braccio, talmente fulmineo che l’altro non ebbe neanche il tempo di scostarsi.
“Ascoltami bene moccioso.” Lo apostrofò strattonandolo verso di sé. “Non è finita qui.” Lo strattonò ancora per farsi guardare. “E un’altra cosa. Nessun sospetto frequenta la mia nipotina di quindici anni.”
“Agente Weasley.” Lo richiamò senza convinzione. Era quello che doveva fare in quanto capo, ma fosse dannato se era ciò che voleva.

Un lampo di rabbia invece passò nelle iridi del durmstranghiano. Stavolta l’Occlumanzia non poté frenare un’espressione furiosa. Il contatto fisico non richiesto era stato un innesco niente male.
“Di questo non si deve preoccupare.” Proferì duramente, strattonandosi via. “Lily è al sicuro.”
Lily è al sicuro?
Era una frase di cui lo stesso Luzhin si pentì all’istante, dall’aria che assunse. Non disse altro tuttavia, scostandosi per farli passare o più prosaicamente per invitarli a levarsi dai piedi.

Quando furono fuori dal salotto Ron eruppe in un’espressione colorita che né lui né Nora si premurarono di bacchettargli. “Col cazzo che Lily è al sicuro con quello!” Sbottò. “Se si avvicina ancora alla piccolina giuro che un paio di schiantesimi non glieli leva nessuno!”
Harry pensò a come Luzhin avesse nascosto la sciarpa regalatagli da Lily. Un gesto sciocco, istintivo. Un gesto che il ragazzo dell’interrogatorio non avrebbe fatto. Pensò anche a come sua figlia parlava di lui.
Certo, è ancora una bambina però…
Le aveva insegnato a non fidarsi delle persone solo perché erano gentili. E Lily in quelle cose aveva sempre imparato più in fretta dei suoi fratelli.
Ma anche se si fidava di sua figlia, non poteva semplicemente fare quello. Non avrebbe più permesso che nessuno dei suoi figli venisse messo in pericolo.
Il sospetto meno sospetto con cui abbia mai avuto a che fare. Merlino…
 
