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Autore: Dira_    18/09/2011    18 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLII





Could this be out of line?
To say you're the only one breaking me down like this
(So contagious, Acceptance)
 
 
29 Dicembre 2011
Londra, Diagon Alley. Mattina.
 
“Sei sicuro?”
Tom inarcò le sopracciglia all’aria incerta di Al.
“Non sto andando a Notturn Alley, solo dietro l’angolo.”
“Che è molto vicino a Notturn Alley.” Gli fece notare stringendo la mano di Meike, che guardava dall’uno all’altro con aria curiosa. Era una tersa mattinata invernale e la neve era stata ordinatamente accumulata ai lati delle stradine di Diagon Alley. Era anche uno degli ultimi giorni di Meike in Inghilterra e Al era stato ben contento di accompagnarli per un’ultima visita nel quartiere magico per eccellenza. Tom aveva subdorato fosse contento anche di allontanarsi di casa, anche se non aveva capito perché.

Lo scoprirò, ma dopo.
In ogni caso, Al era rimasto di buon’umore finché non aveva capito il reale motivo di quella spedizione. Tom sospirò. “Starò via per poco. Devo fare delle domande a quel Fabbricante.”
“Di’ ciao da parte mia al Signor Stevens!” Esclamò Meike, distratta dall’insegna di Fortebraccio che si vedeva dall’angolo della strada. “La sua bacchetta funziona benissimo!”
“La tua bacchetta.” La corresse. Poi si rivolse ad Al. “Quell’uomo è un esperto di bacchette e di incantesimi. È il suo lavoro.”
“Credo che questi tuoi sospetti… dovresti prima parlarne con papà.”
I sospetti su Luzhin e il suo modo tutto particolare di non avere una bacchetta.

“Gliene parlerò quando avrò una tesi da sottoporgli. Presto.” Aggiunse vedendo che apriva la bocca per protestare. “Ha già molte piste da seguire e non voglio dargli un pensiero in più, ma fatti.”
Al gli lanciò un’occhiata in tralice. “Va bene.” Acconsentì infine. “Saremo a Fortebraccio. Se fai delle domande…” Esitò poi fece un sorrisetto. “… cerca di empatizzare. O sai come finisce.”
“Grazie per il consiglio.” Ironizzò. “Ci vediamo dopo.”

“Non fare il musone!” Fu l’ultima raccomandazione che lo colpì alle spalle. Sentì anche una risata di Al.
Fantastico. Sono diventato la vittima preferita di quei due.
Non poté comunque nascondere un sorrisetto. L’ironia intelligente poteva perdonarla.
Il sorrisetto sparì velocemente quando si trovò di fronte al laboratorio del Fabbricante Stevens.
Aveva una teoria e non aveva idea se avesse senso o meno. A lui sembrava l’avesse… ma poi bisognava anche scontrarsi con la realtà delle leggi magiche. E non poteva chiedere ad Harry ed aspettarsi che si mettesse a fare una ricerca anche su quello. Voleva portargli dei risultati e non gli interessava se non era tenuto a farlo, anzi tutto il contrario dato che era coinvolto nel caso come vittima; non voleva sentirsi in quel modo. Non voleva sentirsi impotente.

Impazzirei.
Prima che suonasse il vecchio campanello ossidato gli fu aperta la porta e l’allampanato Fabbricante di bacchette fece la sua comparsa; era una delle poche persone che riusciva ad equipararlo in altezza, e questo avrebbe dovuto innervosirlo. In effetti, era così.  “Signor Dursley… non l’aspettavo così presto!” Esclamò sorpreso. Il sottotesto era piuttosto chiaro.
Pensava che non sarei mai tornato nonostante gliel’avessi dato ad intendere. Ed ha ragione.
“A che serve un campanello se sa già che qualcuno è alla porta?” Ritorse, sentendosi inspiegabilmente come un bambino colto con le mani sul barattolo della marmellata.
Il Fabbricante sorrise senza rispondere. “Ha considerato la mia offerta?”
“Sono qui per delle domande.” All’espressione finalmente confusa dell’uomo, spiegò. “Domande sulla magia delle bacchette. Serve per forza una bacchetta per poter usufruire della forza di una bacchetta?”

Non sapeva se avesse spiegato bene il concetto che si agitava in mente. Probabilmente no. 
A sorpresa Stevens sorrise di nuovo. “Prego, si accomodi. Stavo giusto servendo il the.”

 
****
 
“Non vuole parlare con nessuno… neppure con Roxanne.”
Harry lanciò un’occhiata perplessa alla moglie. Ci impiegò più di qualche attimo per capire che stava parlando di Lily.

“Perché?” Gli uscì fuori intelligentemente. Era un uomo, non doveva giustificarsi se non comprendeva l’universo dei sottointesi femminili.
La donna si sedette accanto a lui, versandosi una tazza di caffé con la ruga delle Grandi Preoccupazioni che le solcava la fronte. Questo lo mise in allerta; erano giorni che tornava a casa ad orari indecenti, dopo aver passato ore e ore trai doveri insindacabili di Capoufficio che si erano accumulati in maniera imbarazzante. Terminati quelli, la sua attenzione ufficiosa era tutta rivolta al caso della Thule.
Quindi no, non aveva fatto molto caso a cosa accadeva tra le mura di casa sua.
È quello che c’è fuori a spaventarmi.
“Lo sai com’è quando si ammala.” Continuò Ginny alzando gli occhi al cielo. “… e per il resto non ne ho la minima idea. Te l’ho detto, si rifiuta di parlare. Con tutti. Se proprio deve, dice che sta benissimo.”
“E non sta bene?”
“Non sembra, no.”

