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Autore: Clix_Clix    13/09/2011    3 recensioni
Doveva per forza aver sentito male.
Era stanca.
Aveva trascorso una giornata a dir poco intensa.
Ed era tardi, molto tardi.
Veronica Mars per quanto ci provasse non riusciva in nessun modo a prendere sonno e, nella penombra di quella tiepida notte di fine marzo, se ne stava stesa nel letto, supina, con i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino di lino bianco in una trama di ciocche ondulate.
[Una nuova casa, un nuovo mistero... un epico amore. Per riprendere da dove eravamo rimasti...]
Genere: Romantico, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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10 Salve a tutti. Questa mia storia è ferma da 3 anni. Imperdonabile, me ne rendo conto. Inutile star qui a giustificarsi con magari ragionevolissime attenuanti.
Fatto sta che un po’ di tempo fa ho ritrovato queste pagine sul mio pc, le ho rilette e mi sono trovata a rimpiangere di non essere riuscita a portarla avanti. Contemporaneamente ho ricevuto alcuni stimoli di diversa natura che, insomma, mi hanno spinta a decidere di provare a riprendere.
E’ una prova, diciamo, per me per prima, e vediamo come va.
Non so se quanti in quel lontano 2008 stavano leggendo la mia storia sono sempre disposti a risvegliare un interessamento, in ogni caso spero che questa prova riesca bene sia per voi che per me! Magari fatemi sapere!



CAPITOLO DIECI


.


Veronica era seduta sulla poltrona di quella che fino a pochi mesi prima era la sua casa. La casa di suo padre. Stava lì e fissava con aria affranta il pezzo di carta che aveva trovato sul tavolino del salotto.

- Tesoro, scusa se non faccio in tempo ad avvertirti di persona ma devo partire subito per un lavoro urgente. Forse dovrò stare via qualche giorno in più questa volta, non so esattamente quanto, ma ti chiamerò presto e ti spiegherò tutto. Ti lascio il timone della baracca, Backup non aspetta altro che passare un po’ di tempo con la sua Mars preferita, e’ stanco di me, lo capisco dall’odore. Fa’ la brava e cerca per quanto possibile di tenerti lontana da prigioni, sparatorie, rapimenti alieni e simili almeno finché non torno. Ti voglio bene. Papà. –

