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Autore: Remedios la Bella    28/09/2011    4 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Posso felicemente constatare di aver raggiunto la bellezza di 82 recensioni! Grazie mille a tutti quanti miei devoti discepoli!
Vorrei esaltarmi ma non voglio dar prova della mia vanità, Dunque! Buona lettura!


Capitolo 26

 
In casa non si respirava aria buona. Ma non ero poi preoccupata dal fatto che mio marito mi avrebbe scorticata viva sapendo della mia intromissione; per ora l’unica cosa a cui pensavo intensamente era il destino dei miei due figlioli cari.
Max in guerra, Elly in compagnia di Deborah, sperduta e esposta ai pericoli incombenti del mondo attuale. Non sapevo a che santo votarmi per dare loro una mano dal punto fermo in cui mi trovavo.
Ero seduta in salotto e guardavo incessantemente l’orologio a pendolo che ticchettava inesorabile scandendo ogni secondo che pian piano cercava di allontanare il ricordo dei visi dei miei due figli. Ma se pensava di farla franca con me si poteva sbagliare di grosso. Niente mi avrebbe fatto cancellare il loro ricordo. Sentivo nostalgia, pensavo che tutt’a un tratto si sarebbero precipitati alla porta a bussare. Io avrei aperto, loro mi avrebbero abbracciato festosi e io tra le lacrime li avrei baciati e ribaciati dalla gioia. Ma sapevo che era solo un’illusione, seppur temporanea. Quella porta non si sarebbe aperta, le mie lacrime sarebbero state versate per altri motivi.
Ero immersa in questi vani tentativi di evasione, quando Frank fece tuonare il mio nome in tutta la casa, con una furia spaventosa: “ Elena!”. Le pareti quasi tremarono insieme a me a quel richiamo.
Mi alzai lentamente e andai nel suo studio, tenendo però la testa alzata, come a volerlo sfidare appena varcata la soglia dello studio. Ed era ciò che avevo intenzione di fare.
Lui era lì, seduto nella sua sedia, e mi guardò con occhi ardenti:” Siediti.” Mi comandò.
“ Sono tua moglie, trattami come tale …” non abbassai lo sguardo e lo sfidai fissandolo dentro le iridi celesti che si restrinsero alla mia quasi pretesa.
“ Non fare la permalosa con me! Non funziona … siediti.” Mi tornò a dire alzandosi.
Io mi sedetti lentamente, e da lì lui mi fulminò come fossi un cane colto nel momento in cui viene beccato a rubare del cibo.
“ Elena, sai che io e te ci abbiamo messo un sacco di tempo a educare i nostri figli al rispetto, soprattutto verso noi … “
“ Esatto, Frank, e non sembra che non mi abbiamo portato rispetto, quindi non capisco dove vuoi andare a parare …” feci io ironica, già conoscendo quel discorso a memoria. Intuii, però, che stavolta sarebbe finita diversamente.
“ Esatto mia cara mogliettina, ma si dà il caso …” qui avvicinò il suo viso al mio orecchio da dietro lo schienale di soppiatto. Sobbalzai sentendo il suo fiato caldo sul collo:” Che abbiano in qualche modo mancato di rispetto a me. E questo non va bene. E cosa scopro poi? Che tu!” la sua mano fece un tonfo sullo schienale della sedia, come se l’avesse sbattuta di proposito. Non volsi nemmeno la faccia:” C’entri in questo trambusto …”
“ Non so di cosa tu stia parlando …”
“ Vuoi che ti rinfreschi le idee? Sai che ci posso riuscire benissimo …” Poggiò la sua grande mano sulla mia spalla, e sentii la pressione delle dita che stavano stringendo l’osso. Scattai in piedi voltandomi verso di lui e facendomi schermo con la mano. La mia faccia si contrasse disgustata:” Non osare toccarmi.”
“ Non farei del male a mia moglie per nessuna ragione. Dimmi solo perché diavolo ti sei messa in mezzo!”
“Perché voglio bene ai miei figli, al contrario tuo!” sbottai furiosa. Lui era accecato dall’ira, e per poco non avrebbe teso la sua mano per darmi uno schiaffo, ma vedevo chiaramente che si tratteneva dal farlo.
“ Non tirare fuori sciocchezze donna! Io ho educato loro al rispetto e all’odio verso quegli esseri, e mi ritrovo un figlio innamorato di uno di loro, e l’altro in sua difesa! E ti ci sei messa anche tu, aiutandoli nell’evasione! Ti rendi conto? Hai rovinato la mia immagine!” diede una sfuriata pazzesca, battendo il pugno sul tavolo tanto da far saltare di qualche centimetro la tazza di caffè.
“ Quale immagine ti avrei rovinato io? Quella di un despota senza pietà? Ma per favore … ad essere sincera ne vado altamente fiera. E non tirare fuori scuse politiche che solo tu sapresti tirare fuori! Qui non c’entra la tua reputazione, non ti va a genio che io stia dalla parte dei miei figli piuttosto che dalla tua, ammettilo!!”
Non feci in tempo ad accorgermi dello schiaffo che mi arrivò alla guancia sinistra, che mi fece risedere sulla mia sedia di botto. Mi toccai la gota che bruciava dolorante e lo guardai con occhi pieni d’odio.
“ Taci.” Tuonò lui arrabbiato.
Mi alzai dalla sedia e non stetti ad ascoltarlo ulteriormente. Ma di certo lui riuscì a sentire il mio “ Va al diavolo” poiché glielo dissi in faccia chiaro e tondo, per poi sbattere la porta dietro di me con un colpo secco.
Non piansi per lo schiaffo, non piansi per niente.
Sapevo quanta cocciutaggine ci fosse in quella testa di mulo che mi ritrovavo come marito, sarebbe stato inutile discuterne.
Era comunque un punto a mio favore.
 
