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Autore: Federico    22/09/2011    2 recensioni
Salve a tutti, eccomi di nuovo qua!Dopo tantissimo tempo torno ad aggiornare la mia saga "La saga dei balenieri" con questa fic, diretto seguito di "Tutte le scialuppe in mare".
Oceano Atlantico, 1838: anni dopo la prima storia Law, Rufy, Ace, Zoro e Sanji hanno cambiato vita: non sono più balenieri, e sono imbarcati su una nave che commercia con l'Estremo Oriente, con Law come capitano.
Un giorno, al largo dell'Africa vengono assaliti da dei pirati che su richiesta del loro misterioso capo rapiscono Ace e Rufy portandoli nel loro covo.
Chi è in realtà il comandante dei pirati? E' davvero così spietato come sembra? Riusciranno i nostri eroi a trarre in salvo i loro amici da una munitissima fortezza? Chi è un vero alleato e chi no fra i lupi di mare che vagano per l'oceano in cerca di vendetta e tesori?
Fra duelli, intrighi, battaglie e tradimenti si susseguono colpi di scena e rivelazioni inaspettate in questa mia nuova AU.
Nota: alcuni dei luoghi citati nella storia sono reali, altri verosimili. A causa del gran numero di parole e frasi straniere, chi volesse spiegazioni è libero di contattarmi con le recensioni. CMi raccomando, leggete e commentate numerosi!
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei balenieri'
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Spazio autore

Siamo arrivati alla fine anche di questa fanfiction. Vorrei ringraziare vivamente tutti coloro che hanno seguito fino ad ora con costanza questa storia, e in special modo Akemichan che ha lasciato una lunga e lusinghiera recensione e Unlucky che ha recensito e inserito la storia fra quelle seguite.

Mi piacerebbe sentire qualcos'altro da voi, per esempio cosa ne pensate della fic nel complesso, o di questo capitolo in particolare; i pregi e i difetti di tutto, i personaggi e le scene che vi sono piaciuti di più o di meno...Sarò lieto di ascoltare sia critiche che elogi, purchè sinceri e fondati. Insomma, credo che sia arrivato il momento di lasciarvi al proseguio della storia (scommetto che siete ancora col fiato sospeso per Dragon), quindi godetevi pure quest'ultimo capitolo.

Colgo poi l'occasione per annunciarvi che per un po' (un mesetto, forse due) non mi vedrete su questi schermi perchè molto impegnato: molte delle mie vecchie fic aspettano un proseguio, e ce ne sono anche di nuove. In particolare ultimamente sono dedito alla stesura di una fic che so già mi prenderà molto tempo e fatica: ma io voglio d'altronde scriverla il meglio possibile.

Quando la pubblicherò la riconoscerete perchè sarà un'Au (non parte di questa saga) con protagonisti Nami e Arlong (strana coppia eh? Non vi dico in che ruolo!) e perchè avrà un titolo in latino. In ogni caso per questo c'è ancora tempo. Ciao a tutti, ci vediamo presto!

P.S A proposito di titoli in latino, quello di questo capitolo significa La fratellanza dei marinai, in opposizione a Il patto dei pirati di qualche capitolo fa.

Sodalitas nautarum

 

Dragon si accasciò in ginocchio, gli occhi sbarrati dal dolore e dalla dolorosa sorpresa; non fece nemmeno in tempo a volgersi un'ultima volta verso i suoi figli, perchè Crocodile sfilò con irruenza la lama dal suo cuore facendolo cadere sul freddo pavimento a faccia in avanti.

Lo spietato negriero, per nulla turbato dall'omicidio a sangue freddo di cui si era macchiato, pulì svogliatamente la spada sul cappotto di cammello e avanzò verso il corpo dell'ex alleato, calpestandolo con profondo disprezzo con gli stivali dalle pesanti suole, quindi distese appena il volto sfegiato in un macabro sorriso rivolto ai due ragazzi: “Per caso volete essere i prossimi, petits chiens? Oppure sarete più furbi di questo poveraccio, di questo fallito?”.

I due, ancora a bocca aperta e con lo sgaurdo gelato da tanto orrore, erano talmente sconvolti da non percepire nemmeno gli insulti.

Era come se il tempo si fosse fermato nel momento stesso in cui la lama trapassava il petto del padre; quel padre che avevano sempre mal giudicato nei loro confusi ricordi infantili, e che era poco prima riemerso da quelle nebbie con la propria faccia peggiore di sempre, quella stessa faccia abbronzata e tatuata che ora giaceva immobile, come quella di un addormentato.

