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Autore: PattyOnTheRollercoaster    25/09/2011    4 recensioni
L torna alla Whammy's House, indeciso se continuare la sua carriera da detective dopo il caso Kira. Near si dà alla filosofia, Mello alla boxe e Matt continua con l'informatica.
Mentre vanno avanti con le loro vite Ryuk scrive un nome sul Death Note, una ragazza trova un quaderno incastrato nel portatile, qualcuno viene ucciso e qualcun'altro rapito. Un nome viene scritto e un'altro cancellato.
Si dice che il battito d'ali di una farfalla può causare un uragano dall'altra parte del mondo. Se una farfalla può causare questo, allora cosa causerà uno Shinigami annoiato?
[Dal capitolo 6]
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo dodici
Kids





“Near! Near! I rosa elefanti*!” Georgie si precipitò nella stanza del ragazzo, spalancando la porta con malagrazia e arrampicandosi sul letto. “Near!” Controllò che fosse lui, per non imbattersi per puro caso nella causa della sua fuga dal salotto. Le batteva forte il cuore, come solo ad un bambino può battere per qualcosa che non esiste. Quando ebbe appurato che si trattava di Near, Georgie prese le coperte pesanti fra le quali era avvolto e si coprì integralmente. Un piede scappava dalla coperta! Lo nascose.
Near si sollevò dal letto, assonnato. “Georgie?” Prese la coperta e ne sollevò un lembo. Georgie la riprese e si coprì di nuovo. “Georgie cosa c’è?”
“Non voglio che mi vedano”, disse la bambina con tono soffocato da sotto le coperte.
“Chi?”, domandò Near tentando di farla uscire, cercando il lembo della coperta. Si strofinò gli occhi un secondo prima di riprendere la ricerca di Georgie. “Non ti preoccupare, ti proteggeremo noi. Siamo qui apposta. Chi è che ti segue?”
“I rosa elefanti”, sussurrò la bambina nel tentativo di non farsi sentire.
Dumbo. Nemmeno a Near erano mai piaciuti i rosa elefanti. Aveva sempre avuto un dilemma con quel cartone animato. Non gli piaceva Dumbo, ma la canzone dei rosa elefanti era la migliore parte del film. Era anche la più spaventosa. Da piccolo aveva sempre avuto paura dei rosa elefanti. Non son tipo da svenire o da farmi intimorire, ma vedermi comparire i rosa elefanti mi fa mal! Già il fatto che un cucciolo di elefante si ubriacasse aveva dato a Near, una volta cresciuto, diversi dubbi sulla natura di quel cartone. Ma lui aveva comunque trovato un metodo, da bambino, contro i temibili elefanti rosa. “Georgie?”, chiamò il ragazzo.
“Shhh!”, lo rimproverò la bambina.
“Ascolta dimmi solo una cosa. Qual è il tuo animale preferito?”
“L’orso.”
“Lo sai che i colori combattono fra di loro?”, domandò Near rinunciando a scoprire Georgie. “Ad esempio, lo sai qual è il nemico giurato del rosa?” La bambina non rispose ma Near non vi fece caso, e continuò. “E’ il verde.” In realtà non era proprio vero: il verde era il complementare del rosso magenta, ma il rosa ci andava comunque vicino, e Georgie di sicuro non poteva conoscere la teoria dei colori. “Quindi, ecco cosa succede: gli elefanti rosa vengono battuti dagli orsi verdi. Ci sono degli orsi enormi, davvero grandi… che abitano in Africa. E sono verdi. Potrei scrivergli sai? Io li conosco. Possiamo scrivergli assieme. Gli diremo che gli elefanti rosa hanno ancora attaccato, e che devono andare a riprendersi il loro territorio, l’Africa.” Near fece una piccola pausa. “Allora?” Georgie alzò le coperte solo d’uno spiraglio e osservò Near.

Caro Re degli Orsi Verdi,
le mandiamo questa lettera per avvisarla di un pericolo imminente! Gli elefanti rosa stanno invadendo il vostro territorio. E’ richiesta un’azione immediata.