“Fantastico! Mio padre prende e parte senza dirmi una parola. Ci voleva tanto a fare una telefonata per dirmi –Ehi! Parto per cercare fortuna, ti porterò un bel regalo!–?? Se non fossi passata qui e trovato il biglietto avrei pensato che fosse scomparso... Ma che gli prende a quell’uomo?” Veronica sospirò allungando i piedi sul tavolino. “Ah mia cara ragazza, comincia ad abituarti a tranquille serate in solitudine! Mio padre si dimentica improvvisamente di avere una figlia e il mio ragazzo probabilmente sta già preparando le valige per andare dall’altra parte del mondo! Già…”
Da quando la sera prima Logan aveva ricevuto quel messaggio Veronica ormai non pensava ad altro. Evidentemente alla fine Logan era riuscito a convincere Bill Connor a rivelargli dove Lynn si stesse nascondendo. Un piccolo paesino vicino Sydney, migliaia e migliaia di chilometri lontano da Neptune. Era felice per lui, ovviamente, ma da quel momento era inquieta e non riusciva a farne a meno. Ma che si aspettava? In fondo era stata lei la prima ad impegnarsi ad aiutarlo a ritrovare la madre e ci teneva sul serio, voleva davvero che Logan riuscisse a mettere le cose a posto con sua madre, che recuperasse un po’ di quella serenità e sicurezza di cui spesso era stato costretto a fare a meno. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato e in fondo lui sarebbe stato via poco tempo, al massimo qualche settimana. Finché non aveva visto quel biglietto nelle mani di Logan non aveva idea che la cosa l’avrebbe agitata tanto Sinceramente non ne capiva il motivo. Non era da lei e si sentiva del tutto ridicola. Una stupida ragazzina che non riesce a sopportare che il proprio ragazzo parta per un viaggio. Quasi si faceva rabbia. Ma perché, perché, pensava, stava reagendo così? Era sempre stata abituata ad essere una ragazza forte e indipendente e sapeva di esserlo ancora. Che gli sarebbe mancato lo immaginava benissimo, ma non si aspettava di provare questa grande tristezza all’idea che partisse. Comunque avrebbe cercato di non darlo a vedere. Un po’ per quella certa imperturbabilità che da tempo si era sforzata di rendere parte integrante del suo carattere e che, alle volte, neanche lei stessa riusciva a sopprimere. Soprattutto però voleva mostrarsi il più comprensiva possibile, perché quel viaggio sarebbe stato molto più duro per Logan che per lei. Dopo il modo in cui era andata l’ultima volta che aveva visto sua madre quell’estate, poteva immaginare quanto fosse difficile per lui ritrovarsela un’altra volta davanti e sforzarsi di non odiarla per quello che gli aveva fatto. Andare lì non per cercare le rassicurazioni che avrebbe meritato, ma per offrire un aiuto che con mille attenuanti le aveva negato. Tornare laggiù con mille cose da farsi spiegare, questa volta. Chissà cosa aveva spinto quella famiglia a sparire così, a scappare in quel modo improvviso lasciando dietro si sé nient’altro che un cugino spaventato a morte, era evidente. Veronica era davvero curiosa, doveva veramente sforzarsi per non seguire Logan e andare lei stessa a scoprire tutto di persona. Quello il suo istinto le avrebbe suggerito di fare, se solo questa volta non avesse deciso di ignorarlo. Sapeva che questa volta doveva farsi da parte. In questa storia stavolta lei non c’entrava, almeno non direttamente. La riguardava, è ovvio, perché Logan era e sarebbe sempre stato affar suo, ma l’unico contributo che sentiva di dovergli dare era tutto il suo appoggio, perché quello era un conto in sospeso solo tra lui e il suo passato. Sapeva che Logan aveva bisogno di sbrigarsela da solo, che se non fosse riuscito a dare un senso alla storia con sua madre, quel fantasma avrebbe continuato a perseguitarlo in silenzio, nel profondo, senza che lui dicesse mai una parola, che si lamentasse o che soffrisse apertamente. Ma era così, a volte riusciva a vederlo nei suoi occhi, riusciva a vedere i segni di un passato difficile e sotto molti aspetti lasciato in sospeso, segni che a volte assumevano le vesti di un tormento interiore. A volte, anzi, neanche troppo interiore… e poteva fare più di un esempio, perché molti li aveva vissuti sulla sua pelle, ma decise di sorvolare, di smetterla di rivangare vecchie storie. La mattinata era appena iniziata e lei doveva attivarsi. Certo, non era iniziata nel migliore dei modi. Suo padre covava chissà quali segreti e la faceva impazzire che non la mettesse al corrente dei casi che seguiva, ma tanto in giornata avrebbe messo sotto sopra l’ufficio ed era sicura di riuscire a scoprire che cavolo stesse combinando quell’uomo, a costo di svuotarlo da cima a fondo! Più che altro avrebbe sperato di passare qualche giorno con lui, ora che Logan sarebbe partito.
“Vuol dire che sarò proprio costretta a studiare. Poco male.”
Veronica cominciò a raccogliere la borsa e aprì il frigo per rubare una bottiglietta d’acqua al padre.
“Mi pare il minimo… ah papà troppe bottiglie d’acqua dovrai darmi per farti perdonare!”
A stare ferma in poltrona a perdersi nei suoi pensieri Veronica stava rischiando di fare tardi. Doveva passare dall’amico di suo padre a prendere quelle famose cassette, finalmente. Almeno quello suo padre non se l’era dimenticato! Per quando fosse sicura che si fosse ormai dedicato a sniffare colla al punto di soffrire di alterazioni improvvise del comportamento, alla fine finiva sempre per non deluderla. Però questa volta l’avrebbe sentita! Scese di corsa le scale e corse verso l’auto, cavolo, aveva fatto proprio tardi, doveva sbrigarsi se voleva riuscire a prendere quelle cassette, dargli un’occhiata, avvertire Wallace delle eventuali buone notizie e riuscire ad arrivare in orario per vedersi con Logan a pranzo.