Harry aggrottò le sopracciglia: non aveva pensato a Lilian in quei giorni, forse perché la sicurezza di averla in casa lo aveva tranquilizzato a sufficienza da accantonare il problema.
“Non si preoccupi. Lily è al sicuro.”
Luzhin e Lily… Che cosa le ha fatto?
Era la prima cosa che gli venne in mente, da bravo auror. E da padre apprensivo provò rimpianto nel non aver messo almeno un pizzico di paura in corpo a quel ragazzetto inquietante.
“Ha problemi a scuola?” Chiese più diplomaticamente, da bravo marito.
“Non che io sappia… ma forse con suo padre parlerebbe.” Era una frecciatina, e Harry l’accettò. Se la meritava dopotutto. “Sai che dà più retta a te che a me.”    
“Va bene, provo io.” Le sorrise dandole un bacio sulla guancia a mo’ di scusa. Si beccò uno scappellotto distratto. Espletata la sua punizione, salì le scale e bussò alla porta della figlia con una tazza di the caldo e biscotti di Molly Weasley freschi di mattinata. Era un’offerta di pace da non sottovalutare.
“Lily? Sono papà… vengo in pace ed ho dei biscotti.” Esordì scherzoso. Ci fu un breve silenzio al di là della porta seguito da un teatrale sospiro.
“Non vengo corrotta così facilmente.” Sì, era di cattivo umore. “… I biscotti sono della nonna?” Chiese dopo una seconda, meditabonda, pausa.
Harry frenò una mezza risata. “Puoi contarci piccola.”
La porta venne liberato del Colloportus ribelle con cui era stata chiusa. Harry sorrise.
Quando era nata Lily, per la prima volta in vita sua aveva capito com’era vivere con una bambina per casa, una femminuccia al cento per cento, che faceva i capricci per un vestito nuovo e piangeva se Jamie le tirava le trecce.

Era stato uno shock, avendo sempre avuto riferimenti come Ginny ed Hermione. Ma Lily era la sua principessa, e nessuno era riuscito a frenarlo dal viziarla spaventosamente. Non aveva mai capito il desiderio di avere una fauna di pupazzi, di volere la camera tutta rosa o di avere una trapunta soffice come una nuvola. Ma aveva acconsentito a tutto, e persino adesso non poteva fare a meno di sorridere come un allocco di fronte all’aria poco incline all’amore filiale della figlia minore.
“The?” Offrì posandolo sul comodino. “Bevine un po’, ti farà bene.”
“Non sono più malata.” Replicò sostenuta, anche se lanciò un’occhiata calcolatrice alla tazza fumigante. “Per i capelli di Morgana, detesto essere malata.” Aggiunse. “Non succede mai a nessuno in famiglia! Jam  quando mai è stato malato? Una volta in vita sua, forse?”
“Beh, non funziona proprio così. E poi siamo fortunati.” Scosse la testa. “Dovresti vedere come si ammalano facilmente i babbani. Noi maghi siamo più resistenti.”
“Parla per te.” Borbottò afferrando la tazza e dandone un cauto sorso. Tirò su con il naso. Era chiaro fosse reduce da un febbrone coi fiocchi, ma c’era dell’altro. Per quanto detestasse essere bloccata a letto, di solito era ben felice quando passava in convalescenza e poteva farsi viziare dall’intero consesso maschile che gravitava attorno alla casa.

Stavolta era diverso.
Harry diede un’occhiata attorno. Notò che sul comodino c’era una boccetta senza etichetta.
Albie.

La pozione doveva essere un tonico distillato dalle mani ingegnose del piccolo pozionista di casa. 
Lily però non l’aveva bevuta; era strano. Era l’unica in famiglia che si era sempre fidata del fratello sin dai suoi primi tentativi sulla strada della Medimagia.

Era il momento di indagare un po’. O più prosaicamente, di una bella chiacchierata padre-figlia.
“Posso sedermi?” Chiese con il suo miglior tono pacifico.
Si beccò un’occhiataccia. “Perché volete tutti sedervi?” Rispose storcendo il naso e mordicchiando un biscotto. “Non è che tutte le volte che mi prendo un raffreddore deve arrivare una processione addolorata! Al, Tom, la mamma, Roxie… non sto morendo!”
“No, certo. Ma da quando in qua si tratta male qualcuno che si preoccupa?” Osservò gentile.
Lily si mordicchiò un labbro. “Scusa.” Borbottò. “È che…”
“Sì?”
“Non voglio parlarne.” Sbottò.
Lily era una quindicenne. Una quindicenne con qualcosa che la tormentava. Non avrebbe parlato: piuttosto, per punto di principio avrebbe nascosto tutto fino a sentirsi male.

Doveva quindi cambiare strategia. “Va bene.” Acconsentì senza scomporsi. “Ma lo vedo che ti stai annoiando. Ti va una partita a scacchi?”
“Papà, facciamo schifo tutti e due…” Aveva finalmente aperto una breccia, dal sorrisino in tralice che gli lanciò. Probabilmente aveva intuito la sua diversione, non era affatto una sciocchina anche se ci si comportava spesso. Ma sembrava averla accettata. 

Si strinse nelle spalle. “Beh, allora sarà una battaglia ad armi pari. E poi, per una volta, forse avrò la possibilità di vincere. Con tuo zio Ron non c’è mai storia.”
Lily stavolta gli sorrise apertamente. “Ah, lo vedremo!”
 
****
 
Londra, Diagon Alley.
 
“Potenza e precisione di una bacchetta ma senza bacchetta.”
Stevens sorseggio con accuratezza la sua tazza di the. Non spillava neppure una goccia. I movimenti di quell’uomo erano quelli che ci si sarebbe aspettati da un orologiaio babbano. In effetti, la precisione del suo lavoro non doveva esser poi molto diversa.

“Esattamente.” Confermò. “Non so se mi sono spiegato bene…”
“Non saprei.” Ammise con un mezzo sorriso. “… lei non intende Magia senza Bacchetta, vero?”
“No.” Sospirò. “So che non ha molto senso quello che sto dicendo. Il fatto è che conosco bene la Magia Senza Bacchetta… non è lontanamente potente come quella che ho visto e soprattutto, precisa.”
Può essere precisa.” Osservò spingendo verso di lui un piatto di biscotti. “Nella mia vita ho visto maghi di valore non aver bisogno di una…”
“Sì, lo so.” Lo interruppe. Fece una pausa e si morse un labbro. Come riusciva a spiegarsi ad uno sconosciuto, per quanto intelligente, se non riusciva a capire neppure lui? “Colui che ha utilizzato questa magia è troppo giovane per avere quella capacità di controllo. Viene con gli anni, con l’esperienza.”