Con affetto,
Georgie e Near

Per prima cosa, sotto gli occhi attenti di Georgie, Near imbucò la lettera, sulla cui destinazione la busta recitava solo: Africa. Poi, non appena la bambina fu impegnata in altri giochi, Near andò a cercare fra i cd masterizzati di Matt, che si era tanto impegnato per trovare qualche cartone animato per Georgie. Una volta trovato Dumbo lo nascose nel più buio degli angoli della casa. Solo allora tornò tranquillo.
“Che cosa fai?”, domandò L quando vide Near arrampicato intento a lanciare un cd sopra un mucchio di scatole, nel ripostiglio.
“Niente più Dumbo qui: è malsano!”, disse il ragazzo.
L sorrise lievemente, illuminandosi, poi se ne andò canticchiando qualcosa come: ‘…ma i rotondi pachidermi mi fan rabbrividir!
Near fece appena in tempo a uscire dallo sgabuzzino che udì una voce urlare il suo nome. Sospirò, ma non di stanchezza. “Georgie?” Passò il resto del pomeriggio a giocare con un robot ed una bambola, nella loro fantasia Mr. Cosciotto e Miss Coda Lunga.
A Near piaceva stare assieme a Georgie, non erano passate che poche settimane da quando era arrivata, ma si era già affezionato a lei. Non come gli altri però, loro vedevano solo un bella bambina, timida e silenziosa. Near sapeva che non era affatto così. Georgie non era timida, una volta che la si conosceva bene. Ci si doveva meritare la fiducia di Georgie, e Near aveva capito che non era affatto facile né scontato come lo era per gli altri bambini, ai quali bastava un regalo o magari essere simpatici e gentili con loro per avere fiducia. Con Georgie ci si doveva impegnare, si doveva essere davvero delle brave persone.
Il motivo per cui Georgie aveva imparato a non parlare molto con gli altri, e lo stesso motivo per il quale preferiva non affezionarsi a molta gente. Era perché, lei lo sapeva: le persone muoiono. Nessuno aveva mai avuto la consapevolezza, fin dalla sua tenera età, che la vita fosse così limitata. Ma lei poteva vedere il nome delle persone, la durata della loro vita, e sapeva benissimo come andavano le cose. Forse lo sapeva meglio di molti adulti. Glielo aveva detto una volta uno Shinigami, le aveva spiegato ogni cosa. Era piombato dal cielo quando aveva appena tre anni e mezzo e lei aveva creduto che fosse un angelo. La mamma le parlava spesso degli angeli, diceva che salvavano le persone. Quell’angelo, molto probabilmente, era lì per salvare la sua mamma. La sua mamma lavorava sodo e la sera era sempre troppo stanca. Ma si sbagliava. Quando glielo aveva domandato l’angelo aveva detto solo che lui non era affatto un angelo. Era uno Shinigami. Un Dio della Morte. Le aveva spiegato come mai lei conosceva subito il nome delle persone non appena le guardava, e come mai dei curiosi numeri stavano sollevati sopra le loro teste. Le insegnò come calcolare in data umana gli anni di vita delle persone. Dopo aver imparato (la parte più difficile fu di sicuro fare le somme) Georgie lo faceva quasi come un gioco, un divertimento. Aveva smesso quando aveva conosciuto un compagno di scuola, un bambino della sua età. Si chiamava Paul Hertly e quando lo conobbe aveva ancora qualche ora di vita. Quando la mamma di Paul Hertly lo venne a prendere, dopo una giornata durata otto lunghe ore lavorative, durante le quali Paul aveva duramente disegnato e giocato con i trattori della scuola materna, non appena aveva visto la mamma dall’altra parte della strada era corso da lei. L’incidente sembrò quasi scontato, per Georgie. Da allora non guardava più la gente in viso, se non quando era obbligata. E non aveva mai più calcolato nessuna data di morte.
