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Autore: Laura Sparrow    16/09/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11
Bugiardi.



I due uomini cenciosi scaricarono con malagrazia il cadavere ai piedi di Silehard.
Quello lo fissò con gli occhi ridotti a fessure, quindi alzò lo sguardo sui due malandrini con la stessa espressione. - E questo che cosa significa?- sibilò, con un tono che, al pari degli occhi, non prometteva niente di buono.
- È quello che abbiamo trovato nel posto dove doveva esserci lo scambio, signore. Tutti morti. Merce sparita. - l'uomo spostò il braccio del morto con il piede. - Prima ci affondano la nave di Avery... adesso questo!-
Silehard notò che nella mano stretta a pugno del morto era stato infilato qualcosa. Qualcosa che sembrava un foglietto di pergamena. Ignorando i due portavoce e tutti gli altri che, nella sala della gilda, tenevano gli occhi puntati addosso al morto, si inginocchiò ed estrasse il foglietto dalle dita contratte dello sfortunato. Rialzatosi in piedi, lo fissò a lungo, con gli occhi che mandavano lampi. Sulla pergamena spiegazzata, qualcuno aveva disegnato lo schizzo di un passero in volo contro un sole che tramontava sulle onde.
Si voltò di scatto, e a grandi passi raggiunse Jack, il quale se ne stava tranquillamente seduto ad un tavolo e stava a guardare insieme agli altri. Sbatté il foglietto sul tavolo e lo passò al pirata perché lo prendesse. Dopo un attimo di esitazione, guardandosi attorno come a chiedere il permesso, Jack prese il disegno e lo studiò con blanda curiosità, mentre attorno a lui tutti i ladri della gilda sprofondavano in un silenzio di tomba.
Quando lo ebbe osservato a sufficienza, rialzò gli occhi su Silehard. - Con questo volete dire che pensate che abbia a che fare con me?- domandò, in tono del tutto innocente.
- Non farmi perdere la pazienza, Sparrow. - ribatté seccamente Silehard. - La tua storia mi sta dando fin troppi problemi. Io ho rispettato la mia parte del patto, ma cosa mi dici di te? Sei una delusione. Una grossa delusione! A cosa mi serve che tu abbia tolto di mezzo Turner? A cosa mi servono i tuoi servigi di capitano se non hai neanche la nave sulla quale contavo?-
- Non è colpa mia!- si giustificò Jack, allargando le braccia.
- Ma è colpa della tua donna!- il capo della gilda si stava infervorando. - La sua interferenza non era prevista negli accordi, come non era previsto che ti lasciasse senza nave da un giorno all'altro... e che sferrasse attacchi diretti alla mia gilda! A cosa mi serve... - alzò la voce, alzando lo sguardo per rivolgersi a tutti i presenti nella sala. - ...un buffone di capitano che si fa soffiare la nave dalla sua compagna di letto?-
Un coro di risate più o meno forzate accompagnò le sue parole: quando Silehard voleva sbeffeggiare qualcuno in pubblico, non stare al gioco sarebbe stato assai poco saggio. Jack incassò la provocazione facendo spallucce e ostentando una faccia colpevole, ma quello al capo della gilda non bastò neanche un po'. Per la prima volta provò davvero l'impulso di frantumare quella maledetta faccia di bronzo, fosse stato anche solo per capire cosa diavolo ci fosse nascosto dietro.
- Tu non vali niente, Sparrow. - sibilò, scandendo le parole. - D'ora in avanti, questa faccenda è affare tuo. Io rispetto i patti se sono messo in condizione di farlo, perciò, se vuoi la tua nave e la tua puttana tutte intere, vai a fermare lei con la forza, se è necessario, e rimetti le mani sulla tua nave. Ferma quella maledetta spina nel fianco, è un ordine. Oppure, da adesso in poi, non ci faremo scrupoli a liberarci di lei alla vecchia maniera appena ne avremo l'occasione. -
Il mormorio concitato dei briganti accolse con approvazione le parole del capo della gilda. Jack chinò il capo con aria remissiva, accettando di buon grado la strigliata, e Silehard non poté fare a meno di chiedersi se la pozione di Imogen stesse già avendo su di lui gli effetti che provocava a lungo termine ai suoi tirapiedi. Ma, se così fosse stato, oltre che silenzioso, obbediente e facilmente manovrabile, avrebbe anche dovuto diventare... prevedibile. Cosa che -Silehard lo temeva più di quanto volesse ammettere- Jack Sparrow non era affatto.
- D'accordo, d'accordo. - rispose il capitano. - Cercherò di non costringervi a misure così... uhm... drastiche. -
- Bravo. E ora fa il favore e sparisci. - con un brusco cenno del capo, Silehard gli voltò le spalle. - E portate via il cadavere di quell'imbecille!- gridò, come per un ripensamento, indicando l'uomo morto che ancora giaceva a terra come un sacco di rifiuti.
Poco dopo, nella sala tornò il consueto caos, e in breve l'accaduto fu dimenticato. Jack si rigirò tra le mani il foglietto col disegno del passero, scrutandolo di sottecchi. Infine se lo mise in tasca e si alzò: era ora di tornarsene a quello che aveva eletto suo alloggio provvisorio, ovvero la fucina di Tiago Marquina. Mentre si avvicinava all'imboccatura del condotto che l'avrebbe portato a destinazione, come spuntato dal nulla gli apparve accanto il ragazzo lentigginoso, che cominciò a seguirlo senza dire una parola.
Jack lo notò e roteò gli occhi con una certa esasperazione, mentre sganciava una lanterna dal suo sostegno e la accendeva. - Toby. Stai diventando assillante. -
- Mi chiamo Tobias. - rispose il ragazzo in tono rude, senza rallentare il passo. - Lo sai che, finché non avrai dato prova della tua lealtà, sei sorvegliato. Considerami il tuo angelo custode. - ghignò, compiaciuto.
- Allora mi curerò di rimanere inaffidabile, visto che questo compito sembra farti sentire così importante. -
Tobias sbuffò, indispettito, ma non replicò: i due camminarono a lungo nel buio condotto che, intrecciandosi con altri, formava un'intricata rete di corridoi che si allargavano sotto Tortuga come tane di topi. Jack pensò che era davvero una fortuna avere una lanterna sottomano e avere imparato in fretta il percorso, altrimenti lui e il ragazzo avrebbero probabilmente finito per perdersi in quel dedalo di gallerie.
