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Autore: Emily Kingston    15/09/2011    3 recensioni
Hermione Granger non ha mai ricevuto la sua lettera per Hogwarts e Ronald Weasley ha sviluppato un innato interesse per la Londra Babbana.
“Che c’è? Io sono cosa?” domandò la ragazza, gesticolando.
Ron deglutì, sbattendo le palpebre.
“In mezzo al tavolo.”
Ed era così. Hermione, la strana ragazza che appariva nel suo appartamento, si trovava in mezzo al tavolo, il suo corpo metà sotto e metà sopra.
Ci era passata attraverso.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 Everything is never as it seems

 
Ron si scambiò uno sguardo insicuro con Hermione, lei annuì.
Prendendo un profondo respiro alzò il pugno verso il duro legno della porta che, chiusa, si ergeva davanti a lui.
Bussò.
La porta del numero cinque si aprì, rivelando un uomo sulla settantina, affiancato dalla moglie, che lo guardava con curiosità.
“Ehm, mi scusi se la disturbo, sono il nuovo inquilino del piano di sopra,” spiegò Ron, balbettando un po’. “Mi chiedevo se poteste dirmi qualcosa sulla ragazza che occupava l’appartamento prima di me.”
L’uomo si scambiò un’occhiata indecifrabile con la moglie e poi guardò Ron, scuotendo il capo.
“Mi dispiace ma non abbiamo mai incontrato la ragazza che viveva di sopra, stava sempre per conto suo, non si faceva vedere molto in giro.”
Ron annuì, mentre Hermione storse il naso.
Il ragazzo si scusò ancora per il disturbo e sparì nel corridoio, scendendo le scale, diretto al piano inferiore.
“Io non penso che sia una buona idea,” osservò, fermo davanti alla porta del numero sei.
Hermione gli soffiò fra i capelli, facendogli salire un brivido freddo su per la schiena.
“Io lo trovo geniale, invece,” rimarcò, invitandolo con un’occhiata a bussare alla porta.
L’uscio si aprì rivelando una ragazza alta, dalla carnagione dorata, che sorrideva affabile all’indirizzo di Ron.
Non indossava altro che uno striminzito top grigio ed un paio di pantaloni da ginnastica a mezza gamba, entrambi sudati, ed aveva i lunghi capelli biondi raccolti in una coda.
“Posso fare qualcosa per te?” domandò, squadrandolo.
Aveva dei particolari occhi verdi che, a seconda della luce, variavano dal verde chiaro al grigio-azzurro.
“Mi-mi chiedevo se sapevi dirmi qualcosa della ragazza che abitava al piano di sopra. Sono il nuovo inquilino,” balbettò.
Hermione lo trapassò con gli occhi, guardando con sufficienza la ragazza del numero sei.
“Oh, sei il nuovo del numero nove.” Ron annuì, deglutendo. “Io sono May, piacere.”
La ragazza sorrise e gli porse la mano.
“Ron,” rispose, stringendola. “Ehm, puoi…puoi aiutarmi?”
May scosse la testa, muovendo la matassa di lunghi e lucenti capelli biondi.
“Mi spiace, non l’ho mai incontrata, non usciva quasi mai. Era il genere di zitella coi gatti, ma senza gatti, non so se mi spiego.”
Hermione sgranò gli occhi, prima di assottigliarli e borbottare improperi nei confronti della bionda del numero sei.
“Capisco, grazie comunque.”
“Se ti servisse compagnia, lassù, tutto solo, non esitare a chiamarmi,” lo informò May, chiudendosi la porta alle spalle.
Ron annuì al vuoto, riprendendo a salire le scale, con la voce petulante di Hermione che gli trapanava le orecchie.
“Bene, pare che io fossi unazitella asociale! Ottimo!” sbottò, fermandosi davanti alla porta del suo appartamento.
“Stava scherzando, non prendertela tanto. Poi era carina.”