“Su questo posso darle ragione.” Inarcò appena le sopracciglia. “Quindi se non è senza bacchetta ma neppure con, che cos’è?”
“Speravo potesse avere un’idea in merito.” Confessò bevendo subito dopo un sorso bollente. Si sentiva un idiota. Venir fuori con domande assurde come quella, per giunta ad uno sconosciuto… ma ne apprezzava la mente brillante. E il fatto che non avesse assunto quell’espressione di scetticismo un po’ preoccupato che ogni tanto aveva Albus nei suoi confronti.

“Magia di una bacchetta ma senza bacchetta…” Mormorò l’uomo meditabondo. “Siete sicuro che una bacchetta non sia coinvolta?”
“Certamente. L’ho visto con i miei occhi.” Subito dopo una parte remota del suo cervello registrò che non era carino far riferimento alla capacità mancante nell’uomo, ma quello non parve neppure registrare la gaffe, perché si alzò. Andò verso la piccola ma capacissima biblioteca all’angolo del grosso stanzone da lavoro. Scorse i titoli con la punta delle dita per un po’, poi fece un sospiro. “Non ricordo dove l’ho messo… ma non ha importanza.” Fece un cenno evasivo. “Forse ho un’idea.”
Tom alzò la testa dalla contemplazione dei fondi della sua tazza. Cercò di calmare l’urgenza nel tono di voce. “Me la spieghi.” Sbottò comunque. Si schiarì la voce, mentre il Fabbricante ridacchiava.

“L’impazienza della gioventù…” Fu così gentile da non rammentare l’arroganza, e Tom si sentì arrossire.
“Intendevo dire…” Tentò.
“La sostanza non cambia, Signor Dursley.” Scosse la testa divertito, sedendosi di nuovo. “Comunque… anni fa ho letto un libro. Un lavoro di ricerca piuttosto interessante ad opera di un giovane alchimista inglese.”
“… il nome?”
Fece un cenno evasivo. “Si firmava con uno pseudonimo. Un metodo sicuro se si azzardano idee che cozzano con le leggi del Ministero.” Si appoggiò contro lo schienale della vecchia sedia. “In questo testo spiegava come fosse possibile avere la magia di una bacchetta senza bisogno di averla fisicamente tra le mani.”
Tom aggrottò le sopracciglia. Non si riteneva un idiota, tutt’altro, ma quel discorso sfuggiva alla sua comprensione. Il Fabbricante dovette percepire il suo stato d’animo, perché si apprestò a continuare.
“Una piccola premessa… la bacchetta è solo, di fatto, l’involucro. Qualcosa che serve a tenere assieme la magia che vi è dentro. Il Nucleo, è ciò che fa una bacchetta, non il suo legno.”
“Intende crini di unicorno, corde di cuore di drago…”
“Sì, esattamente.” Convenne. “Il legno si armonizza con il nucleo e dà la precisione di colpi, la forza. Però, in teoria, non è indispensabile. Solo che ovviamente tenere in mano un nucleo e provare a fare magie con esso…” Fece un mezzo sorriso. “Sarebbe come avere del tritolo e tentare di accendervi una pipa.”

Tom annuì. “Quindi senza legno una bacchetta non…”
Non è una bacchetta.” Sorrise. “Il nucleo è il catalizzatore della magia di un mago. Capisce? Il tramite in cui l’energia viene convogliata, rinforzata e si disperde. Il legno è ciò che la rende impugnabile.”

Tom ebbe un famoso momento da ‘eureka’. Se lo sentì arrivare addosso come una consapevolezza. “Quindi potrebbe esserci il modo di impiantare il nucleo in qualcos’altro che non sia il legno di una bacchetta?”
“Sì, è possibile.” Convenne l’uomo con un mezzo sorriso. 

“Impiantarlo su una persona.” Quasi inciampò con le parole, dalla fretta che ebbe di pronunciarle. “Sarebbe possibile impiantare un nucleo non so… nel braccio di un mago?”
L’uomo si pizzicò il mento pensieroso. “In linea del tutto teorica…”
“Lei è un Fabbricante.” Lo incalzò. “Sarebbe possibile?”
“Come le ho detto, Signor Dursley, in linea teorica sì.” Convenne con un sospiro. “Ma bisogna considerare il fatto che carne e sangue non sono legno. L’essere umano contiene carbonio come il legno, ma non è legno. Il processo sarebbe meccanicamente fattibile, forse legando il nucleo ai tendini e all’arteria brachiale…” Scosse la testa. “Ma sarebbe un azzardo. Un rapporto così diretto, non mediato… Un’operazione del genere, a livello morale sarebbe inconcepibile.”
“Perché?” Gli uscì di getto e subito dopo arrivò la colpa. Una voce interiore che aveva il tono di Al gli ricordava che aprire il braccio di una persona e infilarci il nucleo di una bacchetta non poteva essere un’operazione da nulla come togliersi una spina dal piede.

L’uomo fu così gentile da risparmiargli una risposta tagliente, anche se gliela lesse in faccia.
“Sarebbe pericoloso per la vita del amgo.” Disse invece. “Una forzatura al suo naturale equilibrio magico. Dubito che qualsiasi mago adulto potrebbe sopravvivere ad un’operazione del genere. Nel migliore dei casi, tutta la sua magia fuoriscirebbe dal braccio in un’esplosione. Il legno di una bacchetta ha delle valvole di controllo al suo interno. Non credo sia del tutto ricreabile all’interno di un arto umano… ma stiamo parlando di teoria.” Si fermò e si sporse verso di lui. “Ha conosciuto qualcuno…?” Lasciò aleggiare la domanda. Tom si sentì meno solo e paranoico quando vide una scintilla di interesse accendere lo sguardo opaco dell’artigiano.
“Non ne sono sicuro.” Tagliò corto. Non era lì per dare informazioni, ma per riceverne. “Ipotizziamo un bambino che non ha ancora ricevuto la sua prima bacchetta… sarebbe il ricevente ideale?”
Stevens inspirò leggermente. “Dio…” Si lasciò sfuggire dalle labbra. “Le confesso che questi discorsi mi stanno mettendo a disagio.”
“Non è l’unico.” Lo rassicurò, ma forse più che altro rassicuro sé stesso. Si sentiva male. Ma quello che più lo inquietava era che nonostante tutto, la curiosità lo spingeva a continuare a fare ipotesi. Si sentiva eccitato come forse una persona normale al suo primo appuntamento.