Giunti finalmente a quello che sarebbe potuto sembrare un vicolo cieco, spinsero insieme la parete di legno, la quale scivolò lentamente di lato fino ad aprirsi sull'interno dell'armeria di Tiago Marquina. Il muto era al suo posto dietro il bancone, intendo a lucidare meticolosamente le spade. Vedendo entrare i due, sollevò gli occhi -quello sbendato, se non altro- e li degnò appena di uno sguardo vacuo.
Tobias gli scoccò un'occhiata, aggrottando le sopracciglia: il muto sembrava anche meno in forma del solito. Era sempre più pallido; il biancore del viso spiccava netto contro lo straccio grigio sporco che gli bendava l'occhio sinistro. Tra sé, Tobias si trovò a pensare che a breve lo scorbuto si sarebbe mangiato quanto restava del vecchio barcollante.
- Buonasera, amico mio!- lo salutò vivacemente Jack, mentre si liberava del proprio cinturone per depositarlo rumorosamente sul banco. Non ebbe altra risposta se non una vaga occhiata dallo svitato armaiolo.
- Vi lascio. - si congedò freddamente Tobias, rientrando nel cunicolo con la lanterna in mano e richiudendo dietro di sé la rastrelliera di armi che nascondeva la porta scorrevole. L'apertura si richiuse con un tonfo, senza lasciare nessuna traccia se non un leggerissimo dislivello sulla parete.
Jack si buttò su di una sedia e si stiracchiò, posando i piedi sul bancone. - Giornata lunga. - commentò, poi si frugò in tasca e ne estrasse il disegno appallottolato. Tiago sembrò improvvisamente incuriosito da quel particolare, e fece un cenno per indicare il foglietto.
- Oh, questo?- fece il capitano, sollevandolo. - Qualcuno spedisce le lettere d'amore nelle bottiglie; a me arrivano i biglietti nelle mani di un morto. Be', quello che conta è il pensiero, come si suol dire. - diede un'ultima occhiata al disegno con un sorrisetto, prima di rimetterselo in tasca con cura, poi si alzò e tornò alla rastrelliera di armi. La aprì bruscamente, infilando rapido la testa nell'apertura.
- Sembra che Tobias stia perdendo l'abitudine di origliare. Bravo ragazzo. - commentò, soddisfatto, mentre si ritraeva e richiudeva la porta scorrevole. Tiago fece un piccolo sorriso.
- Bene, io vado a dormire. - Jack si diresse a grandi passi verso la stanzetta del retrobottega, dove c'erano due piccole brande sgangherate. - E già che sei lì a rassettare le spade, dai una passata anche alla mia, che sta perdendo un po' il filo. -
- Ora non te ne approfittare. - disse il muto.

*

Era stata una mia idea, una sorta di personale ripicca.
Ci pensavo intanto che osservavo, alla luce tremolante delle lanterne della sala ufficiali, lo schizzo che avevo disegnato più volte sui brandelli di una pergamena: il simbolo del passero, ovunque.
Mi ero divertita a lasciarlo dietro di me come una firma, uno schiaffo in faccia a Silehard e, sì, anche a Jack. Io, Barbossa, i miei uomini ed Elizabeth con la sua ciurma avevamo sferrato diversi colpi a tutti i poli della gilda che conoscevamo, dall'alba al tramonto. Ora che era scesa la notte, la Perla e la Sputafuoco erano ormeggiate a largo della costa occidentale di Tortuga, dove una fitta foresta ci separava dalla città. Se fossi salita sul ponte, all'orizzonte avrei visto solo il profilo scuro della parte boscosa dell'isola, senza nemmeno una luce umana a rischiarare l'oscurità.
Ad un tratto, la porta della cabina si spalancò, e Barbossa entrò di gran carriera, seguito dalla sua inseparabile scimmietta: come entrò, si diresse al tavolo e in un solo gesto rabbioso spazzò via tutte le carte con una mano.
- Via questa roba!- ordinò seccamente, com'era nel suo stile. - Che cos'è, un'altra delle vostre brillanti idee? Ci farete ammazzare!-
Mi feci indietro con la sedia, incrociando le braccia: la scimmietta era balzata sul tavolo e mi fissava con gli occhietti brillanti sgranati. - Non capisco cosa volete dire, capitan Barbossa. -
- Sto parlando di questa pagliacciata!- rispose lui, agguantando uno dei foglietti col disegno del passero. - Vi piace lasciare la vostra firma in modo che possano venire a tagliarvi il collo più rapidamente?-
- Sanno benissimo che si tratta di noi; io non rivelo niente di più. - replicai. Barbossa roteò gli occhi con aria esasperata, stringendo entrambe le mani come artigli sul bordo del tavolo.
- Se a voi diverte, non è un mio problema. - fece, scandendo le parole. - Ma agli uomini della ciurma sembra essere piaciuta molto la vostra bravata, e cosa vogliono fare adesso? Anche loro vogliono mettersi a lasciare la vostra dannata firma su ogni uomo della gilda che colpiamo. “Così li spaventeremo!” dicono... “Così gli sembrerà che siamo dappertutto!”- storse il naso. - Che branco di idioti. -
Mi scappò una risatina, e sogghignai. - Adesso esagerano un po', è vero. - concessi, senza sbilanciarmi.
- Esagerano un po'? Ammetto che prendere il nemico per i fondelli può essere divertente... - continuò il capitano con più calma, ma i suoi occhi color ferro mandavano lampi. - Ma, se continuate così, ci metterete in pericolo tutti. Come possiamo mandare gli uomini come spie, se basta che gli trovino addosso uno di quei ridicoli disegni per farli smascherare? Non possiamo permetterci di rischiare per uno stupido gioco. -
- Capisco. - mi alzai e feci il giro del tavolo, voltando le spalle a Barbossa per fissare il buio fuori dalla vetrate: da quando aveva messo piede sulla Perla aveva fatto di tutto per mortificarmi, ma non intendevo permettergli di continuare a farlo. - Dirò ai miei uomini di non essere imprudenti. -
- Fareste meglio a non esserla nemmeno voi. - replicò lui, laconico.