Hermione lo fulminò.
“Non trovi che quella sia priva di classe e con istinti predatori?” domandò, anche se suonava più come una domanda retorica che come una domanda per la quale desiderava una risposta.
“Sono due qualità per cui gli uomini vanno matti!” la informò Ron, infilando la chiave nella toppa ed alzando un po’ il tono di voce.
“Esci con un pitbull allora,” gli suggerì lei, entrando attraverso la parete.
Ron sbuffò ed oltrepassò l’uscio, chiudendosi la porta alle spalle.
 
L’aria di Londra era fresca sulla pelle, il vento spirava tranquillo, sollevando le foglie secche ammucchiati ai lati dei viali.
Ron camminava tranquillo in mezzo alla gente, le mani in tasca, e lo sguardo rivolto ad Hermione, che camminava pochi passi davanti a lui.
Visto che la visita ai vicini di casa non aveva funzionato, avevano pensato di fare due passi in città; magari rivedere alcuni luoghi dov’era stata le avrebbe fatto tornare la memoria.
“Tutto bene?” le chiese, cercando di mantenere la voce bassa.
Hermione annuì, smuovendo la sua massa di capelli.
Ron abbozzò un sorriso e continuò a camminare, zigzagando tra i passanti con calma, lanciando occhiate furtive ad Hermione e poi al cielo e poi di nuovo ad Hermione.
Improvvisamente la ragazza si fermò davanti alla vetrina di un’elegante ristorante, incantata.
Clhoe’s,sono sempre voluta entrare in questo posto,” confessò, riconoscendo l’insegna ed i tavolini circolari all’interno.
“Vuoi che entriamo?” lei annuì e Ron spinse la porta, entrando nel locale.
Un cameriere si avvicinò a lui e gli chiese se volesse un tavolo.
“No, non ricordo nulla,” sussurrò Hermione, affranta.
Ron sorrise al maitre ma declinò la richiesta, dicendo che sarebbe stato per un’altra volta. L’uomo sembrò un tantino offeso ma non ribatté, tornando a serpeggiare tra i tavoli.
Improvvisamente un giovane ragazzo, che si era alzato diretto verso il bagno, cadde a terra in preda agli spasmi, premendosi una mano sul petto.
“Un dottore!” gridò il cameriere che aveva accolto Ron e Hermione. “C’è un dottore? Qualcuno chiami un dottore?”
Lo sguardo di Ron cadde su Hermione che, immobile, fissava con gli occhi sgranati l’uomo a terra.
Come una serie di flashback, immagini di se stessa in una sala operatoria o in una stanza d’ospedale le inondarono la mente, susseguendosi.
“Io sono un medico,” sussurrò. “Io sono un medico.”
Sul volto di Hermione si aprì un radioso sorriso, che la ragazza rivolse a Ron.
“So come salvarlo. Ron, fallo tu.”
“Cosa?” esclamò il ragazzo, attirando alcuni sguardi su di sé.
“Sì,” lo incentivò Hermione. “Fatti dare un coltello ed una bottiglia di Vodka, ti guido io.”
Ron annuì, titubante e si avvicinò al gruppo di persone.
“Sono un medico!” esclamò, facendosi largo e chinandosi sul ragazzo a terra.
“Grazie a Dio,” sussurrò una donna, portandosi una mano al petto.
“Datemi…” Ron temporeggiò, guardando Hermione.
“Un bottiglia di Vodka ed un coltello,” gli suggerì la ragazza.
Ron ripeté ad alta voce ciò che Hermione gli aveva detto e, subito, un cameriere gli portò ciò che aveva chiesto.
“Ora, aprigli la camicia,” Ron eseguì. “E tastagli il petto, riesci a sentire le costole?”
Ron annuì, premendo le dita sul petto del ragazzo.
“Bene. Ora cerca lo spazio tra due di esse e infilaci la punta del coltello,” spiegò.