Ma con quei ragazzi era diverso. Lei non sapeva il perché, ma non poteva leggere la data della loro morte quando li osservava. Semplicemente non si vedeva. Georgie non sapeva che era solo perché erano entrati in contatto con un Death Note. Tutti lo avevano toccato, almeno una volta, per poter vedere Ryuk e parlare con lui. L’unica conclusione alla quale Georgie era potuta giungere era semplice: loro non sarebbero mai morti. Diane Colfer. Mihael Keehl. L Lawliet. Mail Jeevas. Annika Tempor. Nate River. Tutti immortali. Tutti come lei. Tutti sarebbero rimasti assieme a lei per sempre.

Matt si svegliò con la sensazione di aver combinato un guaio. Uno bello grosso. Non sapeva perché, ma sentiva di essere in gran torto, verso tutti. Verso Mello, perché non era mai stato un grande amico dopotutto, non era bravo a consolare e nemmeno a dire parole incoraggianti. Verso Near, perché quante volte si era ritrovato assieme a Mello a fargli vedere l’inferno, da bambini, solo per il gusto di farlo? Verso L, perché s’intrometteva nelle sue indagini e non ne era realmente interessato. Verso Noodle, e di questo non sapeva nemmeno il motivo. Era davvero una giornata nera per Matt, che si sentiva come l’unico peso in più che il mondo dovesse sostenere. Se lui non ci fosse stato sicuramente ogni cosa sarebbe andata al suo posto. Sicuramente nessuno sarebbe stato più infelice. Se non ci fosse stato lui, pensò, preso in quell’attacco di folle tristezza, di sicuro la fame nel mondo sarebbe finita, così come un geniale dottore avrebbe trovato una cura contro ogni tipo di cancro. E probabilmente, se non fosse mai esistito, Diane Colfer ora non sarebbe stata in quella casa. Forse sarebbe stata a casa propria, con il suo fidanzato, magari sarebbero stati più felici. Magari lei sarebbe stata più felice, avendo avuto un passato roseo e allegro alle sue spalle. Niente bambini non programmati, niente parti a quindici anni, niente fughe da casa e trasferimenti dall’altra parte del mondo.
Matt udì un rumore proveniente dal letto sopra il suo. Da quando lui e Mello avevano deciso di condividere la stanza L aveva comprato loro un letto a castello, forse per farli ripensare ai tempi passati della Wammy’s House. Mello aveva ancora avuto il letto di sopra. Matt lo udì stiracchiarsi, sbadigliare rumorosamente e, pochi istanti dopo, vide spuntare dei piedi dalla scala a pioli. Mello scese e gli si piazzò di fronte in tutta la sua eleganza mattutina, le gambe divaricate e le mani sui fianchi. Un sorriso soddisfatto come di chi ha vinto una gara campeggiava sul suo volto. Erano rare le volte in cui Matt aveva visto l’amico così di buon umore. “Che è successo?”, domandò senza volerlo sapere veramente.
“Io e Noodle ci siamo messi assieme.” Mello sorrise ancora di più e Matt giudicò la cosa con interesse quasi scientifico: come delle labbra possono divenire tanto ampie in un soggetto? E’ possibile che l’endorfina renda il tessuto della pelle più elastico?
“Davvero? Quando?”
Mello esitò, le sua mani scesero a penzoloni lungo i fianchi. “Non lo so esattamente, non è ancora una cosa ufficiale. Credo.”
“Ah, quindi è una cosa seria.” Matt si tirò su sopra il cuscino, facendo leva con i gomiti. “Ma quando?”
“Ieri sera.” Mello sorrise eccitato. “Ci siamo baciati.”
“Tutto qui?”, domandò Matt piegando le sopracciglia in un’espressione annoiata.
Mello sbuffò e cominciò a prendere i vestiti. “Ma che vuoi? Voglio fare le cose per bene. Magari usciamo qualche volta.”
Matt si rigettò sul letto, le mani dietro la testa. “Magari.” Esitò un secondo. Forse Mello si sarebbe arrabbiato perché non gliel’aveva detto prima. Decise di non correre troppi rischi e attese che fosse dentro il bagno, probabilmente intento a lavarsi, quando chiamò: “Mello!”.
