Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Emily Kingston    24/09/2011    2 recensioni
Hermione Granger non ha mai ricevuto la sua lettera per Hogwarts e Ronald Weasley ha sviluppato un innato interesse per la Londra Babbana.
“Che c’è? Io sono cosa?” domandò la ragazza, gesticolando.
Ron deglutì, sbattendo le palpebre.
“In mezzo al tavolo.”
Ed era così. Hermione, la strana ragazza che appariva nel suo appartamento, si trovava in mezzo al tavolo, il suo corpo metà sotto e metà sopra.
Ci era passata attraverso.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 You’re gonna be the one who saves me?

Le foglie giocavano dispettose tra le panchine di St. James Park, mosse lievemente dal vento. Era un’uggiosa mattina d’autunno e Ron stava fissando Hermione che, al suo fianco, si torceva le mani in grembo.
Non era stato facile per Hermione, il pomeriggio precedente, spiegare a Ron cosa fosse stato consigliato ai suoi genitori di fare.
“Cosa posso fare?” domandò il ragazzo, dopo svariati minuti di silenzio.
Il vento mosse dispettoso i capelli di Hermione, facendoglieli finire sul viso. La ragazza sospirò.
“Nulla,” rispose. Si portò i capelli dietro le orecchie, facendo vagare lo sguardo sul prato ben tenuto del parco.
Ron sospirò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi il capo tra le mani. C’era sicuramente qualcosa che poteva fare. Doveva esserci.
Strizzò gli occhi, concentrandosi sul respiro lento e regolare di Hermione, sul lieve frusciare delle foglie smosse dal vento, sul quieto ululare delle chiome degli alberi.
Improvvisamente spalancò le palpebre, illuminato da un pensiero.
“Tutto bene?” domandò Hermione, notando il suo comportamento strano.
Ron annuì, guardando distrattamente davanti a sé, gli occhi fissi sul prato con l’aria di uno che non sembrava realmente vederlo.
“So come aiutarti,” sussurrò. Si voltò lentamente verso di lei, gli occhi luminosi ed un enorme sorriso stampato in faccia. Hermione aggrottò le sopracciglia, confusa. “So come aiutarti!” esclamò, alzandosi in piedi di scatto.
Iniziò a camminare avanti e indietro sull’erba, farneticando tra sé a proposito del suo brillante piano, mentre Hermione lo fissava in totale stato di confusione dalla panchina.
“Io so come aiutarti!” ripeté, allungando le mani per prenderle le spalle ma finendo inesorabilmente per afferrare il vuoto.
Scosse il capo e sorrise, guardando Hermione con un’ombra di speranza negli occhi.
“Spiegami questo brillante piano,” acconsentì Hermione e Ron, con una lieve risatina di vittoria, si sedette al suo fianco sulla panchina, iniziando a chiacchierare.
 
Ron si Materializzò in un vicolo poco illuminato dalle parti di Tottenham Court Road. Si guardò furtivamente intorno e, appurato di essere solo, lasciò che Hermione uscisse allo scoperto.
Lo spirito della ragazza uscì dal corpo di Ron, barcollando.
“Non mi abituerò mai a questa cosa,” borbottò.
Ron scosse il capo, sorridendole.
“Allora,” iniziò, uscendo dal vicolo. “Dimmi qualcosa su di te che solo tu puoi sapere.”
Hermione ci pensò su, ripercorrendo tutti i suoi ricordi con la mente.
“Quando ero piccola, prima di addormentarmi, mia madre mi diceva sempre: non importa di quello che sarà, basta che tu sia felice,” ricordò, gli occhi lucidi e la voce tremolante sulle ultime parole.
Ron abbozzò un sorriso nella sua direzione. “Sono delle belle parole.”
“Già,” convenne lei, tirando su con il naso. Alzò gli occhi su di lui e, incoraggiandolo, lo guidò verso casa dei suoi genitori.
L’abitazione dei signori Granger era un villetta a due piani tinteggiata d’azzurro. Lo stabile era circondato da un piccolo giardino curato e, sul portico, stava una vecchia sedia a dondolo che cigolava a ritmo del vento.
Ron inspirò e, incoraggiato dallo sguardo di Hermione, aprì il piccolo cancelletto di ferro ed entrò nel giardino, percorrendo lo stradello di pietra fino alla porta.
Bussò un paio di volte, rimanendo ad attendere sul portico.