“Cosa?” esclamò sotto voce il ragazzo.
“Fa come ti ho detto.”
Ron annuì e puntò la punta del coltello sulla carne pallida del ragazzo svenuto. Hermione, poi, gli ordinò di togliere il beccuccio alla Vodka e di spingere appena la punta del coltello tra le costole.
Un piccolo segno rosso comparve sulla palle del ragazzo ed Hermione disse a Ron di mettere il beccuccio della Vodka sul taglio e di premerlo un poco, in modo tale che l’aria di troppo uscisse fuori.
“E’ salvo!” esclamò un cameriere, quando il petto del ragazzo si fu sgonfiato e quello ebbe ripreso a respirare.
“Gli ha salvato la vita! L’ha salvato!”
Dopo aver stretto diverse mani Ron uscì dal ristorante, seguito da Hermione che sproloquiava allegramente.
“Sono un dottore, capisci?” esclamò, eccitata. “Salvo vite umane!”
Ron annuì, abbozzando un sorriso.
“Dobbiamo trovare un ospedale nella zona di Regent Street, sono sicura che scopriremo un sacco di cose.”
 
L’ospedale St. Patrick non era né più grande né più piccolo di tanti altri ospedali di Londra. Le stanze ed i corridoi erano interamente bianchi, rifiniti da stucchi color crema, e l’aria odorava di disinfettante. Solo le zone dedicate ai bambini avevano arredi ed odori migliori.
Ron si avvicinò titubante alla ragazza bionda che stava dietro al banco informazioni all’ingresso; indossava un camice rosa chiaro e chiacchierava allegramente con la sua compagna, anch’ella vestita di rosa.
“Mi scusi?” la donna bionda smise di parlare, alzando gli occhi su di lui.
“Posso fare qualcosa per lei?” chiese, sorridendo.
“Vorrei delle informazioni sulla dottoressa Hermione.”
La donna sgranò gli occhi e si scambiò uno sguardo con la collega.
“La dottoressa Granger, dice?” Hermione annuì convinta.
“Granger, sì, è il mio cognome!” confermò, sicura.
“Sì,” rispose Ron. “Hermione Granger.”
Le due donne si scambiarono uno sguardo grave, prima che la giovane dai capelli biondi gli facesse segno di attendere. Tirò su la cornetta e fece una breve telefonata.
“Vada al terzo piano.”
Ron s’infilò in quello che Hermione gli indicò essere un ascensore e premette il tasto con il numero tre.
L’ascensore, una piccola cabina di metallo con una fila di tasti sul lato sinistro, vibrò, facendo uno strano rumore metallico.
Un attimo dopo iniziò a salire, mentre i tasti s’illuminavano ogni volta che salivano di un piano. Quando una chiara luce gialla ebbe illuminato il numero tre, con un lieve tin le porte si aprirono, rivelando un anonimo corridoio dalle pareti bianche.
Incoraggiato dalla voce di Hermione, Ron uscì dall’ascensore, dirigendosi verso il banco informazioni di quel piano.
“Scusi?”
Una donna orientale, dai corti capelli neri e gli occhi scuri, si voltò verso di lui, sorridendo.
“Lei è il ragazzo che cercava Hermione, vero?” domandò la donna, una punta di rammarico negli occhi.
“Ronald Weasley,” disse, porgendole la mano.
La donna la strinse, dicendo che il suo nome era Christina Yard e che era una dei superiori di Hermione.
“Mi dispiace ma, dovrebbe dirmi il suo grado di parentela altrimenti non posso dirle nulla.”
La donna sembrava veramente dispiaciuta ed Hermione si affrettò a soffiare poche parole nell’orecchio di Ron: “Dì che sei il mio ragazzo.”
Ron arrossì, umettandosi le labbra.
“Sono il suo ragazzo.”
“Non sapevo di un ragazzo,” osservò la  donna, scambiandosi uno sguardo con un’altra ragazza di colore.