“Per pura teoria allora…” L’artigiano si passò una mano sulla guancia. “Un bambino che ancora non ha imparato a convogliare la sua magia tramite un elemento esterno sarebbe il candidato con più possibilità di riuscita. Nove, dieci anni. Più piccolo sarebbe troppo instabile.” Sospirò. “Ma chi farebbe mai una cosa così disumana?”
Quella singola frase fu peggio di una doccia fredda.
Mio padre.

Se ha strappato un’anima dall’oblio per darle il corpo di suo figlio, può anche torturare un bambino per avere l’arma perfetta.
Serrò appena le labbra. “Spero nessuno.” Mentì. Si alzò in piedi. “La ringrazio del suo tempo.” Voleva uscire di lì; improvvisamente si sentiva costretto.  
L’artigiano sembrò indovinare i suoi pensieri. “Si figuri. È raro che qualcuno venga a discutere della materia, a meno che non si tratti di ordini in pendenza.” Sorrise tendendogli la mano.  
Gliela strinse. “Mi è stato molto utile.”
“Lo spero.” Trattenne la mano ancora qualche attimo. “Signor Dursley… la devo avvertire. Se conosce una persona con un artificio simile… gli stia ben lontano.”
Tom batté le palpebre. L’espressione del Fabbricante era seria, quasi preoccupata. “Perché?”
“Immagini un momento di rabbia, un momento in cui è non è il caso abbia la sua bacchetta in mano… Le è mai capitato?” Non aspettò risposta; non che servisse. Arrivava un momento nella vita di molti maghi e streghe in cui accadeva. A lui era successo un po’ più di una volta. “Immagini allora quanto possa essere pericoloso un mago che non ha la possibilità di posare la sua bacchetta.”
La pietra bruciata…

Tom immaginò. E nell’istante in cui visualizzò, non volle averlo fatto.
 
Albus era nel bel mezzo di una partita a sparaschiocco con Meike quando Tom entrò nel locale; Fortebraccio aveva un sacco di giochi a disposizione dei clienti più piccoli ed era ben lieto di vederli utilizzare, che causassero esplosioni o meno.
Al vide Tom arrivare accompagnato da una faccia tremenda e quindi fermò con gentilezza Meike da aggiungere la carta che probabilmente avrebbe fatto esplodere l’intero mazzo. “Ehi, siamo qui!” Lo chiamò con un cenno.
Che è successo? Chi gli ha detto cosa? Cavolo.
Persino Meike si accorse della sua espressione. “Che hai?” Chiese un po’ apprensiva. “Vuoi una cioccolata calda?” Offrì immediatamente.
Tom a quel punto si scongelò appena, con un sorriso. “Vammene a prendere un po’, sì.”
“Ma quale? Ci sono tantissimi gusti!”
“Quella che piace a te.” Il messaggio sottointeso era chiaro e Meike non fece rimostranze. Doveva essere abituata ad esser spedita a far altro dai tempi di Rügen. Si allontanò trotterellando, promettendogli la più buonissima di tutto il locale.

“Tom, che è successo? Va tutto bene?” Gli chiese toccandogli una spalla. Il contatto parve riscuoterlo di colpo perché batté le palpebre prima di afferrarlo per la sciarpa slacciata sul collo e baciarlo. Al ricambiò il bacio tra la sorpresa e l’allarme. Non che non si fossero mai baciati in pubblico, ma non in quel modo: non serviva la Legimanzia per sentire che Tom ne aveva bisogno.
Si staccò con il respiro corto. Si poteva dire molte cose di Thomas Dursley, ma non che sapesse come essere travolgente. “… okay.” Mormorò. “Non che non mi sia piaciuto, ma per cos’era?”
Tom non rispose limitandosi a fissare con improvviso interesse il mazzo disordinato di carte. “… Sono felice che Harry mi abbia trovato.” Mormorò soltanto. Il che non era precisamente una confessione rivelatoria. Al lo sapeva. Era il fatto che reiterasse il concetto a preoccuparlo.
Gli prese la mano stringendogliela. “Lo siamo tutti.” Ribatté pacato: sommergerlo di domande in quel momento sarebbe stato controproddutivo, oltre che inutile.  
“Farò in modo che mio padre paghi per tutto quello che ha fatto.” Sussurrò in tono così basso che Al sentì un brivido corrergli lungo la schiena; Tom era sempre Tom, ma c’era qualcosa dentro di lui a volte, un’ombra che gli avviluppava il cuore. Che avesse paura o fosse arrabbiato, si manifestava e gli faceva dire quelle cose, gliele faceva pensare.
“Non sta a te farlo.”
Gli venne scoccata un’occhiata ancor più preoccupante del tono, ma forse il rafforzarsi della stretta alla mano servì, perché Tom serrò appena le labbra. “Vorrei che stesse a me, invece.”
“Non credo proprio.” Sorrise a Meike che posò orgogliosa la tazza ancora piena di crema e panna sul tavolo. “Sei solo uno studente.” Sottolineò a bassa voce.

Tom prese la cioccolata regalando un mezzo sorriso alla bambina. “Per fortuna, no?” Ribatté con una punta di ironia. Ma non aggiunse altro, rivolgendo la sua attenzione alla piccola tedesca.
Al non si illudeva che fosse finita lì. Ma per il momento, decise, bastava.
 
****
 
“Questo mi sembra un arrocco, vero papà?”
“Ehm.”
“Papà!”
Harry ridacchiò, alzando le mani in segno di scusa. “Lo sai benissimo che la logica e la memoria non sono il mio forte. E lo sanno anche questi pezzi.” Sbuffò mentre le sue due torri si strattonavano l’un l’altra. Quelli di Lily erano più disciplinati, o più semplicemente totalmente ammaliati da lei. Era la scacchiera di Albus, ma i bianchi di Lily la chiamavano da mezz’ora ‘Sua Maestà’ indefessamente.

“Non ti ricordavo così schiappa.” Ghignò attorcigliandosi una ciocca ramata attorno alle dita. “Sul serio, concentrati almeno un po’!”
“Beh, io invece non ricordavo che fossi così brava.” La riprese pizzicandole il naso per gioco. Lily stranamente non cercò di schivare lamentando a gran voce la sua età inadatta a certi buffetti, ma perse invece il sorriso.