Dopo pochi minuti di attesa la porta si spalancò, rivelando la figura della madre di Hermione che si ripuliva le mani al grembiule che aveva legato in vita.
“Posso fare qualcosa per lei, giovanotto?” domandò, alzando gli occhi su Ron.
Il ragazzo deglutì, annuendo.
“Piacere, signora Granger, mi chiamo Ronald Weasley e, se non le dispiace, vorrei…vorrei scambiare due parole con lei,” disse, inciampando tra le parole.
La donna, confusa, annuì facendogli strada all’interno della casa. Lo accompagnò fino al salotto e lo invitò a sedersi sul divano.
“Gradisce del tè, signor Weasley?” Ron scosse li capo, intercettando lo sguardo di Hermione che si trovava dall’altra parte del salotto.
“No, grazie, signora Granger.”
La donna annuì e si sedette sulla poltrona, pronta all’ascolto.
Ron rimase in silenzio per alcuni secondi, organizzando un discorso nella sua mente, poi alzò lentamente lo sguardo ed incontrò gli occhi della donna, così simili a quelli della figlia.
“Non stacchi la spina a sua figlia,” disse.
La donna sbarrò gli occhi, boccheggiando.
“Come prego?”
“So che le sarà difficile da credere ma sua figlia, Hermione, non sta morendo,” spiegò.
La signora Granger scosse il capo, turbata.
“Senta, non so come lei sia venuto a conoscenza di ciò che ha accaduto a mia figlia,” disse, gelida. “Ma non ha alcun diritto di venire qui e dirmi una cosa del genere.”
Ron annuì, deglutendo.
“E’ stata Hermione a dirmi cosa le era successo, il suo spirito…il suo spirito è venuto da me, è qui anche adesso,” continuò, ben sapendo che le sue parole parevano assurde.
“Il suo spirito?” la madre di Hermione era in uno stato tra lo sconvolto e il preoccupato.
“Sì, lei è viva, signora Granger. Le dia il tempo che le serve per tornare nel suo corpo, Hermione vuole solo un po’ di tempo,” disse. “Non stacchi quella spina.”
La donna abbassò lo sguardo e scosse il capo.
“Lei è matto, come pensa di poter dire che lo spirito di mia figlia…” non finì neanche la frase, tanto era sconvolta.
Si alzò, invitandolo ad uscire.
“Aspetti!” esclamò Ron, mentre la donna lo spingeva verso la porta. “Se stessi mentendo come crede che potrei sapere che quando Hermione era piccola, prima di addormentarsi, lei le diceva sempre ‘non importa di quello che sarà, basta che tu sia felice’?”
La donna sbarrò gli occhi, ancora più turbata e confusa di prima.
“Lei come…?”
“Me l’ha detto lei! Hermione! La prego non stacchi quella spina!” implorò il ragazzo, bloccato sulla soglia.
La madre di Hermione aprì la porta, e senza guardalo in faccia lo pregò di andarsene. Ron annuì e, sconsolato, uscì dalla villetta azzurra, ripercorrendo lo stradello di pietra fino al cancelletto di ferro.
La donna si richiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi sopra con un sospiro. Hermione non si era mossa dal salotto.
Turbata e confusa la donna si passò una mano sulla fronte, dirigendosi verso il divano; si lasciò cadere sui morbidi cuscini con un sospiro afflitto.
Guardò con nostalgia alcune foto di Hermione che si trovavano sul camino e socchiudendo gli occhi, sussurrò qualcosa tra sé.
Dopo alcuni minuti si alzò in piedi, diretta in cucina. Hermione la seguì.
La donna si fermò davanti al bancone e, da uno dei cassetti delle tovaglie, tirò fuori i fogli che il dottor Miles le aveva dato un paio di giorni prima in ospedale. Afferrò una penna e guardò il fondo del foglio.
Hermione trattenne il fiato, scuotendo lievemente il capo.
“Scusami tesoro,” sussurrò la donna, la voce spezzata. Pigiò la sporgenza sulla cima della penna e, con mano tremante, firmò i fogli, riponendoli nuovamente nel cassetto.
Hermione corse fuori, la vista annebbiata ed il fiato spezzato.
 
Ron se ne stava con le mani in tasca e la schiena appoggiata alla steccionata dipinta di lucente vernice bianca. Il vento gli schiaffeggiava il volto, colpendo le sue gote lentigginose.