°°°


Mezz’ora dopo Veronica era ferma in macchina nel parcheggio della Hearst e anche se era ancora indietro sulla tabella di marcia mentale che si era prefissata, si era concessa un minuto per riflettere sul da farsi.
“Mmm. Questo potrebbe rappresentare un problema… proprio non mi aspettavo che fossero così tante. Chi era che diceva se qualcosa è troppo facile da risolvere non è divertente?”
Sul sedile posteriore della sua auto era poggiato un intero scatolone di videocassette. Le registrazioni di sorveglianza della banca di due mesi. Ma non era questo il problema. Forse per un eccesso di sicurezza di questa particolare banca, o magari perché i pianeti proprio quel giorno si erano allineati a modo a lei sfavorevole... Veronica non sapeva quale fosse la ragione, fatto sta che il suo gancio nella banca – o meglio il gancio di suo padre – era riuscito a farsi accordare solo la consegna delle copie delle videocassette originali. Per ragioni di sicurezza l’agenzia era solita fare una copia di ogni cassetta, per procedere ogni mese all’immagazzinamento delle stesse. Il problema? Ovviamente le copie venivano fatte alla bell’e meglio, accumulate e in modo assolutamente casuale, senza nessunissima indicazione sulla custodia circa le date delle registrazioni contenute nelle cassette. Veronica aveva provato a lamentarsi, ma aveva capito quasi subito che arrivare a tanto era troppo anche per lei e la sua testardaggine. In fondo, quello che l’amico di suo padre le faceva era un grosso favore e lei non poteva mettersi a cavillare troppo se il risultato era poco soddisfacente o le costava eccessivo dispendio di tempo, soprattutto se voleva sperare in futuro di ottenere altri “favori” da lui! Forse, doveva ammetterlo, in passato si era abituata troppo bene, ma certamente non si sarebbe fatta scoraggiare troppo da questo in fondo piccolo intoppo.
“Certo che... si può sapere che razza di organizzazione è mai questa? E me la chiamano una banca”
Comunque, bando alle lamentele, avrebbe dovuto vederle una per una fino a trovare quella giusta. Difficile sicuramente finire per pranzo. Chissà anzi se avrebbe finito per cena! Sapeva quanto Wallace stesse sulle spine, ma avrebbe dovuto attendere almeno il pomeriggio inoltrato, quello stesso pomeriggio che invece lei avrebbe voluto dedicare interamente a stare con Logan, prima che lui partisse.
Nonostante il proposito di non scoraggiarsi, entrando nella caffetteria della Hearst Veronica non poteva evitare di avvertire un certo malumore all’idea di non poter seguire i piani che si era prefissata. Si guardò intorno rapidamente, il bar era affollato e non c’erano tavoli liberi, ma Logan non era ancora arrivato. Giusto il tempo per prendere un caffè con doppia panna e farsi tornare il sorriso prima del suo arrivo, non voleva che la vedesse così. La nuvola nera non aveva mai donato ai suoi capelli!
La fila chilometrica alla cassa certo non aiutava. Veronica si sistemò pazientemente in coda e sbuffando si immerse di nuovo nei suoi poco allegri pensieri. Eppure quella nuvola nera sulla sua testa bionda non accennava a dileguarsi.
Mentre l’intera fila si muoveva di un passo avanti, Veronica si sentì prendere alla vita.
“Nervosa?”
Logan le era piombato alle spalle senza che lei se ne accorgesse, cingendole la vita con entrambe le braccia. Veronica si girò verso di lui e cercò di regalargli il sorriso più luminoso che potesse.
“Nervosa?! Che te lo fa dire?”
“Lo capisco dai tuoi capelli.” Sorridendo Logan le baciò la guancia. Sembrava proprio rilassato, allegro come nei suoi momenti migliori.
“Scherzi?”
“Veramente si.”
Risero entrambi, appena in tempo per vedersi soffiare sotto il naso un tavolo che si era appena liberato.
“Colpa tua! Mi hai distratta!”
“Non pensavo di avere tanto potere su di te Veronica Mars…” Con tono malizioso Logan la spinse avanti per seguire la fila che avanzava. “Che ne dici di mangiare in giardino?”
“Se non hai niente di meglio da offrire a una ragazza…”
Finalmente era arrivato il loro turno di pagare e prima che la cassiera infastidita dalla folla potesse chiedergli cosa prendevano, Veronica si rese conto di aver ritrovato il buon umore. Era una bella giornata, limpida con un leggero vento tiepido.
“Intanto mi permetta di offrirle il pranzo.”
Senza smettere di sorridere per la leggera punta di ironia che spesso coloriva le loro conversazioni, Logan tirò fuori il portafoglio dalla tasca dei jeans mentre Veronica gli strizzava l’occhio per fargli capire che la sua proposta, tutto sommato, era accettabile.