****
 
Lily non si era svegliata meravigliosamente. Per niente.
Si era svegliata da sola, di cattivo umore, dolorante e con un malditesta che sembrava una goccia cinese.
Probabilmente si era pure persa la colazione, dato che il sole ormai filtrava dalle finestre colpendo la porta del bagno; più semplicemente, era tardi.
Aveva indossato un paio di jeans ed un maglione, prendendoli dal guardaroba minimo permanente nel suo armadio scolastico ed era morbidamente franata sulla rientranza che dava sulla finestra. I terreni della scuola erano di un bianco compatto accecante, fastidioso.
Al momento infatti aveva gli occhi chiusi: non riusciva proprio ad aprirli e farsi uccidere dalla luce.
Uh, è come quella volta che ho voluto provare con Roxie il distillato di zia Muriel. È praticamente come avere di nuovo cinque anni ed essere in post-sbronza.
Lily, bambina cattiva.
Probabilmente era a causa dell’orecchino. Non se l’era ancora rimesso. Dovette dunque aprire gli occhi e gemere nauseata a tutta quella luce. Rovistò un paio di minuti nella pochette, sul comodino e dentro i cassetti.
Cavolo.
Non c’era: cercò di fare mente locale. La sera prima se l’era tolto in preda all’agitazione e ovviamente non ricordava dove l’avesse messo. Ma aveva già frugato nei luoghi in cui istintivamente avrebbe riposto qualcosa di piccolo.
L’ho perso?
Sarebbe stato un bel guaio. Sua madre probabilmente l’avrebbe uccisa. Al di là del costo del dispositivo, piuttosto alto a quanto aveva capito, non doveva stare senza.
Okay, teoricamente è tutto a posto. Per ora. Non è che sento niente, anche se sì, sono sola e non mi sento emotivamente stimolata, ma… oh, accidenti!
Si morse un labbro. Oltretutto non si sentiva bene, per niente. Forse erano stato il carico emotivo, forse quello magico, non ne aveva idea, ma si sentiva le guance scottare e un dolore diffuso alle ossa.
Febbre?
Un’ondata di ricordi la sommerse di nuovo e inspirò.
Ren. Che cavolo… razza di idiota.
Doveva assolutamente parlargli prima che partisse. Doveva capire che diavolo gli fosse preso e perché si fosse comportato come un bruto senza cervello.
Non proprio…
In realtà il comportamento dell’amico più che da bruto, era stato da psicopatico.
Sören era sembrato letteralmente terrorizzato da quel bacio; poteva non aspettarselo, ma non era precisamente quello il punto. Il punto era che le aveva detto di starle lontano.
Si rifiutava di sentirsi ferita, di sentirsi angosciata o confusa. Davvero, si rifiutava quindi non ci si sentiva. Avrebbe avuto le sue spiegazioni.
Le avrò e poi … sì, ci spiegheremo. Siamo amici, tra amici le cose si risolvono sempre.
Ci voleva ordine: prima di tutto doveva coprirsi bene, che se aveva veramente un’influenza in fieri non era il caso la tramutasse in simpatica polmonite, affezione, quella, che colpiva sia maghi che babbani. Fatto questo scendere ai piani inferiori, possibilmente non vista e sgattaiolare fino alla Roskilde – sì, si era pure imparata il nome di quella stupida, orribile nave.
Per entrare… beh, mi inventerò qualcosa o minaccerò di morte Poliakoff.
Con quel piano ben chiaro in mente si vestì e scese. Passò oltre la Sala Grande e ignorò la presenza dei suoi cugini e per fortuna fu ricambiata; non la videro, neppure Hugo.
A volte paga essere poco più alta di un maledetto elfo…
Scendere il leggero declivio che portava alla banchina di attracco non fu ugualmente semplice; il freddo, se inizialmente le aveva quasi fatto piacere, adesso le aveva reso la testa leggera.
Per la bacchetta di Morgana… perché non sono come Jamie, che non si ammala mai?
Quando fu a pochi metri dalla rimessa in cui venivano ospitate le barchette del Primo anno, vide qualcosa che per poco non la fece inciampare sui suoi piedi; suo padre, suo zio Ron, l’agente donna del DALM americano e un paio di auror erano appena usciti dalla nave.
Fece appena in tempo ad appiattirsi contro la parete della rimessa che le passarono affianco. Le passarono a fianco parlando.
“… dobbiamo ottenere un altro permesso di indagine. Rivoltare quella maledetta bagnarola da cima a fondo!” Disse suo zio Ron; era rosso in viso e particolarmente acceso sulle orecchie. Doveva essere molto arrabbiato.
“Non servirebbe a nulla, Ronald.” Ribatté l’americana. “E comunque temo che non sarà così facile stavolta… continuare su questa pista potrebbe far pensare ad un accanimento.”
“Accanimento di cosa?” Suo zio era davvero fuori dai gangheri. Lily ebbe una brutta sensazione; era chiaro che Durmstrang fosse coinvolta in qualcosa. In quella cosa della Prima Prova dunque? Uscivano dalla loro nave dopotutto.

Ren?
“Ron, Nora ha ragione…” La voce di suo padre era… non l’aveva mai sentito parlare in quel modo. Era agitato, i lineamenti tesi. La spaventò.  “… non abbiamo ottenuto niente, solo di metterli in allarme. Siamo stati troppo precipitosi.”  
“Ma quale altra alternativa avevamo, Harry?” Replicò suo zio allargando le braccia in un chiaro segno di impotenza. “… salpano stasera, e quando saranno a Durmstrang saranno intoccabili!” Si arruffò i capelli frustrato. “Quel maledetto moccioso. Come diavolo ha fatto a ripulirsi la bacchetta?”
Doveva essere gergo auror, pensò Lily confusa. Però, ad intuito, non pensava si trattasse di manutenzione della suddetta.

“Quella bacchetta non ha mai castato incantesimi oscuri.” Si intromise l’agente americana. “Il Prior Incantatio non può essere ingannato.”
“Potrebbe averne utilizzato un'altra?” Chiese suo padre.

