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Autore: SunriseNina    11/09/2011    1 recensioni
-Luna?-
-Sì?-
-Ma quindi io e te adesso stiamo… stiamo insieme, penso, no?- si dondolò avanti e indietro con le guance di un rosso vivo e quel maledetto nodo alla gola.
-Certo che adesso stiamo insieme, non vedi? Qui ci siamo solo tu ed io!- rispose lei.
-Non intendevo in quel senso!- Neville si tormentò i capelli con aria disperata –Volevo dire insieme inteso come fidanzati! Insieme, stare insieme, capisci? Essere fidanzati, ecco!- si torturava come suo solito le dita tremanti e sudate, spiccicando faticosamente parola.
Gli sorrise. Un sorriso dolce e felice, un sorriso che Neville amava più di qualsiasi altra cosa al mondo:-Sì, penso di sì. Tu che dici?-
-Secondo me sì- rispose, senza capire il senso di quel discorso.
-Allora dev’essere per forza così- affermò lei –Sì, siamo fidanzati. O come dici tu, stiamo insieme-.
-Adoro le tue fossette- disse a un certo punto Luna.
-Me lo avevi già detto- osservò lui, non per questo meno compiaciuto.
-No, quella volta ti ho detto che mi piacciono le fossette, in generale- puntualizzò lei con naturalezza –Ma era una piccola bugia. A me piacciono le tue, e basta-.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neville Paciock | Coppie: Luna/Neville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Neville osservava con il fiatone i mazzi di foglie di vischio appesi per la classe con dei lucenti nastrini rosso intenso. Avevano appena finito l’ultimo incontro dell’ES prima del tanto agognato Natale.
Per l’ennesima volta si chiese cosa doveva fare, e gettò un’occhiata fugace alla chioma bionda di Luna, che osservava estasiata le decorazioni con il sottile naso rivolto verso il soffitto. Non l’avrebbe rivista per tutte le vacanze, e a quel semplice pensiero sentì il torace impazzirgli, come se nel suo petto l’anima si stesse rivoltando a quell’involucro di carne timido e impacciato. Gli occhi gli pizzicavano fastidiosamente e la gola gli si inaridiva: non sapeva cosa dirle. Non voleva salutarla con un semplice “Ciao”, ma era troppo goffo e titubante per riuscire a spiccicare altro. Sarà stata la luce soffusa e modellata dalle decorazioni che sormontavano le loro teste, ma Luna sembrava ancora di più bella di quanto non fosse già: i lunghi capelli biondo pallido erano screziati di barlumi color miele, le labbra apparivano del colore vermiglio delle rose di maggio, gli occhi azzurri erano come specchi d’acqua limpida. Neville aveva paura di afferrarle la mano e stringere il nulla, realizzando improvvisamente che era solo un sogno, una figura eterea ed angelica che la sua mente desiderava al tal punto di renderla visibile.
Si sentiva completamente disarmato, incapace di compiere qualsiasi gesto sensato; e in fondo, cosa voleva fare, esattamente?
La risposta era ovvia quando devastante: Neville voleva Luna.
Era qualcosa di profondo e carnale che non aveva mai provato in vita sua: quei timidi sentimenti che erano affiorati dal suo animo quando aveva visto le prime volte il viso sorridente della ragazza si erano trasformati in un desiderio incessante e tormentoso, che lo faceva rigirare insonne nel letto nella speranza convulsa e insensata di poterla abbracciare, di potersi voltare e vederla lì in piedi accanto alla finestra, illuminata dalla luce lunare.
Era qualcosa di cui si vergognava tremendamente, come se fosse impuro, e non riusciva a capire come Seamus potesse con tanta facilità e leggerezza descrivere cosa avrebbe volentieri fatto a Katie Bell nel caso se la fosse ritrovata nel letto. Forse nei suoi sogni non era contemplata quella parte più spirituale che era compresa nelle fantasie di Neville; corpo e mente si bilanciavano, creando la perfezione del suo volere, e quella perfezione aveva grandi occhi azzurri e un sorriso infantile.
Si chiedeva come fosse possibile che nessun’altro ambisse a conquistare la giovane Corvonero, o comunque la trovasse anche minimamente carina: le opinioni generali erano che fosse una pazza dagli occhi da raganella. Per alcuni giorno tutto ciò lo aveva reso perplesso, ma si era ricreduto facilmente e aveva raggiunto una conclusione: ognuno guardava chi gli piaceva con occhi diversi. Ritchie Coote, ad esempio, mostrava senza indugio il suo amore spropositato per Romilda Vane, sebbene tutti i rifiuti di lei; il ragazzino sembrava non notare nemmeno le folte sopracciglia e la mandibola assurdamente pronunciata, in compenso poteva decantare per ore la “bellezza dei suoi occhi color cioccolato” e dei suoi “capelli lisci e setosi”. Oppure Ginny, che usciva con McLaggen, uno dei ragazzi più antipatici e boriosi che ci siano.
