Salve
a
tutti cari lettori e benvenuti ad un nuovo capitolo della storia. Ecco
spero di
fare un buon lavoro con questa fic, dove mi destreggio con la prima
persona.
Una scelta che io faccio molto raramente ma finché me la
sento, sarà così.
CAPITOLO
1 IL BRACCIALE DI CLAUDE
Ripensare
a quei momenti, pure ora, a
distanza di tempo, mi procura una strana sensazione. Un
po’come quella che
potrebbe avere un viandante nel momento in cui si volta indietro e
guarda con
stupore la strada percorsa, non sapendo se considerarla troppa o poca:
un’incredulità priva di qualsiasi sentimento,
impregnata in ogni sua fibra di
pura e semplice sorpresa. Un pensiero neanche troppo insolito per me.
All’epoca
ero, a conti fatti, solo una misera
popolana.
Mia
madre, mia sorella ed io vivevamo come
stiratrici, una delle mansioni meno pagate e più faticose.
L’unica, forse, che
delle donne potessero svolgere, senza che vi fosse alcun impedimento.
Ogni
giorno, Nicole si alzava alle prime luci dell’alba per
iniziare il giro delle
case, da cui prendeva le camicie e gli abiti che dovevano essere
stirati.
Spesso si recava nella casa della signora Millet, una nostra vicina,
piuttosto
rispettata tra le lavandaie. Era lei a mettere una buona parola per
Nicole, che
riceveva così i vestiti da stirare.
Lavorava
molto duramente e quando Jeanne ed
io diventammo abbastanza grandi, iniziammo a darle una mano.
Nostra
madre, per i primi tempi, ci dava le
mansioni meno impegnative, riservandosi il resto. Una prassi, che
anticipava il
momento in cui avremmo svolto qualsiasi parte del lavoro.
Era
inevitabile per noi, che non potevamo
permetterci di rischiare di perdere quella che era la nostra unica
fonte di
guadagno. Immagino che questo sviluppo dei fatti non la rendesse molto
felice:
spesso ci guardava con rammarico, stando attenta a non farsi scoprire.
-
Figlie mie- mormorava con un sorriso
soddisfatto, orgoglioso e triste- quanto vorrei non vedervi costrette a
fare
dei mestieri così pesanti. Se solo vostro padre fosse vivo,
forse le cose
andrebbero meglio.-
Jeanne,
allora, sentendo parlare del
genitore, di cui aveva pochissimi ricordi, si metteva improvvisamente
ritta
sulla schiena, come se fosse stata colpita da un manico di scopa.
–Ah
mamma!-esclamava con una scintilla in quegli occhi scuri che la rendeva
ancora
più bella di quello che era –raccontaci della
storia di come hai conosciuto
nostro padre!-
A
quelle parole, non potevo fare a meno di
sorridere.
Mia
sorella maggiore aveva una particolare
venerazione per nostro padre. Ogni volta che sentiva da nostra madre
anche un
solo accenno, cominciava a tempestare la nostra genitrice di
raccontarle la
storia di come si erano innamorati, anche quando ormai era chiaro che
l’aveva
imparata a memoria, al punto da sapere a mente ogni battuta.
Nicole
le lanciava allora uno sguardo
esasperato poi, con la sua solita pazienza, iniziava a raccontarle la
storia.
Spesso accadeva poco prima di andare a riposare.
Me
la ricordo anche adesso.
La
storia di una cameriera che si innamora,
ricambiata, di un uomo nobile, discendente dei Valois.
Del
loro corteggiamento nascosto, conclusosi
con delle nozze altrettanto segrete.
Della
scoperta del matrimonio da parte del
loro nonno, con la conseguente cacciata della mamma ed il suo
allontanamento da
nostro padre.
Della
ricerca da parte di Nicole di un lavoro
e di come era riuscita a trovare un piccolo impiego presso la casa di
alcuni
esponenti della piccola nobiltà.
Di
come si era scoperta incinta.
Di
come era nata Jeanne.
Di
come poi si fosse ricongiunta a suo
marito, che aveva lasciato la propria famiglia per stare con lei.
Di
come ero nata io e di come mia madre, per
seguire la nostra crescita, aveva deciso di lasciare il suo impiego.