Ma chi? Di chi cavolo state parlando?
Lily aveva le pulsazioni spiacevolmente accelerate. Avrebbe voluto saltare fuori dal suo nascondiglio e pretendere che le venisse spiegato tutto: ma no, non era una buona idea. Si abbracciò le ginocchia, si costrinse fisicamente.
“Non durante il Torneo.” Negò suo zio Ron. “Smith può essere un figlio di puttana, ma tra lui e gli organizzatori questo posto è peggio di Azkaban. Non avrebbe mai potuto introdurne una nell’arena, né lui né quel ciccione del suo assistente.”
È Ren.
Si sentì come se le si fosse ghiacciato qualcosa dentro; sì, Albus le aveva suggerito che Sören avrebbe potuto essere coinvolto in quella brutta faccenda dei Dissennatori, ma non ci aveva pensato più di tanto. Non ci aveva creduto.
E invece suo padre e suo zio stavano indagando su di lui. E suo padre…
È papà. Non è uno che si fissa a caso sulla gente. E anche zio Ron, è… sono degli ottimi auror.
Suo padre fece un lungo sospiro. “È meglio se andiamo. Dobbiamo scrivere il rapporto e poi decidere il da farsi.” Diede una pacca a suo zio e poi si incamminarono lungo il pendio.
Lily non poteva muoversi subito dietro a loro, pena l’essere scoperta; e comunque neppure ne aveva voglia. Si sentiva le gambe pesantissime.
Ren è un sospettato? Il mio Ren?
Le sembrava ridicolo, una sciocchezza; il suo amico, il ragazzo che la aiutava a studiare, che la ascoltava, le portava la borsa, le sorrideva e che sembrava ingenuo come un bambino…
È lo stesso ragazzo che ieri sera ti ha aggredita, Lily.
Sentì ululare Odino, il molosso gigante di Hagrid. Probabilmente il professore era lì vicino; spesso veniva a togliere il ghiaccio dalle cime a cui erano assicurate le barchette. Era il caso di uscire dal suo nascondiglio prima che la sorprendesse come una stupida. Si alzò e si incamminò nell’esatta, opposta direzione di suo padre e gli altri auror. Verso il vascello.
Non ci poteva credere. Doveva di sicuro essere una sorta di orribile, grosso sbaglio.
Eppure ieri sera…
Comunque la mettesse, aveva solo una gran voglia di urlare e chiedere a qualcuno, a chiunque, di spiegarle. Ma non poteva: se avesse chiesto al padre, avrebbe finito per farsi proibire qualcosa, di sicuro.
Rimaneva Ren.
Arrivò alla banchina e percorse la breve passerella che la univa alla nave. Il boccaporto era chiuso ma batté lo stesso, con forza, sul legno appiccicoso di sale marino e umidità lagunare.
Non ci volle molto prima che qualcuno venisse ad aprirle; riconobbe il ragazzo rumeno che l’aveva scortata nella sua seconda visita.
“Signorina Lily.” Ricordò nebulosamente anche di avergli chiesto di chiamarla per nome. Ovviamente quello era stato il risultato. “Posso fare qualcosa per lei?”
“Sì, voglio vedere Ren.”

Il ragazzo scosse la testa. “Mi dispiace, non è possibile.”
Si chiamava Dionis, se lo ricordò all’istante. “Per favore, Dionis.” Non era neppure uscito per appoggiarsi sulla passerella come aveva fatto l’ultima volta. Non era un buon segno. “Devo vederlo.”
L’altro assunse un’aria costernata; sembrava proprio un bravo ragazzo, ma in quel momento avrebbe voluto dargli un pugno in faccia. “Mi dispiace, è stato dato ordine di non far più entrare nessuno. Stiamo per salpare.”
“Non ci metterò molto!” Gli occhi lucidi li aveva perché tirava vento. “Solo…”
“Non è possibile, mi dispiace.” La fermò. “Signorina Lily…” Esitò, poi afferrò la porticina. “… lasci perdere, la prego.” Detto questo non le diede il tempo di dire nulla, perché le chiuse la porta in faccia.

