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Autore: Emily Kingston    11/09/2011    2 recensioni
Hermione Granger non ha mai ricevuto la sua lettera per Hogwarts e Ronald Weasley ha sviluppato un innato interesse per la Londra Babbana.
“Che c’è? Io sono cosa?” domandò la ragazza, gesticolando.
Ron deglutì, sbattendo le palpebre.
“In mezzo al tavolo.”
Ed era così. Hermione, la strana ragazza che appariva nel suo appartamento, si trovava in mezzo al tavolo, il suo corpo metà sotto e metà sopra.
Ci era passata attraverso.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 There’s a sparkle in you

Diagon Alley quella mattina era avvolta da una coltre uggiosa di nubi che non promettevano null’altro che pioggia.
Il vento spirava beffardo, burlandosi dei passanti, facendo volare cappelli e alzando mantelli tra le sue spire.
Ron si strinse nel cappotto, avanzando nella folla, diretto verso un luogo ben preciso. Era abbastanza sicuro, per qualche ragione a lui ignota, che Hermione non l’avrebbe mai seguito fuori dall’appartamento. Si muoveva, quindi, sicuro tra le vie, senza badare al fatto che lei potesse venirgli dietro.
Imboccò una strada secondaria, poco dopo il negozio dei suoi fratelli, e procedé seguendo il corso della via, fino a fermarsi di fronte ad una piccola baracca con un’insegna a lettere colorate: L’occhio interiore e il mondo dell’aldilà.
Entrò, facendosi strada tra i fili della tenda di perline che copriva l’entrata, e cercò con lo sguardo la proprietaria, una donna magra dalla capigliatura stopposa che indossava scialli colorati ed un paio di grandi occhiali che le alteravano le dimensioni degli occhi.
Sibilla Cooman aveva smesso di insegnare ad Hogwarts dopo la fine della guerra ed aveva deciso di condividere con il resto della comunità magica il suo singolare talento.
Ron si mosse con passo insicuro all’interno del negozio, ogni passo accompagnato dallo scricchiolare delle assi del pavimento.
Un forte odore d’incenso impregnava l’aria, insieme al sottofondo di una strana melodia, riconducibile ai canti dei Druidi Celti.
“Professoressa Cooman?” chiamò, titubante, avvicinandosi al bancone.
La donna sbucò da una stanza sul retro, il cui ingresso era anch’esso celato da una tenda di perline.
“Ti serve qualcosa caro?” chiese, i grandi occhi azzurri puntati su di lui.
Ron deglutì, annuendo.
“Dimmi pure, l’occhio è felice di servire i meno dotati,” lo incoraggiò, abbozzando un sorriso.
“Ecco, vede, c’è un fantasma in casa mia,” spiegò. “Il fatto è che lei, il fantasma, non accetta di essere morta e mi sta perseguitando, non vuole andarsene.”
La donna annuì, fermando il suo fiume di parole con un cenno della mano.
“Capisco, vuoi che scambi due parole con questa entità, non è così?” Ron annuì con veemenza.
“Bene, ma sappi, ragazzo, che il tuo futuro non è propizio, un grave fatto sconvolgerà la tua vita, molto presto,” nonostante fossero anni che non insegnava più, Ron poté constatare che aveva mantenuto la sua vena tragica nel fare pronostici e che la sua voce era rimasta assente e squillante come un tempo.
“Molto bene, portami al cospetto del fantasma.”
 