L’erba del grande prato nel cortile dell’università era morbida e un po’ umida. Veronica lo sentiva sotto le dita accarezzandola. Era seduta con le gambe distese, la schiena addossata al tronco dell’albero che li teneva sotto la sua fresca ombra. I resti del loro pranzo erano sparsi un po’ ovunque, tranne la Coca Cola che Logan continuava a sorseggiare mentre se ne stava sdraiato con la testa comodamente poggiata sulla pancia di Veronica, ascoltandola raccontare di suo padre che l’aveva così sorpresa partendo senza lasciarle nient’altro che uno spiccio biglietto.
Il tempo passava placidamente, le vite quasi routinarie degli studenti del college scorrevano intorno a loro come ogni giorno, mentre il sole ancora alto del primo pomeriggio contribuiva ad accompagnare il loro via vai attraverso plastiche ombre allungate.
Veronica e Logan erano entrambi esperti nel non fare troppo caso agli altri. In fondo, entrambi quasi stupiti di riuscire finalmente a godersi di nuovo quella serena naturalezza tra loro. Eppure nessuno dei due poteva ignorare le ombre che si addensavano il quel sole invece alto. Nessuno dei due ancora voleva parlare del fatto che una rottura di quella naturalezza era vicina, eppur necessaria. Avrebbero dovuto cliccare sul tasto “pausa” della loro riunione nel momento stesso in cui Logan sarebbe salito su quell’aereo diretto verso un altro, lontanissimo, continente. Nessuno ne parlava, ma questa comune consapevolezza non poteva che rendersi evidente ogni volta che, tra una parola e l’altra, ognuno rimaneva in silenzio a guardare davanti a sé, chi verso l’ultima scolatura della propria bibita, chi lontano verso uno studente che chiude il lucchetto della sua bicicletta.


°°°


Seduta sul tappeto del luminoso salotto di casa sua, un’annoiatissima Veronica inseriva ad una ad una le videocassette della registrazioni della banca nel suo VHS. Ormai era diventata veloce. Dentro, fuori, dentro, fuori. Si trattava solo di controllare la data segnata in basso sul video fino a trovare il video del giorno che le interessava. Un secondo, e fuori.
12 settembre… 23 settembre…2 settembre... di nuovo 12 settembre... e così via.
Ancora incredula sul fatto che le toccasse quel lavoro così ingrato, quando invece sarebbe risultata un’accortezza così minima inserire una semplice etichetta sulle custodie, la ragazza inserì l’ennesimo nastro proprio nel momento in cui i lineamenti delicati del suo volto si andavano deformando in un enorme sbadiglio. Mentre le immagini si caricavano sul video Veronica lanciò una rapida occhiata all’orologio a muro del soggiorno. Le 18:40.
“Dannazione”, pensò tornando a rivolgere la sua attenzione allo schermo. “… un momento… ci siamo!”. Finalmente aveva trovato la registrazione giusta! Il giorno corrispondeva. L’orario corrispondeva. Improvvisamente impaziente premette il tasto di avvolgimento veloce, nella frenetica attesa di raggiungere il fatidico esatto momento in cui si sarebbe visto il suo innocente e onestissimo migliore amico entrare a piedi nel vicolo nell’orario che l’avrebbe inequivocabilmente scagionato. “Coraggio Wallace… andiamo... dove sei…”