Lily capì che era il caso di rientrare prima di diventare patetica. Neppure lei era così testarda. 
 
Entrò dall’entrata principale senza incontrare nessuno, per fortuna: appena varcata la grande soglia ad arco si accorse di tremare. La sciarpa strategica e il pesante mantello invernale non avevano potuto proteggerla dall’ormai inevitabile febbrone in corso.
“Signorina Potter, si sente bene?” La voce della professoressa McGrannit la fece sobbalzare. Le era sembrata arrivare da lontanissimo, quando in realtà era semplicemente alle sue spalle.
“Oh… io…” Balbettò: eccola lì, l’unica donna al mondo capace di metterla in sacrosanta soggezione. In quel momento fu felice di sentire quello e non altro. “… no, per niente.” Confessò infine. “Sto da schifo.”
“Moderi il suo linguaggio, non è un ragazzaccio di strada.” La squadrò da capo a piedi. “Venga, credo sia opportuna una visita in infermeria.”
“Sissignora …” Sorrise appena. L’anziana donna le scoccò un’occhiata indagatrice, ma grazie a Merlino non le chiese delucidazioni di alcuna sorta.

Neppure per le lacrime.
 
****
 
“Possibile che droghino chiunque anche solo per un raffreddore?”
“Ssh, Tom! Sta riposando!”
“Ma la droga non è quella cosa brutta?”
Al lanciò un’occhiata al proprio ragazzo che fissava il lettino in cui riposava Lily con il classico sguardo da sto-criticando-perché-io-posso. Meike era lì invece perché, semplicemente, seguiva Tom come un cucciolo curioso.

C’è da dire che attorno a lui succedono sempre le cose più assurde…
Per una volta non era Tom il problema, ma Lily. Che aveva le guance arrossate dalla febbre e il respiro affrettato, nonostante stesse profondamente dormendo.
C’era voluto un intero pomeriggio per capire dove fosse; alla fine era stato ovviamente Hugo a trovarla, facendo capolino in Infermeria a causa di un indigestione di dolci, problema che lo affliggeva in modo ricorrente da quando la natura l’aveva fornito di denti.
“Sta riposando ed è sotto un Distillato Soporifero.” Spiegò loro. “È leggero, e Madama Chips sa quel che fa, come Tom ricorda bene dato che ha approfittato delle sue capacità l’anno scorso…” Soggiunse lanciando un’occhiataccia all’altro. “È per farla stare meglio, Mei.”
“Ah…” La bambina sorrise sollevata. “Meno male.” Corrugò le sopracciglia in quel buffo modo che imitava in modo mirabolante il cipiglio snob di Tom. “… però mica sembra stare bene, eh!”
Al sorrise un po’ stancamente. Non sembrava ci fosse un giorno, da un mese a quella parte, in cui non succedesse qualcosa.  Si sedette sul ciglio del letto della sorella e le accarezzò la mano.

Scommetto che ieri si è coperta poco per mostrarsi tanto. E da qui, l’infreddatura.
“È solo un po’ d’influenza. Anche le migliori streghette la hanno.” Le strizzò l’occhio. “Perché non vai a chiedere a Milly se ti fa vedere dove vengono preparate le medicazioni? È piuttosto fico.”
“Fico!” Gli fece eco la bambina. “Sicuro che ci vado!” Esclamò prima di correre via a cercare l’assistente –infermiera con cui aveva già fatto conoscenza all’entrata. Era stata lei a permetter loro di vedere Lily.