Quella stessa persona poteva essere sia il buon ladrone che una sorta di figliol prodigo alla rovescia, che aveva errato per tanti anni lontano da casa, commettendo peccati di tutti i tipi, ma più per dimenticanza di sé che per un'effettiva propensione verso il male; era stato come un bambino traviato da cattive amicizie, appartenenti a quel medesimo mondo che lo aveva così ignominiosamente tradito, spingendolo a ritornare brevemente a lottare per il bene.

Non appena riuscirono ad accettare, seppur a malincuore, quella perdita ora irreparabile, si ressero conto che un destino beffardo si stava prendendo gioco di loro: proprio nel momento in cui Dragon si era riconciliato con loro e si prospettava un futuro sereno insieme, era stato strappato alla vita; e questo fato maligni si incarnava perfettamente nel farabutto che con i suoi sporchi piedi contaminava il defunto, schernendolo rumorosamente.

 

Per Ace, che tendeva in situazioni di grave pericolo per sé e per gli altri, oppure quando qualcuno offendeva i suoi amici, ad agire immediatamente con estrema violenza, senza sapersi controllare o prevedere i rischi in anticipo, fu sufficiente a non vederci più dalla rabbia; completamente rosso in viso e sbuffando come un toro, gli occhi solitamente astuti e placidi carichi di un'ira spaventosa, si gettò a mani nude contro il nemico.

Crocodile purtroppo non era nato il giorno prima, e indovinò subito una mossa così avventata, per cui fece un passo indietro e sollevò l'uncino.

 

Colpito con inaudita ferocia da un fendente che gli aprì un profondo taglio in una guancia, Ace incespicò e battè la testa a terra, perdendo i sensi.

 

Rufy, che non aveva ancora versato lacrime per la morte del genitore, scoppiò in un pianto dirotto: “Ace! Ace!!! Rispondi! Brutto bastardo, cosa gli hai fatto? Questa me la paghi!”.

“Credi di spaventarmi moscerino? Avanti, posso farti a pezzi con un dito!” replicò sibilando lo schiavista, seccato da tanta insistenza che avrebeb potuto attirare l'attenzione di qualcuno.

All'improvviso urla acutissime invasero le loro orecchie, seguite da uno schianto contro il legno, un tuono assordante e una luce accecante che pervase le finestre.

“Che diavolo sta succedendo?! Cosa combina Zef?!” brontolò sbiancando Crocodile, quindi si diresse a una delle aperture e sbirciò fuori.

Mon Dieu, che disastro! Le navi sono in fiamme!” ululò terrorizzato il francese alla vista delle lunghe volute di fiamme e fumo che si levavano dalla flottiglia stagliandosi contro il cielo notturno.

“Spero che sia qualcuno che viene a punirti, figlio di puttana!” berciò Rufy avvicinandosi a una delle rastrelliere sul muro e sguainando una sciabola. “Ora vieni, dovrai vedertela con me!”.

“Sei irritante come una mosca tse-tse, ragazzino!” sibilò il delinquente, il cui viso scavato e ingrigito si stava rapidamente facendo paonazzo per la furia. “Ti spedirò all'Inferno, a far compagnia a quel maledetto di Dragon! Dì moccioso, vuoi rivedere il tuo paparino?”.

“Non azzardarti a parlare di lui in questi termini!” rispose spavaldamente il giovane sollevando la pesante arma, mentre al di fuori le artiglierie del forte e della scogliera rombavano sfidandosi.

 

I due si scambiarono un'ultima lunga occhiata, da una parte tetra per il lutto e la rabbia e dall'altra nervosa e beffarda, quindi scattarono l'uno verso l'altro e risuonò il clangore delle spade.

Rufy riuscì a disimpegnare la propria e la utilizzò per parare l'uncino di Crocodile, che questi meditava di utilzzare come un pugnale ausiliario per gli affondi improvvisi e letali, e quindi si dispose di profilo per cercare di offrire il meno ampio bersaglio possibile alla lama dell'avversario; costui comprese di non avere a che fare, a dispetto delle apparenze, con un novellino, e si infuriò ancora di più, emettendo sordi e rochi sbuffi.

Il combattimento appariva quanto mai impari, una specie di riedizione ottocentesca di Davide e Golia: per quanto Rufy fosse cresciuto in altezza e muscolatura da quando era un timido diciassettenne, e la sua determinazione e abilità si fossero parimenti rinforzate, l'avversario era molto più alto, dotato di un vigore fisico eccezionale, per niente indebolito dal continuo fumare, e presumibilmente ben più abile con la sciabola.