Il primo giorno in quell’inferno passò, e la stanchezza mi fece quasi svenire sulla mia misera brandina in camera.
Durante quella terribile giornata mi vennero date le mansioni giornaliere. Oltre all’addestramento alla guerra, avrei dovuto svolgere anche lavori all’apparenza più semplici, ma che tutto sommato risultarono massacranti per la mia schiena e il mio fisico : Se dopo pranzo avevo dovuto fare servizio in cucina, a lavare piatti e spazzare per terra, nel pomeriggio venivo sfiancato dalle migliaia di addominali e flessioni e di esercizi di corsa. Per non parlare della sera: insieme a uno dei miei compagni di stanza, Lucas, dovevo pulire le vetrate di tutto l’edificio e pulire i pavimenti delle camere, e verso l’imbrunire avevo l’esercitazione al poligono di tiro.
Non essendo esperto in armi, il rinculo che mi beccai sparando il primo colpo di fucile della mia vita mi fece cadere a terra, tra le risate generali di tutti gli altri. Io non ne feci conto, e l’uomo addetto all’addestramento mi insegnò come posizionare quell’arma e come prendere la mira.
“ tienilo appoggiato alla spalla, e punta leggermente più in basso rispetto al punto che vuoi colpire, per ora. Poi dovrai essere sempre preciso. Capisce cadetto Schubert?”
“ Sissignore.” Eseguii il comando e in effetti trovai più facile mirare al bersaglio fisso davanti a me, e riuscii a governare i miei riflessi. In fondo non era difficile utilizzare quell’arnese, a parte la montatura e la carica delle munizioni,bastava avere la mano ferma.
Ma non avevo intenzione di usarlo per ragioni esterne alla guerra. Lì sarebbe stato usato, lì era il suo utilizzo, e decisamente mi veniva la pelle d’oca al sol pensiero.
Finii così la giornata buttandomi a letto nonostante fosse prestissimo, ronfando alla grande come osservò Jordan il mattino dopo.
Non fu la giornata però a turbarmi di più. Ci pensò il sogno a rendermi le cose difficili. Cosa sognai? O per meglio dire chi? Lei, ovvio.
Lei che piangeva nel mezzo di un cerchio di luce bianchissima, in uno spazio nerissimo come la notte. Io che non riuscivo ad avvicinarmi a lei per abbracciarla, per poterla baciare su quelle labbra esangui e tremanti , bagnati di lacrime. Le mie, lacrime di sangue, che mi facevano piangere il cuore.
Una fitta terribile che mi stringeva lo stomaco, una voglia fortissima di volerla abbracciare stretta a me resa impossibile da una forza estrema che mi impediva di andarle incontro e di fare ciò che volevo.
Cavolo. Perché anche la mia volontà mi si stava rivoltando contro? Non ero più padrone di mio stesso per caso?
Mi svegliai in un bagno di sudore, la luna splendeva da fuori accecando i miei occhi pregni di amarezza e nostalgia.
 