Poppy ci avrebbe fisicamente costretto a stare lontani. Non sopporta più di una persona a paziente, ultimamente.
“Se continua ad urlare in modo così grifondoro non faremo mai di lei una serpeverde.” Mormorò Tom pieno di disappunto, facendolo ridacchiare.
“Temo, come ben sai, che la scelta non sia nostra, ma di un certo malmesso cappello.” Replicò scostando una ciocca sudata dalla fronte di Lily.
“Questo è tutto da vedere… Il Cappello tiene conto delle proprie scelte, non lo sa Signor Potter?” Tom si chinò a dargli un bacio morbido dietro l’orecchio, per infastidirlo e per rimarcare la sua presenza lì.
Ci mancherebbe. Dedico a qualcun altro le mie attenzioni, fosse pure mia sorella
Tom lanciò poi un’occhiata alle grandi vetrate, che il vento frustrava violentemente di nevischio. Fuori doveva essere un clima da orsi polari. Al lo lasciò ai suoi pensieri, approfittandone per occuparsi della sorella. Forse alcuni rimedi della Medimagia erano un po’ arcaici e poco innovativi secondo la moderna scienza babbana, ma avevano il pregio di funzionare.
Beh, perlomeno per noi maghi e streghe…
Prese una pezzuola di lino da quelle accuratamente impilate sul comodino e la bagnò con un po’ d’acqua della caraffa. Lily sospirò di sollievo quando gliela posò sulla fronte.
Cavolo, scotta proprio…
“Pensi che per domattina si sarà rimessa?” Si informò Tom con noncuranza falsa quanto una promessa di Loki. Sapeva che teneva a Lily in uno strano modo ispido e cauto.
“Sì, abbastanza da prendere L’Espresso. Appena nonna saprà che si è beccata l’influenza la vorrà alla Tana a costo di portarcela in braccio.”
Al strizzò il panno per immergerlo nuovamente e rinfrescare le guance della povera, al momento inerme, sorellina. A guardarla così, dormiente, pareva precisamente le quindicenne che era. A volte gli sembrava più grande, con i suoi lazzi e la sua innata capacità di capire le persone.
Ma non lo era.

Fu allora che si accorse che non indossava l’orecchino di controllo. Ci mise un attimo a realizzarlo, dato che per lui era solo qualcosa che Lily indossava da una vita e che quindi non era più abituato a notare. “Dov’è il suo orecchino?” Chiese a bassa voce, quasi a sé stesso. Non che fosse solo: Tom si sporse per guardare ed aggrottò le sopracciglia.
“Non dovrebbe indossarlo sempre?”
“Già… ma non ce l’ha. Forse è caduto sul cuscino?” Lo cercò attentamente, ma niente. Eppure lo ricordava come un cerchietto di metallo piuttosto grosso, istoriato di rune magiche a lui sconosciute: sapeva solo che contenevano un incantesimo di sigillo per impedire che sua sorella utilizzasse incautamente un potere che non era in grado di controllare. Ricordava bene le raccomandazioni dei genitori a lui e James quando la sorellina era tornata dal San Mungo con un sacchetto di dolci e un orecchio arrossato:  non farglielo togliere e neppure provare a rubarglielo per scherzo.
“Dobbiamo trovarlo, non può stare senza.” Spiegò a Tom, che per una volta non fece obiezioni ma si limitò ad annuire.
“Porto Meike con me. Se è capace di trovare granchietti in una pozza d’acqua che li mimetizza alla perfezione, sarà capace di trovare un orecchino di metallo in un castello.”
Rose entrò proprio in quel momento e li guardò con aria confusa. “Ehi, ho sentito che Lils ha la febbre… ma…”
“Sì, ha la febbre ed ha pure perso il suo orecchino di controllo.” Era arrabbiato con Lily. Perché non era venuta a dirglielo per farsi aiutare?

“Ah.” Disse Rose mordendosi l’angolo del labbro. “Vi do una mano. Avete controllato sul cu…”
“Già fatto.” La interruppe Tom, che detestava gli venissero suggerite cose già state fatte. “Altri posti dove può esserselo tolto o averlo perso?”
“Stamattina solo in Dormitorio. E poi…” Ci pensò, poi di nuovo quell’espressione colpevole.

Decise di lasciar correre, almeno per il momento. “Dove?”
“Ieri sera era nel bagno dei ragazzi, quello all’ingresso, può averlo perso lì.”
Al non ne fu tanto stupito. Lily era cresciuta con lui e Jamie, e non si preoccupava troppo delle differenze di genere: non aveva problemi ad usare il bagno dei ragazzi del suo anno per farsi una doccia, nel caso la sua fosse occupata dalle compagne, con grande imbarazzo di Hugo e amici. Doveva essere stato quello il caso. Dopotutto la scuola era stata colma oltre ogni misura, in quelle ore.