Shi?” La voce soffocata del ragazzo lo raggiunse, dandogli la conferma che non lo poteva attaccare per quel che avrebbe detto: era troppo impegnato a lavarsi i denti.
“Lo sai che Diane Colfer è mia madre?!”
Dal bagno non provenne alcun suono, solo lo scrosciare dell’acqua del lavandino. Dopo qualche secondo: “Veramente?”.
“Sì!”
“Da quanto lo sai?”
“Da un mesetto più o meno.”
Dopo pochi minuti Mello uscì dal bagno asciugandosi il viso e osservandolo, sulla soglia, con aria stranita. “Perché non me lo hai detto prima?”, domandò con aria leggermente contrita.
Matt si strinse nelle spalle. “Non lo so. Cosa dovrei fare?”
“Vai a par… E’ per quello che non le parlavi più?”, domandò Mello con sguardo allucinato. L’amico assunse un’aria talmente colpevole che non ci sarebbe voluto l’intuito di Mello per capire quale fosse la riposta. “Che coglione!”, commentò l’amico. “Lei lo sa?”
“Sì.”
“Che due coglioni.”
“Non parlare di mia madre a quel modo!”, lo ammonì Matt puntandogli contro un indice. Mello ridacchiò, infilò pantaloni, maglietta e uscì dalla stanza. “Hey guarda che dico sul serio!”, fece in tempo a gridargli Matt. “Porta rispetto!” Sbuffò quando il ragazzo si chiuse la porta alle spalle senza rispondere, e si gettò ancora sul letto.
Perché non voleva parlarle? Diciamoci la verità, si disse. Perché aveva ritrovato la madre che credeva perduta, introvabile per sempre, e non voleva avere rapporti con lei? Be’, la ragione era principalmente una. Diane Colfer era ormai ufficialmente americana, rendeva un servizio agli Stati Uniti non indifferente, lavorava con uno staff di altissimo livello, i migliori che l’America avesse mai visto in tutti i campi. Quindi, se ne aveva avuto la possibilità, perché non lo aveva cercato? Era da diversi anni che lavorava per la CIA. Matt era sicuro che se lo avesse cercato bene avrebbe potuto contattare Watari, e quello non gli avrebbe certo negato di rivedere il suo legittimo figlio. Ma potevo cercarla anch’io. In fondo sono un hacker informatico, si disse Matt nemmeno due secondi dopo. Poi arrivò alla conclusione che per fare ricerche su una persona si sarebbe dovuto incominciare dal suo luogo di nascita, e lui non era mai stato -né aveva manifestato il desiderio di andare- in Irlanda. Lavò così via dalla sua esistenza ogni colpevolezza. Semplicemente, si vedeva ormai nello schema dell’orfano per la vita. Aveva già inquadrato tutta la sua esistenza senza genitori, senza alcun tipo di parentela così stretta e salda. Un amore talmente incondizionato… Orfano. Era quella la sua categoria e non credeva che sarebbe cambiata, non ne concepiva nemmeno la possibilità. Per quel motivo non aveva mai cercato sua madre, o suo padre. Non era curioso averla rincontrata così? Non era stato magnifico? Per sbaglio… per puro caso. Ma ora che l’aveva rincontrata, cosa desiderava fare? Matt se lo domandò per un po’, finché non trovò la vera risposta. Ce n’era solo una.
Il ragazzo si alzò dal letto e s’infilò in bagno. Dopo essersi lavato e vestito uscì dalla stanza e andò a cercare Diane per la casa. La trovò in cucina, in vestaglia, a prepararsi un caffè. “Diane?” La donna si voltò, e quando lo vide parve diventare piccola e insignificante, quasi avesse paura di lui. Non sapeva che a Matt accadeva la medesima cosa nei suoi confronti.
“Sì?”
“Perché non ti cambi? Ti offro una colazione.”
Solo un attimo di silenzio. “Va bene.”