Due ore dopo Veronica stava attraversando la grande hole illuminata del Naptune Grand. L’espressione distesa, il passo tranquillo, la rasserenante sicurezza che il suo amico se la sarebbe cavata senza problemi, il piacere di ricordare l’allegria esplosa sul volto del ragazzo alla notizia che lei gli aveva portato direttamente in ospedale di aver trovato la prova che avrebbe una volta per tutte mandato a farsi benedire ogni plausibile sospetto di una sua colpevolezza nella rapina al cinema.
Un colpo veloce della tessera magnetica attraverso il sensore e Veronica stava già varcando con decisione la porta della suite di Logan, il quale, al momento di separarsi dopo pranzo, aveva preso teatralmente male la comunicazione che lei avrebbe dovuto lavorare qualche ora sul caso di Wallace prima di potersi vedere, ammonendola scherzosamente con i suoi occhi maliziosi che non si sarebbe ritenuto in alcun modo responsabile delle azioni consolatorie eventualmente necessarie ad alleviare la propria solitaria prostrazione.
“Ehi di casa… Indovina chi ha buone notizie?” gridò Veronica al vuoto della stanza non trovando ancora nessuna traccia del ragazzo nella zona soggiorno. Disordine, quello si.
Notando la luce accesa attraverso la porta socchiusa della camera di Logan, Veronica poggiò la borsa sul divano avviandosi verso la camera e si apprestò a spalancare la porta con il viso che si stava già atteggiando in un piccolo sorriso malizioso.
“Atti consolatori in corso?”
Mimando il gesto di irrompere irruentemente nella stanza Veronica sorrideva. Poco prima di notare la grande valigia aperta e semipiena sul letto.


°°°


Nella sala d’attesa affollata del Gate 43 dell’aeroporto di Los Angeles, Keith Mars chiuse con un vigoroso sospiro la quarta rivista di gossip di bassa lega che nelle ultime due ore e quarantacinque minuti si era dedicato più che altro a stropicciare indelicatamente, mentre sfogliava una pagina dopo l’altra soffermandosi su niente poco di più che le fotografie delle inserzioni pubblicitarie.
Due ore di ritardo del volo erano molto di più di quanto in quel momento il detective potesse sopportare. La frustrazione si accumulava, il nervosismo ormai era quasi fuori controllo, forse anche a causa dei quattro caffè, oltretutto pessimi, della macchinetta elettronica della sala d’attesa che già si era concesso nonostante generalmente tendeva ad evitarlo in ore serali, a meno che non dovesse lavorare ovviamente. Quasi sempre la troppa caffeina gli causava una tormentata difficoltà a prendere sonno, ma tanto la prospettiva di farsi una bella dormita in un letto vero era per adesso lontana anni luce.
Era stanco. Davvero esausto. Da quando era partito da Neptune quella mattina non si era mai fermato. Era partito per San Diego in treno e trascorso tutta la giornata in città a discutere con il procuratore i dettagli dell’ingaggio, dopo di che aveva raggiunto all’ultimo momento l’aeroporto spendendo per il taxi una cifra che sarebbe risultata eccessiva persino a Montecarlo.
E troppo avrebbe dovuto ancora stancarsi prima di raggiungere la sua destinazione finale, il viaggio non era praticamente neanche iniziato. Anzi, si trovava ancora alla fase “il volo 569 previsto per le 16:30 dal Gate 43 porterà due ore di ritardo. Ci scusiamo per il disagio”. Keith Mars odiava gli aeroporti, specialmente quelli molto affollati. E odiava le attese. Ma soprattutto la cosa che detestava sopra ogni altra era mentire a sua figlia.
Veronica… immaginava come lei aveva reagito alle sole poche parole che per il momento lui aveva potuto lasciarle con quel biglietto. Rivendicazioni, minacce di vendetta, promesse fatali di scoprire cosa lui stesse tramando a sua insaputa… Keith sorrise nel rendersi conto di poter quasi sentire nella testa le parole pensate dalla figlia. Aveva adottato ogni accortezza che la sua lunga esperienza di detective gli aveva insegnato per assicurarsi che lei non potesse seguire le tracce. E quando lei se ne sarebbe accorta – perché Veronica se ne sarebbe accorta, di quello era sicuro – si sarebbe infuriata ancora di più. Peggio, si sarebbe sentita da delusa da suo padre che inequivocabilmente le stava nascondendo qualcosa, nonostante tutte le promesse che si erano sempre fatti di essere tra loro sinceri ad ogni costo.
Ma era necessario. Quella volta era davvero necessario. Se Veronica avesse saputo su cosa lui era stato chiamato a lavorare, o meglio, per chi, neanche la Guardia Nazionale sarebbe stata capace di impedirle di entrarci anche lei. Ci si sarebbe buttata a capofitto, poteva metterci la mano sul fuoco.
Era qualcosa che la toccava troppo da vicino. Keith non sarebbe mai stato in grado di tenere sua figlia lontana da quella storia, complessa e troppo pericolosa persino per Veronica Mars. Oltretutto avrebbe sicuramente messo da parte i suoi studi, la nuova casa, il lavoro, gli amici... non gli sembrava giusto. No, doveva cercare di tenerla all’oscuro di tutto per adesso, almeno finché non fosse diventato impossibile fare altrimenti.
Più ci pensava, più Keith Mars cercava di convincersi che quella fosse la decisione giusta, l’unica possibile.