“Quella sua strana Legimanzia… pensi che l’abbia usata?” Il tono di Rose era davvero strano e sia lui che Tom le lanciarono un’occhiata. Prevedibilmente arrossì in modo furioso in zona orecchie. “Chiedevo solo! Magari è per questo che non si sente bene.”
Sì, mi sta nascondendo qualcosa.
“Se l’ha fatto, non è stato con noi.” Disse Tom, poi non aspettò le loro reazioni, prendendo per una spalla Meike, accorsa dopo che era stata chiamata. “Vieni, andiamo a cercare una cosa.”
“Dolci?” Chiese speranzosa, allentando un po’ l’aria tesa. Curiosamente l’aveva portata proprio Rose.

“No, un orecchino.” Le diede un colpetto sulla testa. “Andiamo.” Lanciò loro un’occhiata di commiato e poi risalì la scalinata, sparendo oltre la porta.
Albus a quel punto seppe che doveva sapere; la faccenda dell’orecchino poteva attendere. Rose gli stava nascondendo qualcosa, perché solo un segreto poteva farle venire quella faccia ansiosa. Era così sin da quando erano bambini.
Solo che adesso i segreti mi piacciono ancora meno…
“Allora… io vado a controllare su, alla Torre…” Tentò.
“Rosie?” L’apostrofo con gentilezza, ma con tono sufficiente fermo da immobilizzarla sul posto. “Credo che tu abbia una gran voglia di dirmi che sta succedendo. Vero?”


****
 
“Eccolo, l’ho trovato!”
Meike aveva davvero gli occhi buoni che ricordava perché trotterellò da lui con l’orecchino di Lily stretto in pugno. Glielo mostrò orgogliosa. “Visto?”
“Molto brava.” La lodò, dandole una pacchetta sulla testa.

“Dai!” Sbuffò. “Mi si scompigliano tutti i capelli!”
Tom inarcò le sopracciglia all’improvviso interesse: non ricordava le fossero mai importati poi molto dato che a Rügen li teneva sempre sciolti e pieni di sale. Doveva essere colpa di Lily e Alicia.
Osservò poi l’orecchino che gli aveva posato in mano. Non sembrava rotto, di primo acchito.
“Però, che strano!” Esclamò Meike saltando sul lavabo agilmente per mettersi a sedere. Alla sua occhiata, sbuffò. “Una volta ho messo gli orecchini della nonna, per gioco…” Spiegò afferrandosi i lobi delle orecchie”… ed uno l’ho perso perché non non si era chiuso bene. Però questo è chiuso super-bene!”
Tom rifletté; Meike aveva ragione. La chiusura era resistente, fatta apposta per evitare incidenti di quel tipo. Nessuna storia, Lily se l’era tolto di sua sponte.

Perché?
Non c’era modo di avere una risposta immediata, quindi si limitò a riporlo nel fazzoletto e avvolgerlo in modo che fosse impossibile gli sfuggisse nelle tasche.
“Chiederemo a Lily quando si sentirà meglio.” Disse più a sé stesso che alla bambina, del resto già distratta da una nuova deriva di pensieri.
“Andiamo alla Guferia? Mi ci porti?” Per l’appunto. “Voglio andare a trovare Kafka!” Tese le braccia per farsi prendere. Tom supponeva fosse ormai nell’età in cui ci si sentiva troppo grandi per essere maneggiati come poppanti. Perlomeno per lui era stato così.