Quando si Materializzarono nell’appartamento di Ron, Hermione era ancora lì; seduta su una poltrona del salotto.
“E quella chi sarebbe?” sbottò, squadrando la Cooman.
“Ebbene?” domandò la donna, guardandosi intorno.
Ron si grattò il capo, lanciando un’occhiata di rimprovero ad Hermione.
“Ecco, lei è lì, sulla poltrona.”
La donna guardò verso il soprammobile, ma non c’era nulla.
“Io non vedo nulla,” informò, avvicinandosi comunque alla poltrona.
“Già, ehm, posso vederlo solo io, il fantasma,” spiegò Ron e la Cooman sembrò piuttosto stupita dall’informazione.
“Molto bene.”
La donna si tolse alcuni dei suoi scialle e li appoggiò alla spalliera del divano, si scrocchiò le dita, costellate di anelli, ed allungò le braccia, le mani aperte puntate contro la poltrona sulla quale era seduta Hermione.
“Sei tra noi?” domandò, la voce cupa di quando inventava le predizioni a scuola.
“Andiamo bene,” borbottò Hermione, incrociando braccia e gambe e guardando con scetticismo la strana donna davanti a lei.
“Credo che sia tra noi, ragazzo,” sussurrò a Ron, che si passò una mano sulla faccia, desiderando di sprofondare nel pavimento.
La Cooman continuò a conversare con Hermione per diversi minuti, mantenendo i palmi aperti rivolti verso di lei e gli occhi serrati.
“Se ne andrà presto, ha compreso il suo stato e presto tornerà al luogo cui appartiene,” lo informò.
Ron annuì, intercettando lo sguardo scuro di Hermione al di là delle spalle magre della donna.
“E’ un galeone e tre falci.”
Il rosso alzò gli occhi al cielo e, cacciato il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans, le porse il denaro.
La donna gli sorrise, vacua, e si Smaterializzò.
“Ottima tattica,” lo schernì Hermione.
“Sta’ zitta.”
 
Questa volta era sicuro di aver trovato la persona giusta, colui che avrebbe scacciato quell’impertinente e pedante fantasma da casa sua.
Il signor Owl era un uomo robusto, con un paio di baffoni brizzolati e dai penetranti occhi blu. L’aveva incontrato alla Testa di Porco quando, qualche sera prima, si era incontrato con Harry e gli aveva raccontato il fallimentare incontro con la professoressa Cooman.
“Un fantasma, dite?” era spuntato dicendo.
Lui ed Harry avevano annuito – anche se Harry si era dimostrato piuttosto scettico – e lui aveva risposto che, guarda caso, s’intendeva proprio di affari del genere e che avrebbe volentieri dato un’occhiata a questo fantasma.
Quando si era parlato di pagamento, però, era stato un po’ reticente nello spiegare il prezzo dei suoi servigi, e così Ron si era dovuto accontentare di una cifra approssimativa.
“Mah, all’incirca tre, quattro galeoni,” aveva detto l’omone, tracannando malamente il suo whisky. Si erano accordati per trovarsi al suo appartamento il pomeriggio seguente, anche se Harry gli aveva suggerito di lasciar perdere, perché sicuramente non era un tipo affidabile.
Ron, allora, aveva fatto spallucce e la cosa gli era passata da un orecchio all’altro senza neanche sfiorare il cervello.
Marcus Owl si presentò a casa sua come stabilito, apparendo nel suo salotto alle quattro di un tiepido pomeriggio d’ottobre.
“Buonasera.”
“Sera, dov’è lui?” chiese, appoggiando una cassetta di metallo a terra e pulendosi le mani sui logori jeans scoloriti. Ron gli aveva accennato che era l’unico in grado di vedere Hermione.
“Lei. E’ una lei, il fantasma,” specificò Ron e Owl fece un cenno d’insufficienza con la mano. “Comunque è sulla poltrona.”
Owl annuì ed aprì la cassetta di ferro, tirandone fuori la sua bacchetta – un vecchio pezzo si legno con un bitorzolo a metà – e altri strani oggetti.
Hermione, seduta a gambe incrociate sulla poltrona, sbuffò, agitando appena l’imponente chioma riccioluta che le cadeva sulle spalle.
Riempì quella che sembrava una provetta di uno strano liquido violetto e la fece levitare, riempiendone un’altra di un denso preparato color verde mela.
“Come si chiama il fantasma?” chiese, facendo levitare anche la seconda boccetta.
“Hermione.”
“Ciao Hermione,” iniziò l’uomo, afferrando una scatola cubica dalle pareti trasparenti. “Non voglio farti alcun male, non essermi ostile.” Hermione sbuffò di nuovo, spazientita. “Mi è ostile,” spiegò Owl a Ron, che annuì con finto interesse.
“Non immagini neanche quanto,” ribatté Hermione.
Owl continuò a parlare con lei, muovendo la bacchetta in circolo.
“Sono qui, Hermione, per riportarti nel luogo da cui sei venuta: l’aldilà!” annunciò. “Non temere, voglio guidarti verso la luce!”
Ron scosse il capo, sconsolato, avrebbe dovuto imparare una buona volta a dar retta ad Harry.
“Perché siete tutti fissati con questa dannata luce?” sbottò la ragazza, mentre l’uomo continuava a farneticare.
“Preparati, Hermione, il tuo viaggio sta per iniziare,” disse e, inaspettatamente, versò entrambe le boccette sulla poltrona, macchiando i cuscini candidi.
Hermione spalancò gli occhi, inorridita e l’uomo iniziò a far girare la bacchetta in circolo, creando un mulinello d’aria che ricacciò dentro al cubo trasparente.
“Ecco,” esclamò, soddisfatto. “Adesso lei è qui dentro, non potrà darti più alcun fastidio.”
Hermione fissò scettica il cubo e si portò al fianco di Ron. Il ragazzo guardò lei, poi il cubo e poi Owl, che sorrideva soddisfatto all’indirizzo della scatola trasparente.
“Sono quattro galeoni.”
Ron, con un sospiro, gli posò le monete dorate sul palmo della mano e l’uomo, infilato il cubo e le provette nella cassetta di ferro, si Smaterializzò, non senza lasciare il suo biglietto da visita a Ron; “In caso qualche tuo amico avesse bisogno,” aveva detto.
“Questo è stato originale, devo riconoscertelo,” osservò Hermione, mentre lui, puntata la bacchetta contro la poltrona, puliva lo sporco. “Quasi meglio della vecchietta psicopatica della scorsa settimana.”
La poltrona ritornò candida con un semplice Gratta e Netta e Ron ci si buttò sopra.
 