“Mi ha insegnato Ren.” Disse con un filo di voce. “Ogni tanto giocavamo assieme. A lui gli scacchi piacciono molto.”
Ah.
“È un bravo giocatore?” Chiese in tono neutro. Sua figlia non doveva sapere. Era una specie di mantra che aveva quasi fatto ripetere a Ron, casomai si facesse venire la malsana idea di dire tutto a Lily per tenerla lontana dal tedesco.
Poteva ritirare Lily da scuola. Poteva farlo e sarebbe stata la soluzione migliore. Ma prima di arrivare a quella misura drastica doveva capire alcune cose.
Lily intanto stava fissando i propri pezzi, apparentemente per studiare la prossima mossa.
E non aveva risposto alla domanda.
“Lily?” Chiese non impegnativo.
“Sì, è bravo.” Sbottò. “Non lo so, cioè… sicuramente farebbe una gran partita con Tom o zio Ron.”
“Non ha mai giocato con i tuoi cugini?” Prese un biscotto e gli diede un morso. “Con Tom o Rose, per esempio. So che Rosie non dice mai di no ad una buona partita.”
“No, Ren non ha frequentato molto gli altri… neanche Rosie.” Borbottò stuzzicando un pedone senza farlo muovere veramente. “Stava sempre con me. È timido.”

Non mi è sembrato affatto timido.
Ma non lo disse ad alta voce, preferendo un sorriso. “Capisco.” Osservò la mossa svogliata della figlia. “E…” Beh, si supponeva dovesse indagare, ma lì si sconfinava in un territorio in cui, anche alla veneranda età di quarantatré anni, si sentiva un novellino. “… e lui ti è simpatico?”
Infatti fu guardato come se avesse detto una cosa stupida. “Papà, siamo amici da tre anni. Se non mi fosse simpatico, credi che avrei continuato a scrivergli ed avrei accettato di frequentarlo?”
“A questo proposito…” Si schiarì la voce. Lo sguardo di Lily si era fatto un po’ troppo analitico per i suoi gusti. “… era come te lo aspettavi?”
Lily gli lanciò un’occhiata di tremenda consapevolezza. Abbandonò totalmente la scacchiera per raddrizzarsi sui cuscini. “Che vuol dire?”

“Nulla, era solo…”
“Stai indagando su di lui.” Lo freddò di colpo. “Su di lui e su Durmstrang.”
Harry si sarebbe mangiato la lingua. Con l’età aveva a contenere i lati più impulsivi del suo carattere. Si chiamava maturità. Era questo che l’aveva reso un buon capo-squadra. Ma mantenere quel genere di distacco con i suoi figli gli era impossibile.

“Chi te l’ha detto?” Preferì quindi giocare a carte scoperte, e magari strigliare chi aveva avuto la brillante idea di fare domande troppo rivelatorie alla sua bambina.
Sempre che non sia stato Tom. In quel caso temo che nessuna ramanzina potrebbe attecchire.
“L’ho scoperto da sola.” Poteva essere vero, come poteva tentare di discolpare il delatore. Con Lily entrambe le possibilità erano probabili. “Sören non sarebbe mai capace di fare quello di cui lo incolpate!”
“Nessuno lo sta incolpando di nulla.” Disse fermo. “Ma devi capire che zio Ron e la sua squadra stanno svolgendo delle indagini. E ci sono degli indizi…”
Non sono veri!” Stavolta proprio urlò, e trasalirono in due. Lui e Lily.

Poi arrivarono le lacrime. “Ren non è … non è come pensate che sia! Perché diavolo dite tutti che lo è? Al… Al ha detto delle cose orribili, e non sa niente!”
Harry non ribatté, capendo che non era il caso. Però registrò il commento.

Per questo non ha bevuto la pozione?
Albus ovviamente era stato con lei in que giorni. Era quello che in casa le era stato più vicino. Harry non li aveva sentiti litigare, ma forse era accaduto quando era al lavoro.  
“Tesoro…” Cosa avrebbe potuto dire per migliorare quella situazione assurda? Ferire la propria bambina gli sembrava un delitto capitale.
Ma non posso neanche starmene a guardare mentre quel piccolo bastardo la manipola.
Si sporse, passandole un braccio attorno alle spalle e stringendosela contro. Lily non si ritrasse, per fortuna. Non era ancora il cattivo della storia, perlomeno. “Ascoltami. So che Sören è tuo amico.” Sospirò. “Ma può essere che sia coinvolto in qualcosa di più grande di lui.”
“Com’è successo a Tom l’anno scorso?”
Proprio no. Tom è uno dei nostri.  

Le sorrise. “Forse. Nessuno vuole incolparlo ingiustamente. Vogliamo solo capire. Vogliamo fare in modo che quello che è successo a Tom non ricapiti più. A nessuno di voi.”
“Neppure io lo voglio.” Mormorò Lily, posandogli la testa sul petto, più calma. Harry notò che non aveva negato la sua ultima presa di posizione.

Allora sa qualcosa?
“Pensi che Sören si sia cacciato in qualche guaio?” Le chiese con tutta la gentilezza possibile. Sapeva che era come camminare su gusci d’uovo.
Lily non rispose subito. “Non lo penso.” Mormorò infine. “Lo so.”
… come sospettavo…
Cercò di frenare il desiderio di mettere al sicuro tutta la propria, allargata famiglia, possibilmente in qualche posto lontano dall’intera umanità. “Quindi capisci che … è meglio se per un po’ tu e lui state lontani?”
A quell’azzardata richiesta si sarebbe aspettato un secondo scoppio d’ira adolescenziale, ma non arrivò. Anzi, Lily gli si aggrappò con più forza al maglione.
“Non ti devi preoccupare, papà…” Le stesse parole di Luzhin? “… non mi vuole più vedere.”
Harry batté le palpebre: ora era confuso. La frase di Luzhin gli era sembrata detta proprio per affermare il contrario. Invece…
Non ha senso. Se si è avvicinato a Lily per monitorare Tom e gli altri, come ha supposto Nora… perché adesso l’ha allontanata?
A che razza di gioco stava giocando?
In ogni caso non poteva rischiare la vita di sua figlia su una semplice incongruenza caratteriale. Che l’avesse allontanata o meno, decise, Lily non sarebbe andata a Durmstrang.
“Lily, ascolta…” Sospirò.  Il difficile arrivava adesso.