Il giovane continuava a menare in qua e in là come uno scacciamosche quella grossa arma a cui non era abituato, nel vano tentativo di parare una tempesta di stoccate e fendenti condotti con spada e uncino, un mare di sudore che gli imperlava il volto; all'improvviso Sir Crocodile gli sferrò un brutale calcio nell'addome che lo mandò a inciampare sul cadavere di uno dei due arabi.

 

“Salutami tanto tuo padre! E digli che non ho intenzione di raggiungerlo presto!” rise lo schiavista sollevando la sciabola per vibrare il colpo di grazia; ma fortuntamente Rufy ebbe una felice intuizione e un attimo prima di essere tagliato in due si fece scudo con il corpo su cui era incespicato: una testa dai grossi baffi neri coperta da una kefiah rotolò via sanguinante.

“Questo sciacallo mi è sempre stato fedele, e mi tradisce proprio da morto!” commentò acido il francese, ma perse troppo tempo a parlare; veloce come un cobra, il giovane si appropriò del pugnale dell'arabo, utilizzandolo per inchiodare al terreno il suo cappotto di cammello.

L'americano avrebbe anche approfittato di quel momento per prendersi la vita del nemico, glielo si leggeva chiarissimo in faccia (a tanto lo spingeva la sete di vendetta), ma d'un tratto l'altro fece balenare fuori una pistola e cercò di colpirlo mentre liberava l'ingombrante indumento.

Rufy, allontanatosi subito, cercò di distrarlo facendo il giro della stanza di corsa e costringendolo a scaricare l'una dopo l'altra tre pistole, che il negriero gettava bruscamente a terra dopo lo sparo, troppo stizzito per ricaricare; poi le lame tornarono a incrociarsi con veemenza, accompagnate da saltelli, finte e scatti.

I duellanti erano talmente concentrati nel mulinare le sciabole, il ferro che percuoteva continuamente il ferro in modo strano ed elegante, con torsioni della mano e affondi così veloci da risultare quasi invisibili a un osservatore esterno, che senza quasi accorgersene arrivarono alla porta, dietro la quale si stagliavano le scale e un passaggio che conduceva alle mura.

 

Rufy, che veniva spinto sempre più indietro dalla forza bestiale di Crocodile, si rese conto di avere le scale proprio dietro di sé e decise di approfittarne; con una repentina finta si scansò e il negriero, ormai troppo sbilanciato in avanti, precipitò a faccia in giù rotolando.

Senza curarsi se il suo nemico fosse vivo o morto, il giovane si precipitò fuori e percorse a passo svelto le mura, ormai semideserte; vide che sulla riva infuriava una tremenda battaglia all'arma bianca, e soprattutto scorse una nave lontana all'imboccatura della baia, che subito riconobbe.

“La Virginia! Allora sono davvero venuti a prenderci!”pensò entusiasta, ma fu interrotto da uno sparo alle sue spallle; Sir Crocodile, il volto sfregiato ridotto a una maschera di sangue, aveva appena fatto cilecca con l'ultima pistola, quella che teneva nascosta per le emergenze più gravi, e ora si dirigeva verso di lui in preda alla collera, la spada che luccicava sinistramente.

Con un grido lo schiavista gli si avventò addosso, e l'americano riprese subito la lotta; entrambi continuarono a indietreggiare o avanzare a turno, un vortice continuo di metallo fra di loro.

 

Frattanto per i bucanieri la situazione peggiorava a vista d'occhio; l'ingresso in campo delle forze di Zef in un primo momento era sembrata risolutiva, ma poi, constatata l'inspiegabile tenacia degli assalitori, molti uomini del francese avevano preferito disertare, e parecchi erano anche rimasti uccisi durante la fuga: mentre Jaws e Vista sopraffacevano il quartiermastro di Dragon, uno degli ultimi a resistere, Law, dopo aver abbattuto un filibustiere con la sua lunga sciabola, volse gli occhi verso l'alto e urlò per sovrastare il frastuono della battaglia: “Guardate! C'è Rufy lassù!”.

Vedendolo in difficoltà contro un avversario, Zoro si avvicinò il più possibile alle mura, e mirando attentamente, scagliò l'arpione; Crocodile fu trafitto in un fianco, e gemendo si arrestò.

Il suo giovane opponente, prima che egli potesse riaversi, optò per una mossa drastica e, afferrata una lanterna trovata lì vicina, la scagliò contro il suo viso con più cattiveria di quanto si credesse capace; il francese strillò come un maiale sventrato e si portò alla faccia le mani, dietro le quali scorrevano rivoli di sangue, quindi brancolò indietro e cadde urlando nel vuoto.