Di
come mio padre era morto, a causa di una
lunga malattia.
Ricordo
distintamente ogni singola fase di
quella vicenda eppure, rispetto ad allora, quando ero una bambina
ingenua e
sinceramente legata a mia madre, non riesco a non domandarmi come
potessi non
aver visto la stonatura di fondo di tutta quella storia,trobbo bella
per essere
vera, ma forse non dovrei stupirmene.
Non
avevo ancora sentito sulla mia pelle, le
menzogne ed il male che si trova in ogni individuo.
Non
sapevo quanto potesse essere dura e
meschina la vita.
Nostra
madre era lì con noi, forte e tenace,
pronta a rivolgerci il suo sorriso benevolo in ogni occasione. Era il
nostro
punto di riferimento.
La
nostra ancora di salvezza, in
quell’esistenza grama e felice. Nicole, malgrado il lavoro,
ci dedicava ogni
attenzione possibile, non perdendo occasione di raccontarci qualche
storia ma la
nascita dell’amore di Nicole e mio padre era forse quella
preferita da me e
Jeanne.
Per
quanto mi riguardava, era l’unico modo
che avevo per immaginare il mio genitore, morto poco dopo la mia
nascita.
Per
Jeanne, che aveva invece qualche ricordo
del padre, quella storia aveva un valore molto diverso. Ogni volta che
sentiva
la storia della nostra famiglia, i suoi occhi sembravano ricoprirsi di
fiamma,
come se le parole del racconto avessero acceso nel suo animo acerbo
qualcosa
che io e la mamma non vedevamo. Spesso la sentivo, poco dopo la fine
del
racconto, quando nostra madre si era ormai addormentata, uscire piano
dalla
casupola doveva abitavamo e sedersi sui gradini della scala che
collegava la
nostra abitazione al livello della strada.
Era
un punto particolare.
Di
notte, infatti, quelle scale, si tingevano
della luce dei raggi della luna, facendo sembrare quella pietra
semplice come
se fosse ricoperta da un tappeto fantastico. Era una sua abitudine, che
aveva
da che avessi memoria. Rimaneva spesso, per intere notti a vedere quel
cielo
stellato con il naso all’in su e gli occhi fissi ai bagliori
che splendevano
nel buio.
Non
mi avvicinavo mai a mia sorella in quei
momenti.
Non
era giusto nei suoi confronti.
Jeanne,
per quanti difetti avesse, era una
persona piuttosto riservata, che amava tenere celati i suoi pensieri
più
nascosti.
Un’
abitudine che avrebbe mantenuto per tutta
la vita.
Solo
una volta, mi avvicinai a lei.
Non
ci eravamo ancora giunte sulla soglia
dell’adolescenza ma qualcosa, nell’aria, si stava
muovendo. Fu mia sorella a
sentirlo per prima, iniziando a cercare, con maggiore impegno rispetto
al
passato, i suoi spazi solitari. Il suo fisico stava lentamente perdendo
le
forme fanciullesche, trasformandosi in quelle acerbe di una donna.
Spesso io e
la mamma la vedevamo mirarsi allo specchio, atteggiando il viso in
smorfie di
vario genere, che la rendevano piuttosto buffa, e non potevamo fare a
meno di
sorridere divertite.
-Tua
sorella Jeanne, cara Rosalie- disse una
volta Nicole, vedendo sua figlia osservare il proprio aspetto
–è una brava
ragazza ma è troppo bella per poter amare una vita semplice-
La
contemplazione della sua immagine, spesso
e volentieri, diventava la sola ed unica occupazione di mia sorella.
Più volte
mia madre l’aveva rimproverata ma lei non la ascoltava,
trascurando i suoi
doveri per perdersi nei suoi pensieri. Era sempre così ma
serviva a poco perché
Jeanne era molto testarda.
Una
volta, il loro litigio fu particolarmente
violento.
Mia
sorella aveva iniziato a raccontare dell’interesse
che Claude, il figlio del calzolaio, un uomo di circa
vent’anni, stava
iniziando a nutrire per lei. All’epoca aveva 11 anni ma aveva
il fisico di una
donna, ed un animo gonfio di pensieri che scalpitavano per essere
lasciati
liberi. Un giorno, mentre eravamo di ritorno dal fare compere,
quell’uomo aveva
iniziato a riempirla di complimenti, donandole alla fine alcuni bottoni
colorati.