Matt si sedette ad aspettare sul divano. Controllò quanti soldi aveva nel portafoglio. Abbastanza. Guardò fuori dalla finestra. Non riusciva a pensare a nulla di concreto. I pensieri si mescolavano e si sovrapponevano nella sua testa, come tanti pezzetti di carta strappati. Nessun pensiero intero, nessun ragionamento comprensibile o con un filo logico.
Fuori c’era il sole. Era fine maggio e la temperatura aveva iniziato ad alzarsi. Mello aveva cominciato a sfoggiare le magliette senza maniche, Noodle aveva abbandonato i maglioni pesanti, Near indossava ancora abiti integralmente bianchi, ma erano camicie a maniche corte e pantaloncini, L invece si era dato alle magliette senza maniche con i soliti jeans lisi. Matt aveva semplicemente messo via il gilet imbottito e le magliette a righe a maniche lunghe, mentre aveva preso quelle a maniche corte e pantaloncini che gli arrivavano fino al ginocchio. Tuttavia quando Diane Colfer fece la sua entrata Matt si disse che nessuno poteva essere più primaverile di lei: indossava delle scarpe comode aperte e un vestito giallo a fiori che risaltava le sue forme piene e le arrivava al ginocchio. Matt pensò che pareva un sole. Il suo sole. Poteva pensare il suo sole? Ne aveva il diritto? Il suo sole. Il suo sole, il suo…
Il ragazzo si alzò di scatto e si avviò alla porta. “Andiamo?”
“Certo.”
Camminarono in silenzio fino ad un bar molto grazioso. Sedettero ad un tavolo e Matt ordinò una spremuta di arancia, delle uova strapazzate e anche una brioche. Diane prese solo un caffè e una treccia al cioccolato. Matt sorrise. Sono circondato da amanti del cioccolato, pensò. Dopo aver ordinato il ragazzo si mise comodo sulla sedia e poggiò le mani sulle ginocchia, evitando lo sguardo della madre. Ma era lui che, dopo mesi di mutismo, le aveva chiesto di uscire assieme, era lui che doveva parlare per primo. Si schiarì la gola. “Io…” Si bloccò.
“Sì?”, domandò Diane subito. Veloce come il vento, prese al volo la frase di Matt come l’inizio di una lunga conversazione a cuore aperto.
Il ragazzo si schiarì di nuovo la voce. “Io volevo chiederti solo… se ti piace la casa.” Stupido.
“Oh.” Diane Colfer rimase stupita, e forse intimamente delusa. E forse intimamente sollevata. “Sì, sì mi piace molto. La mia camera è spaziosa, e dà proprio sul verde. Insomma, è una bella vista. Poi c’è anche il balcone. E tu?”
“Sì, sì. Sto tranquillo.”
“Non ti da’ fastidio dover dividere la camera con Mello?”
Matt alzò le spalle. “Lo faccio da quando sono arrivato all’orfanotrofio.” Deficiente.
Diane si zittì alla menzione di quel luogo, che celava dietro di sé una serie di storie e di dolori, e di cose non dette, e di segreti. Tutto in una sola parola.
Arrivarono le ordinazioni e la donna cominciò ad occuparsi con insano interesse del suo caffè. “Le indagini stanno andando bene, no?”, buttò lì ad occhi bassi.
“Sì certo. Svolte inaspettate.”
“Quando il caso finirà dove andrà a finire Georgie, secondo te? Se ne occuperà L?”, domandò Diane.
Matt la osservò stupito. “Della bambina? No, no, non credo proprio.”
“No, voglio dire: si occuperà lui di trovarle un posto dove stare?”
“Ah. Non lo so. Potrebbe farlo qualcuno di noi. Forse Near, a quanto pare a lui piace, e anche a Georgie piace Near.” Matt mangiò le uova strapazzate e bevve della spremuta. “Forse una famiglia adottiva, sempre a New York. Spero solo che capiti qualcuno di adatto, insomma... dopo tutto quello che ha passato. Spero che qualcuno la voglia con sé: non ha un curriculum edificante.”
“Io la prenderei con me”, disse Diane convinta, senza pensare.
Matt sorrise amaramente. Non c’era ombra di felicità sul suo volto. “Adesso sì, eh? E’ un buon periodo per avere figli.” Coglione.