Incapace di arrendersi e di darla vinta ad Hermione, un paio di giorni dopo Ron si trovava nuovamente per le vie di Diagon Alley, con la segreta speranza che qualche ammazza-fantasmi inciampasse tra i suoi piedi.
Stava camminando in un vicolo secondario, che si diramava verso l’interno del villaggio, quando incappò in una libreria che non aveva mai visto.
Non che lui fosse un grande conoscitore di librerie, ma passeggiando non gli era mai capitato di incappare in quella in particolare.
Era situata sotto un vecchio appartamento disabitato, la porta di legno era tarmata e la scritta sul vetro sbiadita; Book Shop, diceva.
Promettendosi di non dire mai a nessuno che era entrato in una libreria, Ron spinse lievemente la porta ed entrò, accompagnato dal lieve tintinnare dello scacciapensieri che stava appeso al cornicione.
“Posso fare qualcosa per lei, signore?” la voce stralunata della proprietaria lo colse alla sprovvista.
Si voltò verso il bancone, dietro al quale stava una ragazzina minuta, dai lunghi capelli biondi, che lo guardava con i suoi grandi occhi azzurri.
“Luna?” esclamò. “Luna Lovegood?”
“Oh, ciao Ronald,” salutò la ragazza.
Luna Lovegood non era cambiata di una virgola dai tempi della scuola: stessi capelli chiarissimi, stessi occhi enormi e vaganti, stessa voce stralunata e stessa aria assente.
“Merlino, sono anni che non ci vediamo, come stai?”
“Piuttosto bene, ho avuto dei problemi con i Nargilli alcune settimane fa, mi avevano invaso il cervello ed avevo iniziato a fare cose strane; fortunatamente papà aveva della bava di gnomo in dispensa, sarei stata persa altrimenti,” spiegò, con un mezzo sorriso assente sul volto.
Ron annuì, sorridendo a sua volta.
“Credevo saresti andata a lavorare al giornale con tuo padre,” osservò, guardandosi distrattamente intorno.
Luna non parve averlo sentito, perché gli chiese il motivo della sua presenza.
“Mi serve un libro sui fantasmi, o sulle entità, ne hai?” Luna scosse il capo.
“Hai problemi con il fantasma di famiglia?”
“Oh, no. Il Ghoul della soffitta si è rabbonito negli ultimi tempi,” disse, sorridendole. “Il problema è che c’è un fantasma in casa mia che non ne vuole sapere di andarsene.”
Luna non disse nulla, sembrava quasi che non l’avesse neanche sentito parlare; si rese conto che l’aveva ascoltato attentamente solo quando la figura mingherlina della ragazza gli si parò davanti.
“Potrei parlarci io, se vuoi,” propose, facendo vagare gli occhi nel vuoto.
Ron ci pensò un po’ su, poi annuì, infondo non aveva nulla da perdere.
 