Mi voltai a guardarlo, facendomi scura in volto. - Il nostro scopo l'abbiamo raggiunto, no? I piani restano quelli accordati, e sono più che sicura che ogni pirata, me compresa, farà del suo meglio. Questi... - accennai ai foglietti sparsi sul tavolo. - ...sono poco più che uno scherzetto. Che Silehard veda che noi non ci arrendiamo facilmente. E che anche Jack veda che non ci può ignorare. -
Alle mie ultime parole, un sorriso strano si era allargato sul viso bruciato dal sole del capitano: la scimmietta camminava a quattro zampe sul tavolo, frugando dappertutto con le manine pelose.
- Dunque, è un messaggio anche per lui, miss? Non perdiamo di vista il comune obbiettivo... - il sorriso scomparve dalla sua faccia, e lui mi puntò contro l'indice con fare accusatore. - Non sono qui per salvare Jack Sparrow. Ci odiamo di tutto cuore da anni, e voi gli assomigliate troppo per andarmi a genio. Io sono qui solo per la Perla. -
- Voi siete qui perché io ho bisogno di voi, e perché voi avete bisogno di me!- scattai con rabbia, fronteggiandolo dal lato opposto del tavolo. Barbossa sbuffò, indispettito, poi si fece lentamente indietro mentre mi squadrava con un'irritante aria di sufficienza.
- Non mi impressioni, ragazza. - replicò, tranquillo, lasciando cadere ogni forma di cortesia. - Ma siamo qui per aiutarci a vicenda contro un avversario scomodo. Questo è tutto. - e, senza aggiungere altro, con tutta la calma del mondo mi voltò le spalle e si diresse alla porta. - Vieni, Jack. - ordinò alla scimmia, la quale, in men che non si dica lo seguì in quattro balzi e gli si arrampicò su una spalla.
Tornai a sedermi al tavolo con un sospiro: tutti gli attacchi che avevamo programmato erano andati a segno con precisione stupefacente, e questo anche grazie alla supervisione di Barbossa. Ma allora, perché riuscivo a sentirmi solo amareggiata?
Erano morte molte persone quel giorno, e il pensiero non mancava di darmi la nausea anche se mi ero ripetuta fino all'inverosimile che lo facevo per fermare Silehard. Per vendicare William. Per salvare i miei amici. Per Jack? L'indomani ci aspettavano altri grossi sgambetti da tendere ai nostri nemici: altre missioni più o meno furtive. Potevamo contare solo sulla fortuna e sull'abilità dei nostri uomini.
Ripensai alle parole di Barbossa, mentre mi rigiravo tra le dita uno dei fogli col disegno del passero. Davvero somigliavo a Jack? Forse, come avrebbe detto Faith, a forza di stare troppo tempo insieme a lui avevo finito per acquisirne i modi. Buffo.
Ma non c'era niente di buffo nella solitudine di quella cabina, dove mi sembrava di avvertire la sua presenza in ogni angolo, in ogni oggetto, in ogni ombra tremolante alla fiamma delle lanterna: e non riuscivo a capire se la sensazione della sua presenza fosse rassicurante o spaventosa.

*

Jonathan risalì lentamente le scale fino ad uscire sul ponte di coperta, riempiendosi con piacere i polmoni dell'aria fresca della notte: il ponte era deserto, la nave aveva calato l'ancora e rollava lievemente sul mare calmo. La sponda boscosa di Tortuga era scuro contro il cielo tappezzato di stelle: accanto alla Perla, anche la Sputafuoco se ne stava ormeggiata, immersa in un silenzio rotto solo dal respiro del mare.
Il giovane prese a vagabondare a passi lenti lungo il ponte: non riusciva a dormire, e il russare degli altri pirati nelle amache di sottocoperta non conciliava certo il sonno. Ma non era solo quello: era da quella mattina, da quando i due capitani si erano fronteggiati dalle navi avversarie, che sulla Perla si respirava un'aria pesante. Paura. La paura di non sapere che cosa dovevano aspettarsi.
Aggirò l'albero maestro, avvicinandosi al castello di prua, e ad un tratto si accorse di una figura ferma accanto al bompresso. Si fermò, poi però riconobbe la chioma di capelli neri agitata dalla brezza.
- Valerie?- la chiamò a bassa voce, avvicinandosi.
La ragazza si voltò e gli lanciò uno sguardo: non sembrava colta di sorpresa. - Ciao Jonathan. - lo salutò, in tono pensieroso. Jonathan le si accostò e le cinse la vita con le braccia: lei sospirò profondamente e si abbandonò contro la sua spalla come se non desiderasse altro, ricambiando l'abbraccio.
- Perché non sei a dormire? Oggi abbiamo solo cominciato, ci aspetta ancora un bel po' di lavoro ingrato domani. - le disse dolcemente il ragazzo.
- Magari è proprio per questo che non dormo. - rispose lei, senza spostare la testa dalla sua spalla. Jonathan le carezzava i capelli, avvertendo il nervosismo nella sua voce.
- Non avere paura. -
- Non ne ho!- rispose lei, staccandosi improvvisamente un poco da lui per guardarlo in faccia. - Insomma... non per quello che dobbiamo fare. È tutto quello che è successo prima che mi preoccupa: quello che ha fatto Jack... e sono preoccupata per Laura. -
Jonathan annuì, con le mani sui fianchi morbidi di Valerie. - Lo so... - disse, cercando di essere confortante. Non c'era paura sul viso di lei, proprio nessuna: solo una tristezza così evidente da fargli male al cuore. Dentro di sé sapeva di non essere mai riuscito a comprenderla fino in fondo, così come non comprendeva il suo carattere sfuggente. Gli aveva detto di amarlo, una volta, eppure gli sfuggiva. Era preoccupato per lei. Era geloso, anche se sapeva di non averne il diritto. - Mi dispiace, piccola, io... -
Valerie gli gettò le braccia al collo e lo strinse a sé con impeto; il ragazzo ricambiò, affondando il viso nei suoi capelli, stringendola tanto forte che sembrava non volerla più lasciare.