Diane arrossì violentemente e abbassò lo sguardo. “Io, io…”
Matt non sapeva perché doveva arrabbiarsi così tanto. Una piccola parte di lui lo faceva apposta.
Forse, se sua madre fosse stata una donna che vendeva fiori, che abitava in una casetta molto piccola e accogliente e che aveva l’hobby di cucinare torte, non gli avrebbe dato fastidio dopotutto. Ma vedere Diane Colfer… Così bella, con una vita così perfetta, con un fidanzato, un cane, un lavoro che gli forniva un reddito più che sufficiente per vivere nella zona di Central Park, in un appartamento che non poteva costare meno di settemila dollari al mese, se non più, era stato come una coltellata nello stomaco. Le viscere di Matt si erano dilaniate e avevano gocciolato sangue ovunque attorno a lui, era rimasto inerme a guardare quella donna bella e perfetta. Ma solo dopo aveva capito il perché di tanto fastidio. Diane Colfer aveva abbandonato suo figlio per una vita migliore. Una vita che non comprendeva lui, una vita felice. Senza di lui. Non avrebbe dovuto, una madre, scegliere prima di tutto per il bene del suo bambino? Che razza di egoismo era quello? Matt non poteva sopportare il peso della verità: la verità che i suoi genitori avrebbero potuto benissimo continuare a tenerlo, facendo certo qualche sacrificio, ma avevano scelto di abbandonarlo perché preferivano loro stessi a lui. Non gli volevano bene abbastanza.
Matt si alzò dal tavolo, lasciò una banconota da venti dollari e se ne andò a passi svelti. Non appena fuori dal bar si mise le mani nei capelli e s’infuriò con sé stesso. Animale che non sei altro! Non ne fai una giusta! Dovevamo fare pace, dovevamo andare d’accordo! Nemmeno due secondi dopo i passi leggeri di Diane lo raggiunsero. Lui si volse stupefatto e si ritrovò a guardare il viso addolorato di sua madre. “Mail! Mail aspetta! Aspetta lascia che ti racconti com’è andata!”
“Non voglio sentire”, disse il ragazzo riprendendo a camminare a grandi falcate, le mani ficcate in tasca e la testa bassa. Diane lo inseguì senza troppa fatica e lo affiancò, mantenendo il suo passo.
“Hai ragione, è stato sbagliato. Noi eravamo stupidi e tu ne hai pagato le conseguenze. Ma adesso che ci siamo ritrovati voglio stare con te! Voglio farmi scusare, io… io…”
Matt si fermò e parlò a voce bassa e sibilante, tentando di nascondere la rabbia che voleva sfogare dando pugni a tutto ciò che vedeva attorno a sé, distruggendo ogni cosa. “Smettila Diane, smettila! Non è una giustificazione valida, non ti scuserò dopo tutti questi anni solo perché mi dici che è stato un errore giovanile. Lo so bene di essere un errore, sono nato per sbaglio. Io non dovrei esistere, sono un cazzo di imprevisto! Uno stronzissimo errore! Ma io c’ero e voi avevate il sacrosanto dovere!, di prendervi cura di me. Cos’è? Ve ne siete andati perché dopo un po’ vi siete stufati? Perché avete capito che non ero come un cane, che ero troppo impegnativo per voi?” Matt puntò il dito indice contro Diane, che nel frattempo si era fatta minuscola di fronte a lui e lo ascoltava terrorizzata, senza riuscire a staccare gli occhi da Matt, senza profferire parola e senza poter impedire agli occhi di cominciare bruciare. “E’ per colpa vostra che sono vissuto in un orfanotrofio per tutta la vita. Perché, cosa facevo? Infrangevo i vostri sogni? Non avreste potuto diventare medici con un figlio come me? Non avreste avuto una grande carriera da avvocati? O da agenti della CIA? Tu…” la mano di Matt tremò, stretta a pugno lungo i suoi fianchi, il suo viso si contorse in una smorfia, “non hai idea di quanto io vi volessi bene, e di quanto mi siate mancati. E di come vi perdonassi prima di incontrarti. E non hai idea dell’inferno che ho passato chiuso in un cazzo di orfanotrofio!” Gli occhi di Matt ormai lacrimavano senza ritegno, la gente che passava di lì lo osservava come si guarda uno squilibrato. “E’ stato una merda senza di voi, va bene? E credevo che per voi fosse lo stesso! Invece adesso scopro che volevate solo liberarvi di me, e che non ve ne fregava un cazzo. Pensavo…”, Matt rise amaramente, abbassando lo sguardo e stirando le labbra senza allegria, “pensavo che non poteste più mantenermi e aveste deciso di lasciarmi alle cure di chi poteva. Che stupido coglione.” Matt prese fiato e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Tentò di parlare di nuovo, ma non sapeva che cosa dire. Aveva già detto tutto, aveva già esaurito tutte le parole che poteva dire a quella donna, tirando fuori dei pensieri che lo tormentavano ormai da mesi. Ormai, inconsapevolmente, da anni, e che parevano distendersi molto più in là della sua età.