Sbuffò, spostandosi alcuni ciuffi dagli occhi con un gesto nervoso.
Stava per tornare indietro per cercare Hermione quando la figura della ragazza gli passò accanto velocemente, quasi saettando.
Non si fermò accanto a lui, non disse nulla. Semplicemente continuò a correre lungo la strada, con i capelli che le finivano in faccia e si impiastricciavano con le lacrime.
“Hermione!”
La ragazza non fece caso alla voce di Ron che la richiamava, né al ragazzo che cercava di correre al passo con lei.
Continuò a correre e correre, fluttuando a qualche centimetro da terra. Si accorse di dov’era solo quando si fermò ed i suoi occhi, rossi e avvolti da un’opaca patina di pianto, incontrarono il profilo di una statua.
Le sue labbra si arricciarono in un sorriso nostalgico; quando era poco più che una bambina sua madre la portava sempre a Kensington Gardens, così tanto spesso che era diventato uno dei suoi posti preferiti.
Le piaceva, negli uggiosi giorni autunnali, quando l’odore di pioggia superava quello dello smog, rintanarsi ai giardini con un libro. Solitamente si sedeva su quella stessa panchina, le gambe incrociate ed un tomo aperto su di esse, con gli occhi di Peter Pan che la osservavano, facendole compagnia.
“Corri veloce,” ansimò una voce affannata alle sue spalle. Hermione non si voltò, continuando a fissare la statua di Peter che troneggiava davanti a lei.
Avvertì la presenza di Ron al suo fianco e lo guardò con la coda dell’occhio; doveva avergli fatto fare una bella corsa.
“Si può sapere che ti ha preso?”
“Ci venivo sempre quand’ero piccola qui, sai?” rispose lei, ignorando la sua domanda. Non si voltò a guardarlo, ma sapeva che aveva annuito leggermente. “Mi mettevo a leggere qualche libro e lui mi faceva compagnia,” continuò, facendo un cenno con il capo in direzione della statua.
“Lui…chi sarebbe esattamente?” Hermione rise, sentendo le ciglia ancora un po’ umide ed impastate.
“Lui è il mio principe azzurro,” sussurrò la ragazza, ricomponendosi. La fiaba di Peter Pan era sempre stata la sua preferita, l’aveva letta e riletta fino a saperla a memoria.
Non sapeva se era stato più il singolare colore dei capelli del suo protagonista o il suo comportamento infantile a capriccioso ad attrarla così tanto.
Entrambi, forse.
Dette una veloce occhiata a Ron, ai suoi capelli rossi e alla sua aria da bambino un po’ troppo cresciuto, e sorrise.
“Allora, cosa è successo?” domandò il ragazzo, mostrando apparentemente di non aver sentito l’ultima affermazione di Hermione.
Il volto della ragazza si contrasse, tornando serio. Non rispose, ma i suo profondi e tristi occhi castani parlarono anche di più di quanto lei sarebbe mai stata capace di fare.
Ron annuì, esalando un muto “oh”.
“Ma deve per forza esserci-”
“No, Ron,” lo interruppe lei. “Non c’è.”
Il ragazzo abbassò lo sguardo, stringendo appena le mani che teneva posate sulle ginocchia.
“Ti ringrazio, sul serio,” continuò Hermione, avvicinandosi un po’ a lui. “Però non c’è modo di cambiare le cose,” ripeté, appoggiando una mano su quella di Ron che sentì la familiare sensazione di freddo delle sue carezze.
Rimasero in silenzio per un po’, contemplando in apparente concentrazione diverse parti del paesaggio. Poi Hermione si alzò, sistemandosi dignitosamente la maglietta sui pantaloni.
“Sai cosa ti dico?” esclamò, un lampo di decisione negli occhi. “Al diavolo la scienza, al diavolo le probabilità, chi se ne importa. Sono viva anch’io dopo tutto, no?” si avvicinò a lui e cercò i suoi occhi. E Ron sorrise, perché quella era Hermione, la strana ragazza che qualche settimana prima era apparsa nel suo appartamento sostenendo di esserne la proprietaria. Ron sorrise perché quella era l’Hermione che l’aveva tormentato per giorni, l’Hermione che non si faceva mettere i piedi in testa da niente e da nessuno; era l’Hermione vera. “Ti va di vivere Londra con me, stanotte, Ron?”