- Resta qui, Jonathan. - gli sussurrò lei all'orecchio. - Resta, per favore. -
- Adesso vuoi che resti?- mormorò lui in risposta, in tono quasi lamentoso. Avrebbe voluto osare di più: avrebbe voluto chiederle che gusto ci provava a gettarsi tra le sue braccia solo quando ne sentiva il bisogno, e perché quella sera scegliesse lui e non qualcun altro. Avrebbe voluto dirle del dolore sordo che aveva provato quando l'aveva vista ballare con Connor. Ma non disse niente: Valerie premette la propria bocca sulla sua, facendogli dimenticare qualunque pensiero razione.
Le piaceva il suo odore. Le piaceva farsi stringere da quelle braccia robuste. Le sue labbra scivolarono sul collo del ragazzo, scendendo e poi risalendo di nuovo fino al mento pungente di barba corta, e poi a incontrare ancora la sua bocca per un nuovo bacio intenso, quasi frenetico.
- Resto con te. - mormorò Jonathan tra le labbra di lei, carezzando con le dita il collo abbronzato, il profilo dei seni sotto la camicia. - Io resto con te, Valerie. -
Valerie quasi si stupì di come i loro gesti diventassero semplici, spontanei, e soprattutto di quanto quella sensazione familiare le fosse mancata, mentre Jonathan la adagiava sul legno scuro e si chinava su di lei, nascosti nell'ombra tra la murata e il bompresso. C'era solo il fresco del legno sotto la sua schiena nuda, il calore quasi rovente del corpo di Jonathan sul suo, i baci che non li lasciavano mai sazi. Stringendosi al ragazzo, Valerie aveva spalancato gli occhi verso l'alto, verso il cielo blu cupo che faceva loro da tetto, con le stelle che ora sembravano così luminose da abbagliarli.
“Quante...” pensò, prima di abbandonarsi completamente, col respiro di Jonathan nelle orecchie, mentre si chiedeva se fosse così sbagliato amare il suo tenero e ribelle compagno, ma pensare nel frattempo a qualcun altro.

*

Sgattaiolai rasente il muro, facendo del mio meglio per passare inosservata agli occhi dei presenti nella locanda. L'avevo fatto di nuovo: sapevo che Barbossa non sarebbe stato contento, ma dovevo sapere, e non mi accontentavo di mandare spie per la città come avevamo fatto negli ultimi due giorni.
La situazione, quel giorno, era peggiore di quanto ricordassi: se prima la gilda agiva pressapoco in silenzio, come una malattia che aveva già infettato tutto la città ma del quale nessuno parlava, ora Silehard sembrava essere infine sceso in campo con tutte le sue forze. Gli uomini della gilda camminavano in piccoli gruppi armati fino ai denti, pattugliando a loro piacimento le strade della città, e ogni tanto picchiando chiunque ritenessero avere un'aria sospetta, o particolarmente danarosa.
Cercavano noi. Prima non capivo come un qualsiasi genere di potere avrebbe mai potuto imporsi sull'anarchica Tortuga, ma ora vedevo che il piano di Silehard era di una semplicità disarmante: in una comunità selvaggia e senza leggi come l'isola dei pirati, gli era bastato imporre le sue regole con la forza, l'oro, e con un gran numero di uomini pronti a tutto. E nessuno, lì, si sarebbe mai sognato di organizzare una resistenza contro di lui.
Nessuno tranne noi.
Mi accovacciai tra le botti, col cuore in gola: il rumore della locanda di aveva coperta, ma ero ben lontana dal sentirmi al sicuro. Ero sbarcata da sola sul molo, a bordo di una scialuppa, e mi ero addentrata nei vicoli osservando come si erano messe le cose dall'ultima volta che avevo messo piede in città. Ero vestita da uomo e dubitavo che qualcuno mi avrebbe riconosciuta, ma sfortunatamente i gruppi armati che pattugliavano le strade erano molti più di quanto ricordassi: prima che qualcuno di loro cominciasse a seguirmi o tentasse di fermarmi -cosa che non potevo assolutamente permettere- ero fuggita a rintanarmi all'Albatro.
La porta della locanda sbatté con violenza, ed io imprecai a bassa voce mentre mi appiattivo ancora di più nell'angolo tra i barili accatastati. Cinque uomini dall'aria per niente rassicurante entrarono di gran carriera, scansando senza tanti complimenti tavoli e avventori, puntando le armi a caso contro i primi che trovavano.
- Nessuno si muova!- sbraitò uno, agitando attorno a sé le pistole come se fossero mazze. - Tenete le mani dove posso vederle, e alzate quelle brutte facce! Se c'è qualcuno nascosto, giuro che lo sgozzo!-
Respirai profondamente, con la schiena appiccicata alla parete. Fra le proteste dei presenti, gli uomini avanzarono, agguantando a forza la gente per guardarla in faccia. Imprecai di nuovo: a questo punto ero sicura che tutti conoscessero bene la mia faccia, e forse anche quella di Barbossa, e che ci stessero dando una caccia spietata. Cercando di essere più silenziosa possibile, avanzai carponi e mi infilai sotto una lunga tavolata che correva lungo un buon pezzo di parete, arrancando sul pavimento, finché non fui abbastanza lontana dai miei inseguitori. In ogni caso, sfortunatamente, non avevo vie d'uscita.
Ad un tratto, qualcuno si fermò proprio davanti al tavolo sotto il quale ero rintanata: mi arrestai di botto, con la mano che già correva alla pistola, ma un attimo dopo riconobbi la tonaca grigia, tanto lunga da spazzare il pavimento sporco.
- Miss Laura... - bisbigliò frate Matthew, abbassandosi sotto il tavolo: al riconoscere i tratti marcati del suo viso mi sentii quasi svenire dal sollievo, ma non avevo tempo da perdere.
- Fatemi uscire da qui!- lo supplicai, in un bisbiglio concitato. Frate Matthew gettò una rapida occhiata attorno a sé, quindi mi fece cenno di seguirlo. Uscii a quattro zampe da sotto il tavolo e mi nascosi alla meno peggio dietro la tonaca del frate, che camminava lento, rasente il muro. Sudavo freddo. Non ce l'avremmo mai fatta, così. Fortunatamente, a pochi passi da noi c'era la porta della cantina: frate Matthew la aprì e mi diede un colpetto col ginocchio per farmi strisciare all'interno; incespicai carponi sulle scale, mentre la porta si richiudeva alle mie spalle, sprofondando la stanza nell'oscurità. Il buio avrebbe dovuto forse darmi sollievo, ma non ebbi tempo di pensarlo, perché le mie mani tese in avanti mancarono un gradino, così che scivolai e mi feci il resto della scala ruzzolando.