“ Stai bene adesso?” mi chiese dolcemente Elly, ancora stringendomi a sé. Annuii lentamente e alzai il viso asciugandomi le lacrime con il braccio:” Grazie.”
“ di niente.” Sorrise lei :” ma non farmi preoccupare … su, sorridi!”
“ Fosse facile lo farei …” aggiunsi io con una punta di rancore.
“ Provaci.” Prese il mio viso madido di lacrime e tese gli angoli della mia bocca, costringendo il mio viso a stendere i muscoli della bocca in un ‘espressione serena:” Visto? non è difficile in fondo!”
“ Ma smettila!” Elly riuscì a farmi ridere almeno, e apprezzai quel suo gesto. In fondo lo faceva per il mio bene, e non volevo deprimerla con le mie lamentele.
Gonfiò le guance per poi espellere l’aria in un soffio:” E poi, non vorrai mica che tuo figlio sia un ragazzo triste! Madre sorridente, figlio sorridente!”
Sorrisi a quella allusione, e mi toccai il ventre pensierosa. In effetti non potevo di certo permettere che la tristezza influisse su di lui. Era frutto di odio, ma pur sempre un frutto. E i frutti vanno sempre coltivati con amore.
“ Grazie ancora …”
“ Di niente … Mmh … ti andrebbe di tagliarti i capelli? La tua chioma potrebbe risultare fastidiosa quando dovrai lavorare qui.” Osservò Elly.
Presi una ciocca dei miei capelli dubbiosa e osservai pure io che tutti quella chioma di ebano sarebbe stata ingombrante nel caso avessi dovuto svolgere lavori di qualsiasi genere. Non li facevo tagliare da chissà quanto, era mia madre … che aveva sempre provveduto …
Qualcosa come una lacrima inconsapevole della sua discesa solcò la mia guancia. Perché diavolo tutto doveva essere pregno di lei?
“ Oh no … che ho fatto?” Esclamò Elly meravigliata:” non piangere!”
“ Non è niente davvero …” mi asciugai in fretta le lacrime:” Dove sono le forbici?”
“ Quindi hai deciso?”
“ Esattamente!” feci io tenendo in pugno i miei capelli e mostrandoglieli:” Fai quel che sai!”
“ Benissimo!” Elly si alzò di scatto dal letto e afferrò la sedia lì accanto:” Siediti qui.”
Mi sedetti sulla sedia di legno che mi porse e dopo mi trovai avvolta da una coperta. Elly prese delle forbici dal tavolo lì accanto e mi bloccò la testa, abbassandola leggermente:” Chiudi gli occhi e lascia fare a me.”
Feci come mi ordinò. Durante il taglio dei miei capelli sentii le lame che tranciavano le ciocche di capelli che Elly raccoglieva tra le sue dita, le sue risatine divertite appena udibili, la sua mano leggera che muoveva la chioma per ordinarla insieme alla spazzola che faceva passare tra ogni capello.
Aprii gli occhi, e potei vedere sul pavimento le numerose ciocche che mi aveva tranciato, neri batuffoli di capelli che ricadevano leggeri come piume.
“ Non aprire gli occhi furbona.” Mi rimproverò dolcemente lei guardandomi di sottecchi, continuando la sua opera. Sorrisi divertita e richiusi di nuovo gli occhi, per poi riaprirli al suo comando.
“ Tieni e guarda!” mi porse uno specchio:” Ti piace?”
Osservai la nuova me nello specchio, e ciò che vidi non mi dispiacque affatto. La lunga cascata di capelli disordinati era ridotta ora a un elegante taglio corto e sfilato, la fronte era rimasta libera con due ciuffi laterali, ma l’insieme era raffinato e anche comodo da gestire. Mi passai le dita tra i capelli compiaciuta:” Ottimo lavoro! non immaginavo fossi tanto brava!”
“ Sono una ragazza, è il minimo che devo saper fare!” fece lei quasi dandosi un’aria orgogliosa che mi fece ridere.
 Sorrisi e mi alzai dalla sedia,e dopo aver pulito la stanza dai capelli, scesi giù con Elly per eseguire le mansioni.
Ero cambiata, seppur esteriormente. E non sarebbe mancato anche il cambiamento interiore. Tutto questo dedicato a Max, che pregavo dentro di me che tornasse vivo dalla guerra per potermi vedere, nuova e innamorata di lui più che mai.  

   
 
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