Ed eccolo lì, lui, Neville, davanti al suo desiderio, a quella ragazza che lo aveva stregato.
Si fece coraggio, o almeno ci provò. Non sapeva cosa le avrebbe detto, ma sapeva che qualcosa avrebbe fatto.
-Ciao Neville!-
-Oh, ciao Luna!- era rimasto sbigottito: era stata lei a cercarlo e salutarla, e lui che si stava facendo tutti quei problemi...
-Hai visto?-
-Cosa?-
La ragazza puntò un dito sopra di loro –Vischio-.
Neville divenne paonazzo e strabuzzò gli occhi, mentre il battito delirante del cuore gli riempiva le orecchie e gli faceva vibrare le ossa: vischio. Vischio.
-Sotto il vischio ci si…-
-Spostati, Neville! Subito! Ci crescono i Nargilli, non voglio che un Nargillo ti attacchi!- disse spingendolo via con tutta la forza che aveva –Stavi dicendo?-
-Eh… ecco…- ma come gli era passato per la mente di dire una cosa del genere?!
Arrossì violentemente:-Sai, il vischio. Sotto il vischio di solito ci si bacia. Ma è una cosa stupida, penso, no?- continuava ad evitare gli occhi della ragazza, mentre balbettava per la vergogna.
Calò un silenzio greve tra i due. Luna lo guardava con aria curiosa e stupita, mentre Neville si tormentava le mani, rigirando le dita tra loro come impazzito, mentre il basso ventre gli si contorceva.
-Teoria interessante- annuì Luna –Ma deve essere tutto un complotto degli adoranti dei Nargilli. Sai, esistono! C’è gente proprio pazza, al mondo- scosse la testa contrariata.
-Già, un complotto. Sì, sicuramente è una scemenza- sentì un rumore sommesso di cocci infranti. Ah no, era il suo cuore che andava in pezzi. Per pochi attimi era rimasto sotto del vischio con Luna.
-Sono felice che la pensi come me. Sei molto simpatico, lo sai Neville? Cioè, sei uno dei pochi che non mi crede COMPLETAMENTE svitata!- esplose in una risata –Ah, come sono divertenti, che sciocchi! Però poi iniziano a nascondermi i vestiti. Dopo un po’ non mi diverto più a cercare le mie scarpe in tutte le aule…-
-E se non fosse una scemenza?- la interruppe Neville.
-Cosa?- disse lei, perplessa.
Neville non sapeva cosa gli era preso. Lo aveva detto senza rifletterci, un pensiero ad alta voce:-Oh… ecco io intendevo… sai, per il… il v… vis…-
Non fece in tempo a finire quella frase strascicata con sforzi sovrumani che qualcosa gli andò contro; Neville emise uno strano sbuffo: la persona gli aveva piantato, nella caduta, un gomito nella pancia.
-Oh, scusa!- disse una vocetta timida e dispiaciuta di una ragazza –Mi dispiace tantissimo, Neville!-
Alzò lo sguardo con gli occhi umidi per lo spavento e il dolore: Hannah.
La ragazza si rigirava tra le dita la punta di una delle due trecce bionde e si mordicchiava con apprensione il labbro:-Scusa, volevo solo… Non ho fatto apposta, non avrei voluto iniziare un discorso in questo modo!- e nel dirlo scoccò uno sguardo a due ragazzi poco lontani con una punta di ira. Neville se ne accorse, e vide Seamus e Dean farle segni d’incoraggiamento. In pochi secondi realizzò il pasticcio che stava succedendo.
-Io vado, allora, Nev- sentì la voce di Luna alle sue spalle, e si voltò appena in tempo per vederla allontanarsi con un debole sorriso:-Luna, aspetta!- allungò il braccio, inutilmente: era già alla porta. La ragazza si fermò per un attimo, indugiando con la mano poggiata alla maniglia:-Ah, il Cavillo non era mio. Era di Dennis Canon, lo ha perso il primo giorno. E non ti preoccupare, ho spedito io a tuo zio la lettera che c’era tra le pagine… spero non ti dispiaccia se l’ho letta, sai, non sapevo cos’era!-  a quell’ultima frase, un vago rossore le tinse le guance; poi sparì dietro il portone.
Neville strabuzzò gli occhi con la bocca spalancata: aveva capito bene?