 
****
 
 
Surrey, Little Whining, Privet Drive.
 
Albus era tornato da Tom perché la situazione a casa sua era diventata peggio di un uragano non annunciato.
Sapeva bene che i Dursley – più che altro il capofamiglia – non apprezzavano gli auto-inviti, ma del resto la finestra di Tom era chiusa e non rispondeva alla ghiaia che tirava ai vetri. Probabilmente stava ascoltando musica in cuffia.

Quando fu Dudley ad aprirgli, Al inscenò il suo sguardo più mortificato. A quanto pareva suo zio – o cugino di secondo grado, o quel che era – era psicologicamente fragile a grandi occhi tristi.
Sensi di colpa che risalgono ad un’infanzia da bullo?
“Ciao zio, scusa l’ora e il non preavviso. Tom è in casa?” Non poteva essere da nessun’altra parte, ma la commedia andava recitata a menadito. Era buona educazione.
L’uomo sbuffò. “Sì che c’è. Ma con cosa sei venuto?”
“Non lo vuoi sapere.” Sorrise amabile. “Posso entrare?”
“Certo, certo…” Si spostò. “Tutto bene da te?”
“Meravigliosamente.” Convenne perché era quello che bisognava dire in quei casi.

E non, mia sorella ci odia tutti perché papà le ha proibito di andare a Durmstrang ed io ho peggiorato la situazione arrivando al momento sbagliato, cercando di calmarli e finendo per dire a papà la cosa per cui Lily non mi parla da due giorni.
Mutti!
Al non seppe se correggere Meike per la centesima volta o arrendersi all’inevitabile sarcasmo made in Thomas che la piccola aveva sviluppato. Nel frattempo ricambiò l’abbraccio entusiasta con cui lo placcò. “Ciao Mei.”
“Guardavamo un film alla tv. Tutti meno Tom!” Chiosò togliendosi un cucchiaio da gelato dalle labbra. “C’è un sacco di gelato!” Disse infatti. “Mi piacciono le marche inglesi!”
Mutti?” Suo zio Dudley aveva una strana espressione in faccia. Gli tremavano i baffi. Al capì con orrore che l’uomo capiva il tedesco. Perlomeno le basi.
“Mei, vado da Tom.  Buon film e buon gelato. Ci vediamo dopo.” Mugugnò infilando per le scale, inseguito dalla risata roboante di Dudley Dursley.
Ucciderò Tom.
Era una giornata orribile. Iniziata in modo poco simpatico e finita in modo orrendo. Voleva solo avere a che fare con una persona che non sbraitava, e Tom sì, aveva molti difetti, ma il suo tono di voce base era meravigliosamente basso. Monotono forse, ma c’era talmente abituato che lo trovava riposante.
Non bussò alla porta, sapendo benissimo che l’altro non l’avrebbe comunque sentito. Lo trovò infatti disteso sul letto, con le cuffie e un libro di narrativa babbana in mano, completamente assorto.
“Ehi.” Diede un calcetto al materasso. Tom sobbalzò di colpo, rivolgendogli un’occhiataccia.
Oh, cavolo. Fantastico. È ancora nervoso.
“Che ci fai qui?” Per l’appunto. Al sentì l’umore precipitare sotto la suola delle scarpe e cominciare a scavare. L’ultima cosa che aveva sentito chiudendo la porta di casa era stata una sequela di recriminazioni su quanto fosse un delatore, uno spione e un serpeverde.
Lily quando vuole sa essere insopportabile. E pure Tom. Amo gente insopportabile.
“Fai finta che io sia un’allucinazione. Ora me ne vado.” Replicò asciutto facendo per voltarsi. Per fortuna Tom aveva migliorato le sue capacità di reazione in quell’ultimo anno. Si alzò con uno scatto piuttosto impressionante per un ragazzo che faceva dei libri la sua ragione di vita e si frappose tra lui e la porta con una certa eleganza.
Poteva semplicemente chiedermi di restare. Ma immagino sia già abbastanza che non mi abbia sbattuto la porta in faccia con la magia.
“Aspetta.” Lo scrutò. “Cos’è successo?” Si schiarì la voce. “Intendevo dire questo, non cacciarti via.”
“Come no…” Sbuffò dirigendosi verso il letto. “… a volte mi illudo che la tua incredibile mancanza di tatto sia passeggera.”
Tom piegò le labbra in un sorrisetto. “Mea culpa.” Convenne. “Che è successo?” Ripetè sedendosi sul materasso, invitandolo ad imitarlo. 

Al fece una smorfia: in realtà non aveva voglia di parlare di quello che era successo.  Si sentiva frustrato e sapeva che se avesse vomitato tutto addosso a Thomas per farsi consolare, probabilmente l’avrebbe solo turbato.
In fondo si parla sempre del solito argomento. Pazzo psicotico e Sette Assassina.
“Che stavi ascoltando?” Chiese invece agganciando con un dito il filo degli auricolari.
“Siouxie and the Banshees.” Replicò con un sorrisetto. “Perché mi chiedi sempre cosa ascolto se non hai la minima idea di chi siano?”
“I babbani sanno cosa sono le banshee?”

“Per loro sono folklore irlandese. Meglio che rimangano nell’ignoranza.” Prese l’Ipod e lo posò sul comodino. Gesto tipico per dirgli che era disposto a dare udienza. “Ora vuoi dirmi perché sei qui e non al capezzale di Lily come la tua indole da crocerossina ti suggerisce?”
“Stronzo.”
“Già.” Gli passò le dita trai capelli, toccandogli gentilmente la nuca. Al sentì la tensione abbandonarlo, anche se solo un po’. “Parla.” Lo incitò con quei suoi imperativi impossibili. Al non l’avrebbe mai ammesso se non a sé stesso, ma li trovava eccitanti.

Tranne quando mi irritano oltre ogni misura.
E raccontò. Di come avesse saputo da Rose che Lily era stata aggredita da Luzhin la sera del Ballo del Ceppo. Di come quando le avesse riportato l’orecchino chiedendole spiegazioni avesse ricevuto una sostanziale porta in faccia.
“… le ho chiesto perché diavolo stesse coprendo quel bastardo e sai che mi ha risposto?”
“Ti ha preso a schiaffi?” Suggerì Thomas incolore. Fissava un punto qualsiasi della stanza con estrema concentrazione. Era il suo modo di ascoltare al cento per cento. Al per un attimo si pentì di averglielo detto: aveva evitato di farlo non appena saputolo proprio per evitare di alimentare quella sua malsana ossessione per il tedesco.