Gli porse la mano e lui, nonostante tutto, nonostante sapesse perfettamente che le loro pelli non si sarebbero sfiorate, pose la propria mano su quella tesa di lei, ignorando la sensazione di freddo che si dipanava lungo il suo palmo.
Hermione sorrise, facendo ondeggiare appena la sua voluminosa cascata di ricci.
“Benvenuto nel mio mondo.”
 
Ron rabbrividì appena, stringendosi nel pesante maglione di lana. Guardò Hermione con la coda dell’occhio; era sdraiata su una coperta patchwork con gli occhi rivolti verso il cielo.
Si voltò a guardarlo e lui non fece in tempo a spostare gli occhi, arrossendo violentemente sulle orecchie quando la ragazza lo colse in flagrante.
“Tutto bene?” Ron annuì, distogliendo con fatica lo sguardo da lei e riportandolo sul profilo luminoso della città.
Hermione sorrise, sedendosi ed avvolgendosi le gambe con le braccia, il mento incastrato nell’incavo delle ginocchia.
“Sai,” iniziò la ragazza, facendolo sobbalzare. “Credo di aver capito qual è la mia questione in sospeso.”
Ron si voltò appena verso di lei, guardandola di sfuggita.
“Mh?” mugolò, alzando le sopracciglia.
Hermione annuì vigorosamente, abbozzando un sorriso nella sua direzione. Strisciò sulla coperta, arrivandogli ancora più vicino e, sospirando, appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo.
Ron avvertì un lungo e fastidioso brivido salirgli lungo la spina dorsale, subito sedato da un violento calore che gli partiva dal petto.
Ignorò entrambe le sensazioni, concentrandosi sulla condensa del suo respiro.
“Sei tu, la mia questione in sospeso.”
Un po’ se lo aspettava; anzi, temeva che l’avrebbe detto.
Temeva una risposta del genere perché sapeva, nel profondo, che quella risposta avrebbe reso tutto più difficile. Per lei e per lui. Soprattutto per lui.
Per chi resta è sempre più difficile, fare i conti con i ricordi.
Sospirò, ignorando apparentemente le sue parole, come se gli fossero scivolate sopra, invece che penetrare. E lei sembrò intenderla così, perché i suoi occhi si spensero e si abbassarono in direzione dei suoi piedi.
“Forse sarà meglio che tu dorma un po’, è tardi,” suggerì, allontanandosi e stendendosi di nuovo sulla coperta, gli occhi rivolti al cielo stellato.
Ron annuì vagamente, sdraiandosi al suo fianco e dandole la schiena. Sentì la mano della ragazza cercare la sua e non si ritrasse, anche se quel contatto gli faceva salire il freddo.
“Resti con me, vero?” pigolò Hermione, sentendosi tremendamente infantile nel porre quella domanda. Non era mai stata una bambina, neanche quando era piccola. Si era sempre comportata da adulta, assennata e composta.
Eppure, non sapeva perché, aveva sentito il bisogno di dirlo, di assicurarsene perché dentro di sé, inspiegabilmente, sentiva che se lui non le avesse detto che restava con lei le cose sarebbero state peggiori, e sarebbe stato difficile. Per lei e per lui. Soprattutto per lei.
“Fino alla fine del mondo.”
Aveva la voce arrochita dalla stanchezza e sotto alle sue parole si celava uno sbadiglio, ma Hermione sorrise comunque, lasciandogli la mano e tornando a fissare il cielo con minuzia, divertendosi ad individuare le varie costellazioni.
Giocò con le stelle per un po’, finché il suo sguardo non ne incontrò una coppia particolare; poco lontane dal Big Ben, due stelle gemelle brillavano a breve distanza l’una dall’altra, una più grande e luminosa, l’altra più flebile. Seconda stella a destra e poi diritto fino al mattino.
Sorrise, guardando con rammarico la stella più flebile e spostando l’attenzione su quella più luminosa, che sembrava quasi pulsare da quanto brillava.
Socchiuse appena gli occhi, con un vago sorriso che ancora le aleggiava sulle labbra e pensò che forse, sarebbe approdata sull’Isola che non c’è, e che magari avrebbe incontrato Peter.
Si sentì infinitamente sciocca a pensarlo, non solo perché secondo tutte le leggi della ragione e della fisica era impossibile finire in un posto estraneo al tempo e allo spazio, ma soprattutto perché la sua Isola che non c’è l’aveva già trovata molto tempo prima.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Emily Kingston