Un
gesto che aveva sorpreso mia sorella, che da
quel momento non aveva fatto altro che guardare quell’uomo di
nascosto e non
riuscivo a capire il motivo del suo interesse. Claude era un
perdigiorno che
trascorreva il suo tempo dietro alle ragazze dell’osteria. Lo
sapevano tutti ma
l’infatuazione di mia sorella andava ben oltre questo.
E
nessuno riusciva a contenere la sua
euforia.
Jeanne
si era allora montata la testa e da
quel momento non faceva altro che blaterare di come fosse bello e
benestante. Lo
ripeteva in continuazione, come quella sera. La sua chiacchiera si
perdeva da
circa un’ora, mentre io e la mamma ce ne stavamo mute a
mangiare
silenziosamente la nostra zuppa di patate.
Alla
fine, la pazienza di Nicole arrivò alla
fine.
-Adesso
basta Jeanne!- disse, posando il
cucchiaio nel piatto –Smettila di comportarti in modo
così superficiale e pensa
a fare le commissioni che ti chiedo, invece di lasciarle quasi tutte a
Rosalie.-
Jeanne
allora arricciava il naso, aggrottando
la fronte.
-Ma
mamma!- esclamò, mostrandole il
braccialetto di perle di vetro, uno dei regali che Claude le aveva
donato-
Claude mi ha detto che è un regalo…per me!
Io!..Un giorno, diventerò una
persona importante e avrò decine di uomini ai miei piedi!
Sarò ricca e potrò
indossare dei vestiti alla moda, come ogni nobile!-
Posai
piano piano il cucchiaio nella ciotola,
fissando mia sorella.
Sembrava
incredibilmente convinta di quello
che diceva. I suoi occhi all’epoca non erano molto bravi a
dire bugie.
-E
tu credi che questo Claude ti darebbe ciò
che vuoi?- fece nostra madre, fissandola severa –Tu sei
ancora una bambina e
lui è un uomo! Invece di perdere tempo in simili
fantasticherie, dovresti darci
una mano. Sai bene che non siamo benestanti e dovresti iniziare ad
impegnarti
seriamente, se vuoi incontrare, un giorno, un uomo onesto. Sei ancora
piccola
ma devi iniziare a guadagnarti una dote, perché non siamo
abbastanza ricche da
averne una, come la nobiltà.-
Era
un discorso che ormai pronunciava da
diversi mesi, da quando mia sorella aveva compiuto undici anni. Io
avevo due
anni meno di lei ed ero ancora una bambina in confronto eppure non ero
estranea
a quel genere di discorsi. Jeanne però iniziò a
fare i capricci e la lite finì
con il degenerare. Mia madre, stanca di sentire le sue fantasie, le
diede uno
schiaffo, nella speranza che iniziasse a ragionare, ma tutto
ciò che ottenne fu
un pianto carico di rabbia e risentimento. Mia sorella fissò
intensamente la
mamma, con uno sguardo indecifrabile, poi riprese a mangiare.
Non
disse più una parola e quel silenzio mi
preoccupò.
Ogni
volta che le cose non andavano come
desiderava, Jeanne tendeva a chiudersi in sé stessa, in
attesa di trovare una
soluzione ai propri problemi. Faceva sempre così ma quella
volta fui presa dal
timore che lei e la mamma potessero guastare i loro rapporti.
Una
paura che non mi lasciava mai, rafforzata
dalla consapevolezza che mia sorella era insofferente a quel genere di
vita.
Quella
notte infatti non dormii bene, presa
dal ricordo di quel litigio. Era più forte di me. Ogni volta
che stavo per
cedere al sonno, il ricordo di quella lite mi costringeva ad aprire gli
occhi improvvisamente.