°°°


Due secondi dopo che veronica era entrata in camera, Logan apparse dalla porta del bagno e notò subito lo sguardo della ragazza rivolto alla valigia che aveva iniziato a preparare quel pomeriggio.
I loro sguardi si incrociarono con serenità. Non c’era molto da dire, sapevano che li attendeva un'imminente separazione, proprio in quel momento in cui invece avrebbero avuto così bisogno di stare uno accanto all'altra. Di ritrovarsi e ritrovarsi ancora. Di ritrovare ogni sguardo, ogni tocco. Ogni profumo, nuovo e familiare al tempo stesso. Di provare a costruire una nuova quotidianità, solida e unica nella sua naturalezza.
Di questo in particolare Logan sentiva un desiderio intenso, il bisogno di abituarsi alla certezza di Veronica, di abbandonare finalmente quel senso di incertezza che spesso in passato lui aveva avvertito nella loro relazione, quell'allerta di sottofondo, latente, che a volte sembrava parlargli. Parlargli e dirgli: "attento a come ti muovi. Attento, potresti perderla da un momento all'altro".
Quella stessa imprevedibilità che si era concretizzata quella dannata sera nel suo hotel, quando lei era piombata nella suite mentre lui la attendeva emozionato per una serata romantica che aveva organizzato con una cura e un'attenzione che avevano stupito persino se stesso.. si era comprato addirittura una camicia nuova, non ricordava l'ultima volta che lo aveva fatto, in genere non gli importava molto. Preferiva pratiche polo o leggere t-shirt. Grigia. Ce l'aveva ancora in un cassetto, piegata con cura. Mai messa.
Quella sera aveva pensato che sarebbe stata divertente un po’ di eleganza, agghindarsi per una serata speciale, non si concedevano spesso queste frivolezze, loro due. Era eccitato all'idea di vederla, quando voleva Veronica sapeva tirar fuori una classe e una sofisticatezza impareggiabile, che - sebbene a lui risultasse evidente anche nella sua più ordinaria quotidianità, quando lei indossava solo jeans, maglietta e un fermaglio a tenere fermi indietro i più ribelli ciuffi biondi - già in passato in alcune occasione erano riuscite a lasciarlo senza fiato. E invece anche quella sera riecco i jeans... e quello sguardo duro. Vetri che si infrangono, quei vetri su cui lui sentiva di camminare. Ed ecco il baratro, Veronica che come sempre strappa fuori quegli scheletri che dal suo armadio Logan aveva sempre sentito urlare, battere, ridere. Ridere di lui. Anche loro sembravano ammonirlo, avvertirlo che prima o poi avrebbero trovato una via d'uscita per venire a gettare ombre in quella giornata di sole che per lui era la sua relazione con Veronica.
Allerta, cautela, incertezza... Sospensione. Di quelle paure lontane Logan sentiva solo il bisogno di liberarsi definitivamente, di cancellarle per sempre, con violenza e arrivare finalmente a rilassarsi, a vivere quella serena naturalezza che da troppo tempo sentiva di non conoscere, ma immaginava tingere di un colore diverso tutte le cose, di un altro, inesplorato e più fantastico sapore.
Logan comunque non stava pensando tutto ciò mentre riconosceva in Veronica che guardava quella valigia la stessa velata tristezza che aveva provato lui nel disporci con più lentezza del necessario le sue cose.