Ma forse io non ero un bambino normale.
Con un sospirò la prese in braccio, aiutandola a scendere. Fu allora che notò il segno di una striatura bruna, simile ad una bruciatura, proprio in corrispondenza di uno dei lavabi.
Il lavabo era di pietra.
Non credo esistano tante cose capaci di scaldarlo a tal punto da lasciare un segno… di sicuro non un fuoco normale. Magico sì. Un duello, forse. Ma non ci sono tracce di altri incantesimi.
Esitò, preso da un’idea. Posò la mano sulla bruciatura. Aveva la forma esatta di un palmo umano. Grossolano, incerto, ma sembrava come se…

Si puntellò imitando la posa. Sì, era quella. Qualcuno si era fermato di fronte ad un lavabo, in una posa che indicava tensione. Una tensione tale da bruciare con la magia della nuda pietra.
Doveva essere successo qualcosa in quel bagno la sera prima. Qualcosa che coinvolgeva Lily e il suo orecchino di controllo.
“Tom! Dai, ti muovi? Non so mica la strada!”
“Arrivo.”
Avrebbe lasciato Lily ad Al, naturalmente. Aveva imparato la lezione.
Ma questo puzzle vedrà anche il mio contributo.

 
****
 
“Stiamo salpando.”
Sören non si voltò, dato che poteva riconoscere la voce anche senza guardare l’interlocutore in viso.
Radescu era affacciato alla porta del salottino privato dal Campione. Sören poteva immaginarlo mentre lo scrutava, indagatore.

“Grazie per avermi informato.”
Non seguirono rumori di commiato.

“C’è altro?”
“… è tutto a posto?” Gli rispose con una domanda; era quello, naturalmente. La comprensibile paura nel vedere delle uniformi auror. Dionis era un allievo ufficiale, ma era pur sempre un ragazzo di diciassette anni che non voleva essere coinvolto in qualcosa a cui non avrebbe mai preso parte se la decisione fosse spettata a lui solo. Poteva capirlo.
“È tutto a posto.” Lo rassicurò. “Non credo torneranno a disturbarci, non per il momento. Quando saremo all’Istituto avranno più difficoltà a replicare un’azione simile.” Aggiunse. Avrebbe dovuto parlare con suo zio, ma gli sembrava, da un lato, un esercizio sterile.
Dovrò informarlo dei nuovo sviluppi però. Questo sì.

“Bene…” Radescu tirò un grosso sospiro esitante. Si voltò per guardarlo incuriosito e lo scorse grattarsi la nuca imbarazzato. “Sören… è venuta qui Lily Potter. Voleva parlarti.”
Sentì lo stomaco dargli una fitta dolorosa. Qualcuno gli aveva detto, non ricordava chi, che il dolore se rifiutavi di pensarlo, filtrava nelle vene e faceva male.
“Non l’ho lasciata entrare, come mi avevi detto di fare.” Continuò. “Pensavo volessi saperlo.”
No, non volevo.
“Hai fatto bene.” Vedendolo ancora sulla porta si spazientì. Non aveva voglia di parlare, tantomeno di Lily e del suo ovvio tentativo di chiedere spiegazioni sulla sera precedente. Non aveva tempo per quello. Non voleva. “Ti ringrazio Dionis, puoi andare.” L’altro ragazzo stavolta capì l’antifona e dopo il cerimonioso e familiare battere di tacchi, se ne andò.
Sören, finalmente solo, chiuse gli occhi per ascoltare il rumore della risacca contro i fianchi della nave. Era un rumore che gli dava tranquillità. Gli ricordava l’infrangersi delle onde contro gli scogli di calcare che sentiva da bambino poco prima di addormentarsi.
Comunque si stavano muovendo; tra poco si sarebbero immersi.
Lily…
Quella vivace ragazzina dai capelli rossi era stata la parte più bella di un mondo che non gli sarebbe mai appartenuto. Ora che la sua esperienza ad Hogwarts si era conclusa e con l’arrivo a Durmstrang, il piano si avvicinava al suo compimento.
Lily…
Data l’assenza di ordini in merito e l’assicurazione dell’estraneità di Lily al piano, non le si sarebbe più avvicinato. E non importava quanto questo facesse male.
Il bacio era stata la realizzazione finale di quanto si fosse spinto troppo in là. Era stato un campanello d’allarme.
E se lo sentiva ancora premere sulle labbra.
 
****
 
 
Note:
1. La canzone .
Non so se riuscirò ad aggiornare costantemente, dato il periodo convulso. Ma per il momento, godetevi questo farci-capitolo. ;)
  
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