Ma ormai… forse tanto malsana non è.
“No, mi ha risposto che Rosie aveva esagerato. Ho tentato di chiederle se avesse ancora i lividi sulle braccia. Pessimo errore.” Inspirò. “Ma ero incredulo… ovviamente dopo mi ha cacciato di camera.”
“Ma li aveva?”
“Non lo so. Penso che se avessi tentato di spogliarla mi avrebbe fatto crescere un naso in più.” Brontolò a mezza bocca. Tom non sorrise. “Comunque è Lily. Odia trovarsi anche solo un graffio addosso. Avrà preso qualche unguento per farli riassorbire il giorno dopo, quasi sicuramente.”

“Questo è accaduto due giorni fa. Ed oggi?”  
“Quando sono tornato da Diagon Alley ho trovato una Terza Guerra Magica.” Si guardò le mani strofinandosi il pollice particolarmente sporco sotto le cuticole. Era una vera rottura tagliare radici con il kit di pozioni che aveva a casa. Non era neanche lontanamente buono come quello che teneva a scuola. Digressioni a parte, continuò. “…Sono giorni che è chiusa in camera sua, era ovvio che prima o poi papà cercasse di capire. L’ha fatto oggi. E deve essere arrivato alle mie stesse conclusioni.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Niente Durmstrang.” Intuì.
“È il minimo visto quel che le è successo!” Sbottò esasperato. “Invece di capire la situazione… quando sono arrivato stepitava che nessuno poteva impedirle di andare all’Istituto, ti rendi conto?”
“In realtà i vostri genitori possono.”
“Ha solo peggiorato la situazione ricordarglielo.” Sospirò. “Papà cercava di farla ragionare, lo sai com’è fatto… quando sono arrivato io però, la situazione è precipitata.”

 
“È colpa tua!”
Lily si arrabbiava raramente. Questo non significava che non fosse capace di farlo in modo spettacolare.  

Albus aveva appena messo piede nella stanza della sorella per capire il motivo di tutto quel trambusto, dato che si udiva sin dai piani inferiori, e aveva trovato quest’ultima e i suoi genitori nel bel mezzo di una discussione.
“… Che ho fatto?” Gli era uscito confuso.  
“Sei stato tu a mettere in testa a papà che Sören è il colpevole! Tu e Thomas!”
L’utilizzo del nome completo di Tom non era un buon segno.
“Lily, non è così.” Aveva replicato suo padre. La voce era calma, ma forzatamente tale. Al si ricordava bene come le arrabbiature di Lily non fossero eredità Weasley, ma Potter. Lì c’erano due vulcani inattivi con al momento una bella attività. Aveva guardato sua madre, e questa gli aveva restituito un’occhiata estremamente consapevole.
Lilian.” Era intervenuta poi. “Ascolta quello che tuo padre ti sta dicendo. Durmstrang è troppo pericolosa in questo momento.”
“Al e Tom ci vanno! Per loro non lo è?” Aveva sbottato sarcastica. “Hanno un dispaccio speciale?”
“Sono maggiorenni.” Aveva tagliato corto suo padre. “Non posso impedirgli di prendere le loro decisioni.”
“A me sì invece, vero? Per ventiquattro mesi di differenza sono un’infante con zero capacità decisionale!” Lily era furiosa, ma più che altro sembrava
spaventata dall’eventualità di essere costrettaa rimanere ad Hogwarts.  Si intuiva dal tono concitato con cui parlava. I loro genitori non erano severi, ma erano coalizzati e inamovibili nelle rare decisioni che imponevano loro. Se decidevano una cosa, non cedevano.

“Non è un argomento di cui discutere, Lily.” Aveva detto infatti suo padre. “Non lascerò che tu metta la tua incolumità in pericolo per un capriccio.”
“Merlino!” Lily si era passata le dita trai capelli ora leonini. “Non è un capriccio! È per Ren! Lui ha
bisogno di me, è mio amico!”
Albus  a quel punto aveva capito qual’era il vero nocciolo della questione. E l’irritazione e la preoccupazione che aveva provato quei giorni lo avevano di nuovo morso alla gola. Rose aveva tentennato molto prima di confessargli tutto, ma quando l’aveva fatto la sua espressione era stata inequivocabile. Sua cugina si era spaventata, e non era certo una tipa impressionabile con tutte le volte che si era azzuffata con James e Freddy.
“Lily, Sören è il vero pericolo, non la sua scuola.” Aveva replicato serio, con l’attenzione di tutti improvvisamente catalizzata su di lui. “Al di là delle accuse che pendono su di lui, non è un bravo ragazzo.”
“Tu non lo conosci!” No, non lo conosceva, ma gli bastava abbondantemente ricordare l’espressione di Rose. E la sua espressione quando aveva visto Fanny.

Il canto della Fenice getta terrore nel cuore dei malvagi…
“Ti ha aggredita Lily, a me basta questo.” L’aveva detto, anche se sapeva che avrebbe definitivamente fatto perdere la proverbiale calma a suo padre. L’aveva detto e basta.
 
“Ed è successo?”
“Non ho mai visto papà così arrabbiato. Mamma ha dovuto incollarlo alla sedia con un incantesimo adesivo.” Sorrise appena, suo malgrado. Solo l’istintivo intervento materno aveva probabilmente evitato che suo padre prendesse la prima passaporta per la Norvegia per andare a giustiziare sommariamente il tedesco. “Comunque alla fine l’ha calmato. Ovviamente questo ha solo rafforzato la decisione dei miei. Papà ha già scritto un Gufo al Preside. Lily non andrà a Durmstrang.”

Tom non disse nulla, ma gli passò un braccio attorno alle spalle. Al sospirò, sentendosi meno in colpa e arrabbiato con il mondo. Si accoccolò vergognosamente contro di lui, ma andava bene dato che non c’era nessuna Mei a chiamarlo ‘mammina’ o nessun Dudley a ridere a crepapelle.
“Hai fatto la cosa giusta.” Disse piano, contro la sua tempia. “Lilian è geneticamente irragionevole.”
“Credo tu abbia appena insultato anche me…”
“Sì.” Ghignò appena. “Però siete fatti così. È il vostro principale difetto e maggiore pregio.”