-Uhm. Neville, volevo chiederti, se dovessi farti un regalo, preferiresti l’arancio o il blu cobalto?-
Ma il ragazzo non ascoltava le chiacchiere di Hannah. Aveva appena realizzato cosa sapeva Luna. Cosa Luna aveva letto. Ecco dove l’aveva messa, quella stupida lettera, quando Hermione era balzata fuori da nulla.
Cercò mentalmente di ricordare le esatte parole: occhi del color di non-ti-scordar-di-me, quella era la sua unica certezza, e un’altra manciata di teneri vezzeggiativi. E la cosa peggiore era che, dopo averla letta, Luna gli era rimasta completamente indifferente, quel giorno; lo aveva addirittura spinto via da sotto il vischio.
-Sono nella merda- disse in un sussurro disperato.
-Penso che arancio si intoni meglio ai tuoi occhi- continuava a riflettere Hannah, seriamente preoccupata di non fargli un regalo perfetto.
-Blu. Blu andrà benissimo- disse con voce spenta.
-Oh! Va bene! Ci vediamo dopo le vacanze, Neville!- disse quella, sgattaiolando via dalla stanza.
Seamus e Dean si avvicinarono:-Neville, sei un grande!-
-Non ci ha pensato su due volte, quando le abbiamo detto di te! Oddio, un po’ titubante all’inizio, ma non le dispiaci! Ha detto che ci sta!- gli diede un pugno sulla spalla, unico gesto d’affetto che Dean sapesse fare –Vedrai, sarà fantastico! E Miss Treccebionde non è tanto male!-
“No, non è per niente male” pensò “Ma non è nulla in confronto a Luna.”
Si trascinò in dormitorio a preparare il baule; raccoglieva con fare stanco i vestiti gettati sul letto e i libri sparsi un po’ ovunque. Nulla sembrava avere più molto senso, nemmeno respirare. Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, e ancor meno si immaginava cosa sarebbe potuto accadere, da quel giorno in poi.
 
 
 
 
 



Neville sbatté la porta alle sue spalle. Rimase immobile: la sua camera sembrava tremendamente vuota e triste.
Si accucciò lì dov’era, la schiena contro la porta, e iniziò a singhiozzare rigandosi il viso di lacrime come da tanto non faceva.
 
Non voleva vergognarsi, davvero, non voleva.
Ma cosa poteva provare in un momento come quello? Cosa avrebbe fatto chiunque al posto suo, ritrovandosi davanti Ginny, Ron, Harry e tutto il resto della famiglia Weasley proprio lì, al S.Mungo?
Fin da piccolo, quel posto era stato il suo segreto e la sua prigione, il suo tormento e il suo incubo. Si alzava tremante e sudato a notte fonda, terrorizzato dall’immagine del sorriso spastico di sua madre che lo guardava sussurrandogli con voce roca:”Neville... noi ti vogliamo bene…”
Si strofinò gli occhi umidi con vigore, bagnandosi le mani. Lui non riusciva a realizzare che fossero i suoi genitori, e che avrebbero potuto essere loro ad attendere ogni ritorno a casa, ogni lettera dalla scuola, aiutarlo a vivere la sua vita.
Era qualcosa di inconcepibile e assurdo.
Non erano i suoi genitori, erano due spettri dalle guance incavate e gli occhi strabici, che ogni tanto spuntavano fuori dalle tendine a fiori dei loro letti, sgusciavano via dalle stanze di piastrelle candide e si insinuavano nella sua anima.
Doveva essere fiero, gli ripetevano. Fiero dei suoi genitori. Maghi come lui non sarebbe mai stato.
Come poteva essere fiero di loro, o almeno provarci? Erano dei vegetali, bambini che non cresceranno mai. Erano stati grandi, e tutti avevano potuto apprezzarli prima della pazzia, tranne Neville.
Perché in quel momento suo padre non era su una poltrona del salotto a leggere e a confidargli segreti per far colpo sulle ragazze, e sua madre non lo guardava con aria commossa strapazzandogli le guance facendolo sentire pieno d’imbarazzo? Perché non potevano essere una famiglia normale, dei genitori normali, proprio per lui che ne aveva bisogno? Sì, ne era sicuro, lui aveva bisogno di genitori più di chiunque altro; non era abbastanza forte da prendere in mano la sua vita e guidarla sulle giuste strade, a malapena si orientava ad Hogwarts. Era solo il figlio poco idoneo alla magia di due grandi maghi che si erano sacrificati per tutti e per lui. Nessuno capiva.