- Ahia...!- mi morsi le labbra, maledicendo il piccolo strillo che mi ero fatta sfuggire, quindi mi rialzai malamente in fondo alla scala. Sgattaiolai via alla cieca, urtando contro a casse e altri oggetti che non riuscivo a vedere, e imprecando in silenzio ogni volta per il rumore -seppur lieve- che facevo. Infine mi decisi a fermarmi in mezzo a quelle che immaginai fossero casse di cibarie, e attesi. Sentivo da sopra le voci degli uomini di Silehard, e mi chiedevo quanto sarebbe passato prima che a qualcuno venisse in mente di controllare la cantina.
Con mia grande sorpresa -e sollievo- non venne nessuno. Attesi per lunghi minuti, la tensione che mi stringeva lo stomaco a tal punto che quasi arrivai a desiderare di vedere la porta aprirsi, solo per farla finita con quell'attesa snervante. Alla fine la porta si aprì davvero, ma non entrarono gli uomini di Silehard, bensì frate Matthew, con una lanterna in mano.
- Grazie al cielo, se ne sono andati. - esclamò, col suo solito modo buffo di arrotondare le erre, mentre scendeva le scale in tutta fretta. - Qualcuno li ha richiamati fuori. Qui però non siete al sicuro, e farvi uscire dalla porta di certo non è un'ottima idea. Seguitemi, presto. - sollevò la lanterna davanti a sé e mi superò, per poi farmi strada verso un angolo della cantina. Posata la lanterna a terra, si mise a spostare di buona lena alcune casse, fino a rivelare una porticina nascosta incassata nel muro.
- Ma c'è un angolo di Tortuga senza passaggi segreti?- commentai, con una risata amara e nervosa.
Frate Matthew non rise, mentre apriva il piccolo passaggio: non era altro che un minuscolo corridoio, terminante con una scala a pioli che saliva verso l'alto, probabilmente verso una botola sull'esterno. - Non dovete girare da sola per Tortuga. Tutti stanno cercando l'equipaggio della Perla Nera e il suo capitano, e sono disposti a tutto. - si spostò per farmi passare. - Tornate alla vostra nave e rimaneteci: non voglio che vi accada qualcosa di male. -
- Frate Matthew... grazie. - feci in tempo a dirgli, appena prima che richiudesse la porticina dietro di me.
Mi arrampicai su per la scaletta a pioli e trovai la botola: un chiavistello la chiudeva dall'interno; lo sbloccai e sbucai in un vicolo cieco invaso dai rifiuti, proprio nel retro dell'Albatro. Richiusi la botola e mi guardai in giro: non c'era nessuno in vista; l'uscita segreta era ben nascosta da cumuli di spazzatura. Sul muro di fronte a me, una scala di legno rosa dai tarli era appoggiata all'edificio accanto. Tirai un sospiro di sollievo.
Poi mi voltai, e mi trovai sotto il tiro di cinque pistole.
- Ferma dove sei!-
Balzai indietro: i cinque bruti di Silehard erano spuntati da dietro l'angolo, chiudendomi ogni via di fuga, Rimasi senza parole per qualche istante: sapevano da dove sarei uscita? Era stato proprio frate Matthew a tradirmi?
Il più grosso dei cinque si fece avanti con un ghigno sulle labbra. - Non fare storie, piccola stupida, e forse Silehard deciderà di non essere troppo duro con te... -
Afferrai a mia volta la pistola e la puntai contro di loro: sentii lo scatto quasi simultaneo del cane di tutte quante, che le caricava in pochi, letali secondi. Cinque contro uno: avrei avuto il tempo di piazzare una sola pallottola, e me ne sarei trovata in corpo almeno quattro. Il braccio cominciava a tremarmi.
- Fermi!-
Due degli uomini si voltarono di scatto, mentre gli altri tre continuavano a tenermi sotto tiro: il mio cuore, invece, fece un salto mortale nel petto, perché avevo riconosciuto la voce che veniva da dietro l'angolo del vicolo. Tentai la sorte e, approfittando dell'attimo di distrazione, balzai sulla scala appoggiata al tetto della casa a fianco.
- Ehi!- sentii urlare uno degli uomini, mentre risalivo a razzo i pioli scricchiolanti: la detonazione della pistola arrivò con un solo, prezioso attimo di ritardo, e il proiettile scalfì il muro ad un palmo di distanza dalla mia gamba sinistra.
- Non sparare, idiota!- protestò un altro, e non mi presi la briga di restare per scoprire perché non mi volessero morta. Ero sul tetto: la scala mi fu sfilata da sotto i piedi proprio mentre raggiungevo la meta, ma riuscii ad issarmi all'ultimo secondo con le gambe che ancora penzolavano nel vuoto. Libera!
Scattai in piedi, reggendomi in equilibrio precario sul piano inclinato, e corsi su per il tetto incespicando sulle assi traballanti. Sentii che dietro di me qualcuno risaliva la scala per inseguirmi, ma non mi fermai a controllare. Appena ebbi acquistato un po' di equilibrio, corsi a rotta di collo sulla cima stretto del tetto e poi mi lasciai scivolare dall'altra parte: le assi rullavano sotto i passi di corsa miei e del mio inseguitore.
Un altro edificio continuava, attaccato al primo: saltai sul secondo tetto senza rallentare, barcollai per un istante interminabile, e solo in quel momento riuscii a guardarmi alle spalle.
Jack era lì, con me, in cima al tetto: i piedi uno davanti all'altro sullo spazio precario, le braccia spalancate per tenersi in equilibrio. Avanzando, guardò dritto verso di me e inarcò un sopracciglio.
- Questa non è stata un'ottima idea, lo sai?- commentò, mentre saltellava fino alla fine del tetto.
Corsi lontano da lui, tenendomi in equilibrio sul cornicione: il prossimo tetto distava circa un metro, separato da una stradina stretta. - Prova a prendermi!- gli gridai di rimando, mentre mi piegavo per saltare.