Alla
fine, turbata, mi voltai verso il lato
del letto che condividevo con mia sorella, trovando il materasso vuoto
e
freddo. –Jeanne?-chiamai a bassa voce, guardandomi attorno,
ma ottenni solo il
silenzio ed il respiro lento e profondo della mamma, che dormiva nel
giaciglio
posto nei pressi del camino. Lentamente,
evitando di fare rumore, con lo scricchiolio delle foglie del
materasso, mi
alzai dal letto, avvicinandomi piano piano alla porta.
La
luce delle lampade non raggiungeva la mia
casa ed avevo ormai imparato a muovermi con una certa destrezza tra i
pochi
mobili che occupavano il mio misero alloggio. Raggiunsi finalmente la
porta,
oltre la quale si trovava il luogo dove solitamente Jeanne si rifugiava.
Aprii
lentamente l’uscio, quel tanto che
bastava per permettermi di vedere.
Era
seduta sui gradini che portavano sulla
strada, intenta a fissare la luna che quella sera pareva più
grande del solito.
I suoi capelli scuri rilucevano sotto i raggi della regina della notte,
dandole
un’aria quasi misteriosa.
-Jeanne?-mormorai,
avvicinandomi piano piano.
-Perché
la mamma si arrabbia tanto? Io non lo
capisco.-disse improvvisamente mia sorella, con il naso
all’in su e gli occhi
al cielo.
-La
mamma è stata dura ma lo ha fatto per il
tuo bene- feci, sedendomi accanto a lei.
Non
rispose, poi tirò fuori il braccialetto
che Claude le aveva regalato.
-E’preoccupata
che tu possa soffrire. Lo dice
spesso.-aggiunsi, sperando di farla uscire dal suo mutismo.
-Come
se non soffrissi abbastanza- borbottò
mia sorella-come se la miseria in cui viviamo mi renda felice-
A
quelle parole, sussultai leggermente. Non
aveva tutti i torti. Le altre bambine, per quanto povere, avevano
spesso dei
vestiti meglio dei nostri, ricavati dagli stracci e dagli avanzi di
tessuto che
la mamma riusciva a trovare. Jeanne aveva sempre guardato con invidia
le cose
che possedevano, spesso riservando a quelle persone fortunate occhi
ostili e
malevoli. Era fatta così ma non era colpa sua.
La
miseria inaridisce gli animi e su mia
sorella aveva fatto davvero un buon lavoro.
-Rosalie-disse,
facendo un sospiro –io non
sono come te e la mamma. Io non posso accettare di vivere in queste
condizioni,
sapendo che non è il posto che mi spetta. Io voglio avere
una casa più luminosa
e meno umida, senza quella muffa che ricopre il soffitto, e vivere bene
senza
dovermi spaccare la schiena come fa nostra madre, per essere poi pagata
pochissimo. Io voglio una vita diversa da questa.-
-E
pensi che fare arrabbiare la mamma ti
possa dare quello che vuoi?- domandai allora.
Jeanne
scosse la testa, sorridendo amara.
-Io
non voglio che lei si arrabbi ma dimmi
sorella-fece allora, guardando indifferente le palline di vetro
–è davvero
giusto secondo te vivere senza sogni e speranze? La mamma, da quando
papà è
morto, si limita a stirare, stirare e stirare per avere una moneta con
cui
comprarci qualcosa, ma alla fine che cosa abbiamo? Nulla, solo una casa
pulciosa e nemmeno un soldo da parte. Ed io sono stanca di stare in un
postaccio simile, senza la possibilità di vivere i miei
sogni.- disse rabbiosa.
La
guardai con ammirazione.
Ero
ancora una bambina e quei pensieri mi
apparivano come qualcosa di meraviglioso. Jeanne era poco
più grande di me,
eppure era in grado di fare cose simili. Era il mio idolo,
l’unica che mi
difendeva a spada tratta, quando gli altri ragazzini mi prendevano in
giro.
Avrei tanto voluto che avesse la sua occasione, che mettesse in pratica
le
qualità che aveva, ma la miseria ci tarpava le ali, senza
possibilità di
appello.
-Comunque
Claude è noioso ed io sono stanca
di ricevere briciole. Credo che da domani inizierò ad
ignorarlo.-disse
attorcigliando distrattamente un ricciolo scuro attorno ad un dito.