Un attimo prima però l'uncino guizzò in avanti e a casaccio artigliò la camicia di Rufy, trasciandolo giù; il ragazzo riuscì per miracolo ad afferrarsi a un merlo, e guardando il fardello che pendeva sotto di sé rabbrividì nello scorgerne le orbite vuote, insanguinate e trafitte da schegge di vetro.

“TU VERRAI GIU' CON ME!” ruggì furiosamente il negriero accecato, e prese a dondolarsi per far mollare la presa all'altro; ma l'americano, facendo appello alla protezione del padre, rimase aggrappato con uno sferzo erculeo alle mura e mozzò l'uncino di Crocodile, lasciando che cadesse a terra come un orrido pupazzo mutilato e ululante.

Subito dopo Rufy riuscì a riguadagnare le mura e, senza incontrare alcuna opposizione da parte degli ultimi pirati che scappavano dal portone ormai da tempo spalancato, uscì giusto in tempo per vedere la spiaggia disseminata di cadaveri e di volti amici.

 

Non appena riuscì a localizzare l'intera ciurma della Virginia o quasi, il giovane scoppiò a piangere e si buttò a ricevere gli abbracci di Sanji e Zoro, che non credevano ai loro occhi; quindi anche Trafalgar gli si avvicinò sorridendo e gli scompigliò i capelli neri.

“Ci sei mancato molto Rufy. Temevamo di averti perso. Lì c'era anche tuo padre?”.

“Oh, sì signore, ma non è come pensate. Era un uomo...diverso. Un buon uomo a suo modo”.

All'improvviso il ragazzo si ricordò del dettaglio più importante: Ace!

Facendo strada agli amici, Rufy tornò quasi correndo nella stanza dove il fratello giaceva ancora svenuto: se anche lui fosse morto come avrebbe potuto perdonarselo?

Ci furono vari tentativi di rianimarlo, con crescente sgomento di Rufy, ma alla fine anche Ace aprì gli occhi: “Dove sono? Cosa è successo? Papà...”disse guardandosi intorno spaesato.

Passarono alcune ore di sonno nervoso sulle navi per il paventato possibile ritorno dei pirati fuggiaschi, ma per fortuna quella che li colse il mattino dopo fu un alba tranquilla, al sorgere della quale le due ciurme, dopo essersi vicendevolmente ringraziate ed essersi promesse favori futuri da rendere, si augurarono buona fortuna e poterono salpare le ancore, ognuna per la sua via.

Il corpo di Dragon non meritava di essere lasciato insepolto in terra straniera, ma d'altronde non si poteva neanche riportarlo a Nantucket senza creare sospetti, per cui Law, con l'approvazione dei figli del defunto, decise di affidarlo per l'eternità a quell'oceano che aveva sempre amato.

Non uno dei membri dell'equipaggio, ora al corrente della storia completa di quell'uomo, versò una sola lacrima mentre il cadavere cucito in una vela e zavorrato veniva scaricato dalla murata.

 

Ace, la testa ancora bendata, poggiò d'improvviso una mano calda e fraterna sulla spalla di Rufy.

“Non devi buttarti giù. L'importante sarà fare quel che lui sognava che facessimo”.

Il fratello però non lo ascoltava, poiché la sua attenzione era stata colta da qualcosa di incredibile che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.

Vedeva al di sopra del clipper, o meglio gli pareva di vedere, anche se tutto ciò gli sembrava di gran lungo troppo solenne per essere un banale sogno ad occhi aperti, una nave eterea muoversi con la leggiadria di una farfalla fra le nuvole, le vele trasparenti gonfiate da un vento fresco e robusto.

Aguzzando meglio gli occhi, gli sembrò di riconoscere quella line affusolata, quella prua gagliarda simile a una spada pronta a fendere i mari più assolati o tempestosi, quei maestosi pennoni, quella velatura imponente come le ali di un candido albatro, quei portelli che si succedevano regolarmente per tutta la fiancata, ora ben chiusi e tutt'altro che mortiferi: ma sì, non c'erano dubbi, era la Southern Cross!

Una figura avvolta da un lungo abito, il cui viso era ancora oscurato, si trovava tutta da sola sul ponte e maneggiava con forza e perizia la ruota del timone; ora Rufy poteva vederlo un po' più da vicino, e si accorse che era Dragon, il volto tatuato disteso e sereno come quello di un beato celeste.

Forse suo padre agitò davvero una mano verso di lui in segno di benedizione o addio, per poi innalzare il suo veliero celeste verso altitudini paradisiache, scomparendo fra la luce del sole e il biancore delle nuvole, o forse era tutto un illusorio quanto struggente miraggio; ma il ragazzo si ripromise che avrebbe cercato di rendere felice e orgoglioso il suo eroico genitore, in ogni modo.

 

  
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