Jack sgranò gli occhi e prese ad agitare le braccia verso di me. - Ohi! Ferma!-
Non gli diedi retta e spiccai un balzo. Arrivai al tetto vicino per un soffio: i piedi mi scivolarono sul cornicione, ma riuscii a tuffarmi in avanti e atterrare a faccia in giù sul tetto, aggrappandomi forte per non scivolare. Salva per un pelo. Fui quasi convinta di sentire Jack che tirava un sospiro di sollievo, ma non ebbi il tempo di accertarmene, perché mi voltai e lo vidi prepararsi a saltare dietro di me.
Non aveva nessuna intenzione di lasciarmi scappare. Mi tirai su e mi arrampicai sul tetto: questo era molto più grande di quello che avevo appena lasciato, ma le assi di legno cigolavano sinistramente sotto il mio peso.
Jack saltò. Io corsi dalla parte opposta, ma l'attimo dopo sentii il tetto crollarmi sotto i piedi: senza poter fare nulla per fermarmi, precipitai in una nuvola di polvere, calcinacci e legno spezzato.
La caduta fu breve, ma dolorosa. Emersi malamente dal mucchio di assi spezzate con un grugnito di dolore; la gamba destra mi faceva male, e tutto il fondoschiena risentiva della botta. Mi alzai e mi mossi zoppicando, guardandomi attorno: sembrava che fossi precipitata nella bottega di un fabbro, perché il locale era un'unica grande stanza piena di attrezzi, con una grossa forgia spenta che occupava un intero lato.
Un'ombra si affacciò sul cerchio di luce proiettato sul pavimento dal buco nel tetto. Arretrai, mentre osservavo Jack chinarsi, aggrapparsi alle assi e dondolarsi per atterrare con precisione a terra, barcollando come suo solito.
Non fiatai. Non mi mossi nemmeno; feci solo scivolare lentamente la spada fuori dal fodero. Jack era solo a pochi passi da me, e mi guardava senza parlare: per come lo vedevo, poteva non essere passato nemmeno un minuto dall'ultima volta che eravamo stati faccia a faccia. Il cappello in testa, le mani a mezz'aria, nella sua consueta, bizzarra posizione da finto ubriaco.
Ci guardammo in silenzio per un pezzo. Che cosa c'era da dire? Ricordare le circostanze in cui lo avevo visto in faccia l'ultima volta era insopportabile.
Infine, Jack si decise e mosse un passo verso di me. Non aveva sguainato la spada. Io puntai la mia.
- Non ti avvicinare. - lo ammonii, secca. La gamba mandò una fitta dolorosa quando mi ci appoggiai: ce l'avrei fatta a combattere?
Lui batté le palpebre, con aria vagamente sorpresa. - Altrimenti?- replicò.
- Altrimenti ti dimostro che questa non è qui solo per bellezza. -
Ridacchiò sotto i baffi, cosa che mi procurò un ribollire di rabbia silenziosa, quindi tornò ad avvicinarmisi con un curioso sorriso sul volto.
- Oh, andiamo, Laura... - fece, senza smettere di sorridere, e allargando le braccia. - Tu mi ami. Non mi faresti mai del male... - non aveva ancora finito di parlare che si trovò la mia spada puntata alla gola.
Sgranò gli occhi e sollevò le mani. - ...Magari un pochino. - si corresse, arretrando leggermente per prudenza. - Ma siamo seri... non puoi certo dire di rappresentare una gran minaccia ora come ora, comprendi?-
Non mossi la mia spada da dove si trovava. - Tu prova solo ad avvicinarti un altro po'... -
Mi guardò di sottecchi: conoscevo fin troppo bene quello sguardo, rilassato ma pericoloso. Senza aggiungere una parola fece tre passi in avanti, e anche se gli puntavo la spada alla gola fui costretta ad assecondare il suo movimento e lasciare che si avvicinasse a me... troppo.
- Così va bene?- sussurrò, con una dolcezza che era pura sfida. Faccia a faccia. Pochi centimetri tra di noi, e una lama in mezzo.
Serrai la presa sull'elsa. - Sì, perfetto!- gridai, e l'attimo dopo attaccai. Lui non se l'aspettava, e fece un salto all'indietro, affrettandosi a sguainare la sua spada. L'istante dopo le lame erano incrociate al di sopra delle nostre teste. Ritrassi l'arma e attaccai di nuovo, mentre Jack si sbilanciava di lato per parare i miei colpi.
- Che cosa ti prende? Hai dimenticato come si combatte?- lo schernii, mentre lo costringevo ad arretrare verso la fornace. Senza rispondere, lui indietreggiò rapidamente di tre passi e tirò un calcio ad una rastrelliera di armi, ribaltandola, e mandando le spade a rotolarmi davanti ai piedi con un gran fracasso.
Mi spostai all'indietro, e stavolta fu lui ad avanzare: superate con un salto le spade per terra, mi fu davanti e mi attaccò a più riprese, spingendomi sempre più indietro. Arretravo in fretta, rispondendo ad un fendente dopo l'altro: la gamba mi faceva male, ma avevo sopportato di peggio.
La spada di Jack tagliò l'aria dritto davanti a me; la mia la parò e la respinse. Fu subito chiaro che, per quanto violento, il nostro scontro era una farsa. Miravamo alla spada e non all'avversario; colpivamo esclusivamente per tenerci a distanza.
Jack fece roteare la spada, imprigionando per un secondo la mia, quindi la spinse di lato. - Non ha molto senso continuare così, ne convieni?- mi fece, abbassandosi di scatto per evitare la mia stoccata in risposta.
- Cosa suggerisci di fare?- replicai tra i denti, mentre giravamo su noi stessi e le lame tornavano ad incrociarsi. Lui fece una finta per farmi indietreggiare.
- Magari mi potresti ascoltare!-
Le lame si incastrarono saldamente, trascinandoci vicini per un istante: mentre lottavamo per vedere chi avrebbe disimpegnato la spada per primo, mi trovai a pochi centimetri dalla sua faccia. - Sono tutt'orecchi. - sibilai, liberando l'arma e spingendolo lontano da me con una ginocchiata.
Jack barcollò all'indietro, quindi si fermò con la spada in guardia: rimasi ferma anch'io, aspettando che fosse lui a contrattaccare o parlare. Lui si corrucciò, poi annuì e disse: - Va bene. - avanzò cauto di un passo, stavolta senza abbassare la spada: probabilmente era un po' meno sicuro di sé, adesso. - Innanzitutto, cos'è questa storia che Barbossa sarebbe sulla mia nave?-
Quasi mi sfuggì una risatina, mentre osservavo i suoi movimenti senza perderlo d'occhio un secondo. - Come dire... ha visto che eravamo in difficoltà ed è venuto ad aiutarci. Sai, ci siamo trovati molto d'accordo: in fondo lui odia Silehard e i suoi scagnozzi quanto me. -
- Tu non lo conosci!- scattò, chiaramente piccato.