Lui e Luna apparvero nel suo salotto dopo una lunga chiacchierata ai Tre Manici di Scopa, durante la quale aveva spiegato alla ragazza un paio di cosette su Hermione e sul come ed il quando era sbucata dal nulla.
Non era poi tanto sicuro che lei lo avesse ascoltato, sembrava molto assorta quando parlava e piuttosto impaziente di incontrare Hermione.
Quando apparvero dal nulla nel salotto Hermione non sobbalzò come le altre volte, ma guardò con curiosità la ragazzina insieme a Ron.
“Oh, ne hai portata un’altra. Fantastico!” esclamò, andando loro incontro e girando intorno a Luna per esaminarla.
“E’ molto arrabbiata,” osservò Luna.
Hermione sbuffò, sollevando qualche ciocca di capelli.
“Questa l’avevano capita tutti.” Ron le lanciò un’occhiataccia e lei lo guardò con un sopracciglio inarcato.
“E’ un fantasma piuttosto rancoroso, sì,” concordò Ron, guardando Hermione con una punta di sfida negli occhi.
“Oh, ma lei non è un fantasma,” specificò Luna. Ron strabuzzò gli occhi ed Hermione sorrise, soddisfatta.
“Questa mi piace.”
“Ah, no?”
Luna scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli biondi.
“E’ uno spirito. Ed è qui perché ha qualcosa in sospeso, qualcosa che deve fare prima di ricongiungersi al suo corpo,” spiegò la ragazza, mentre Hermione ancora le girava intorno. “Ti conviene lasciarla stare, sai?”
Hermione si aprì in un enorme sorriso. “E’ ufficiale, la adoro!”
Ron la guardò male, prima di riportare lo sguardo curioso su Luna.
“Se vuole che tu vada via, vai, lei ha degli affari da sbrigare,” Ron annuì, guardando Hermione con la coda dell’occhio. Stava ancora ridendo. “Se ti servisse aiuto per i Nargilli non esitare a chiamarmi.”
Ron sbatté le palpebre.
“Nei hai la testa piena,” specificò la ragazza. “Be’, buona fortuna, ci vediamo.”
“Ciao Luna e grazie.”
Lei gli fece un vago cenno con la mano prima di Smaterializzarsi.
Il ragazzo sospirò, trascinandosi fino al divano e lasciandocisi andare contro.
Accio birra,” sussurrò, scuotendo appena la bacchetta. Pochi secondi dopo una lattina di birra planò nella sua mano.
“Un giorno mi dovrai spiegare come fai a fare tutte queste cose con quel tuo bastoncino.”
“Cosa vuoi da me?” domandò Ron, esasperato, ignorando la sua domanda.
“Che tu mi aiuti a scoprire chi sono.”
Il ragazzo, allora, si alzò in piedi, fronteggiandola, gli occhi accesi di determinazione.
“Bene, da dove iniziamo?”
Hermione gli sorrise e, sedendosi di nuovo con lui sul divano, iniziò a raccontargli di ciò che ricordava.

   
 
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