Tutti potevano dire:”Oh, sì, Frank e Alice, che eroi”, ma nessuno doveva andare da loro, vedere i loro corpi ingobbiti e vecchi più del dovuto, sconvolti dalla pazzia, deformati dalla demenza; come poteva esserne fiero? Come sarebbe stato possibile rivelarlo a scuola senza che tutti lo prendessero in giro, o peggio ancora, lo compatissero? “Oh sì, povero Neville, che genitori coraggiosi…” e lui non era coraggioso? Non era troppo, per una persona già così introversa e dubbiosa, avere un tale peso a gravare sulle sue spalle?
Se si vergognava dei suoi genitori veniva additato come il figlio che non rispettava la memoria di Frank e Alice, se invece si rendeva orgoglioso per tutti sarebbe stato uno stupido che viveva di luce riflessa delle disgrazie altrui.
Si alzò e si diresse verso la finestra; continuava a piangere con il corpo in subbuglio: non riusciva a reggersi in piedi senza inciampare o cadere sulle ginocchia, come se le sue gambe avessero deciso di non funzionare, di non sopportare il peso di una persona così inutile come il loro proprietario. Tremiti potenti lo percorrevano da capo a piedi, i singhiozzi risuonavano nella sua gola e le lacrime non cessavano, colandogli per il mento fino al colletto della camicia.
Nevicava, un leggero e acquoso nevischio copriva il giardino della casa e i tetti dei vicini. Neville appoggiò la fronte al vetro gelido, sperando di farsi passare quell’insolita calura. Aveva preso forse la febbre, in quella giornata piena d’ansia?
Era stanco, profondamente stanco. Voleva solo addormentarsi, dimenticare tutto e tutti. Sperare di risvegliarsi da un’altra parte.
Si stava togliendo rabbrividendo i vestiti, quando uno strano scricchiolio gli arrivò all’orecchio: si voltò e vide che fuori dalla finestra, a raspare il vetro con i piccoli artigli, c’era un barbagianni infreddolito e un gufo con dei pacchi legati penzolanti alle zampe. Neville aprì la finestra, e questi entrarono con un frullo d’ali e una ventata d’aria gelata; si posarono sul cuscino di Neville scuotendo la testa e le penne arruffate delle ali.
Il ragazzo afferrò il regalo del gufo, ne tastò la morbidezza e lo aprì: un maglione. Blu cobalto.
Sbuffò e afferrò quello del barbagianni: era un pacco avvolto in carta scura. Lo rigirò stranito tra le dita e infine lo scartò: c’era un pacchetto deformato e schiacciaticcio di Cioccalderoni e un’altra busta, ancora in carta marroncina, con un bigliettino arrotolato. Neville, senza capire, lo srotolò e, lette solo le prime parole, i suoi pensieri dilagarono in mille direzioni mentre il cuore iniziava a battergli insistente: ”Caro Nev, buon Natale! Ti ho inviato nel pacchetto una collanina di tappi di Burrobirra. In realtà l’ho fatta piccola, così la puoi usare come bracciale, che è meno da ragazza. Spero ti piacciano i Cioccalderoni, a me sì! Ci vediamo a scuola, passa buone feste, firmato Luna”.
Rigirava tra le dita il piccolo regalo. Tappi di Burrobirra, che cosa assurda.
Sentì dentro di sé formarsi una triste certezza: non sapeva cosa risponderle, e non aveva un regalo da farle.
Improvvisamente Luna sembrò non più un sogno delizioso, ma anche lei uno spettro, lo spettro di un desiderio andato in frantumi. Sapeva tutto di quello che pensava Neville di lei, e non batteva ciglio. Non le interessava per niente un rapporto con lui che non fosse una semplice amicizia, era chiaro. Ma certo, in fondo come aveva potuto sperare che anche Luna provasse quei sentimenti prorompenti al vedere il suo modo goffo di comportarsi, o nell’osservare il suo viso paffuto o i suoi insuccessi nell’ES?
Senza accorgersene, i suoi occhi ricominciarono a riempirsi di lacrime. Sentiva le tempie pulsare come impazzite, la testa scoppiargli e avrebbe voluto solo che quella orrenda giornata finisse.
Si gettò su letto, ancora semi svestito, e tirò le coperte fino a coprirsi tutta la testa; rimase lì, a singhiozzare silenziosamente perché il resto del mondo non potesse sentirlo, fino a quando il sonno non prese il sopravvento, forse più per la febbre che per altro.
Era solo.
Terribilmente solo.
La felicità sembrava il vago e indistinto ricordo di una vita che non gli apparteneva più.








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Argh, è tardi troppo tardi q___q non riuscirò mai ad abituarmi all'orario scolastico, sob ç-ç
Spero che il capitolo vi piaccia :)
Un po' triste, ammetto, ma non mi potevo immaginare un'atmosfera diversa per la scena del S.Mungo...
Povero Nev :'(
   
 
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