- Forse no. Ma credevo di conoscere anche te, e invece guarda... -
Jack avanzò di scatto: io feci guizzare la lama tra di noi, ma era solo una finta. Prendemmo a girare lentamente in cerchio, fissandoci, con le spade alzate.
- Tu non capisci. - sospirò Jack, senza fermarsi. - Non mi importa di Silehard, né delle sue mire su Tortuga, comprendi? Il problema è che stanno per scuotersi tutti i Caraibi, credimi, e non ho nessuna intenzione di finire schiacciato nel mezzo... Silehard e la sua strega vogliono l'Isla de Muerta? Diamogli l'Isla de Muerta. -
Aggrottai le sopracciglia, non capendo le sue ultime parole. - L'Isla de Muerta? Cosa significa che la vogliono?-
Jack strizzò le palpebre per un momento, quindi continuò: - Laura, ascolta... - era serio come non lo avevo mai visto. - Scappare e farmi gli affari miei mi piacerebbe molto, credimi. Ma ci sono cose che non posso ignorare. Fare parte della flotta di Silehard, di certo, vorrà dire combattere, lo so... ma prova a pensare. - agitò vago la mano libera in aria. - La Perla sarebbe al comando di una flotta pirata che potrebbe perfino tenere testa alla stessa marina britannica. Non è una cosa da poco, comprendi?-
Scossi la testa, troncando sul nascere quella conversazione: quel ragionamento non filava, non per il Jack Sparrow al quale ero abituata. Il Jack che conoscevo io si sarebbe curato solo di andarsene per la sua strada, e di tenersi bene alla larga da un gretto criminale come Silehard. Forse Barbossa aveva ragione a pensare che la sua mente fosse manovrata dalla strega? Chi era la persona che avevo davanti?
- Non venire a farmi questi discorsi adesso. - le nostre lame si incrociarono e si sollevarono di nuovo; due passi e fummo nuovamente vicini, fissandoci negli occhi. - Non sei più tu!- gli gridai in faccia, mentre fremevo di rabbia. - Non venire a giustificarti dopo che ci hai traditi tutti... e hai ucciso Will!-
Le lame cozzarono e stridettero l'una contro l'altra. Guadagnai terreno, mentre Jack indietreggiava in tutta fretta. - Dammi una scusa, se ci riesci! Dimmi perché l'hai fatto!-
- Ho dovuto!- ora era lui ad attaccare con più violenza: mi costrinse ad arretrare, per evitare i suoi affondi sempre più precisi. - Non capisci che non avevo scelta?-
- No, non capisco!- urlai, con tutto il fiato che mi rimaneva. - No che non capisco!-
Stavo perdendo pericolosamente il ritmo: i miei gesti nel manovrare la spada si facevano più violenti, ma sempre più scoordinati, e Jack prese in mano la situazione in un batter d'occhio. Cominciò ad attaccarmi sempre più velocemente, facendomi perdere completamente sia la calma che il controllo: sfuggivo ai suoi colpi sgusciando freneticamente all'indietro, colpendo a caso, parando per disperazione. Ad un tratto il mio piede teso urtò qualcosa, e mi accorsi troppo tardi del pericolo che correvo. Il muro!
Jack mi si buttò addosso con tutto il suo peso, e mi inchiodò alla parete: con la mano libera mi bloccò sopra la testa il braccio armato, stringendolo fino a farmi dolere tutti i muscoli, mentre io mi divincolavo come un'anguilla.
- No!- ansimai, cercando di togliermelo di dosso. Lui mi torse il braccio finché non fui costretta a lasciare la spada, che cadde a terra sferragliando.
Lo presi a pugni con la mano sinistra libera, gli tirai una ginocchiata, cercai perfino di morderlo, ma lui mi schiacciò contro la parete, immobilizzandomi. Con la sinistra mi bloccava la mano destra contro il muro; con l'altra mi premette la lama contro la gola.
- Stai ferma. - sussurrò: senza alcuna rabbia, solo un semplice ordine.
Sudavo freddo, mentre ancora cercavo di liberarmi dalla sua stretta. - Se no mi uccidi?- ringhiai, dimenandomi. - Avanti, voglio vedere se lo fai!-
Jack mi schiacciò ancora di più contro il muro, facendomi male: strinsi i denti e serrai gli occhi, senza smettere di lottare. Odiavo averlo così vicino senza potermi difendere.
- Su, provaci!- sbottai, in faccia a lui. - Prova ad uccidermi come hai ucciso Will, ti voglio proprio vedere!-
Il piatto della lama premette contro il mio collo, vanificando ogni altro tentativo di liberarmi e costringendomi a stare ferma una volta per tutte. Jack accostò il viso al mio, in modo che lo guardassi negli occhi.
- A te non farei del male. - disse, quasi con rabbia. Poi si protese e, del tutto inaspettatamente, premette la sua bocca sulla mia.
Non seppi come reagire: mi paralizzai e basta. Ora davvero avrei potuto morderlo e fargli male... ma non ne fui capace: rimasi solo immobilizzata contro la parete, con le sue labbra sulle mie, riuscendo a pensare solo a quanto quel bacio fosse assurdo. Ero terrorizzata e spiazzata allo stesso tempo, ma ad un certo punto lui mi lasciò andare un polso e sentii la sua mano stringermi il fianco.
Non esitai un secondo di più: con la mano improvvisamente libera, lo agguantai per la spalla e lo spinsi via da me. - Lasciami!- gridai, divincolandomi. - Lasciami! Lasciami!-
Riuscii a togliermelo di dosso e caracollai lontano da lui: avevo perso la spada, ma non importava. Jack non fece cenno di volermi fermare: dondolò pigramente sul posto, con la spada in mano, squadrandomi con espressione indecifrabile. In quel momento, un rumore sopra le nostre teste attirò l'attenzione di entrambi: sollevammo lo sguardo di scatto, ed io sussultai vedendo due degli scagnozzi di Silehard che mi avevano teso l'imboscata affacciarsi dal buco sul soffitto. Il tetto della bottega non era alto, e probabilmente i due non avrebbero fatto fatica a balzare all'interno come aveva fatto Jack poco prima: per di più, ero abbastanza sicura che i rimanenti tre del gruppo non fossero molto lontani.