Diane Colfer era rimasta zitta e ferma tutto il tempo. Non sapeva cosa dire, non sapeva come rassicurare quel ragazzo ormai troppo grande e troppo sconosciuto per poter essere rassicurato da lei. “Mi dispiace”, disse con voce tremula. Allungò le braccia e gli prese il viso fra le mani, toccando la pelle liscia e appena rasata del ragazzo, e guardandolo negli occhi per fargli capire che stava dicendo la verità. “Non accadrà mai più Mail. Non ti lascerò mai più solo.”
Il ragazzo la osservò in viso per un po’, senza capire davvero che cosa avesse detto. Poi Diane lo prese fra le braccia e lo strinse.
Matt si sentì così piccolo, nonostante la superasse di parecchi centimetri in altezza. Era pieno di lei, non era come lo stesse solo abbracciando, ma come se gli stesse entrando nel petto. Non aveva sentito quel calore in corpo se non anni addietro. Si sentì al sicuro, come se non avesse mai più dovuto pensare a nulla. Sua madre era lì, era lì con lui.
Era di nuovo un bambino.




















*I rosa elefanti sono presi dal cartone animato della Disney, potete vede l'inquietante video che ha spaventato Georgie qui

Buondì!
Allora, questo è il capitolo che tanto fremevo per postare, come vi ho spiegato nello scorso spoiler. Ci sono un po' di cose che vorrei dire, la più scema delle quali è di sicuro che adoro vedere L che canta la canzone degli elefanti rosa! xD
A parte questo, vorrei spendere due parole per Near, una volta ogni tanto. Come avevo già detto quando ho iniziato questa fanfiction, tutti i personaggi compiono un certo percorso, e Near non ne verrà certo esulato: il suo rapporto con Georgie è molto importante, lei riuscirà infatti a dargli qualcosa che Near credeva ormai perduto, ma non voglio ancora anticiparvi nulla, e questo tema verrà approfondito nei prossimi capitoli.
La visione della vita di Georgie, il fatto che creda che i ragazzi della Wammy's House, Noodle e Diane, rimarranno per sempre con lei, è magari un po' triste dato che noi sappiamo che non è così, ma siccome Georgie è ancora piccola ho pensato che poteva immaginare qualcosa del genere. Mi mette un po' di tristezza a pensarci, ma in questo capitolo va così u_u
Infine, Mello e Diane! Ho letto e riletto fino allo sfinimento il monologo di Matt quando esce dal bar, e vorrei proprio sapere che ne dite voi lettori =) Personalmente, adoro questo capitolo, soprattutto per la sfuriata/confessione di Matt. Non so nemmeno che altro dire a proposito di questo, spero che sia piena zeppa di emozioni, perché io ho cercato di renderla tale, è uno dei nodi della fanfiction.
Be', ditemi un po' cosa ne pensate!
Intanto ecco il link allo spoiler del prossimo capitolo. E per oggi basta così.
Patrizia
   
 
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