La guardò con gli occhi accesi e vivaci, nella serena certezza che lei lo capiva. Questa volta non avvertiva quel latente presentimento di star per commettere un errore che in passato aveva più volte accompagnato le sue azioni, senza purtroppo che lui riuscisse a riconoscerlo e ad ascoltarlo in tempo. Era questo il vero problema. Logan Echolls non era mai stato capace di ascoltarsi veramente. Troppe volte quando stava per accorgersi di stare per rovinare tutto, in realtà l'aveva già fatto. Il problema non era mai stato che non sapeva cosa volesse, ma che quando riusciva a contattarlo troppe volte era stato troppo tardi.
Logan era pancia. Impulso e agito. Logan era istinto. Violento e appassionato. Eppure saturo di un sentimento niente affatto irrazionale, ma limpido e consapevole, e solo gradualmente stava imparando a integrarlo nei suoi comportamenti, nella sua vita, a trovare il giusto equilibrio tra emozione e azione. A volte si sentiva ancora proprio come un bambino che imparando a muovere i primi passi comincia a fidarsi che il pavimento sia abbastanza solido da sorreggerlo, che non franerà sotto i suoi piedi spaventati.
Di queste rinnovate consapevolezza era carico il sereno sorriso che Logan rivolse a Veronica che si era seduta sul suo letto a gambe incrociate, proprio accanto a quella valigia tanto temuta da entrambi.
“Pensavi di partire senza salutarmi?” si sentì chiedere dalla ragazza, che, lo capiva, si stava sforzando di farsi vedere più rilassata e incoraggiante possibile. Quella volta vedeva chiaramente che quel suo scherzare in genere così naturale era uno sforzo che lei gli regalava per appoggiarlo in quello che per lui sarebbe stato uno dei passi più duri e impegnativi della sua vita. E, ovviamente, Veronica riusciva nell'effetto sperato.
“Certo che no!” le rispose, “ti avrei lasciato un biglietto giù alla reception!”
Era sempre lui. Erano sempre loro, anche se Logan capì solo più tardi che il mezzo sorriso quasi triste con cui Veronica aveva risposto alla sua inequivocabile battuta era dovuto alla fatica che evidentemente lei faceva a ironizzare sull'idea, anche solo scherzosa, che nel giro di un solo giorno entrambi gli uomini della sua vita fossero partiti lasciandole solo un biglietto di veloce saluto. Il padre glielo aveva fatto proprio quella mattina e Logan sapeva che lei non l'aveva presa bene in quel momento in cui era già così preoccupata per lui ed avvertiva che le stava nascondendo qualcosa.
La fiducia, il grande storico punto debole di Veronica Mars.
Comunque lui non stava partendo, non in quel momento, non quella sera.
“Cena fuori o cena a casa?” le chiese volontariamente allegro mentre la attirava a sé dopo che lei ebbe afferrato il braccio che lui le aveva teso per tirarla su dal letto.
“Decisamente la seconda.”
E mentre ridendo Veronica gli cingeva il collo con le braccia, si concessero ancora qualche minuto prima di chiamare il servizio in camera.


  
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