Tentennai un attimo solo, poi tentai l'unica via d'uscita e mi gettai di corsa verso la porta della bottega, alle spalle di Jack. Lui non si mosse in tempo per fermarmi, o forse lo fece apposta: non mi fermai ad assicurarmene. Spalancai la porta con una spallata e corsi via per i vicoli, con le ali ai piedi, senza riuscire a credere di averla scampata.

*

Uno degli uomini imprecò, mentre si calava dal tetto sfondato.
- L'hai lasciata scappare!- protestò, una volta a terra, fissando Jack con aria truce.
- Vorrei far notare che è stato piuttosto il vostro arrivo a permetterle di svignarsela... - replicò Jack, rinfoderando la spada: non sembrava per nulla turbato. Gli altri uomini della gilda arrivarono uno dopo l'altro, calandosi nella bottega: uno di loro si guardò attorno, passando dallo squarcio nel tetto alle spade disseminate per terra, e fece un basso fischio. - Bel casino. Se qualcuno viene a lamentarsi, noi non siamo mai stati qui, chiaro?-
- Silehard non sarà contento di questo, Sparrow. Avevi promesso che avresti preso la ragazza. - insistette il primo degli uomini, senza smettere di puntare su Jack uno sguardo accusatore.
Il capitano rimase per un po' a fissare la porta, dondolandosi pigramente. - Tornerà, amico. Conosco i miei polli, come si suol dire... e questo si chiama semplicemente prendere tempo. Comprendi?-
E, non visto, si concesse un sorriso segreto.

*

Riuscii a recuperare la barca e remai indisturbata fino al largo, dove la Perla Nera mi aspettava.
Quando fui issata a bordo avevo ancora il cuore che batteva come un tamburo, e non era solo per avere remato tutto il tempo: qualcuno mi porse la mano per aiutarmi a salire la murata, e fu solo un attimo dopo che mi accorsi che si trattava di Ettore.
- Dove sei stata?!?- esclamò, trascinandomi praticamente di peso sul ponte di coperta. Non avevo nessuna voglia di discutere con lui o con chiunque altro, così feci per allontanarmi senza una parola, ma lui mi trattenne per un braccio. - Perché eri a terra? Era Barbossa che doveva guidare la missione, oggi!- il pirata aveva accettato la presenza a bordo del nostro nuovo alleato, ma si rifiutava categoricamente di chiamarlo “capitano”. Irritata oltre ogni limite, cercai di divincolarmi, ma Ettore non voleva lasciarmi il braccio: mi guardò, e in quel momento pensai che non lo avevo mai visto così arrabbiato e preoccupato.
- Infatti non stavo seguendo la missione. - sbottai. Ora che ci pensavo, quel giorno una truppa dei nostri sarebbe dovuta tornare a sabotare i commerci di Silehard, ma tanto se ne stava occupando Barbossa. - Sono solo andata a controllare la situazione in città. Lasciami, Ettore!-
Dopo un attimo di esitazione, lui mi lasciò andare. Dovette però accorgersi che qualcosa non andava, in me, perché rimase a guardarmi con aria preoccupata. Mi feci largo come una furia fra i pirati sul ponte, sgomitando quando ritenevo fossero troppo lenti a lasciarmi passare, quindi finalmente raggiunsi la cabina e mi sbattei la porta alle spalle con forza. Respirai profondamente, appoggiando le spalle alla porta: avevo commesso una grossa imprudenza a scendere a terra da sola. Era mancato poco che mi catturassero.
E avevo rivisto Jack... Passai i minuti successivi a lanciarmi tutti gli insulti che conoscevo, per essermi ficcata nella situazione di poco prima. Mi accorsi di stare tremando. Perché ero così sconvolta? Ricordavo ancora fin troppo chiaramente la sensazione del bacio che mi aveva dato, e sapevo benissimo che era stato tutt'altro che spiacevole.
Con vergogna, risentii nelle orecchie le parole di scherno di Barbossa: “E voi che cosa farete? Gli cascherete tra le braccia alle prime belle parole che vi dirà?”
Picchiai un pugno contro la porta. “Assassino.” pensai con rabbia. “Assassino, assassino, assassino!”
Me lo ripetei come una litania furibonda, ma, anche avendolo visto con i miei occhi, non riuscivo a fare coincidere il volto del Jack Sparrow che conoscevo a quello che aveva ucciso Will quella notte. Presi un altro respiro profondo per calmarmi, poi mi staccai dalla porta: solo in quel momento di accorsi di sentire qualcosa che mi dava fastidio alla gamba.
Lì per lì pensai alla botta che avevo preso cadendo, e tastai con cautela dalla coscia al polpaccio per controllare i danni: sentii solo un vago dolore dei muscoli, quindi probabilmente me la sarei cavata con qualche livido... ma era stato qualcos'altro ad attirare la mia attenzione. Avevo qualcosa in tasca.
Incuriosita, affondai la mano nella tasca ed estrassi un minuscolo foglietto arrotolato che non ricordavo proprio di avere. Solo dopo averlo srotolato -con una certa fatica perché era tutto accartocciato- mi accorsi del disegno che c'era sopra. Il disegno del passero.
Sgranai gli occhi: era uno di quelli che avevo lasciato io, ne ero sicura. Ma quando...? Mi sorse un dubbio: Jack mi aveva appoggiato la mano sul fianco quando mi aveva baciata. Possibile che...?
C'era dell'altro, oltre al disegno. Voltai il foglietto e vidi che vi era stato scritto qualcosa in una grafia disordinata e familiare: il mio sguardo cadde e si fermò sulle prime parole, scritte in grande.

Will è vivo.




Note dell'autrice:
Come promesso... eccomi! Non ho molto da aggiungere a questo capitolo. Suspaaanceee... Anche se, ammettetelo, ve lo aspettavate. Bentornata ad eltanin e un brindisi a Fannysparrow e a Billy (alla quale avevo promesso questo nuovo capitolo).

  
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