-Ho
sentito che alla fine del mese, si
sposerà con la figlia di un merciaio. Lo diceva la moglie
del fornaio
stamattina.- dissi, fissando il cielo e chiedendomi per quale motivo
mia
sorella si ostinasse a passare la notte su quelle scale.
La
mano di Jeanne si irrigidì per alcuni
istanti.
Sussultai
a quel gesto.
Era
molto probabilmente rimasta scossa dalla
notizia ma, come sempre, nascose bene il suo stato d’animo.
Solo io e la mamma
riuscivamo a volte a leggere i sentimenti che riusciva a celare dietro
ai suoi
silenzi e alle sue azioni. Spesso, però, era qualcosa
d’impossibile anche per
noi.
-Meglio
così- disse con voce incolore, senza
aggiungere altro.
-Buonanotte
Jeanne- mormorai.
-Buonanotte
Rosalie- disse prima di
richiamarmi con un–Ah, Rosalie!-più basso e
sussurrato.
Mi
voltai, aspettando che cosa avesse da dire
e non potendo fare a meno di rimanere sorpresa.
Il
viso di mia sorella, così adulto pochi
secondi prima, era tornato ad essere quello di una bambina.
–Perché la mamma
continua a raccontarci la storia del suo matrimonio con nostro padre,
quando
poi non vuole che gioisca delle attenzione di una persona
più ricca di
noi?-domandò.
-Perché
ci vuole bene.- risposi, come se
fosse la cosa più ovvia del mondo, prima di tornare a
dormire, con il cuore più
leggero.
Alcune
settimane dopo, Claude si sposò con
una certa Marie, più ricca, più grande e meno
bella di mia sorella. La sera
successiva al lieto evento, lo sposo novello riprese a frequentare la
bettola
poco lontano dalla sua casa.
Se
so queste cose, è perché mia sorella ed io
lo abbiamo visto in entrambe le occasioni, sia come responsabile
marito, sia
come il perdigiorno che bazzicava nelle locande a sperperare soldi nel
gioco e
nelle donne.
Jeanne
non disse mai nulla in proposito.
Non
pianse.
Non
si lamentò.
Nulla.
Il
giorno dopo riprese a dare una mano alla
mamma ed a me, con maggiore impegno del solito, evitando di perdere
tempo come
aveva fatto da quando si era infatuata di Claude. Nicole ed io non
commentammo
questo suo improvviso impegno. Jeanne era fatta così e non
conveniva a nessuno
criticarla, quando era così volenterosa: il suo carattere
era così
imprevedibile a volte da lasciare sorprese perfino noi. Solo una cosa
sembrò
lasciar trapelare il disappunto di mia sorella per la fine della sua
cotta.
Accadde
poco tempo dopo, quando passeggiavamo
lungo il ponte, di ritorno dalla spesa presso il mercato.
Jeanne
improvvisamente si fermò lungo il
bordo, infilò la mano in tasca, per poi lanciare qualcosa
dentro le nere acque
della Senna. Nel fare questo, un raggio di sole colpì quegli
oggetti, creando
una scintilla di colori che non avevo mai visto.
Fu
quel particolare a farmi venire in mente
che cosa fossero.
Era
il braccialetto che Claude le aveva
regalato, facendole mille complimenti.
Il
dono di cui andava tanto fiera.
Quelle
pagliuzze di luce ora si trovavano in
fondo al fiume, nel suo fondo limaccioso e sporco. Mia sorella rimase a
guardarle cadere, fino a quando non sparirono, inghiottite
dall’acqua. Si fece
il segno della croce poi, senza guardarmi, riprese con me la strada
verso casa.
Fu così che ebbe fine il primo amore, non ricambiato, di mia
sorella Jeanne.
Allora,
questa è un piccolo salto nell’infanzia di
Rosalie. Come potete vedere Jeanne
non si smentisce mai. Allora, uno dei momenti che parlerò in
questa storia sarà
l’incontro con la contessa di Polignac, ma non
sarà l’unico. La trama non è
ancora definita ma spero che vi piaccia come idea. Quanto alla fic su
Madame ed
il Generale sto lavorando alla seconda parte del capitolo. Nel
frattempo vi
ringrazio per avermi letto.
cicina