“Mi ha detto che mi odia.” Era stupido, ma l’aveva ferito. Perché nonostante la razionalità della decisione dei suoi, nonostante il suo sacrosanto diritto di informare suo padre dell’aggressione… la capiva.
Luzhin poteva essere un problematico bastardo, ma Lily gli voleva bene.  
Lo feriva sapere che sua sorella, al di là delle sparate da adolescente incompresa, stava passando qualcosa di simile a quello che aveva passato lui l’anno prima.
Si sentì improvvisamente afferrare per un braccio che lo fece stendere sul letto. “Stanotte dormi qui.” Sentenziò Tom. “Diro a Meike di dormire con Alicia.”
“Ma no, sono i suoi ultimi giorni…”
“Non le dispiacerà se le spiegherò che devo consolare Mutti.”
Al si sentì avvampare, ma non ribatté. Aveva ribattuto abbastanza per tutta la giornata.

E pure per la prossima settimana.
Si lasciò invece spogliare docilmente del maglione e toccare i capelli. Quello lo rendeva assonnato e arrendevole dalla veneranda età di due anni. Tom lo sapeva.
“Lily è forte. Vedrai che le passerà.” Disse in tono non impegnativo. Al sospirò; avrebbe voluto dargli ragione, ma vedere sua sorella piangere parzialmente per colpa sua lo aveva fatto sentire sentire un verme. Rimasero in silenzio ed era tutto ciò di cui Al aveva bisogno in quel momento.
Rilassante, confortevole, amato silenzio.
Tom poi gli toccò leggermente il ginocchio. “Ho capito come Luzhin è riuscito a fare magie da bacchetta senza una bacchetta.”
… le ultime parole famose…
Al non aveva voglia di parlare ancora del tedesco, ma immaginava che l’altro si fosse tenuto quei pensieri dentro per tutta la giornata e per buona parte della loro conversazione. E non era il caso che li spedisse tramite gufo suo padre. Non quella sera. Aprì quindi gli occhi. “Come?”
“Potrebbe avere un Nucleo Magico nel braccio. Non è rilevabile ai sensori magici, non è visibile ad occhio nudo. È il modo per utilizzare una bacchetta senza avere una bacchetta.”
Al aggrottò le sopracciglia. “Dentro il braccio?” Sembrava proprio una cosa da Setta Segreta di Alchimisti. Questo non lo confortò affatto. Non che avrebbe dovuto. “Ma com’è possibile? Intendo dire… è possibile fare una cosa del genere?”
“Secondo il Fabbricante con cui ho parlato, sì.” Disegnò fili invisibili sul suo braccio nudo, con aria concentrata. “Probabilmente è stato un esperimento unico nel suo genere.” Esitò, poi gli lanciò un’occhiata. “È il genere di cosa che farebbe mio padre.”
“Hohenheim.” Lo corresse, puntellandosi sui gomiti.

“Sì, Hohenheim.” Mormorò distratto. “Secondo Stevens, Luzhin deve aver sofferto. Un’esperimento del genere è rischioso… ha anche detto che è vivo per miracolo.”
“Mi dispiace per lui… ma questo non lo giustifica.”

“Lo so.” Al attese perché c’era dell’altro. “Non voglio…”
“Non importa. Dimmelo.” Lo incoraggiò. Non era ancora arrivato il momento in cui non ne poteva più. Forse sarebbe arrivato, ma non era quello il momento.

“Avrei potuto essere come lui.” Buttò fuori. “Avrei potuto essere Sören Luzhin.”
Al non disse niente. Perché era vero, Tom avrebbe potuto crescere con Alberich Von Hohenheim. Avrebbe potuto essere un parco per esperimenti. E, nella peggiore delle ipotesi, se suo padre non l’avesse sentito piangere durante l’incendio …

Lo abbracciò di slancio, perché sì, era istintivo, troppo spontaneo e tutto il resto. Ma supponeva che fosse uno dei motivi per cui l’altro ricambiava sempre i suoi abbracci. Forte, come in quel momento.
“Una giornata da cancellare.” Scherzò sciogliendosi dalla presa. Tom sorrise appena. “Hai qualche rimedio per togliercela dalla testa?”
“Di sotto stanno guardando un film assolutamente ridicolo. Credo sia una commedia americana.”
“Fantastico.” Lo baciò sulle labbra. “Adoro gli svaghi babbani.” Fece per alzarsi, ma l’altro lo trattenne afferrandolo per la punta delle dita. “Tom?”
“Mi disp…” Dovette tappargli la bocca con un altro bacio, perché se l’avesse fatto con la mano si sarebbe impermalito a morte.

“Questo è uno dei rari casi in cui non devi scusarti, Signor Dursley.” Lo prese in giro, ma non troppo. “Approfittante.”
Tom prese un’espressione assorta. Poi gli sorrise, per fortuna. “Va bene.” Acconsentì. “Mi dispiace.” Ripeté ma stavolta con tono completamente diverso. Al ridacchiò e si chinò per dargli il bacio che desiderava.

Tom sentiva il respiro regolare di Al accanto al suo; il ragazzo si mosse leggermente nel sonno, mugugnando soddisfatto quando ebbe trovato la posizione giusta. Quindi se lo trovò incollato addosso.

Sorrise, ma poi pensò.
Avrei potuto essere come Luzhin.
Trovava che la pietà fosse un sentimento stupido. Ogni uomo al mondo faceva le sue scelte, e raramente potevano essere aliene da sue colpe. Non aveva provato pena per Parva Duil, l’uomo che si era venduto a John Doe, non aveva provato pena per Ainsel Prynn quando era stata uccisa davanti ai suoi occhi.
Non provava pena neppure per Sören. Ma poteva capirlo. Sospirò.
Capire ti faceva sentire molto peggio.
 
 
****
 
Note:
Non sparate sulla scrittrice, fa’ del suo meglio! ;D
Mi dispiace per il ritardo, ma sfortunatamente è un periodo denso, tra stage, esami e tesi.
Qui la canzone.
  
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