Ron sentì Hermione sussurrare un nome, mentre guardava l’altra dottoressa.
“Noi, ci frequentavamo da poco,” si giustificò Ron. “Lei era molto impegnata con il lavoro.”
“Già,” convenne Christina.
Hermione guardò Christina e Showna con preoccupazione.
“Non mi piace quello sguardo,” sussurrò all’orecchio di Ron. “E’ lo sguardo che di solito usano quando devono dare brutte notizie. Forse sono morta davvero.”
Ron scosse impercettibilmente il capo e tornò a guardare la dottoressa Yard, incoraggiandola con lo sguardo a raccontagli cosa era accaduto.
“Vede, signor Weasley, Hermione ha avuto un brutto incidente sei mesi fa ed è in coma da allora, noi non sappiamo se si sveglierà, è passato troppo tempo.”
Hermione sgranò gli occhi, appoggiando una mano sulla spalla di Ron.
“Non ne sapevo nulla,” ammise il ragazzo. “Sono stato...fuori per lavoro,” improvvisò.
Christina annuì, comprensiva, e si scambiò un altro sguardo con Showna.
“Se vuole vederla è in quella stanza lì.”
La dottoressa indicò una porta bianca in fondo al corridoio, contrassegnata dal numero ventiquattro.
Ron annuì, dirigendosi verso la stanza a passo svelto. Hermione lo seguiva silenziosa, lo sguardo puntato sulla porta chiusa.
La oltrepassò, precedendo Ron dentro la stanza e quasi sobbalzò quando si vide stesa sul letto.
“Sei tu.”
Hermione annuì, avvicinandosi a se stessa. Sfiorò il volto coperto di tubi con la punta delle dita e socchiuse gli occhi.
“Non mi sveglierò, Ron,” disse all’improvviso. “E’ passato troppo tempo.”
“Sì che lo farai, invece,” la rassicurò lui. “Prova a rientrare dentro te stessa.”
Arrossì per il suo suggerimento, infantile e poco probabile, ma Hermione gli sorrise e, annuendo, si sdraiò sopra al suo corpo dormiente.
Fece un paio di tentativi, ma ogni volta riusciva a tornare fuori.
Sconfitta camminò fino alla finestra, dove stavano alcuni mazzi di fiori insieme ad una fotografia. Sorrise, accarezzando la cornice con nostalgia.
Era la foto del giorno del suo diploma, lei e Showna erano andate a festeggiare in un locale e si erano scattate una foto.
Erano entrambe un po’ ubriache e con i capelli incasinati, ma era comunque la foto più bella che Hermione ricordasse di possedere.
“Posso provare a fare una cosa?” la voce di Ron spezzò il filo dei suoi pensieri.
Annuì, senza voltarsi. Un attimo dopo, sentì qualcosa stringerle la mano.
Si girò, stupita, e vide che Ron stringeva la mano al suo corpo, con delicatezza.
“Ti sento.”
Il volto di Hermione si aprì in un sorriso e Ron le sorrise di rimando.
“Signor Weasley mi dispiace disturbarla, ma deve andare,” Christina era sbucata dal corridoio, l’espressione ancora più affranta di quando aveva annunciato il coma di Hermione.
“Certo. Solo…aspetti un secondo.”
La dottoressa annuì, richiudendosi la porta alle spalle.
“Vuoi restare, vero?” domandò ed Hermione annuì, smuovendo quella matassa che erano i suoi capelli. “Sei sicura?”
“Sono sicura,” rispose, voltandosi a guardarlo. “Ho bisogno di stare con me stessa, adesso.”
“Va bene.”
Hermione abbozzò un sorriso e Ron si avviò alla porta. “Addio Hermione.”
Il ragazzo sparì al di là dell’uscio, mentre Hermoine lo seguiva con lo sguardo.
“Addio Ron.”

   
 
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